Archivi tag: cittadinanza

Quando la corruzione non è anomalia. È metodo! (Seconda parte)


Ciò che da circa trent’anni si sta compiendo in questo nostro Paese è chiaro e ahimè terribile: si sta selezionando una classe di peggiori, perché la disonestà diventa strategia vincente!

Questo processo – evidente a tutti – ha di fatto degradato in modo visibile la qualità della vita, dei servizi, della democrazia stessa, normalizzando l’illegalità, sì… fino a farla apparire giustificabile.

È quasi diventata una componente strutturale del nostro vivere, ma non solo: questa normalizzazione è come un veleno che genera rassegnazione, che fa credere che le mafie, la corruzione, l’illegalità diffusa siano qualcosa d’invincibile, e ciò serve esclusivamente affinché essi possano prosperare proprio grazie a questo clima di indifferenza e disincanto, nella complicità silenziosa di chi pensa solo al proprio minuscolo orticello, lo stesso che frutta indegno vantaggio.

Come dicevo nella prima parte di questo post, la mia terra è quarta in questa classifica, ma in fondo è solo un dettaglio in un malessere che è nazionale, che dal Sud arriva al Centro e al Nord, con nomi e modalità forse diverse, ma con la stessa, identica sostanza: l’interesse privato che divora il pubblico, il bene comune che si riduce a merce di scambio.

Non è un’anomalia, ci viene detto con forza. È un sistema che si adatta, si evolve, usa tecniche sofisticate o si nasconde dietro leggi fatte su misura, conflitti di interesse tollerati, relazioni opache. La questione, comprenderete, va ben oltre la singola mazzetta, il singolo concorso truccato.

Sono all’opera meccanismi che consolidano un potere irresponsabile, che catturano lo Stato per trasformarlo in una risorsa per pochi. Invocare pene più severe non basta (d’altronde, basti osservare le riforme ridicole che compiono sulla giustizia, per comprendere come nessuno abbia realmente interesse a contrastare questa condizione…), serve un patto diverso, un cambio radicale di mentalità, sia da parte dei cittadini, ma soprattutto nelle istituzioni (solitamente i primi ad aver beneficiato, da generazioni, di questo stato di fatto)!

Serve smetterla di pensare che così vadano le cose e che non vi sia altra possibilità che adeguarsi o lamentarsi a bassa voce, sì… sapendo di poter anche voi, un giorno, essere nella posizione di chiedere quel favore, quella raccomandazione che vi sembra l’unica via per sopravvivere o per farcela!

Le caste, le consorterie, le associazioni a delinquere, i gruppi di potere non sono un destino ineluttabile. Sì… sono il frutto di scelte, di omissioni, di connivenze, scelte che qui, nella mia Sicilia, ma non solo, sembrano essere state fatte così tante volte da aver creato una strada maestra, percorsa ormai senza più vergogna.

E allora, mentre leggo di summit per le nomine, di giro di telefonate, di affari che vanno dalla sanità alla cultura, il mio dubbio (ma ormai da troppo tempo dubbi non ne ho…) si trasforma in una domanda scomoda, anche ahimè per molti miei amici, conoscenti, molti di questi miei conterranei: quando smetterete di essere ancora complici, anche solo per inerzia, di tutto questo?

Già… quando decideremo che il bene di tutti, il servizio che funziona, la promozione meritata, valgono più della bustarella, della raccomandazione, del favore ottenuto per sé o per i propri cari?

Sì… so bene che la risposta, purtroppo, non la trovo in nessuna classifica.

Ed allora, se qualcosa non vi quadra, in un cantiere, in un bando, in un condominio: segnalatelo! Come ripeto da sempre: non serve essere eroi, basta non voltarsi dall’altra parte.

Quando la corruzione non è anomalia. È metodo! (Prima parte)


La notizia arriva, un’altra volta, e non si fa nemmeno fatica a leggerla, ormai. È diventata una sorta di bollettino meteorologico che annuncia pioggia in continuazione, già… come un inverno che non vuol finir mai. 

Si parla ovunque di mazzette, bustarelle, un sistema che si fa sempre più intricato e sfacciato, e la mia terra, ancora una volta, si piazza bene in questa squallida classifica, quarta per numero di indagati. Mi chiedo, ogni volta che scorgo questi dati, cosa si nasconda veramente dietro le cifre, dietro le analisi minuziose che pure vengono compilate con cura quasi scientifica.

Mi domando se, in tutto il Paese e in particolare qui da noi (in modo così plateale), si pensi ormai esclusivamente a quel gioco perverso: prendere, farsi corrompere, aggrapparsi a qualsiasi collegamento pur di beneficiare, personalmente (o per i propri cari), di promozioni, raccomandazioni, vantaggi. Vantaggi che non sono guadagni legittimi, ma moneta falsa coniata nel retrobottega del potere, dove il valore di scambio è la dignità, spesa a credito e mai restituita.

Si snodano le storie, una dopo l’altra, e sembrano copiare sempre lo stesso copione, cambiando solo i nomi e le location. Attestazioni di residenza false, certificati di morte fasulli, appalti nella sanità o per i rifiuti che vanno al migliore offerente, non in termini di qualità, ma in termini di tangente. Licenze edilizie che spuntano come funghi dopo una pioggia di denaro, concorsi universitari truccati, voti di scambio, opere pubbliche che profumano di clan.

Parliamo di un un catalogo così esteso e variegato da far perdere il senso, da far sembrare quasi normale che ogni servizio, ogni possibilità, ogni atto pubblico abbia un prezzo segreto, una tariffa non ufficiale da saldare in un sotterraneo mercato delle influenze.

E Palermo, insieme alla mia Catania, non fanno eccezione. Anzi, sembra quasi di essere in un teatro per soli privilegiati, con i loro metodi di regime, con quelle liste di raccomandati, con quel cinico prendiamo questa, “è bona” che suona come una condanna a vita, non solo per chi la pronuncia, ma per chi la ascolta e non obietta, perché ormai ci si è abituati a considerare la corruzione una tassa di ingresso, il biglietto obbligatorio per accedere a qualsiasi diritto.

I numeri sono impietosi: quasi cento inchieste, un migliaio di persone coinvolte tra amministratori, politici, imprenditori, professionisti e mafiosi, in una commistione che ormai definisce un unico, fosco panorama. 

Emerge il ritratto di una corruzione che non è più incidente di percorso, ma sistema solidamente regolato, con le sue gerarchie e i suoi garanti che possono essere l’alto dirigente, il faccendiere, il boss mafioso o il politico d’affari. Tra questi, più della metà dei politici indagati sono sindaci, figure che dovrebbero curare il bene della comunità e che invece, stando alle accuse, ne gestiscono le risorse come un bottino privato.

E allora il mio dubbio si fa ancora più amaro: è possibile che questa sia diventata l’unica concezione del potere? Un potere che non serve, ma che si serve, in modo spudorato e totale

Catania: Un primato che brilla, sì… di oscurità!


Ed ecco che la conferma arriva puntuale e inesorabile come un tramonto sull’Etna: non resta che sedersi, come quel signore disteso sul tavolo del mio quadro, a contemplare un paesaggio dietro di sé, bellissimo, incandescente e inesorabilmente immobile, mentre intorno tutto precipita…

Il dato sulla “qualità delle amministrazioni locali” ci ha regalato un balzo degno di un’atleta specialista in fuga all’indietro: ultimo posto nazionale.

Non un passo falso, non un infortunio momentaneo, no… un vero traguardo. Il risultato di un anno in cui sguardi alti e maniche basse hanno lavorato in perfetta sincronia, come due ingranaggi oliati dalla rassegnazione, per produrre quel piccolo miracolo che solo l’incuria, coltivata con metodo, può portare a compimento.

