Quando la fede si intreccia con il crimine: una storia di ’ndrangheta e contraddizioni…

In una recente operazione della Procura di Brescia, emerge uno scenario che sembra uscito da un romanzo noir…

Già… una suora, figura simbolo di pace e dedizione, posta al servizio della criminalità organizzata: sì… quella calabrese, la nota ’ndrangheta…
Cosa dire, due vite agli antipodi unite dallo stesso sistema, perché da un lato, vi era un temuto elemento di spicco della ’ndrangheta lombarda, dall’altro, una suora, che secondo le indagini avrebbe messo le sue mansioni carcerarie al servizio del sodalizio criminale. 
Infatti, in una conversazione intercettata, un affiliato si riferisce a lei con parole inquietanti: «È una dei nostri. Se ti serve qualcosa dentro, chiedi a lei». 
La religiosa difatti sarebbe stata un importante tramite tra i membri del clan detenuti e quelli operativi fuori dal carcere, dimostrando come la rete mafiosa sappia insinuarsi anche in quelle fenditure insospettabili.
L’indagine ha ora portato all’arresto di ben 25 persone, tutte accusate di reati che vanno dal traffico di droga e armi all’usura, fino al riciclaggio e alle estorsioni. 
Tra i nomi eccellenti figurano anche ex consiglieri comunali, accusati di aver negoziato appalti pubblici in cambio di supporto elettorale, confermando ancora una volta il connubio – purtroppo frequente – tra politica e criminalità organizzata.
Cosa aggiungere… una pagina nera nella lotta alla criminalità, uno specchio delle contraddizioni umane e sociali. 
Una dimostrazione di come il crimine sappia corrompere e sfruttare ogni spazio, persino quelli dedicati alla fede e alla redenzione.
Viene spontaneo chiedervi cosa ne pensate? Come è possibile che realtà così distanti si intreccino in modo tanto inquietante? Se volete inviare la vostra risposta, sarò ben lieto di condividerla.

Quando la fede si intreccia con il crimine: una storia di ’ndrangheta e contraddizioni…

In una recente operazione della Procura di Brescia, emerge uno scenario che sembra uscito da un romanzo noir…

Già… una suora, figura simbolo di pace e dedizione, posta al servizio della criminalità organizzata: sì… quella calabrese, la nota ’ndrangheta…
Cosa dire, due vite agli antipodi unite dallo stesso sistema, perché da un lato, vi era un temuto elemento di spicco della ’ndrangheta lombarda, dall’altro, una suora, che secondo le indagini avrebbe messo le sue mansioni carcerarie al servizio del sodalizio criminale. 
Infatti, in una conversazione intercettata, un affiliato si riferisce a lei con parole inquietanti: «È una dei nostri. Se ti serve qualcosa dentro, chiedi a lei». 
La religiosa difatti sarebbe stata un importante tramite tra i membri del clan detenuti e quelli operativi fuori dal carcere, dimostrando come la rete mafiosa sappia insinuarsi anche in quelle fenditure insospettabili.
L’indagine ha ora portato all’arresto di ben 25 persone, tutte accusate di reati che vanno dal traffico di droga e armi all’usura, fino al riciclaggio e alle estorsioni. 
Tra i nomi eccellenti figurano anche ex consiglieri comunali, accusati di aver negoziato appalti pubblici in cambio di supporto elettorale, confermando ancora una volta il connubio – purtroppo frequente – tra politica e criminalità organizzata.
Cosa aggiungere… una pagina nera nella lotta alla criminalità, uno specchio delle contraddizioni umane e sociali. 
Una dimostrazione di come il crimine sappia corrompere e sfruttare ogni spazio, persino quelli dedicati alla fede e alla redenzione.
Viene spontaneo chiedervi cosa ne pensate? Come è possibile che realtà così distanti si intreccino in modo tanto inquietante? Se volete inviare la vostra risposta, sarò ben lieto di condividerla.

Gravi rischi per chi viola le normative sul subappalto

Molti imprenditori ignorano, o fingono di ignorare, che violare le norme nell’esecuzione dei lavori può comportare conseguenze penali significative. Questo articolo intende chiarire i principali aspetti relativi al subappalto, sia autorizzato che non autorizzato, analizzando le condizioni necessarie per la conformità normativa e le relative conseguenze in caso di violazione.

Partiamo dal subappalto autorizzato. Per ottenere l’autorizzazione, occorre rispettare le seguenti condizioni:

Dichiarazione di subappalto all’atto dell’offerta: Il concorrente deve indicare con precisione i lavori, i servizi o le forniture che intende subappaltare.

Deposito del contratto di subappalto: L’affidatario deve presentare una copia del contratto alla stazione appaltante almeno 20 giorni prima dell’inizio delle prestazioni.

Requisiti di qualificazione: Contestualmente al deposito del contratto, è obbligatorio produrre la documentazione attestante la qualificazione del subappaltatore e il possesso dei requisiti generali previsti dall’art. 38 del D.Lgs. 163/2006.

La normativa sul subappalto, disciplinata dall’art. 118 del D.Lgs. 163/2006, integra i principi delle direttive europee 2004/17/CE e 2004/18/CE. Secondo questa normativa, qualsiasi contratto tra l’appaltatore e terzi, che preveda l’esecuzione di una parte delle prestazioni, è considerato subappalto. Tale contratto è soggetto all’obbligo di qualificazione dei soggetti coinvolti e al rispetto della disciplina antimafia.

Viceversa il subappalto senza autorizzazione comporta conseguenze civili e penali gravi:

Nullità del contratto: Un contratto stipulato senza autorizzazione è nullo per violazione di norme imperative, mentre l’eccedenza oltre le percentuali consentite è nulla per la parte eccedente.

Sanzioni penali: L’art. 21 della legge 646/1982 prevede per l’appaltatore e il subappaltatore l’arresto da sei mesi a un anno e ammende significative. Per i funzionari coinvolti, le pene possono arrivare fino a quattro anni di reclusione.

Sospensione dei pagamenti e risoluzione contrattuale: La stazione appaltante può sospendere i pagamenti e chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, con rottura del rapporto fiduciario.

Errori nella dichiarazione di subappalto

Se in fase di gara il concorrente non dichiara l’intenzione di ricorrere al subappalto o se la dichiarazione è generica, ciò non comporta l’esclusione dalla gara, ma preclude l’utilizzo del subappalto (Cons. Stato, Sez. V, 23 giugno 1999, n. 438). È fondamentale specificare con esattezza i lavori da subappaltare, pena l’invalidità della dichiarazione.

In alcuni casi, il bando di gara può escludere il subappalto per ragioni tecniche. Una dichiarazione in contrasto con tale esclusione può portare all’esclusione del concorrente, poiché l’offerta risulterebbe non conforme alla lex specialis (Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2007, n. 5906).

Per cui, il subappalto, pur essendo uno strumento utile per la gestione delle commesse, è regolato da norme stringenti che impongono agli imprenditori un’attenzione particolare.

Le violazioni non solo minano la fiducia della stazione appaltante, ma espongono le imprese a pesanti sanzioni, mettendo a rischio la continuità operativa.

Gravi rischi per chi viola le normative sul subappalto

Molti imprenditori ignorano, o fingono di ignorare, che violare le norme nell’esecuzione dei lavori può comportare conseguenze penali significative. Questo articolo intende chiarire i principali aspetti relativi al subappalto, sia autorizzato che non autorizzato, analizzando le condizioni necessarie per la conformità normativa e le relative conseguenze in caso di violazione.

Partiamo dal subappalto autorizzato. Per ottenere l’autorizzazione, occorre rispettare le seguenti condizioni:

Dichiarazione di subappalto all’atto dell’offerta: Il concorrente deve indicare con precisione i lavori, i servizi o le forniture che intende subappaltare.

Deposito del contratto di subappalto: L’affidatario deve presentare una copia del contratto alla stazione appaltante almeno 20 giorni prima dell’inizio delle prestazioni.

Requisiti di qualificazione: Contestualmente al deposito del contratto, è obbligatorio produrre la documentazione attestante la qualificazione del subappaltatore e il possesso dei requisiti generali previsti dall’art. 38 del D.Lgs. 163/2006.

La normativa sul subappalto, disciplinata dall’art. 118 del D.Lgs. 163/2006, integra i principi delle direttive europee 2004/17/CE e 2004/18/CE. Secondo questa normativa, qualsiasi contratto tra l’appaltatore e terzi, che preveda l’esecuzione di una parte delle prestazioni, è considerato subappalto. Tale contratto è soggetto all’obbligo di qualificazione dei soggetti coinvolti e al rispetto della disciplina antimafia.

Viceversa il subappalto senza autorizzazione comporta conseguenze civili e penali gravi:

Nullità del contratto: Un contratto stipulato senza autorizzazione è nullo per violazione di norme imperative, mentre l’eccedenza oltre le percentuali consentite è nulla per la parte eccedente.

Sanzioni penali: L’art. 21 della legge 646/1982 prevede per l’appaltatore e il subappaltatore l’arresto da sei mesi a un anno e ammende significative. Per i funzionari coinvolti, le pene possono arrivare fino a quattro anni di reclusione.