Nella classifica generale sulla qualità della vita, siamo scivolati al 96° posto, tredici gradini verso il basso, con la grazia di chi scende una scala mobile rotta senza neanche accorgersene. E mentre sprofondiamo, a brillare beffardamente c’è solo la nostra illuminazione pubblica sostenibile, premiata come faro nel buio.

Peccato che quel faro, per chi percorre la tangenziale davanti all’aeroporto Fontanarossa – vedasi quanto ho scritto a suo tempo al link: http://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/07/sindaco-e-assessorato-alla-viabilita.html – sia ancora un’ipotesi astratta. Forse chi ha redatto il report non ha mai guidato di notte da quelle nostre parti, o forse semplicemente ha scelto l’illuminazione metaforica, quella che si accende un attimo prima di chiudere il documento.

Alla voce ambiente e servizi il crollo è stato “solo” di sette posizioni – una sorta di applauso di consolazione da parte del destino, ma la vera opera d’arte – quella che meriterebbe un allestimento in una galleria di performance tragicomiche – è il tracollo in demografia e società: trentacinque posizioni in meno, un record da Guinness dell’apatia collettiva.

Sì… moriamo di più di tumori, usciamo prima da scuola, come se il sapere fosse un bagaglio troppo pesante da portare oltre la terza media. Eppure, per un paradosso degno di Pirandello, continuiamo a fare figli e abbiamo pochi anziani a carico. La nostra gioventù, così, ha tutto il tempo del mondo per assistere in diretta al declino… con comodo, seduta in prima fila, magari sgranocchiando popcorn forniti dalla rassegnazione generazionale.

E il lavoro? Siamo al 98° posto! Le imprese qui falliscono più che altrove, ma almeno le pensioni di vecchiaia scarseggiano, forse perché qui si invecchia più in fretta, forse perché la pensione arriva solo dopo aver superato l’esame di realtà…

E la giustizia? La sicurezza? Be’, quelle sono le colonne portanti della stabilità: stabili nella mediocrità, solide nella precarietà, un esempio raro di coerenza amministrativa.

Insomma, una cosa sola possiamo dire con certezza, in mezzo a questo mare di oscillazioni: la nostra capacità di confermare il peggio è straordinariamente affidabile. Una costante, in un universo di variabili.

Naturalmente, a commentare il disastro ci pensa la politica – in particolare l’opposizione, che declama con la solita litania: “destra”, “scelte miopi”, “mancanza di visione”. Hanno ragione, certo… ma viene da chiedersi, mentre snocciolano dati con la solennità di chi fa finta di meravigliarsi, di non sapere, quando a quei loro stessi discorsi non è mai seguita un’azione chiara (con il rischio di dover perdere la propria poltrona…) se non ribadire ciò che oggi suona, come un déjà vu, le solite chiacchiere in salsa catanese.

Perché il problema, vedete, non è solo di chi oggi amministra – no… non sto parlando della criminalità organizzata, quella è un’altra storia, troppo nota per essere rievocata qui come se fosse un colpo di scena in una serie già vista – il vero dramma è quel coro muto di assenze: di responsabilità scaricate, di competenze dimenticate, di promesse che evaporano come la pioggia sulla lava rovente.

Da quando sono arrivato in questa città, i problemi sono rimasti sempre gli stessi, come vecchi mobili impolverati che nessuno butta via perché “tanto, prima o poi serviranno”. Sì… son cambiati i volti – quasi mai i cognomi – a volte le sigle di partito, ma la musica no… quella è sempre la stessa, un valzer lento e stonato, dove chi non balla viene guardato come un intruso. Del resto, come recita una delle massime più sagge di questa terra: se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.

E i cittadini? Niente… loro semplicemente ballano. Cambiano casacca con la disinvoltura di chi sa che il vero potere non è nelle idee, ma nelle file. Si rivolgono a chi è appena salito sul carro dei vincitori, non per convinzione, ma per sopravvivenza, per ottenere un posto, per sbloccare una pratica, per comprare un silenzio. E intanto, passo dopo passo, accompagnano quotidianamente con le proprie azioni quel carro, con la tranquilla consapevolezza che, “sì… così è più comodo”… per tutti!

Tranne, forse, per quel signore disteso sul tavolo. Lui sembra aver capito che comodo non vuol dire giusto, ma solo più lento. E che, prima o poi, anche il tramonto sull’Etna finisce. Poi – ahimè – viene il buio. Già… quello vero.

Il silenzio che fa affari…


È sera e il sole sta scendendo lentamente – sono costretto a una deviazione fastidiosa, sì: lavori in corso sull’autostrada, anticipati poco prima da un ragazzo al distributore, e ora, da lontano, osservo le macchine che stendono l’asfalto, i fari accesi nonostante il crepuscolo non sia ancora buio – e già la mente corre in avanti, a ciò che accadrà tra qualche ora o al massimo domani: le strisce di vernice fresca, i cartelli piantati in tutta fretta, le indicazioni stradali ancora coperte da un telo trasparente – quante volte abbiamo visto quella scena, identica, ripetuta con una precisione quasi teatrale, come se fosse parte di un copione ben collaudato.

E così mentre la macchina procede purtroppo a passo d’uomo a causa della confusione venutasi a creare, ripenso a tutti quei cantieri aperti, chiusi, riaperti, mai davvero conclusi – come se il cantiere non fosse il luogo dove si costruisce qualcosa, ma piuttosto uno spazio sospeso, un palcoscenico mobile in cui il lavoro vero è secondario rispetto alla circolazione di altro: denaro, favori, silenzi. 

Eppure nessuno protesta, nessuno chiede, a partire da chi, per incarico istituzionale, dovrebbe farlo per primo – e non lo fa per ignoranza, ma perché sa che porre certe domande, ad alta voce, significherebbe accendere una luce troppo forte in un luogo dove tutti hanno imparato a muoversi al buio e quella luce, invece di illuminare, rischia di bruciare chi la tiene accesa.

Del resto, se così non fosse, non avremmo di continuo quelle inchieste giudiziarie ormai familiari, quelle che parlano chiaro pur usando un linguaggio cauto, quasi smorzato, come se ogni parola dovesse essere pesata non per la sua verità, ma per le conseguenze che potrebbe scatenare – e così, nei documenti, i nomi dei protagonisti veri restano assenti, sostituiti da sigle, ruoli generici, frasi passive – l’appalto è stato aggiudicato, la variante è stata approvata, come se nessuno avesse deciso, nessuno avesse firmato, nessuno avesse guidato la mano di chi ha scritto. 

Eppure c’è sempre stato qualcuno, in piedi dietro la scrivania, che ha organizzato, indirizzato, protetto e ora, messo sotto torchio, si ritrae, si fa piccolo, parla poco, non detta più regole con la stessa sicurezza di un tempo, anzi si comporta come se fosse lui la vittima di un equivoco.

Resta in penombra, certo, in attesa che la tempesta passi, convinto, forse non a torto, che passerà davvero, e che alla fine tornerà tutto come prima, perché intorno a lui c’è un sistema che non si limita a proteggerlo: lo alimenta, lo rigenera, lo rende necessario. 

I suoi amici – o meglio, i suoi alleati – faranno di tutto pur di non restare impigliati a loro volta: firmeranno pareri, produrranno certificazioni, condivideranno versioni alternative dei fatti, perché la priorità non è la trasparenza, ma la sopravvivenza del meccanismo, e quella struttura ha bisogno di opacità, di silenzi compiacenti, di opportunità che si ripetono con la regolarità di un orologio difettoso ma affidabile.

Mi torna spesso in mente una frase, pronunciata da chi conosce quei meccanismi dall’interno: non è più la corruzione che urla, è quella che sussurra – quella educata, discreta, quasi istituzionalizzata, che avanza con le scarpe pulite e il lessico impeccabile di chi sa usare le procedure come schermo – tecnicismi al posto di scelte, pareri al posto di responsabilità, carte in regola al posto di sostanza.

È una corruzione silenziosa, che non ha più bisogno di bustarelle: le ha rese superflue, sostituendole con tempi che si dilatano oltre ogni plausibilità, con varianti in corso d’opera che nascono non per necessità tecnica, ma per convenienza amministrativa, con gare formalmente regolari in cui, però, nessuno sembra voler gareggiare davvero – come se il risultato fosse già scritto altrove. È una corruzione che si mimetizza tra le pieghe della legalità: ditte che vanno a vincere appalti in regioni dove non hanno sede, non hanno nemmeno una baracca, figuriamoci un addetto, eppure si aggiudicano opere milionarie, per poi affidarle a terzi, spesso piccole imprese locali, pagandole un terzo di quanto incassano loro stesse dal committente pubblico. Il risultato? Un meccanismo virtuoso solo per chi lo pilota: più costi, meno trasparenza, zero controllo e un po’ di mazzette che girano di mano in mano. 

Eppure qualcuno osserva, sì… qualcuno incrocia quei dati, anche se non presenta denunce, non per rassegnazione, ma per lucida consapevolezza: sa da tempo come un esposto formale, in certi contesti, non è un atto di giustizia, ma un invito a essere neutralizzato. Allora sceglie un’altra strada: verifica chi ha vinto, chi ha perso, chi compare sempre nelle stesse gare, chi firma le relazioni tecniche, chi approva le varianti, chi sta in silenzio quando qualcosa non torna ed usa quegli strumenti per farli emergere attraverso i media, i social e soprattutto quei programmi televisivi che hanno fatto la storia di questo Paese, sì… nell’ambito del giornalismo investigativo.  

Non serve gridare nomi, non solo perché sarebbe inutile, ma perché il problema non sono gli individui, sono i meccanismi che li proteggono, li riproducono, li rendono intercambiabili. Basta guardare la “White list” delle imprese ammesse, redatta da chi avrebbe dovuto vigilare e invece ha delegato ogni verifica a una firma in calce: senza chiedersi chi c’è realmente dietro quelle società, quali legami, quali precedenti, quali silenzi comprati in anticipo. Sì… certo, i documenti sono in regola, ma la regolarità formale è spesso la maschera più efficace dell’illegalità sostanziale!

Allora questa terra continua a scivolare, non con un crollo improvviso, ma con una serie infinita di piccole cessioni: un silenzio qui, un compromesso là, un occhio chiuso oggi nella speranza di un favore domani. E qualcuno, incredibilmente, chiama tutto questo buonsenso, realismo, quieto vivere, come se il quieto vivere fosse il diritto di non vedere, di non sapere, di non dover scegliere.

Non vedo, non sento, non parlo e così, dopo anni di osservazione, di domande senza risposta, di segnalazioni cadute nel vuoto, mi chiedo, senza retorica e ancor meno enfasi: verrà mai qualcuno che deciderà, semplicemente, di non voltarsi dall’altra parte?

Non credo proprio…

Inchieste giudiziarie? Le facce di bronzo degli indagati.


Li vediamo, seduti ai loro posti, mentre i notiziari scandiscono i capi d’imputazione, eppure non un gesto di ritrosia, non un’incertezza nello sguardo. Restano immobili, come se la gravità delle accuse non riuscisse a sfiorarli, come se il tempo si fosse fermato intorno a loro e la realtà non avesse il diritto di bussare troppo forte. È una scena che non sorprende più, eppure ogni volta provoca lo stesso disagio: non per la novità, ma per la sua terribile familiarità.

C’è una logica, in tutto ciò, ma non è la logica del diritto o della responsabilità. È quella del possesso: il potere non è più inteso come mandato revocabile, ma come proprietà acquisita, quasi ereditaria. Non è un compito che ti affidano: è una cosa che si sono presi e non mollano più. E allora l’indagine non è un invito a chiarire, ma un’aggressione personale, un colpo basso da respingere con ogni risorsa, legale o meno. Si attivano difese non per dimostrare la propria innocenza, ma per difendere il posto. Come se la dignità potesse sopravvivere in assenza di ogni pudore.

Ci si potrebbe indignare, eppure l’indignazione si è fatta stanca, logorata da una ripetizione che sembra non avere fine. Non è più lo scandalo a colpire, ma l’assenza di scandalo. Si è normalizzato l’insostenibile, e in questa normalizzazione si annida il vero danno: non tanto l’atto illecito in sé, quanto la sua accettazione silenziosa, come se fosse inevitabile, come se l’Italia non avesse mai conosciuto altro. Eppure basterebbe ricordare, anche solo per un istante, che c’è stato un tempo in cui un solo sospetto bastava a far vacillare una carriera. Non per moralismo, ma per un semplice senso di decoro, ormai smarrito.

Allora viene da chiedersi: perché stupirsi? Non basta guardare con attenzione per capire di quale materia siano fatti certi individui. Non è mancanza di vergogna, è assenza totale di ogni senso di appartenenza a una comunità. Non è resistenza, è pura e semplice adesione a una logica che pone l’interesse personale ben al di sopra del bene comune. Non c’è neppure un briciolo di dignità, perché la dignità presuppone un limite interiore, un confine oltre il quale non si è disposti a scendere, e qui quel confine è stato rimosso da tempo.

Forse servirebbe un patto nuovo, non scritto ma condiviso: la sola ombra di un sospetto grave dovrebbe spingere a un passo indietro, non per punizione, ma per rispetto. Per rispetto verso chi ogni giorno paga le tasse, verso chi crede ancora che le istituzioni possano funzionare, verso il semplice atto di fiducia che ogni cittadino concede ogni volta che si rivolge a un ufficio pubblico.

Invece assistiamo a una commedia stanca, recitata da attori che rifiutano di abbandonare il palco anche quando le luci si sono spente da un pezzo. Restano lì, aggrappati non al ruolo, ma al simbolo del ruolo, come se la legittimità potesse reggersi su un titolo e non sulla credibilità che, giorno dopo giorno, si logora in silenzio, fino a dissolversi del tutto.

E intanto, fuori, il paese continua a camminare in punta di piedi, come se temesse di svegliare qualcosa che, in realtà, non dorme affatto, anzi, aspetta solo il momento giusto per tornare a sedersi, ancora una volta, al suo posto, tanto d’aver già prenotato il catering per la prossima inaugurazione.

Non è la mafia che ci definisce, ma quello che tolleriamo in silenzio!


In questi giorni percorro di mattina una strada di campagna e mentre il sole inizia a salire lentamente dall’orizzonte, mi sono chiesto se sia proprio la bellezza a renderci più fragili o se, al contrario, sia la consapevolezza di possedere qualcosa di raro da farci dimenticare che la cura, più del possesso, è ciò che conta davvero.
La Sicilia difatti non ha bisogno di essere raccontata: basta guardarla per capire che ogni parola su di lei è già stata scritta, forse da Goethe, forse da un pescatore che, senza alcun bisogno di citare i classici, ci ricorda come il vento di scirocco ha portato con sé non solo la sabbia dell’Africa, ma anche il peso di quelle invasioni, già… di incontri mancati e di promesse mai mantenute.

Qui ogni pietra racconta di un impero caduto, ogni porto… una partenza che non è mai stata un vero addio, ogni tempio un’alleanza tra fede e potere, autorità e consenso.

Migliaia e migliaia di anni in cui qualcuno arriva, costruisce, comanda, poi se ne va… e lascia dietro di sé non solo monumenti, ma anche una consuetudine: quella di tramandare un’attesa, sì… aspettare sempre che giunga qualcuno da fuori per decidere del nostro destino!

E difatti lo stesso accade ai nostri giorni, eppure non è colpa degli invasori, di quelli che vengono e se ne vanno, no… se ci guardiamo intorno vediamo sempre lo stesso vuoto – non di risorse, non di talenti, non di volontà – ma di fiducia, già… fiducia nel fatto che fare la cosa giusta, senza chiedere niente in cambio, possa bastare.