Sospensione dei pagamenti e risoluzione contrattuale: La stazione appaltante può sospendere i pagamenti e chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, con rottura del rapporto fiduciario.

Errori nella dichiarazione di subappalto

Se in fase di gara il concorrente non dichiara l’intenzione di ricorrere al subappalto o se la dichiarazione è generica, ciò non comporta l’esclusione dalla gara, ma preclude l’utilizzo del subappalto (Cons. Stato, Sez. V, 23 giugno 1999, n. 438). È fondamentale specificare con esattezza i lavori da subappaltare, pena l’invalidità della dichiarazione.

In alcuni casi, il bando di gara può escludere il subappalto per ragioni tecniche. Una dichiarazione in contrasto con tale esclusione può portare all’esclusione del concorrente, poiché l’offerta risulterebbe non conforme alla lex specialis (Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2007, n. 5906).

Per cui, il subappalto, pur essendo uno strumento utile per la gestione delle commesse, è regolato da norme stringenti che impongono agli imprenditori un’attenzione particolare.

Le violazioni non solo minano la fiducia della stazione appaltante, ma espongono le imprese a pesanti sanzioni, mettendo a rischio la continuità operativa.

Sebastiano Ardita: riflessioni sul coraggio del male.

Il coraggio del male“: un titolo che di per sé evoca un’ombra, una sfida, una lotta interiore e universale…

Di fronte a un tema così potente, avrei desiderato che il procuratore – considerata la sua professione e la sua esperienza nel tessere la tela della giustizia – avesse scelto di affrontare argomenti più legati al suo ruolo e alla realtà che vive quotidianamente. 

Tuttavia, ogni scelta narrativa è una finestra sulla mente e sul cuore dell’autore, e questo libro potrebbe rivelarsi una chiave per comprenderne i pensieri e le emozioni più profonde.

Quindi, prima di esprimere un giudizio definitivo, lascio spazio alla lettura e all’immersione nella sua narrazione; solo così potrò capire se la sua voce entrerà tra quelle che considero davvero indimenticabili.

Il titolo stesso mi spinge a riflettere sul significato del “coraggio del male“, un concetto provocatorio, quasi paradossale, ma affascinante. 

Già…il male, che per definizione rappresenta il lato oscuro dell’umanità, quello che spesso si cela, si teme o si condanna.

Parlare di coraggio in relazione al male è come riconoscere che anche esso richiede una sorta di forza o di audacia, sebbene indirizzata verso scopi distruttivi o moralmente discutibili.

Ma forse il “coraggio del male” non riguarda solo chi lo perpetra; potrebbe essere anche il coraggio di affrontarlo, di guardarlo negli occhi senza distogliere lo sguardo. È una chiamata a confrontarsi con il lato oscuro dell’esistenza, sia fuori che dentro di noi, e a riflettere su come esso plasmi la nostra umanità, le nostre scelte e la nostra visione del mondo.

Questo libro potrebbe rappresentare un viaggio nei territori inesplorati dell’animo umano, un invito a sondare le profondità dove luce e ombra si intrecciano.

Ed è quindi con questa curiosità che mi accingo a leggerlo, pronto a lasciarmi sorprendere e forse anche a mettere in discussione le mie certezze…

Sebastiano Ardita: riflessioni sul coraggio del male.

Il coraggio del male“: un titolo che di per sé evoca un’ombra, una sfida, una lotta interiore e universale…

Di fronte a un tema così potente, avrei desiderato che il procuratore – considerata la sua professione e la sua esperienza nel tessere la tela della giustizia – avesse scelto di affrontare argomenti più legati al suo ruolo e alla realtà che vive quotidianamente. 

Tuttavia, ogni scelta narrativa è una finestra sulla mente e sul cuore dell’autore, e questo libro potrebbe rivelarsi una chiave per comprenderne i pensieri e le emozioni più profonde.

Quindi, prima di esprimere un giudizio definitivo, lascio spazio alla lettura e all’immersione nella sua narrazione; solo così potrò capire se la sua voce entrerà tra quelle che considero davvero indimenticabili.

Il titolo stesso mi spinge a riflettere sul significato del “coraggio del male“, un concetto provocatorio, quasi paradossale, ma affascinante. 

Già…il male, che per definizione rappresenta il lato oscuro dell’umanità, quello che spesso si cela, si teme o si condanna.

Parlare di coraggio in relazione al male è come riconoscere che anche esso richiede una sorta di forza o di audacia, sebbene indirizzata verso scopi distruttivi o moralmente discutibili.

Ma forse il “coraggio del male” non riguarda solo chi lo perpetra; potrebbe essere anche il coraggio di affrontarlo, di guardarlo negli occhi senza distogliere lo sguardo. È una chiamata a confrontarsi con il lato oscuro dell’esistenza, sia fuori che dentro di noi, e a riflettere su come esso plasmi la nostra umanità, le nostre scelte e la nostra visione del mondo.

Questo libro potrebbe rappresentare un viaggio nei territori inesplorati dell’animo umano, un invito a sondare le profondità dove luce e ombra si intrecciano.

Ed è quindi con questa curiosità che mi accingo a leggerlo, pronto a lasciarmi sorprendere e forse anche a mettere in discussione le mie certezze…

Maxi evasione Iva.

Un sistema fraudolento su larga scala, finalizzato alle frodi fiscali e al riciclaggio e aggravato dall’utilizzo di metodi di intimidazione, è stato smantellato grazie a un’indagine coordinata tra diverse autorità investigative.

L’operazione ha portato all’esecuzione di numerose misure cautelari personali, sequestri di beni e denaro per centinaia di milioni di euro, e alla ricostruzione di false fatturazioni per oltre un miliardo di euro.
I provvedimenti restrittivi riguardano individui accusati di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale, al riciclaggio dei profitti illeciti e, in alcuni casi, di reati fallimentari legati alla gestione di società coinvolte. Alcuni degli indagati si trovano attualmente all’estero, con conseguente emissione di mandati di arresto internazionali.
Sono stati sequestrati beni, valori e denaro per un valore complessivo superiore a 500 milioni di euro, corrispondenti ai profitti della frode, e immobili riconducibili al sistema fraudolento, sparsi su diverse località sia in Italia che all’estero. Le autorità hanno rilevato che una parte dei proventi illeciti è stata investita in attività criminali organizzate, utilizzando modalità che favoriscono il riciclaggio e il reinvestimento dei guadagni illeciti.
L’indagine, frutto di una convergenza tra due filoni investigativi, ha svelato un complesso meccanismo di frodi fiscali, noto come “frode carosello”, che coinvolge il commercio di prodotti tecnologici attraverso una rete strutturata di imprese intermediarie e società estere.
Nel corso delle operazioni, sono state effettuate numerose perquisizioni in diverse province e Paesi, con l’impiego di unità specializzate nella ricerca di denaro nascosto. Complessivamente, l’indagine riguarda centinaia di persone e società coinvolte, evidenziando l’enorme portata del sistema fraudolento.
Questa rete, operante in diversi Paesi europei ed extraeuropei, ha utilizzato società di comodo e schemi complessi per evadere l’Iva e riciclare ingenti somme, dimostrando un’integrazione tra attività illecite e criminalità organizzata.
Ritengo quindi che per arginare fenomeni così articolati, è necessario un approccio a tutti i livelli. 
Prima di tutto, occorre rafforzare la cooperazione internazionale tra le autorità giudiziarie e investigative, facilitando lo scambio rapido di informazioni e l’armonizzazione delle normative fiscali.
Difatti, l’introduzione di tecnologie avanzate, come sistemi di tracciabilità digitale per le transazioni commerciali e strumenti di intelligenza artificiale per l’analisi dei dati, potrebbe rendere più difficile l’uso di fatture false e il riciclaggio dei proventi.
Inoltre, bisogna incentivare la prevenzione perché attraverso essa si possono compiere controlli più stringenti sui flussi finanziari e sulla costituzione di nuove società, soprattutto quelle che operano in settori ad alto rischio di frodi.
Infine, è fondamentale rafforzare la cultura della legalità, promuovendo programmi di sensibilizzazione per le imprese e i cittadini e implementando misure severe contro la corruzione, che spesso – per come abitualmente constatiano – agevola la proliferazione di questi sistemi.
Perché soltanto combinando prevenzione, innovazione tecnologica e cooperazione internazionale – forse – sarà possibile indebolire tutte queste diffuse reti criminali e proteggere così finalmente, l’economia legale di questo Paese!!!

Mandati di arresto dalla Corte Penale Internazionale: si incrina il sostegno occidentale a Israele?

Dopo oltre un anno di conflitto devastante e un bilancio drammatico di circa 44.000 morti tra i palestinesi, la Corte penale internazionale (CPI) ha emesso i suoi primi mandati di arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza e in Israele successivamente al 7 ottobre 2023.

Sotto accusa, su richiesta del procuratore capo Karim Khan, sono finiti il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, e il capo militare di Hamas, Mohammed Deif. Quest’ultimo, tuttavia, è stato dichiarato morto da Israele in un raid aereo su Gaza, sebbene tale notizia non sia stata confermata ufficialmente da fonti indipendenti.

La decisione della Camera preliminare della CPI ha scatenato reazioni immediate e accese. Da parte israeliana, Netanyahu ha definito il verdetto “antisemita” e lo ha paragonato a un “nuovo processo Dreyfus”, mentre Gallant ha criticato aspramente la Corte, accusandola di “equiparare Israele e Hamas” e di “incentivare il terrorismo”. Dalla parte palestinese, Hamas ha accolto il provvedimento come un “passo importante verso la giustizia”, senza però fare riferimento diretto a Deif.

Sul piano internazionale, la decisione ha diviso la comunità globale. Gli Stati Uniti e l’Argentina si sono schierati al fianco di Israele. L’amministrazione Biden ha rigettato categoricamente il verdetto, esprimendo “profonda preoccupazione” e ribadendo di non riconoscere la giurisdizione della CPI su questa vicenda. Secondo il presidente argentino Javier Milei, il provvedimento “ignora il legittimo diritto di Israele a difendersi dagli attacchi costanti di Hamas e Hezbollah”.

L’Unione Europea, invece, per voce dell’Alto Rappresentante uscente Josep Borrell, ha difeso la legittimità dell’operato della CPI, sottolineando che “non si tratta di una decisione politica, ma di un pronunciamento giuridico che deve essere rispettato e applicato”. Borrell ha ribadito che la tragedia in corso a Gaza deve trovare una fine e che i Paesi membri dell’UE hanno l’obbligo di collaborare con la Corte.

Gli Stati aderenti allo Statuto di Roma – 124 in totale – sono infatti tenuti a eseguire i mandati di arresto nei confronti delle persone ricercate, inclusi i capi di governo. Questo rende estremamente complesso, se non impossibile, per Netanyahu e Gallant recarsi all’estero senza il rischio di arresto.

Il procuratore capo Khan ha difeso l’integrità del lavoro del suo ufficio, sottolineando che le accuse sono basate su prove verificabili e che le indagini proseguono, anche alla luce delle segnalazioni di nuove violazioni del diritto internazionale umanitario in corso a Gaza e in Cisgiordania. Israele, tuttavia, ha replicato con durezza, definendo Khan un “procuratore corrotto” e rilanciando accuse di condotta impropria nei suoi confronti.

Tra i primi Paesi a dichiarare piena collaborazione con la CPI c’è stata l’Olanda, che ospita la sede della Corte all’Aja. L’Italia, invece, attraverso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha espresso sostegno generale alla CPI ma ha sottolineato la necessità di coordinarsi con gli alleati per decidere come affrontare la questione. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, pur definendo la decisione della Corte “sbagliata”, ha ammesso che, qualora Netanyahu o Gallant visitassero l’Italia, il Paese sarebbe obbligato a rispettare il diritto internazionale e procedere all’arresto.

Sebbene l’effettiva consegna dei due leader alla Corte appaia improbabile, il valore dei mandati di arresto è anche simbolico. Questo procedimento rappresenta un monito sul fatto che, persino nei conflitti più aspri, il rispetto delle norme del diritto internazionale è imprescindibile. Parallelamente, resta aperto un altro caso all’Aja, stavolta dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia, che riguarda le accuse di genocidio mosse allo Stato di Israele, principalmente dal Sudafrica. La CPI, invece, si concentra esclusivamente sulle responsabilità individuali, sottolineando la necessità di distinguere tra azioni di Stato e responsabilità personali dei leader.

Mandati di arresto dalla Corte Penale Internazionale: si incrina il sostegno occidentale a Israele?

Dopo oltre un anno di conflitto devastante e un bilancio drammatico di circa 44.000 morti tra i palestinesi, la Corte penale internazionale (CPI) ha emesso i suoi primi mandati di arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza e in Israele successivamente al 7 ottobre 2023.

Sotto accusa, su richiesta del procuratore capo Karim Khan, sono finiti il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, e il capo militare di Hamas, Mohammed Deif. Quest’ultimo, tuttavia, è stato dichiarato morto da Israele in un raid aereo su Gaza, sebbene tale notizia non sia stata confermata ufficialmente da fonti indipendenti.

La decisione della Camera preliminare della CPI ha scatenato reazioni immediate e accese. Da parte israeliana, Netanyahu ha definito il verdetto “antisemita” e lo ha paragonato a un “nuovo processo Dreyfus”, mentre Gallant ha criticato aspramente la Corte, accusandola di “equiparare Israele e Hamas” e di “incentivare il terrorismo”. Dalla parte palestinese, Hamas ha accolto il provvedimento come un “passo importante verso la giustizia”, senza però fare riferimento diretto a Deif.

Sul piano internazionale, la decisione ha diviso la comunità globale. Gli Stati Uniti e l’Argentina si sono schierati al fianco di Israele. L’amministrazione Biden ha rigettato categoricamente il verdetto, esprimendo “profonda preoccupazione” e ribadendo di non riconoscere la giurisdizione della CPI su questa vicenda. Secondo il presidente argentino Javier Milei, il provvedimento “ignora il legittimo diritto di Israele a difendersi dagli attacchi costanti di Hamas e Hezbollah”.

L’Unione Europea, invece, per voce dell’Alto Rappresentante uscente Josep Borrell, ha difeso la legittimità dell’operato della CPI, sottolineando che “non si tratta di una decisione politica, ma di un pronunciamento giuridico che deve essere rispettato e applicato”. Borrell ha ribadito che la tragedia in corso a Gaza deve trovare una fine e che i Paesi membri dell’UE hanno l’obbligo di collaborare con la Corte.

Gli Stati aderenti allo Statuto di Roma – 124 in totale – sono infatti tenuti a eseguire i mandati di arresto nei confronti delle persone ricercate, inclusi i capi di governo. Questo rende estremamente complesso, se non impossibile, per Netanyahu e Gallant recarsi all’estero senza il rischio di arresto.

Il procuratore capo Khan ha difeso l’integrità del lavoro del suo ufficio, sottolineando che le accuse sono basate su prove verificabili e che le indagini proseguono, anche alla luce delle segnalazioni di nuove violazioni del diritto internazionale umanitario in corso a Gaza e in Cisgiordania. Israele, tuttavia, ha replicato con durezza, definendo Khan un “procuratore corrotto” e rilanciando accuse di condotta impropria nei suoi confronti.

Tra i primi Paesi a dichiarare piena collaborazione con la CPI c’è stata l’Olanda, che ospita la sede della Corte all’Aja. L’Italia, invece, attraverso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha espresso sostegno generale alla CPI ma ha sottolineato la necessità di coordinarsi con gli alleati per decidere come affrontare la questione. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, pur definendo la decisione della Corte “sbagliata”, ha ammesso che, qualora Netanyahu o Gallant visitassero l’Italia, il Paese sarebbe obbligato a rispettare il diritto internazionale e procedere all’arresto.

Sebbene l’effettiva consegna dei due leader alla Corte appaia improbabile, il valore dei mandati di arresto è anche simbolico. Questo procedimento rappresenta un monito sul fatto che, persino nei conflitti più aspri, il rispetto delle norme del diritto internazionale è imprescindibile. Parallelamente, resta aperto un altro caso all’Aja, stavolta dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia, che riguarda le accuse di genocidio mosse allo Stato di Israele, principalmente dal Sudafrica. La CPI, invece, si concentra esclusivamente sulle responsabilità individuali, sottolineando la necessità di distinguere tra azioni di Stato e responsabilità personali dei leader.

Richieste e preoccupazioni riguardo all'articolo 22 del decreto legge n. 36.

Le principali richieste delle associazioni nazionali riguardo all’articolo 22 del decreto legge n. 36, che istituisce il Fondo per le spese di gestione dei beni confiscati, includono tutta una serie di parametri che vanno dall’aumento della dotazione finanziaria.

Difatti, le associazioni chiedono un incremento delle risorse destinate al Fondo per garantire una gestione efficace dei beni confiscati.

Ed ancora, per continuare con l’estensione dell’ambito di applicazione è fondamentale che il Fondo non sia limitato solo ai progetti finanziati dall’avviso pubblico dell’Agenzia per la coesione territoriale, ma possa supportare anche altre iniziative e progettualità già esistenti o in fase di attivazione in tutte le regioni.

Inoltre, sostegno alle spese di gestione: le associazioni richiedono che il Fondo copra le spese necessarie per avviare e mantenere attive le buone pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati, in modo da garantire la continuità delle attività.

Lo stesso dicasi per la valorizzazione del terzo settore: È richiesta una maggiore valorizzazione del ruolo del terzo settore nel processo di gestione e co-progettazione con gli enti locali.

Ed infine, risorse per il riutilizzo sociale nei Comuni del centro-nord Italia: Si chiede l’estensione delle risorse finanziarie anche per il riutilizzo sociale dei beni confiscati in queste aree, dove esistono già molte esperienze positive.

Comprenderete come queste richieste mirano a rafforzare l’efficacia del Fondo e a garantire che i beni confiscati possano essere restituiti alla collettività in modo significativo e sostenibile e difatti le associazioni nazionali, in particolare i sindacati, hanno espresso forte preoccupazioni riguardo alla gestione e all’efficacia di queste misure. 

In particolare quest’ultimi, temono che le risorse destinate alla gestione di questi beni non siano sufficienti e che la loro distribuzione possa alla fne non risultare equa…

Raccomandazioni e compromessi: fino a che punto si può cedere?