Perché la verità, quella che si tende a non dire a voce alta, è che molti di noi – per come veniamo descritti nel mondo – non sono mafiosi, e neppure complici, ma purtroppo sono molti i miei conterranei a non sentirsi obbligati a contrastare chi lo è!

Non sempre per paura: spesso semplicemente perché non ne vale la pena. Si sa… bloccare un torto non dà vantaggi immediati, segnalare un appalto truccato non garantisce un posto di lavoro, anzi, tutto ciò mette in cattiva luce ed allontana da quel “sistema” in cui tutti sanno come funziona, ma nessuno lo ammette ad alta voce…

Ed è il motivo per cui sanno che, denunciare un abuso edilizio, non riporta indietro il paesaggio perduto, ma li rende scomodi, e così scelgono di abbassare lo sguardo. Si chiama “realismo”, si chiama “prudenza”; a volte si usa una parola che suona quasi nobile: omertà. Ma non è silenzio per proteggere qualcun altro: è silenzio per proteggere se stessi!

Ed è proprio lì, in quel gesto quotidiano — ripetuto decine di volte al giorno — che si annida quel che davvero mina questa terra: non la forza della mafia, ma la debolezza della sua opposizione! Un permesso firmato senza leggerlo. Un visto rilasciato senza controllare. Un appalto assegnato con la giustificazione più insidiosa: “tanto se non lo faccio io lo farà qualcun altro”.

Non serve essere un boss per alimentare questo sistema. Basta essere un professionista che chiude un occhio, un impiegato che fa una copia in più, un sindaco che sceglie di non accorgersi, oppure un cittadino che vota non per un programma, ma per un pacco alimentare distribuito la settimana prima.

Non stiamo parlando di personaggi da film: questi nuovi soggetti, non indossano doppiopetto, non parlano in codice e non hanno soprannomi. Sono i nostri vicini di casa, i nostri colleghi, ahimè… i nostri parenti: hanno figli che studiano in atenei privati, possiedono case dotate di ogni comfort, macchine lussuose e conti in banca (che appaiano) regolari…

Eppure, ogni volta che scelgono il tornaconto anziché ciò che è giusto, non commettono solo un illecito: insegnano qualcosa, sì… ai loro figli, ai loro collaboratori, a chi li osserva e cioè che il rispetto delle regole è un optional, che l’onestà è un difetto di forma, non di sostanza e soprattutto che il sistema non si cambia, si aggira e chi non lo aggira, è semplicemente fesso o quantomeno, meno furbo.

Allora ti domandi: dov’è finita quella Sicilia che si ribellava? Quella dei contadini che nel 1893 fondarono i Fasci, quella dei sindacalisti uccisi in piazza, quella dei magistrati che non esitarono un istante?

La verità è che non è scomparsa: è stata ridotta a monumento. Già… onorata in pubblico, archiviata in privato. Ed ecco che si intitola una strada a Falcone, una piazza a Borsellino, poi si affida la gestione di un bene confiscato di quella impresa che nessuno ha mai controllato, con procedure che, in alcuni casi, abbiamo visto, si sono rivelate persino più opache di quelle messe in pratica dagli stessi indagati.

Già… si celebra la memoria, ma non si pratica il coraggio!

Perché il punto non è se la mafia sia ancora potente, perché lo è… finché qualcuno la alimenta. Il punto è che noi, oggi, non siamo più costretti a subirla. Siamo liberi di scegliere. Eppure, dall’osservazione quotidiana dei comportamenti di molti miei conterranei, vedo una scelta precisa: non scegliere affatto.

Aspettare sempre che sia un altro ad agire, pensare che la corruzione sia un problema del “sistema”, come se il sistema non fossimo noi, come se non fosse fatto di scelte individuali, ripetute, quotidiane.

La Sicilia è bellissima, sì… lo è ancora, nonostante tutto. Ma nessuna bellezza regge a lungo se chi la abita smette di chiedersi cosa significhi curarla: non solo con le parole, non solo con la nostalgia, ma con atti concreti, ripetuti, noiosi, scomodi. Con la fatica di chi rifiuta un favore, con la pazienza di chi legge fino in fondo un progetto, con la dignità di chi, guardando dritto negli occhi, dice: No… non questa volta, e neppure la prossima.

Ecco, forse solo allora smetteremo di essere famosi per ciò che tolleriamo e torneremo a essere riconosciuti per ciò che costruiamo.

Quel che resta da fare: Quando il cittadino entra in scena.


Dopo aver parlato del ritmo e del silenzio, resta ora da chiedersi: e noi?

Già… noi, non come denuncianti improvvisati, non come investigatori della domenica, ma come cittadini che camminano ogni giorno per strade costruite – o non costruite – da scelte che qualcuno ha fatto al posto nostro, spesso senza chiederci nulla.

Non si tratta di sostituirsi alle autorità, né di sostituire il sospetto alla fiducia: si tratta, più semplicemente, di non lasciare che la complessità diventi scusa per l’indifferenza.

Esistono oggi strumenti che, fino a pochi anni fa, sarebbero sembrati fantascienza. Ad esempio il portale “OpenCantieri”, mette a disposizione – in tempo reale e in formato aperto – dati su oltre 150.000 cantieri pubblici in tutta Italia: chi li ha vinti, a quanto, con quale procedura, se sono in ritardo e di quanto. Non è un archivio per esperti: basta inserire il nome del proprio comune e compariranno le voci di spesa, i soggetti aggiudicatari, le date di inizio e fine lavori. Certo, è uno specchio a volte impietoso, ma quantomeno veritiero.

Poi c’è l’Indice della Pubblica Amministrazione, gestito dall’ANAC, che permette di verificare, con pochi clic, se una stazione appaltante ha pubblicato i suoi bandi sul sito previsto dalla legge, se ha rispettato i tempi minimi di consultazione, se ha motivato le scelte tecniche con trasparenza.

Ed ancora, il Portale Unico dei Contratti Pubblici, dove ogni bando, ogni aggiudicazione, ogni variazione deve essere registrata – pena sanzioni amministrative. Non sempre lo si fa. Ma se qualcuno lo nota, e lo segnala – con calma, con precisione, senza clamore – qualcosa può cambiare.

Segnalare non significa per forza “accusare”, significa viceversa chiedere chiarimenti, inviare una PEC alla stazione appaltante per sapere perché un bando è stato pubblicato un lunedì con scadenza giovedì; significa, in alcuni casi, rivolgersi all’ufficio preposto all’accesso civico, previsto dalla legge 241/1990, per ottenere copia dei verbali di gara. Significa ahimè – quando i dubbi diventano troppo consistenti – scrivere all’ANAC, che ha un canale dedicato (segnalazioni@anticorruzione.it) che garantisce riservatezza a chi denuncia irregolarità. Non serve quindi essere avvocati, basta semplicemente essere precisi: citare il CIG del bando, la data di pubblicazione, il punto del capitolato che appare anomalo.

Ho visto piccole cose nascere da gesti altrettanto piccoli. Un lettore del mio blog, qualche anno fa, notò che lo stesso raggruppamento temporaneo si era aggiudicato quattro scuole in altrettanti comuni limitrofi, sempre con ribassi identici al 29,7%. Non scrisse un articolo. Non lanciò accuse. Mandò una mail all’ufficio trasparenza di uno dei comuni coinvolti, allegando i quattro bandi. La risposta arrivò dopo due settimane: la gara fu sospesa, avviata una verifica interna, e infine annullata. Nessuno finì sui giornali. Ma la scuola fu rifatta, da un’altra ditta.

Non sto dicendo che basti questo. Sto dicendo che, senza questo, non basta nient’altro…

Perché la corruzione non teme le leggi più severe – quelle… le ha già imparate e soprattutto le sa aggirare. Quello che teme di più, siamo noi, lo sguardo attento di chi è ostinatamente ordinario, di chi non ha potere, ma ha una forte memoria.

Già… di chi non alza la voce, ma non distoglie gli occhi, di chi sa che, talvolta, la prima crepa in un sistema opaco non è un’inchiesta, ma una domanda scritta in una mail, inviata un pomeriggio qualunque, mentre prendiamo all’interno di un bar una tazza di te, da una semplice scrivania improvvisata.

Il silenzio tra un appalto e l’altro: Quando la gara finisce prima di cominciare.


Il metodo forse più subdolo è quello che si nasconde dietro la formula dell’“offerta economicamente più vantaggiosa”. In teoria, un modo per premiare il valore tecnico. In pratica, a volte, un meccanismo perfetto per favorire gli amici.
Come si può pensare di pubblicare un bando da milioni di euro e concedere solo quindici giorni per presentare uno studio migliorativo? Un tempo così esiguo che non basta neppure per leggere e comprendere a fondo il progetto. Viene il sospetto che il capitolato sia stato disegnato su misura per qualcuno, che conosceva in anticipo i dettagli e ha potuto preparare l’offerta con calma.

Non è fantasia: la Corte dei Conti, nella sentenza n. 746 del 28 marzo 2024, ha annullato l’aggiudicazione di un intervento di messa in sicurezza idrogeologica in Calabria proprio per questo motivo – un bando pubblicato un venerdì sera, con scadenza di giovedì successivo, e un capitolato tecnico contenente requisiti così specifici da coincidere, quasi alla lettera, con le caratteristiche di una sola delle tre imprese partecipanti. La sentenza, consultabile nel registro ufficiale della Corte, parla chiaro: non si tratta di errore procedurale, ma di “alterazione della par condicio sostanziale”, una formula che, tradotta in parole semplici, significa che la gara non era una gara.

La caccia al bando stesso diventa una prima, ardua selezione. Documenti nascosti su siti inaccessibili, pubblicazioni fatte circolare in ritardo, gare indette a ridosso di festività. Sono tutti espedienti che, sommati, scoraggiano i concorrenti sgraditi e restringono il campo a pochi eletti. E se, nonostante tutto, vince un’impresa “sbagliata”, ecco che i tempi di avvio dei lavori si dilatano magicamente, fino a quando un intoppo burocratico non permette di ripiegare sulla seconda in graduatoria, che guarda caso è proprio l’impresa amica.

In questo panorama, persino l’ipotesi più fantasiosa, come quella di un accesso informatico illecito per conoscere le offerte degli altri pochi minuti prima della scadenza, lascia un dubbio amaro in gola.

Non è solo un dubbio, del resto. Il Rapporto 2024 della Direzione Nazionale Antimafia dedica un’intera sezione al “rischio informatico nei sistemi telematici degli appalti”, segnalando come, in almeno tre inchieste concluse negli ultimi diciotto mesi, sia emersa la pratica di accessi non autorizzati a piattaforme di gara da parte di consulenti esterni – figure apparentemente neutrali, spesso nominate con procedure semplificate, che avevano accesso simultaneo ai documenti delle stazioni appaltanti e alle bozze delle offerte.

Il rapporto, disponibile nel sito ufficiale della DNA , non parla di casi isolati, ma di un’evoluzione della collusione: non più bustarelle in contanti, ma intrusioni digitali, scambi di file criptati, tempi di risposta sospettosamente sovrapposti. È una corruzione che ha imparato a digitare.

Proprio in queste ore, la cronaca giudiziaria torna a occuparsi della materia, con inchieste che coinvolgono figure di alto livello nella pubblica amministrazione. La politica assicura massima attenzione e rigore, in attesa degli esiti dell’autorità giudiziaria. È un segnale che qualcosa, forse, potrebbe muoversi.

Ma la sensazione è che, senza una vigilanza costante e una volontà ferrea di cambiare le regole del gioco, questo meccanismo ben oliato sia destinato a riavviarsi, ciclo dopo ciclo, appalto dopo appalto.

Eppure, ogni volta che un funzionario sceglie di non voltarsi dall’altra parte, ogni volta che un cittadino chiede copia di un bando e ne verifica i termini, ogni volta che un giornalista ricostruisce una catena di aggiudicazioni che nessuno aveva collegato – in quei momenti, il silenzio tra un appalto e l’altro non è vuoto: Sì… è per fortuna lo spazio in cui, forse, può ancora nascere qualcosa di diverso.

Il ritmo che conosciamo: Quando il bando non è una gara.


Si torna a parlare di gare d’appalto, ed è come riaprire un libro di cui si conosce già il finale, ma la cui lettura continua a turbare. Mi riferisco a una sensazione che conosco bene, fatta di sospetti che si accumulano giorno dopo giorno, osservando la stessa scena ripetersi con una regolarità che ha del perturbante.
Basti guardare l’alta frequenza con cui certe imprese si aggiudicano i lavori, una ciclicità che sembra sfidare ogni legge statistica. Si presentano da sole, in temporanea associazione, o celate dietro il comodo paravento di un consorzio, e costantemente, come baciate da una fortuna insolitamente propizia, ottengono la vittoria. È un ritmo che fa riflettere, un ritmo che parla di meccanismi non proprio limpidi.

Certo, qualcuno obietterà che sia solo una coincidenza, che non si debba dar credito a ombre dove non ce ne sono. Eppure i numeri raccontano una storia diversa, fatta di episodi di corruzione che affiorano in continuazione, con la Sicilia purtroppo in testa a queste classifiche.

Il settore più a rischio rimane sempre quello dei lavori pubblici in genere, un mondo vasto che va dalle costruzioni al ciclo dei rifiuti, settori notoriamente sensibili eppure ancora così opachi. So bene che parliamo di un ambiente in cui, per operare, si dovrebbe essere inseriti in appositi elenchi di soggetti affidabili, ma a volte sembra che quei controlli ed i criteri applicati siano ben altri, o quantomeno evidenzino una scarsa attenzione al merito e alla dignità del servizio pubblico.

Si osserva poi una strategia quasi scientifica nella distribuzione degli appalti. Per le commesse più ricche, sembra prevalere un sistema di turnazione tra aziende, con ribassi d’asta così minimi da apparire coordinati. Per gli affidamenti di minore entità, invece, si scende più in basso nella scala amministrativa, coinvolgendo figure tecniche con promesse di contropartite in denaro, in prestazioni o in favori.

In cambio, le imprese ottengono una certa discrezionalità nell’esecuzione, alterando qualità e quantità, chiedendo varianti e risparmiando persino sulla sicurezza. Basterebbe blindare le procedure, verificare seriamente la reale consistenza di queste aziende, per scoprire che molte di loro, a guardarle bene, non sarebbero in grado di riparare neppure la tapparella di casa di mia nonna.

A volte i sospetti trovano conferma in modo così immediato da lasciare senza parole. Già: alcuni anni fa, dopo aver messo nero su bianco in un mio post queste considerazioni, un presidente dell’associazione dei costruttori lanciava pubblicamente l’allarme, parlando di sorteggi sospetti e rischi di una nuova Tangentopoli.

Non era un’allusione generica: pochi mesi prima, l’Autorità Nazionale Anticorruzione aveva dedicato un intero capitolo del suo Rapporto annuale 2024 proprio al fenomeno della “frequenza anomala di aggiudicazione”, un’espressione asettica che nascondeva un dato concreto — il 42% delle stazioni appaltanti con almeno un procedimento sanzionato per irregolarità gravi aveva visto prevalere sempre le stesse imprese in più del 70% dei bandi negli ultimi tre anni.