I raccomandati rappresentano gli esseri più spregievoli: convinti di sapere tutto, dimenticano di ricoprire quei ruoli non per meriti propri, ma grazie a una spintarella ottenuta da qualche familiare o parente che, a sua volta, ha passato anni a leccare i piedi a politici o dirigenti!!!

Ho sempre rifiutato le raccomandazioni e lo stesso ho insegnato alle mie figlie!!!

Non per un banale orgoglio, ma perché ho sempre creduto che la soddisfazione più grande sia conquistarsi da soli il proprio cammino. 

Posso dire di esserci riuscito, ma devo ammettere che nel coprso della mia vita la sfida è sempre stata ardua, ancor più in questi ultimi 15 anni, da quando ho deciso di occuparmi in prima persona di legalità in maniera concreta e ciò comprenderete, in un paese corrotto e soprattutto mafioso, ha destato in molti forti preoccupazioni, situazioni che ho pagato in prima persona… 

Ma quanto occorso non mi ha minimamanete cambiato: come ripeto spesso, quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare e in fondo, e l’affrontare difficoltà maggiori rende il loro successo ancora più appagante!!!

Si qualcuno va dicendo che nella vita non prevalgono i più forti o i più intelligenti, ma coloro che si sanno adattare. 

Quindi non querce come il sottoscritto, ma bensì giunchi, già… capaci di piegarsi senza spezzarsi. 

Tuttavia, questo adattamento, questa “elasticità”, fino a che punto è una dimostrazione di intelligenza e flessibilità? E quando, invece, scivola – come ormai consuetudine – verso la disonestà?

La linea di confine è sottile… l’elasticità può diventare compromesso, e il compromesso, in alcuni casi, può tradursi in scorrettezza, ma dove si colloca questo questo limite? Forse nelle esperienze di vita di ognuno, nei valori che scegliamo di coltivare???

In molti casi, credo che il confine venga tracciato dai “precedenti“: quei momenti in cui una piccola concessione all’ingiustizia inizia a pesare più del rispetto per la lealtà e l’onestà.

Di solito, questi precedenti si manifestano quando siamo privati di qualcosa di materiale: denaro, opportunità, o persino dignità, ed è qui che l’elasticità rischia di trasformarsi in un vendersi, in un abbassarsi a compromessi “sporchi“, è il momento in cui un’ambizione – o una necessità – si impone sui nostri valori.

Personalmente, non sono mai sceso a compromessi, sì… la mia autostima, che considero un valore prezioso, non mi ha mai permesso di accettare scorciatoie!!! 

Il sapere di aver ottenuto un qualcosa grazie ad una raccomandazione, piuttosto che per meriti personali, lederebbe profondamente la mia autostima, una forza interiore senza la quale mi sentirei fragile, vulnerabile…

Il sottoscritto di contro vuole essere libero da qualsivoglia coercizione, compromesso, libero soprattutto ( come faccio in questo mio blog) di criticare, di dire ciò che penso, di mandare a fanculo, di fare a chiunque la morale senza dovermi preoccupare di venire attaccato per qualche scheletro nell’armadio, di vivere secondo i miei principi di legalità, onesta e soprattutto integrità.

 E questo è ciò che ho trasmesso alle mie figlie, con orgoglio!!!

Comprendo però che in un Paese corrotto e infetto come il nostro, la tentazione sia grande, soprattutto quando una raccomandazione sembra il modo più semplice – o l’unico – per ristabilire un equilibrio di giustizia. 

Ma è proprio qui che si apre una riflessione importante…

La raccomandazione, o meglio la segnalazione, non è in sé sbagliata…. in altri Paesi ad esempio è uno strumento legittimo per valorizzare i meriti di chi li possiede davvero, una pratica trasparente e rispettabile. 

Solo quin da noi, putroppo, è stata corrotta, trasformandosi in un sinonimo di ingiustizia!!!

Qui non serve per premiare il talento, ma per favorire chi non ne ha alcuno, spesso a discapito di chi lo meriterebbe davvero.

Ecco il vero problema: non è l’elasticità in sé a essere sbagliata, ma il modo in cui viene usata. 

Quando pieghiamo i nostri valori alla convenienza, non stiamo più “adattandoci“: no… ci stiamo svendendo!!!

E in quel preciso momento perdiamo qualcosa di più prezioso di qualsiasi vantaggio materiale, già… perdiamo noi stessi!!!

Raccomandazioni e compromessi: fino a che punto si può cedere?

I raccomandati rappresentano gli esseri più spregievoli: convinti di sapere tutto, dimenticano di ricoprire quei ruoli non per meriti propri, ma grazie a una spintarella ottenuta da qualche familiare o parente che, a sua volta, ha passato anni a leccare i piedi a politici o dirigenti!!!

Ho sempre rifiutato le raccomandazioni e lo stesso ho insegnato alle mie figlie!!!
Non per un banale orgoglio,…

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Raccomandazioni e compromessi: fino a che punto si può cedere?

I raccomandati rappresentano da sempre gli esseri più spregievoli: convinti di sapere tutto, dimenticano di ricoprire quei ruoli non per meriti propri, ma grazie a una spintarella ottenuta da qualche familiare o parente che, a sua volta, ha passato anni a leccare i piedi a politici o dirigenti!!!

Ho sempre rifiutato le raccomandazioni e lo stesso ho insegnato alle mie figlie!!!

Non per un banale orgoglio, ma perché ho sempre creduto che la soddisfazione più grande sia conquistarsi da soli il proprio cammino. 

Posso dire di esserci riuscito, ma devo ammettere che nel corso della mia vita la sfida è sempre stata ardua, ancor più in questi ultimi 15 anni, da quando ho deciso di occuparmi in prima persona di legalità in maniera concreta e ciò comprenderete, in un paese corrotto e soprattutto mafioso, ha destato in molti forte preoccupazione, situazione che ho pagato in prima persona… 

Ma quanto occorso non mi ha minimamente scoraggiato: come ripeto spesso, quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare e in fondo, affrontare difficoltà maggiori, rende il loro successo ancora più appagante!!!

Si qualcuno va dicendo che nella vita non prevalgono i più forti o i più intelligenti, ma coloro che si sanno adattare. 

Quindi non querce come il sottoscritto, ma giunchi, già… capaci di piegarsi senza spezzarsi. 

Tuttavia, questo adattamento, questa “elasticità“, fino a che punto è una dimostrazione di intelligenza e flessibilità? E quando, invece, scivola – come ormai consuetudine – verso la disonestà?

La linea di confine è sottile… l’elasticità può diventare compromesso, e il compromesso, in alcuni casi, può tradursi in scorrettezza, ma dove si colloca questo limite? Forse nelle esperienze di vita di ognuno, nei valori che scegliamo di coltivare???

In molti casi, credo che il confine venga tracciato dai “precedenti“: quei momenti in cui una piccola concessione all’ingiustizia inizia a pesare più del rispetto per la lealtà e l’onestà.

Di solito, questi precedenti si manifestano quando siamo privati di qualcosa di materiale: denaro, opportunità, o persino dignità, ed è qui che l’elasticità rischia di trasformarsi in un vendersi, in un abbassarsi a compromessi “sporchi“: è il momento in cui un’ambizione – o una necessità – si impone sui nostri valori.

Personalmente, non sono mai sceso a compromessi, sì… la mia autostima, che considero un valore prezioso, non mi ha mai permesso di accettare scorciatoie!!! 

Il sapere di aver ottenuto un qualcosa grazie ad una raccomandazione, piuttosto che per meriti personali, lederebbe profondamente la mia autostima, una forza interiore senza la quale mi sentirei fragile, vulnerabile…

Il sottoscritto di contro vuole essere libero da qualsivoglia coercizione, compromesso, libero soprattutto come faccio in questo mio blog,di criticare, di dire ciò che penso, di mandare a fanculo, di fare la morale a chiunque, senza temere di essere attaccato per eventuali scheletri nell’armadio, di vivere secondo i miei principi, sì… di legalità, onestà e soprattutto integrità.

 E questo è ciò che ho trasmesso alle mie figlie, con orgoglio!!!

Comprendo però che in un Paese corrotto e infetto come il nostro, la tentazione sia grande, soprattutto quando una raccomandazione sembra il modo più semplice – o l’unico – per ristabilire un equilibrio di giustizia. 

Ma è proprio qui che si apre una riflessione importante…

La raccomandazione, o meglio la segnalazione, non è in sé sbagliata…. in altri Paesi ad esempio è uno strumento legittimo per valorizzare i meriti di chi li possiede davvero, una pratica trasparente e rispettabile. 

Solo qui da noi, purtroppo, è stata corrotta, diventando sinonimo di ingiustizia!!!

Da noi, non viene usata per premiare il talento, ma per avvantaggiare chi ne è privo, spesso a discapito di chi lo meriterebbe davvero.

Ecco il vero problema: non è l’elasticità in sé a essere sbagliata, ma il modo in cui viene usata. 

Quando pieghiamo i nostri valori alla convenienza, non stiamo più “adattandoci“: no… ci stiamo svendendo!!!

E in quel preciso momento perdiamo qualcosa di più prezioso di qualsiasi vantaggio materiale, già… perdiamo noi stessi!!!

Massacro ad Islamabad!!!

Non avevo sentito nulla nei Tgi nazionali l’altra sera riguardo a ciò che stava accadendo in Pakistan, eppure la situazione a Islamabad – secondo il sottoscritto – meritava grande attenzione.
Mi riferisco all’eventuale massacro avvenuto tra i sostenitori dell’ex primo ministro Imran Khan.

Sì… perché la vicenda mi è stata segnalata da una lettrice della mia pagina su “Bsky”, Sofia PTI, che ha condiviso una foto straziante accompagnata da un articolo che documentava la brutalità degli eventi. 

Le immagini infatti mostravano manifestanti morti, vittime del fuoco diretto delle forze di sicurezza.
Il bilancio delle vittime continua a salire man mano che emergono nuove prove, gettando una luce  inquietante sull’uso sproporzionato della forza contro civili disarmati. I dimostranti hanno definito questo episodio un caso tragico di “terrorismo di Stato“, un’accusa che sottolinea il clima di repressione politica in atto.
La protesta, avvenuta nel cuore della capitale pakistana, era volta a chiedere la scarcerazione di Imran Khan, arrestato in circostanze controverse. Tuttavia, le autorità hanno risposto con una repressione brutale: colpi d’arma da fuoco hanno riecheggiato per tutta la notte, veicoli danneggiati e parabrezza distrutti hanno lasciato il segno del caos. Secondo quanto riportato dalla televisione di Stato PTV, “la zona è stata ripulita dal male e dagli anarchici” – una dichiarazione che alimenta ulteriori interrogativi sulla narrativa ufficiale.
Il ministro dell’Interno, Mohsin Naqvi, ha annunciato che le scuole riapriranno e che Internet sarà ripristinato giovedì, ma queste misure non cancellano il dolore e l’indignazione che aleggia tra i cittadini. La repressione ha disperso i manifestanti dal centro di Islamabad, ma non ha fermato il dibattito sui diritti civili e sullo stato della democrazia in Pakistan.
Sulla piattaforma Bsky, l’utente @hu-you.bsky.social ha condiviso un commento poetico e denso di significato:
O patria delle tre strade di Nisar, dove nessuno dovrebbe camminare a testa alta… Chi vuole andare avanti senza guardare, cammina senza perdere corpo e anima. Legati e liberati, siamo il popolo di querelanti, giudici, e avvocati. Ma chi ci giudicherà?
Queste parole evocano il sentimento di impotenza e frustrazione di una popolazione che sente di essere stata tradita dalle istituzioni.
Questo tragico episodio evidenzia ancora una volta la fragilità della democrazia in Pakistan e il costo umano di un sistema che sembra sempre più incline alla repressione violenta. 
Resta solo da vedere se e come la comunità internazionale reagirà a questa situazione drammatica!!!

Massacro ad Islamabad!!!

Non avevo sentito nulla nei Tg nazionali l’altra sera riguardo a ciò che stava accadendo in Pakistan, eppure la situazione a Islamabad – secondo il sottoscritto – meritava grande attenzione.
Mi riferisco al (eventuale) massacro avvenuto tra i sostenitori dell’ex primo ministro Imran Khan e l’attuale governo.
Sì… perché la vicenda mi è stata segnalata da una lettrice della mia pagina su “Bsky”, Sofia PTI, che ha condiviso una foto straziante accompagnata da un articolo che documentava la brutalità degli eventi. 
Le immagini infatti mostravano manifestanti morti, vittime del fuoco diretto delle forze di sicurezza nazionali.
Il bilancio delle vittime continua a salire man mano che emergono nuove prove, gettando una luce  inquietante sull’uso sproporzionato della forza contro civili disarmati. I dimostranti hanno definito questo episodio un caso tragico di “terrorismo di Stato“, un’accusa che sottolinea il clima di repressione politica in atto.
La protesta, avvenuta nel cuore della capitale pakistana, era volta a chiedere la scarcerazione di Imran Khan, arrestato in circostanze controverse. Tuttavia, le autorità hanno risposto con una repressione brutale: colpi d’arma da fuoco hanno riecheggiato per tutta la notte, veicoli danneggiati e parabrezza distrutti hanno lasciato il segno del caos. Secondo quanto riportato dalla televisione di Stato PTV, “la zona è stata ripulita dal male e dagli anarchici” – una dichiarazione che alimenta ulteriori interrogativi sulla narrativa ufficiale.
Il ministro dell’Interno, Mohsin Naqvi, ha annunciato che le scuole riapriranno e che Internet sarà ripristinato giovedì, ma queste misure non cancellano il dolore e l’indignazione che aleggia tra i cittadini. La repressione ha disperso i manifestanti dal centro di Islamabad, ma non ha fermato il dibattito sui diritti civili e sullo stato della democrazia in Pakistan.
Sulla piattaforma Bsky, l’utente @hu-you.bsky.social ha condiviso un commento poetico e denso di significato:
O patria delle tre strade di Nisar, dove nessuno dovrebbe camminare a testa alta… Chi vuole andare avanti senza guardare, cammina senza perdere corpo e anima. Legati e liberati, siamo il popolo di querelanti, giudici, e avvocati. Ma chi ci giudicherà?
Queste parole evocano il sentimento di impotenza e frustrazione di una popolazione che sente di essere stata tradita dalle istituzioni.
Questo tragico episodio evidenzia ancora una volta la fragilità della democrazia in Pakistan e il costo umano di un sistema che sembra sempre più incline alla repressione violenta. 
Resta solo da vedere se e come la comunità internazionale reagirà a questa situazione drammatica!!!

La "pandemia mafiosa"!!!

Durante l’emergenza COVID-19, mentre il mondo era impegnato a combattere una crisi sanitaria e sociale senza precedenti, le organizzazioni mafiose hanno trovato terreno fertile per rafforzare la loro presenza e ampliare i propri affari illeciti.

Difatti, abbiamo potuto verificare come le mafie in quel periodo abbiano approfittato del caos economico e normativo per riciclare capitali illeciti attraverso reti internazionali di società di copertura. 

Paesi con legislazioni finanziarie permissive o scarsa trasparenza fiscale sono stati cruciali per ripulire i proventi di traffici di droga, armi, rifiuti e sfruttamento umano. 

Questi capitali sono poi rientrati nei mercati europei ed in particolare nel nostro Paese attraverso investimenti in settori strategici: ristorazione, turismo, logistica e sanità. 

La pandemia quindi ha di fatto accelerato la penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico legale, spesso approfittando di imprese in difficoltà o di bandi pubblici emergenziali poco controllati.

Inoltre, la crisi di liquidità ha condotto molti  imprenditori, commercianti ed anche famiglie a finire nelle mani degli usurai ed il debito contratto durante il “lockdown” non si è fermato con la riapertura: chi non è riuscito a ripagare è stato risucchiato in un circolo vizioso di sfruttamento, con la perdita di attività, proprietà e persino libertà personale. 

Ogni soggetto “usurato” è diventato un nodo in una rete di controllo più ampia, utilizzato dalla mafia per acquisire ulteriori risorse o per consolidare il proprio potere sul territorio.

Difatti, basti ricordare come la pandemia non è stata solo una crisi sanitaria, ma si rivelata un acceleratore di disuguaglianze, sfruttata dalle mafie per insinuarsi dove lo Stato era più debole!!!

In alcuni contesti, la criminalità organizzata si è perfino proposta come alternativa allo Stato, offrendo aiuti economici, pacchi alimentari e soluzioni rapide a chi si trovava in difficoltà. 

Un vero e proprio “welfare mafioso”, un’arma invisibile per conquistare nell’immediato consenso sociale, ma devastante nel lungo termine.

E difatti, oltre all’usura e al riciclaggio, le mafie hanno potuto così intensificare il controllo su tutta una serie di attivita che vanno dagli:

– Appalti pubblici: con gare d’emergenza spesso prive di adeguata supervisione, le infiltrazioni criminali hanno avuto vita facile.

– Sanità: la gestione di forniture mediche, mascherine e dispositivi di protezione ha attirato gli interessi delle organizzazioni criminali.

– Immobili e attività commerciali: sfruttando la crisi, i clan hanno acquisito proprietà e aziende, consolidando il loro patrimonio.

Ed allora viene spontaneo chiedersi, cosa ha fatto nel frattempo lo Stato per combattere questa pandemia parallela?

Nulla… già, perché la lotta a quella “pandemia mafiosa” richiedeva interventi mirati che non sono stati di fatto realizzati, anzi potrei dire tutt’altro… 

Mi riferisco ad esempio al provare a rafforzare i controlli sui flussi finanziari, adottando tecnologie avanzate per tracciare transazioni sospette.

Oppure sostenere ad esempio chi era in difficoltà, con misure economiche rapide ed efficaci che togliessero spazio all’usura.

Inasprire pene per tutti quei crimini economici legati alla pandemia, creando così un forte deterrente.

Investire nella cultura della legalità, per sensibilizzare i cittadini e le imprese sul pericolo di accettare aiuti da quei soggetti “mafiosi”.