I casi analizzati includevano appalti per opere stradali, edilizia scolastica e gestione del ciclo idrico, tutti ambiti in cui la qualità dell’esecuzione non è una questione tecnica, ma di sicurezza collettiva. Il rapporto, disponibile integralmente sul sito ufficiale dell’ANAC, non parla di eccezioni: parla di pattern ricorrenti, di procedure formalmente corrette, ma sostanzialmente orientate.

È un richiamo sinistro a una storia ben documentata, non a un ricordo vago o lontano – come quella del cosiddetto “ministro dei Lavori Pubblici” di Cosa Nostra, un ruolo non ufficiale, ma reale: un uomo incaricato dall’organizzazione di decidere chi poteva vincere appalti milionari per le opere pubbliche, chi doveva restare fuori, e a quale prezzo. Un controllo esercitato non con le armi – almeno non sempre – ma con una rete di imprenditori, tecnici e funzionari collusi, capace di far vincere bandi già scritti a misura.

Quella vicenda ci ricorda che il meccanismo corruttivo rappresenta un’infezione che si è ormai normalizzata, diventando quasi ordinaria, e che ormai non affligge più solo alcuni territori ma, in forme diverse, l’intero Paese. Sono parole che confermavano ciò che si osserva ormai da troppo tempo: circostanze curiose nelle aggiudicazioni e un pericolo concreto per la trasparenza.

Cosa aggiungere? Domani proseguirò, seguendo il silenzio che cala tra un bando e l’altro, tra un’aggiudicazione sospetta e la successiva, tra ciò che si scrive nei capitolati e ciò che si decide fuori, già… in stanze dove il tempo sembra non passare mai.

Lavori ben fatti: ora manca solo qualche piccolo foro…


Va riconosciuto: finalmente quel tratto di strada, a lungo invaso da arbusti che si allungavano fin dentro le carreggiate, è stato messo in sicurezza.

L’intervento di scerbamento, insieme alla pulizia e alla manutenzione della segnaletica e dell’illuminazione, era atteso da tempo, e va dato atto all’amministrazione comunale di averlo portato a compimento con cura.

Tuttavia, resta un nodo irrisolto, non tanto nei lavori in sé, quanto nella loro comunicazione. Il calendario ufficiale indicava la conclusione dei cantieri entro mercoledì 29 ottobre, senza alcun accenno a possibili proroghe.

Non ho trovato, né sul sito istituzionale né sui canali informativi locali, alcuna notizia che segnalasse il proseguimento dei lavori anche nella giornata del 30. Così, l’altro ieri, mi sono ritrovato a imboccare l’Asse Attrezzato convinto che fosse tutto regolare, per poi dover deviare all’improvviso verso Librino, costretto a un giro tortuoso lungo la strada nazionale fino all’imbocco dell’autostrada.

Per fortuna, l’indomani — il 31 ottobre — il raccordo era stato riaperto. Ma, come accade da anni (e non so più quante volte ne ho scritto su questo blog), all’ingresso dell’Asse Attrezzato da Corso Indipendenza si è di nuovo formato quel fiume d’acqua che tutti conosciamo.

Basta guardare la foto pubblicata in alto per rendersene conto: l’acqua si accumula su entrambe le corsie, sia per chi proviene dalla città sia per chi arriva dall’autostrada A19, creando pericoli non solo per le auto, ma soprattutto per chi percorre quel tratto in moto o in scooter.

Si tratta di un problema elementare, risolvibile in mezza giornata. Stiamo parlando di un viadotto: basterebbe praticare piccoli fori laterali con una carotatrice, in modo da permettere all’acqua piovana di defluire oltre i parapetti che oggi la intrappolano. Se necessario, si potrebbero aggiungere semplici grondaie nella parte inferiore del ponte per convogliare il deflusso senza danneggiare le aree sottostanti. Non stiamo parlando di un’opera faraonica, né costosa: è manutenzione ordinaria, quella che dovrebbe essere prevista di routine.

Ecco perché mi rivolgo ora all’amministrazione con una richiesta precisa: dopo aver eseguito in modo impeccabile i lavori di cui sopra, si proceda anche con questo piccolo, ma cruciale intervento.

Lo chiedo non solo come cittadino, ma come chi attraversa quotidianamente quel tratto per recarsi al lavoro. E vi chiedo altresì di perdonare questa ulteriore nota: da qualche giorno ho installato una “dash cam” sul cruscotto della mia auto.

Se la situazione non dovesse cambiare, non mi resterà, ahimè, che documentare, giorno dopo giorno, ciò che accade ogni volta che cade anche solo una pioggia leggera.

Preferirei di gran lunga dedicare questo spazio alle bellezze della mia città: alle luci del mare e del vulcano, ai suoi silenzi, alla sua cucina, alle sue storie ormai dimenticate.

Ma finché la negligenza trasformerà un viadotto in un guado, temo che il mio blog dovrà diventare, mio malgrado, un archivio di ciò che non funziona.

Spero quindi che qualcuno, dopo aver letto queste righe, decida di accontentarmi. Non per spirito polemico, ma per senso di cura – verso la mia città, che è anche la loro, verso chi la abita, e soprattutto verso il tempo di ciascuno di noi.

Cosa aggiungere, se non… grazie.

Lettera aperta per il Sindaco Trantino sulla metropolitana di Catania: alcuni miei lettori mi hanno chiesto di procedere con semplici modifiche…

Sig. Sindaco, buongiorno,
mi rivolgo a Lei per portare alla Sua attenzione alcune osservazioni emerse nei giorni scorsi sulla mia pagina social.

Dopo aver pubblicato un post riguardante i lavori della Metropolitana di Catania, alcuni miei lettori, utenti abituali di questo servizio, hanno condiviso commenti riguardanti le difficoltà riscontrate durante l’utilizzo della linea.

Difatti, dopo aver letto con attenzione le loro segnalazioni, ritengo che molte di queste problematiche possano essere risolte con interventi mirati e tempestivi. Ritengo quindi che un miglioramento del servizio non solo sarebbe di grande beneficio per i cittadini che quotidianamente utilizzano la metropolitana, ma contribuirebbe anche a rendere più efficiente la mobilità nella nostra città.
Tralasciando, quindi, quanto da me evidenziato in precedenza – un pensiero condiviso da molti dei miei lettori – riguardo ai ritardi nei lavori appaltati (elemento ahimè, purtroppo ricorrente in tutto il Paese), ritengo che il problema della nostra metropolitana possa essere affrontato e risolto attraverso alcuni interventi mirati.
Innanzitutto, riguardo alle frequenze di passaggio, uno dei miei lettori ha sottolineato che, per rendere la metropolitana davvero competitiva e funzionale, sarebbe necessario ridurre l’intervallo attuale da 10/15 minuti a 5/10 minuti. Questo cambiamento renderebbe il servizio molto più appetibile per gli utenti, incentivando un maggiore utilizzo rispetto ai mezzi di superficie.
Inoltre, è emersa la necessità di anticipare la prima corsa della metropolitana alle 6:00, anziché alle 7:00 come avviene attualmente. Come è noto, la maggior parte dei cittadini inizia a lavorare già alle 7:00, e l’attuale orario di partenza rischia di penalizzare chi ha bisogno di spostarsi presto per essere puntuale sul posto di lavoro. D’altronde, come si suol dire nella nostra città, “non travagghiamu mica o Comuni…” – e quindi diventa fondamentale poter contare su un servizio efficiente già dalle prime ore del mattino.
Passando agli orari del servizio, attualmente la linea prevede una corsa ogni 10 minuti dall’inizio del servizio fino alle 15:00, per poi passare a una frequenza di 15 minuti dalle 15:15 fino alla chiusura. Tuttavia, al di là delle problematiche legate al sistema di controllo tra un convoglio e l’altro, le frequenze attuali si rivelano insufficienti per alleggerire in modo significativo il traffico su superficie, sia pubblico che privato.
L’ideale, secondo i miei lettori, sarebbe dimezzare i tempi di attesa tra una partenza e l’altra. Alcuni hanno suggerito di aumentare la capacità dei convogli abbinando due vagoni, anche se non so quanto questa ipotesi possa essere fattibile dal punto di vista tecnico e organizzativo. Difatti, con un’attesa massima di 4/6 minuti, il sistema diventerebbe sicuramente più interessante per la clientela, contribuendo a ridurre l’affollamento e a migliorare l’esperienza complessiva degli utenti.
Sono convinto che, con questi interventi mirati, la metropolitana di Catania potrebbe diventare un vero e proprio punto di riferimento per la mobilità cittadina, offrendo un servizio più efficiente e rispondente alle esigenze dei cittadini.