La pandemia ci ha insegnato che la criminalità organizzata non aspetta, anzi viceversa si adatta ed evolve sfruttando ogni fragilità per rafforzarsi e sopraffare il sistema sociale e di mercato. 

Ecco perché lo Stato avrebbe dovuto prevenire situazioni di emergenza come quelle ahimè vissute, affinchè non si trasformassero in opportunità di crescita per la criminalità organizzata e, di conseguenza, per tutte  le mafie. 

Sì… perché alla fine, come sempre avviene, siamo solo noi cittadini a pagarne le conseguenze!

La "pandemia mafiosa"!!!

Durante l’emergenza COVID-19, mentre il mondo era impegnato a combattere una crisi sanitaria e sociale senza precedenti, le organizzazioni mafiose hanno trovato terreno fertile per rafforzare la loro presenza e ampliare i propri affari illeciti.

Difatti, abbiamo potuto verificare come le mafie in quel periodo abbiano approfittato del caos economico e normativo per riciclare capitali illeciti attraverso reti internazionali di società di copertura. 

Paesi con legislazioni finanziarie permissive o scarsa trasparenza fiscale sono stati cruciali per ripulire i proventi di traffici di droga, armi, rifiuti e sfruttamento umano. 

Questi capitali sono poi rientrati nei mercati europei ed in particolare nel nostro Paese attraverso investimenti in settori strategici: ristorazione, turismo, logistica e sanità. 

La pandemia quindi ha di fatto accelerato la penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico legale, spesso approfittando di imprese in difficoltà o di bandi pubblici emergenziali poco controllati.

Inoltre, la crisi di liquidità ha condotto molti  imprenditori, commercianti ed anche famiglie a finire nelle mani degli usurai ed il debito contratto durante il “lockdown” non si è fermato con la riapertura: chi non è riuscito a ripagare è stato risucchiato in un circolo vizioso di sfruttamento, con la perdita di attività, proprietà e persino libertà personale. 

Ogni soggetto “usurato” è diventato un nodo in una rete di controllo più ampia, utilizzato dalla mafia per acquisire ulteriori risorse o per consolidare il proprio potere sul territorio.

Difatti, basti ricordare come la pandemia non è stata solo una crisi sanitaria, ma si rivelata un acceleratore di disuguaglianze, sfruttata dalle mafie per insinuarsi dove lo Stato era più debole!!!

In alcuni contesti, la criminalità organizzata si è perfino proposta come alternativa allo Stato, offrendo aiuti economici, pacchi alimentari e soluzioni rapide a chi si trovava in difficoltà. 

Un vero e proprio “welfare mafioso”, un’arma invisibile per conquistare nell’immediato consenso sociale, ma devastante nel lungo termine.

E difatti, oltre all’usura e al riciclaggio, le mafie hanno potuto così intensificare il controllo su tutta una serie di attivita che vanno dagli:

– Appalti pubblici: con gare d’emergenza spesso prive di adeguata supervisione, le infiltrazioni criminali hanno avuto vita facile.

– Sanità: la gestione di forniture mediche, mascherine e dispositivi di protezione ha attirato gli interessi delle organizzazioni criminali.

– Immobili e attività commerciali: sfruttando la crisi, i clan hanno acquisito proprietà e aziende, consolidando il loro patrimonio.

Ed allora viene spontaneo chiedersi, cosa ha fatto nel frattempo lo Stato per combattere questa pandemia parallela?

Nulla… già, perché la lotta a quella “pandemia mafiosa” richiedeva interventi mirati che non sono stati di fatto realizzati, anzi potrei dire tutt’altro… 

Mi riferisco ad esempio al provare a rafforzare i controlli sui flussi finanziari, adottando tecnologie avanzate per tracciare transazioni sospette.

Oppure sostenere ad esempio chi era in difficoltà, con misure economiche rapide ed efficaci che togliessero spazio all’usura.

Inasprire pene per tutti quei crimini economici legati alla pandemia, creando così un forte deterrente.

Investire nella cultura della legalità, per sensibilizzare i cittadini e le imprese sul pericolo di accettare aiuti da quei soggetti “mafiosi”.

La pandemia ci ha insegnato che la criminalità organizzata non aspetta, anzi viceversa si adatta ed evolve sfruttando ogni fragilità per rafforzarsi e sopraffare il sistema sociale e di mercato. 

Ecco perché lo Stato avrebbe dovuto prevenire situazioni di emergenza come quelle ahimè vissute, affinchè non si trasformassero in opportunità di crescita per la criminalità organizzata e, di conseguenza, per tutte  le mafie. 

Sì… perché alla fine, come sempre avviene, siamo solo noi cittadini a pagarne le conseguenze!

Infiltrazioni mafiose e amministrazioni locali: un legame pericoloso!!!

Il fenomeno dell’infiltrazione criminale nelle amministrazioni locali rappresenta una minaccia concreta per la legalità e il corretto funzionamento delle istituzioni. 

Da tempo si registra un crescente interesse da parte dei gruppi criminali verso le risorse gestite dagli enti locali, accompagnato da strategie mirate a condizionare le decisioni delle amministrazioni, soprattutto nei comuni di dimensioni più ridotte. 

Questi enti, infatti, si trovano spesso a essere il punto d’accesso privilegiato per l’infiltrazione nelle strutture amministrative e istituzionali del Paese.

Le motivazioni degli scioglimenti dei consigli comunali negli ultimi anni hanno infatti evidenziano una correlazione preoccupante tra presenza mafiosa, investimenti pubblici in opere infrastrutturali e fenomeni di corruzione. 

Questo problema tra l’altro non è più circoscritto al Sud Italia, ma riguarda sempre più frequentemente anche le amministrazioni del Nord, sottolineando un progressivo deterioramento delle condizioni di legalità su scala nazionale.

In questi trent’anni il numero di comuni e di aziende sanitarie sciolte per infiltrazioni mafiose continua a crescere, come dimostrano i dati pubblicati, ed anche quest’anno conferma questa tendenza allarmante impone una riflessione seria sull’efficacia della disciplina normativa attualmente in vigore e l’urgenza di misure migliorative.

Ritengo da quanto sopra che vi è bisogno di rafforzare i controlli preventivi.

Implementare cioè sistemi più stringenti per monitorare i flussi di spesa e verificare la trasparenza dei processi decisionali, soprattutto nei piccoli comuni, spesso più vulnerabili.

E’ fondamentale migliorare la formazione e il supporto tecnico, fornendo agli amministratori locali strumenti e competenze per riconoscere e contrastare i tentativi di infiltrazione, anche attraverso piattaforme digitali per la tracciabilità degli investimenti pubblici.

Promuovere la collaborazione tra le interistituzioni, rafforzando il dialogo tra prefetture, forze dell’ordine e amministrazioni locali, per condividere informazioni e agire in modo coordinato contro i fenomeni corruttivi.

Vi è la necessita di introdurre un codice di trasparenza avanzato, già… che superi le regole attuali, rendendo obbligatoria la pubblicazione di ogni passaggio relativo ai bandi di gara, dalla scelta delgli appaltatori,  ai fornitori, fino alla destinazione dei fondi pubblici.

E’ tempo quindi di rivedere il quadro sanzionatorio per rendere più rapide e incisive le azioni contro i responsabili delle infiltrazioni, avviando altresì campagne di sensibilizzazione per coinvolgere attivamente i cittadini nel controllo della gestione pubblica, promuovendo una cultura della legalità e della trasparenza.

Occorre quindi che ci si adoperi affinché le amministrazioni locali tornino a essere baluardi di legalità e trasparenza. Occorrono interventi concreti per rafforzare i controlli, tutelare gli amministratori onesti e garantire che le risorse pubbliche siano utilizzate per il bene comune, senza cadere preda di interessi criminali. 

Perché solo attraverso un impegno collettivo e determinato sarà possibile proteggere le istituzioni e restituire fiducia ai cittadini.

Infiltrazioni mafiose e amministrazioni locali: un legame pericoloso!!!

Il fenomeno dell’infiltrazione criminale nelle amministrazioni locali rappresenta una minaccia concreta per la legalità e il corretto funzionamento delle istituzioni. 

Da tempo si registra un crescente interesse da parte dei gruppi criminali verso le risorse gestite dagli enti locali, accompagnato da strategie mirate a condizionare le decisioni delle amministrazioni, soprattutto nei comuni di dimensioni ridotte. 

Questi enti infatti, si trovano spesso a essere il punto d’accesso privilegiato per l’infiltrazione nelle strutture amministrative e istituzionali del Paese.

Le motivazioni degli scioglimenti dei consigli comunali negli ultimi anni hanno infatti evidenziano una correlazione preoccupante tra presenza mafiosa, investimenti pubblici in opere infrastrutturali e fenomeni di corruzione. 

Questo problema tra l’altro non è più circoscritto al Sud Italia, ma riguarda sempre più frequentemente anche le amministrazioni del Nord, sottolineando un progressivo deterioramento delle condizioni di legalità su scala nazionale.

In questi trent’anni il numero di comuni e di aziende sanitarie sciolte per infiltrazioni mafiose continua a crescere, come dimostrano i dati pubblicati, ed anche quest’anno conferma questa tendenza allarmante impone una riflessione seria sull’efficacia della disciplina normativa attualmente in vigore e l’urgenza di misure migliorative.

Ritengo da quanto sopra che vi è bisogno di rafforzare i controlli preventivi.

Implementare cioè sistemi più stringenti per monitorare i flussi di spesa e verificare la trasparenza dei processi decisionali, soprattutto nei piccoli comuni, spesso più vulnerabili.

E’ fondamentale migliorare la formazione e il supporto tecnico, fornendo agli amministratori locali strumenti e competenze per riconoscere e contrastare i tentativi di infiltrazione, anche attraverso piattaforme digitali per la tracciabilità degli investimenti pubblici.

Promuovere la collaborazione tra le interistituzioni, rafforzando il dialogo tra prefetture, forze dell’ordine e amministrazioni locali, per condividere informazioni e agire in modo coordinato contro i fenomeni corruttivi.

Vi è la necessita di introdurre un codice di trasparenza avanzato, già… che superi le regole attuali, rendendo obbligatoria la pubblicazione di ogni passaggio relativo ai bandi di gara, dalla scelta delgli appaltatori,  ai fornitori, fino alla destinazione dei fondi pubblici.

E’ tempo quindi di rivedere il quadro sanzionatorio per rendere più rapide e incisive le azioni contro i responsabili delle infiltrazioni, avviando altresì campagne di sensibilizzazione per coinvolgere attivamente i cittadini nel controllo della gestione pubblica, promuovendo una cultura della legalità e della trasparenza.

Occorre quindi che ci si adoperi affinché le amministrazioni locali tornino a essere baluardi di legalità e trasparenza. Occorrono interventi concreti per rafforzare i controlli, tutelare gli amministratori onesti e garantire che le risorse pubbliche siano utilizzate per il bene comune, senza cadere preda di interessi criminali. 

Perché solo attraverso un impegno collettivo e determinato sarà possibile proteggere le istituzioni e restituire fiducia ai cittadini.

Come un angelo oscuro che s’innalza con la sua spada, anche il mondo si prepara a seminare morte attraverso il crescente rischio di un conflitto nucleare. 
Ogni nuovo arsenale, ogni test missilistico, ci avvicina a una soglia da cui non c’è ritorno…
Già, la crescente espansione degli arsenali nucleari di paesi come Cina, Russia e Corea del Nord ha modificato gli equilibri globali, sfidando la supremazia degli Stati Uniti. 
Pechino sta accelerando la produzione di plutonio e potenziando le sue capacità con nuovi sottomarini e missili balistici, mentre la Russia modernizza il proprio arsenale introducendo missili avanzati e incrementando la flotta nucleare. 

Anche la Corea del Nord ha intensificato i test missilistici intercontinentali, aumentando il potenziale di minaccia nucleare globale.

Gli Stati Uniti, pur mantenendo un arsenale significativo, affrontano criticità come l’obsolescenza di alcune testate e difficoltà nella produzione di nuovo materiale nucleare. 

La loro strategia di modernizzazione è limitata, basata su politiche di aggiornamento piuttosto che su una reale espansione o diversificazione, rendendoli meno competitivi rispetto ai rivali. 

Inoltre, la recente “Nuclear Employment Guidance” riconosce la necessità di adeguare la deterrenza nucleare contro minacce congiunte, ma permangono dubbi sull’efficacia della sola deterrenza nel gestire crisi future.

Il cambiamento del sistema internazionale, da unipolare a multipolare, implica che gli Stati Uniti debbano adattarsi a una competizione nucleare senza precedenti per mantenere la stabilità globale. 

Solo una strategia dinamica e aggiornamenti più incisivi potranno contrastare le sfide poste dalla proliferazione nucleare e dalle ambizioni espansionistiche di altri stati.

E quindi in questo particolare scenario, solo attraverso il dialogo internazionale, le misure di disarmo e i trattati di non proliferazione, che si potrà giungere a prevenire una catastrofe nucleare che, come ben sappiamo, avrebbe conseguenze devastanti per l’umanità intera!!!

Non ci resta quindi che sperare…

In un mondo dove l’ombra di un conflitto nucleare sembra farsi più densa, la speranza diventa l’ultimo baluardo contro una possibile catastrofe. 

Sperare, tuttavia, non è solo un atto passivo: significa impegnarsi attivamente per costruire ponti diplomatici, intensificare gli sforzi per il disarmo e sostenere una cultura di pace e dialogo. 

Significa inoltre ricordare alle generazioni attuali e future il devastante potere distruttivo delle armi nucleari, affinché l’umanità non perda di vista le terribili lezioni del passato.

Ecco perché in un contesto internazionale sempre più teso, dove la deterrenza tradizionale rischia di non bastare, la speranza deve accompagnarsi a decisioni concrete e a una visione chiara: solo così possiamo allontanare la mano dell’angelo oscuro che minaccia di seminare distruzione!!!

L'angelo oscuro si prepara a seminare morte…

Come un angelo oscuro che s’innalza con la sua spada, anche il mondo si prepara a seminare morte attraverso il crescente rischio di un conflitto nucleare. 
Ogni nuovo arsenale, ogni test missilistico, ci avvicina a una soglia da cui non c’è ritorno…
Già, la crescente espansione degli arsenali nucleari di paesi come Cina, Russia e Corea del Nord ha modificato gli equilibri globali, sfidando la supremazia degli Stati Uniti. 
Pechino sta accelerando la produzione di plutonio e potenziando le sue capacità con nuovi sottomarini e missili balistici, mentre la Russia modernizza il proprio arsenale introducendo missili avanzati e incrementando la flotta nucleare. 

Anche la Corea del Nord ha intensificato i test missilistici intercontinentali, aumentando il potenziale di minaccia nucleare globale.

Gli Stati Uniti, pur mantenendo un arsenale significativo, affrontano criticità come l’obsolescenza di alcune testate e difficoltà nella produzione di nuovo materiale nucleare. 

La loro strategia di modernizzazione è limitata, basata su politiche di aggiornamento piuttosto che su una reale espansione o diversificazione, rendendoli meno competitivi rispetto ai rivali. 

Inoltre, la recente “Nuclear Employment Guidance” riconosce la necessità di adeguare la deterrenza nucleare contro minacce congiunte, ma permangono dubbi sull’efficacia della sola deterrenza nel gestire crisi future.

Il cambiamento del sistema internazionale, da unipolare a multipolare, implica che gli Stati Uniti debbano adattarsi a una competizione nucleare senza precedenti per mantenere la stabilità globale. 

Solo una strategia dinamica e aggiornamenti più incisivi potranno contrastare le sfide poste dalla proliferazione nucleare e dalle ambizioni espansionistiche di altri stati.

E quindi in questo particolare scenario, solo attraverso il dialogo internazionale, le misure di disarmo e i trattati di non proliferazione, che si potrà giungere a prevenire una catastrofe nucleare che, come ben sappiamo, avrebbe conseguenze devastanti per l’umanità intera!!!

Non ci resta quindi che sperare…

In un mondo dove l’ombra di un conflitto nucleare sembra farsi più densa, la speranza diventa l’ultimo baluardo contro una possibile catastrofe. 

Sperare, tuttavia, non è solo un atto passivo: significa impegnarsi attivamente per costruire ponti diplomatici, intensificare gli sforzi per il disarmo e sostenere una cultura di pace e dialogo. 

Significa inoltre ricordare alle generazioni attuali e future il devastante potere distruttivo delle armi nucleari, affinché l’umanità non perda di vista le terribili lezioni del passato.

Ecco perché in un contesto internazionale sempre più teso, dove la deterrenza tradizionale rischia di non bastare, la speranza deve accompagnarsi a decisioni concrete e a una visione chiara: solo così possiamo allontanare la mano dell’angelo oscuro che minaccia di seminare distruzione!!!

25 Novembre: la violenza fa male all’amore…

La città di Gravina di Catania, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ha organizzato un evento simbolico presso la Sala delle Arti “Emilio Greco”, dove cittadini, professionisti e istituzioni si sono riuniti per riflettere sul drammatico problema della violenza di genere. 
La serata, moderata dal giornalista Marco Lombardo, è stata arricchita da testimonianze come quella di Vera Squadrito, madre di Giordana Di Stefano, vittima di femminicidio, che ha portato un messaggio di dolore e speranza per un futuro senza violenza. 
Anche l’ex ispettore Salvo Troina e la dott.ssa Roberta Di Natale hanno contribuito a illustrare l’importanza della prevenzione e del sostegno alle donne vulnerabili, mentre i cantautori Miriam e Nino Di Mauro, insieme alla cantante e attrice Francesca Steli, hanno interpretato performance toccanti per sensibilizzare il pubblico.
Il femminicidio e la violenza di genere sono piaghe che richiedono una presa di coscienza collettiva e un impegno costante da parte di tutti: istituzioni, famiglie, scuole e comunità devono unirsi per promuovere la cultura del rispetto e della parità.
La violenza non è un fatto privato ma una questione sociale che riguarda ciascuno di noi: ogni vittima è una sconfitta per la comunità intera ed è solo attraverso un’azione congiunta che possiamo sperare di arginare questa emergenza. 
Ecco perché eventi come questi sono fondamentali per tenere viva la memoria delle vittime, sostenere le sopravvissute e ricordare che solo attraverso l’educazione e la prevenzione possiamo sperare di arginare questa emergenza e costruire un futuro senza violenza.
Un plauso quindi all’amministrazione comunale di Gravina di Catania e al suo sindaco Massimiliano Giammusso, ed ancora, al vicesindaco con delega ai Servizi sociali Claudio Nicolosi e all’assessore alle Pari opportunità Federica Ingaglio, che hanno confermato il proprio impegno, annunciando peraltro un prossimo appuntamento, il 27 febbraio, dedicato per l’appunto alla prevenzione e alla difesa delle donne. 
Ogni iniziativa in questa direzione rappresenta un passo importante verso una società in cui nessuna donna debba più temere per la propria vita e la propria libertà.
“Ogni donna strappata alla vita dalla violenza è una sconfitta per l’umanità intera; ricordare il suo nome è il primo passo per costruire un mondo in cui nessuna debba più temere di essere dimenticata”!!!