Il sottoscritto, abituato a frequentare la metropolitana di Milano negli ultimi anni, non può che condividere pienamente le riflessioni sopra esposte. L’efficienza di un servizio di trasporto pubblico si misura anche nella sua capacità di adattarsi alle esigenze reali dei cittadini, e su questo punto c’è ancora molto da fare per la nostra metropolitana.

Un altro tema cruciale, come già accennato, è quello degli orari di inizio e fine servizio. Attualmente, nei giorni feriali, il servizio inizia alle 6:40 (direzione Stesicoro) o alle 7:00 (direzione Nesima). Far partire la prima corsa mezz’ora prima, o ancor meglio alle 6:00, significherebbe andare incontro alle esigenze di quanti iniziano a lavorare presto la mattina – che, come sappiamo, rappresentano la maggioranza.

Lo stesso discorso vale per l’orario di fine servizio: servirebbero almeno due corse aggiuntive per consentire il rientro a casa di quanti finiscono di lavorare tardi. Evito di riportare anche qui una delle tipiche frasi dei catanesi, ma è chiaro che un servizio più esteso sarebbe di grande aiuto per molti cittadini.

Ritengo, inoltre, che l’aumento dei costi derivante da queste modifiche potrebbe essere parzialmente coperto dagli incassi aggiuntivi generati da un maggiore utilizzo del servizio. Una parte delle risorse potrebbe anche essere ricavata attraverso un aumento dei controlli e delle relative sanzioni per l’uso improprio dei parcheggi oltre l’orario consentito.

Tuttavia, il fattore più importante è un altro: aumentando la clientela della metropolitana, si ridurrebbe enormemente il flusso di auto in città, con tutti i benefici che ne derivano: meno inquinamento, meno traffico, meno problemi di parcheggio e, in generale, una migliore qualità della vita per tutti.

Sig. Sindaco Trantino, mi consenta una nota personale. Come ben sa, la Sua elezione è avvenuta in maniera diretta, con il consenso della maggioranza dei cittadini, proprio perché la comunità ha scelto Lei per risolvere i problemi della città. Con quella nomina, i cittadini Le hanno attribuito la responsabilità di governare pienamente Catania, affidandosi alle Sue capacità e alla Sua visione.

Ed allora, perché non accontentarli? D’altronde, parliamo di richieste talmente semplici da attuare, ma che avrebbero un impatto enorme sulla vita di molti cittadini. Si tratta di interventi che consentirebbero loro non solo di risparmiare tempo e stress, ma anche di alleggerire una parte importante dei loro esigui salari, grazie a un servizio di trasporto che, per sua natura, dovrebbe essere rapido ed efficiente.

Vedrà, Sig. Sindaco, i Suoi concittadini, a momento debito, ricorderanno ciascuna delle Sue azioni, sia nel bene che nel male. Sa bene che tutto dipende da Lei e dai collaboratori che si è scelto.

Colgo l’occasione per augurarLe un buon lavoro e per incoraggiarLa a continuare per la strada che sta percorrendo finora.

P.s. Un ringraziamento speciale va a un mio lettore, @matra.bsky.social, per aver chiarito alcuni dubbi e contribuito a questa riflessione.

Truffe allo Stato: 15 miliardi sottratti dal 2020, con il 50% causato da danni erariali

Dal 2020 ad oggi, le truffe ai danni dello Stato hanno comportato un danno complessivo di 15 miliardi di euro. Più della metà di questa cifra, circa 8 miliardi, è legata a danni erariali causati da dipendenti della pubblica amministrazione, che hanno sottratto fondi pubblici attraverso il loro ruolo. 

Le frodi sono particolarmente concentrate nel settore degli appalti pubblici, dove sono stati sottratti circa 6 miliardi, di cui oltre 887 milioni provenienti da gare sanitarie, un settore particolarmente vulnerabile durante la pandemia. 

Un altro settore critico è quello del bilancio nazionale e comunitario, dove le frodi ammontano a circa un miliardo di euro. 

Il settore previdenziale e assistenziale ha visto frodi per 269 milioni, includendo illeciti come falsi invalidi, indebiti percettori di pensioni e bonus, con famiglie che hanno incassato aiuti senza averne diritto. 

Inoltre, nel caso del reddito di cittadinanza, sono stati truffati 217 milioni di euro, di cui 127 milioni percepiti illegalmente da persone che non ne avevano diritto, come evasori fiscali o appartenenti ad associazioni criminali. 

Nonostante la pandemia e la chiusura di molte attività, il numero di truffe nella spesa pubblica non è diminuito, anzi, è rimasto alto, con un impatto significativo sui fondi statali destinati a politiche sociali e servizi pubblici. 

Le indagini condotte dalla Guardia di Finanza hanno portato all’arresto di centinaia di persone, con l’apertura di oltre 12.000 fascicoli d’indagine da parte della magistratura. 

Questo dimostra la portata del fenomeno e l’impegno delle autorità nel contrastare le frodi, anche in un periodo di difficoltà economica e sanitaria.

Le famiglie dei mafiosi (in attesa di ricevere il reddito di cittadinanza), richiedono il reddito d'inclusione!!! Lo Stato quindi risponde… presentando loro il conto!!!

Abbiamo ascoltato in questi giorni la notizia della moglie di un boss mafioso che ha presentato domanda per accedere al reddito di inclusione…
Tralasciando il fatto grave che la domanda al Comune per accedere a quel reddito stava proseguendo come nulla fosse, addirittura qualcuno dal Servizio sociale aveva per di più  telefonato alla signora per informarla che la domanda non fosse corretta…
E sì… perché nella domanda era stato ​inserito nel nucleo familiare anche il marito, attualmente detenuto… ed allora la signora correggendo quanto erroneamente presentato, aveva formulato una seconda istanza, che con molta naturalezza, stava procedendo rispettando quanto prevede la normativa e cioè, un sostegno a tutte quelle famiglie con ISEE inferiore a seimila euro!!!
Scoperta la notizia… (qualcuno avrà informato gli organi di stampa…) si è bloccata immediatamente la procedura e come sempre avviene in questo nostro paese, si è andati alla ricerca del “capro espiatorio”, dando inizio a un’indagine interna…
D’altronde perché meravigliarsi…
Anche in passato, la figlia del “Capo dei Capi” aveva chiesto il bonus bebè ai commissari che amministravano il Comune di Corleone, sciolto per mafia, i quali… leggendo quel cognome, Riina, manifestarono il loro dissenso!!!
Ed allora stranamente – vista la tempestività con cui è giunta la notizia – lo Stato si sbraccia e presenta il conto alla famiglia di Totò Riina per le spese sostenute per il mantenimento in carcere, ben 2 milioni di euro!!!
Certo la famiglia ha fatto sapere che non ha intenzione di pagare, anche perché non e’ tenuta a farlo, avendo rinunciato a suo tempo, all’eredità del padre….
Certo, l’azione compiuta potrebbe essere la prima di una serie di provvedimenti che a breve verranno adottati dallo Stato, per contrastare tutte quelle iniziative dei parenti di familiari mafiosi, che vanno alla ricerca di contributi e/o fondi destinati a sostegno delle famiglie indigenti… 
La normativa si sa, esclude oggi che gli eredi dei condannati, debbano procedere a rimborsare le spese occorse per il mantenimento in carcere dei familiari defunti, ma con questa iniziativa lo Stato, sospende qualsivoglia principio di richiesta eventualmente formulata… facendo diventare di fatto, quell’idea di richiesta un atto dovuto!!!
Ciò che nessuno però dice e che quei nostri capimafia – mi riferisco a quelli reali e non quei nomi mitizzati nell’immaginario collettivo – non hanno alcuna dimestichezza o per meglio dire capacità in operazioni finanziarie e quindi dietro quei loro investimenti, vi sono veri e propri professionisti, individui che operano affinché quel denaro ricevuto (quasi sempre di provenienza illecita) venga da loro valorizzato, non solo attraverso quelle classiche modalità di riciclaggio ben conosciute, ma con investimenti finanziari che promettono alti tassi di interesse e bassi rischi sul capitale ricevuto…
Comprenderete come i problemi sorgano quando quegli speculatori, per pagare quegli interessi nettamente superiori alla media bancaria, saranno costretti a reinvestire il denaro sporco in settori ultra speculativi della finanza internazionale, con risultati che però a volte risultano di fatto disastrosi, non solo per le rendite andate in fumo, ma soprattutto per la vita stessa di quegli speculatori, che dovranno così fare i conti con la vendetta di quei loro sovvenzionatori… 
Ed allora leggendo quelle richieste dello Stato – per le spese da esso sostenute – mi viene da sorridere, perché come ricercare un ago in un pagliaio…
Ma d’altronde ditemi: qualcuno realmente pensava che quei familiari conservassero in semplici c/c bancari tutti i loro patrimoni finanziari o forse non è lecito pensare che li abbiano depositati in conti cifrati, in uno dei tanti paradisi fiscali???
Ma si sa, forse qualcuno di quei funzionari si augura che il detto “la speranza è l’ultima a morire”, possa realmente realizzarsi!!!