25 Novembre: la violenza fa male all'amore…

La città di Gravina di Catania, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ha organizzato un evento simbolico presso la Sala delle Arti “Emilio Greco”, dove cittadini, professionisti e istituzioni si sono riuniti per riflettere sul drammatico problema della violenza di genere. 
La serata, moderata dal giornalista Marco Lombardo, è stata arricchita da testimonianze come quella di Vera Squadrito, madre di Giordana Di Stefano, vittima di femminicidio, che ha portato un messaggio di dolore e speranza per un futuro senza violenza. 
Anche l’ex ispettore Salvo Troina e la dott.ssa Roberta Di Natale hanno contribuito a illustrare l’importanza della prevenzione e del sostegno alle donne vulnerabili, mentre i cantautori Miriam e Nino Di Mauro, insieme alla cantante e attrice Francesca Steli, hanno interpretato performance toccanti per sensibilizzare il pubblico.
Il femminicidio e la violenza di genere sono piaghe che richiedono una presa di coscienza collettiva e un impegno costante da parte di tutti: istituzioni, famiglie, scuole e comunità devono unirsi per promuovere la cultura del rispetto e della parità.
La violenza non è un fatto privato ma una questione sociale che riguarda ciascuno di noi: ogni vittima è una sconfitta per la comunità intera ed è solo attraverso un’azione congiunta che possiamo sperare di arginare questa emergenza. 
Ecco perché eventi come questi sono fondamentali per tenere viva la memoria delle vittime, sostenere le sopravvissute e ricordare che solo attraverso l’educazione e la prevenzione possiamo sperare di arginare questa emergenza e costruire un futuro senza violenza.
Un plauso quindi all’amministrazione comunale di Gravina di Catania e al suo sindaco Massimiliano Giammusso, ed ancora, al vicesindaco con delega ai Servizi sociali Claudio Nicolosi e all’assessore alle Pari opportunità Federica Ingaglio, che hanno confermato il proprio impegno, annunciando peraltro un prossimo appuntamento, il 27 febbraio, dedicato per l’appunto alla prevenzione e alla difesa delle donne. 
Ogni iniziativa in questa direzione rappresenta un passo importante verso una società in cui nessuna donna debba più temere per la propria vita e la propria libertà.
“Ogni donna strappata alla vita dalla violenza è una sconfitta per l’umanità intera; ricordare il suo nome è il primo passo per costruire un mondo in cui nessuna debba più temere di essere dimenticata”!!!

Gran premio di Las Vegas: la Ferrari??? Altro che "rossa aggressiva", è sembrata un… "rosa smorto"!!!

Il sottoscritto, come il monegasco, non vuole entrare troppo nel dettaglio, ma alcune considerazioni a fine gara vanno fatte. È evidente come gli errori commessi da tutti – sì, questa volta anche dal muretto – abbiano portato alla vittoria di entrambe le Mercedes, una circostanza che avrebbe potuto avere un epilogo diverso se in quella scuderia si fossero fatte le cose per bene, anziché in modo approssimativo.

Iniziamo con l’errore di Leclerc.

Mi dispiace definire “errore” un colpo di genio del nostro pilota, che ha tentato di superare all’esterno la Mercedes di Russell. Ma forse, essendo la gara appena iniziata, avrebbe dovuto attendere un momento più favorevole per il sorpasso, o magari optare per una strategia diversa, restando dietro al britannico e attendendo l’occasione di un undercut. Chi può dire se così non avrebbe potuto finire primo?

Per quanto riguarda Sainz, tutti abbiamo visto come inizialmente non abbia agevolato il compagno di squadra, soprattutto quando la Mercedes di Hamilton era ancora lontana. Ma questo atteggiamento è comprensibile, considerando che è già noto da tempo che egli non farà più parte della scuderia di Maranello.

Sì… alla fine, ha lasciato passare Leclerc solo dopo le insistenze del team, limitando comunque il sorpasso di Hamilton per pochi metri prima dell’ingresso in pit lane, peccato però che i meccanici della Ferrari non fossero pronti con le gomme, nonostante Sainz avesse chiesto il cambio più volte nei due giri precedenti!

Ma si sa… in Ferrari abbiamo grandi esperti di strategia, e difatti le scelte discutibili di quest’anno ci hanno relegati al terzo posto, ed hanno nel frattempo permesso, giustamente, a Max Verstappen – il quale non ha rivali in pista – di vincere il quarto campionato.

Tornando a Sainz, a causa della strategia del muretto ha perso il secondo posto, mentre Hamilton avrebbe potuto finire terzo o persino quarto, se anche la strategia di Leclerc fosse stata diversa.

In sintesi, oggi abbiamo perso su tutti i fronti!!!

Abbiamo mancato la possibilità di fare una doppietta come la Mercedes o, almeno, di conquistare punti preziosi per il campionato costruttori con un secondo e terzo podio.

E invece siamo qui a leccarci le ferite, a subire l’ennesima beffa e a lamentare la mancanza di professionalità, sia sul muretto che tra i piloti.

Vasseur, il team principal della Rossa, ha commentato a caldo: “Non ho ancora parlato con i piloti, vedremo poi nel debriefing”…

Caro Frédéric, credo ci sia ben poco da dire: è forse meglio iniziare a pensare alla prossima gara. Del resto, in questo Gran Premio gli errori sono stati fatti e, purtroppo, non c’è modo di rimediare!

Gran premio di Las Vegas: la Ferrari??? Altro che "rossa aggressiva", è sembrata un… "rosa smorto"!!!

Il sottoscritto, come il monegasco, non vuole entrare troppo nel dettaglio, ma alcune considerazioni a fine gara vanno fatte. 
È evidente come gli errori commessi da tutti – sì, questa volta anche dal muretto – abbiano portato alla vittoria di entrambe le Mercedes, una circostanza che avrebbe potuto avere un epilogo diverso se in quella scuderia si fossero fatte le cose per bene, anziché in modo approssimativo.

Iniziamo con l’errore di Leclerc.

Mi dispiace definire “errore” un colpo di genio del nostro pilota, che ha tentato di superare all’esterno la Mercedes di Russell, ma forse, essendo la gara appena iniziata, avrebbe dovuto attendere un momento più favorevole per il sorpasso, o magari optare per una strategia diversa, restando dietro al britannico e attendendo l’occasione di un undercut. Chi può dire se così non avrebbe potuto finire primo?

Per quanto riguarda Sainz, tutti abbiamo visto come inizialmente non abbia agevolato il compagno di squadra, soprattutto quando la Mercedes di Hamilton era ancora lontana. Ma questo atteggiamento è comprensibile, considerando che è già noto da tempo che egli non farà più parte della scuderia di Maranello.

Sì… alla fine, ha lasciato passare Leclerc solo dopo le insistenze del team, limitando comunque il sorpasso di Hamilton per pochi metri prima dell’ingresso in pit lane, peccato però che i meccanici della Ferrari non fossero pronti con le gomme, nonostante Sainz avesse chiesto il cambio più volte nei due giri precedenti!

Ma si sa… in Ferrari abbiamo grandi esperti di strategia, e difatti le scelte discutibili di quest’anno ci hanno relegati al terzo posto, ed hanno nel frattempo permesso, giustamente, a Max Verstappen – il quale non ha rivali in pista – di vincere il quarto campionato.

Tornando a Sainz, a causa della strategia del muretto ha perso il secondo posto, mentre Hamilton avrebbe potuto finire terzo o persino quarto, se anche la strategia di Leclerc fosse stata diversa.

In sintesi, oggi abbiamo perso su tutti i fronti!!!

Abbiamo mancato la possibilità di fare una doppietta come la Mercedes o, almeno, di conquistare punti preziosi per il campionato costruttori con un secondo e terzo podio.

E invece siamo qui a leccarci le ferite, a subire l’ennesima beffa e a lamentare la mancanza di professionalità, sia sul muretto che tra i piloti.

Vasseur, il team principal della Rossa, ha commentato a caldo: “Non ho ancora parlato con i piloti, vedremo poi nel debriefing”…

Caro Frédéric, credo ci sia ben poco da dire: è forse meglio iniziare a pensare alla prossima gara. Del resto, in questo Gran Premio gli errori sono stati fatti e, purtroppo, non c’è modo di rimediare!