Certo, dover apprendere che anche all'interno della Prefettura vi siano funzionari corrotti, fa rabbrividire!!!

Mazzette, mazzette e ancora mazzette …
Per fortuna questa volta la corruzione riguarda il responsabile dell’Ufficio cittadinanza della Prefettura di Reggio Emilia ed anche un titolare di una agenzia di pratiche per stranieri di Guastalla…
La Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Emilia, ha scoperto un presunto sistema di corruzione per l’ottenimento della cittadinanza italiana!!!
Secondo le indagini, la funzionaria dell’Ufficio cittadinanza della Prefettura di Reggio Emilia s’interessava di far ottenere permessi di cittadinanza previo compenso economico… 
Ora, a seguito dell’indagine è stata arrestata dalla polizia e si trova agli arresti domiciliari…
La dottoressa che ovviamente era in partenza per le vacanze, è stata accusata di corruzione per aver chiesto e ottenuto “mazzette” da alcuni stranieri, per agevolare le pratiche di ottenimento della cittadinanza italiana!!!
Dalle indagini è emerso un sistema corruttivo per il quale sono destinatari di misure cautelari anche due fratelli pakistani (titolari di pratiche di cittadinanza per stranieri), ed anche una donna marocchina (anche lei titolare di uno studio specializzato)
Le intercettazioni video hanno evidenziato il passaggio di banconote (infilate dentro un fascicolo), nell’ufficio della dottoressa…
Oltre alle misure cautelari personali, sono in corso di esecuzione anche misure patrimoniali… 
E stato scoperto che nel corso degli ultimi tre anni sui conti correnti personali della funzionaria arrestata  sono emersi oltre 116.000 euro di versamenti in contanti!!!
Certo ora la Prefettura si è messa a disposizione degli Organi inquirenti, dichiarando: “Affinché vengano definite con certezza le responsabilità”
Peccato che come sempre… nessuno si accorge mai di nulla, ne chi avrebbe dovuto verificare l’operati di quei funzionari e neppure i colleghi, che il più delle volte fanno fonta di non vedere oppure si ritrovano ad essere anch’essi collusi,  nellapplicare quelle metodologie corruttive…
Ciò che maggiormente mi preoccupa è pensare che se questo stesso sistema criminale operato dai nostri funzionari pubblici, fosse stato compiuto anche in tutte quelle altre prefetture nazionali, in particolare dove la richiesta è maggiore – vedasi ad esempio proprio la nostra isola – a causa del maggior numero di presenza di quegli extracomunitari, quanto si è scoperto oggi, potrebbe rappresentare soltanto la punta di un iceberg… il cui fondo sarebbe difficile da vedere!!!
Avevo scritto proprio ieri sulla tentazione che il denaro produce su molti soggetti e mi ha fatto piacere leggere oggi come proprio Sua santità Papa Francesco, ne abbia affrontato l’argomento… 
Già, avevo fatto riferimento a coloro che operano nel settore pubblico… ed ora abbiamo avuto l’ennesima conferma,  di come, il business illegale, avviene ahimè ad ogni livello e coinvolge tantissime persone, soprattutto quelle che non ti aspetti, come ad esempio quei funzionari dello Stato…
Il problema comunque resta e servono a poco le indagini della Polizia di Stato, se pur necessarie a evidenziare la verità e a condurre alla eventuale condanna di quei soggetti coinvolti…. 
Ma quando poi le pene sono così irrisorie, quando tutta una serie di “azzeccagarbugli” riescono ad evitarle… serve a poco aver limitato quella illegalità, perché il business in tutte le sue forme, continuerà a procedere alle medesime condizioni !!!
Bisogna trovare nuove regole di contrasto… perché quelle attualmente in vigore, fanno – secondo il mio modesto parere –  semplicemente ridere!!!

Certo, dover apprendere che anche all'interno della Prefettura vi siano funzionari corrotti, fa rabbrividire!!!

Mazzette, mazzette e ancora mazzette …
Per fortuna questa volta la corruzione riguarda il responsabile dell’Ufficio cittadinanza della Prefettura di Reggio Emilia ed anche un titolare di una agenzia di pratiche per stranieri di Guastalla…
La Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Emilia, ha scoperto un presunto sistema di corruzione per l’ottenimento della cittadinanza italiana!!!
Secondo le indagini, la funzionaria dell’Ufficio cittadinanza della Prefettura di Reggio Emilia s’interessava di far ottenere permessi di cittadinanza previo compenso economico… 
Ora, a seguito dell’indagine è stata arrestata dalla polizia e si trova agli arresti domiciliari…
La dottoressa che ovviamente era in partenza per le vacanze, è stata accusata di corruzione per aver chiesto e ottenuto “mazzette” da alcuni stranieri, per agevolare le pratiche di ottenimento della cittadinanza italiana!!!
Dalle indagini è emerso un sistema corruttivo per il quale sono destinatari di misure cautelari anche due fratelli pakistani (titolari di pratiche di cittadinanza per stranieri), ed anche una donna marocchina (anche lei titolare di uno studio specializzato)
Le intercettazioni video hanno evidenziato il passaggio di banconote (infilate dentro un fascicolo), nell’ufficio della dottoressa…
Oltre alle misure cautelari personali, sono in corso di esecuzione anche misure patrimoniali… 
E stato scoperto che nel corso degli ultimi tre anni sui conti correnti personali della funzionaria arrestata  sono emersi oltre 116.000 euro di versamenti in contanti!!!
Certo ora la Prefettura si è messa a disposizione degli Organi inquirenti, dichiarando: “Affinché vengano definite con certezza le responsabilità”
Peccato che come sempre… nessuno si accorge mai di nulla, ne chi avrebbe dovuto verificare l’operati di quei funzionari e neppure i colleghi, che il più delle volte fanno fonta di non vedere oppure si ritrovano ad essere anch’essi collusi,  nellapplicare quelle metodologie corruttive…
Ciò che maggiormente mi preoccupa è pensare che se questo stesso sistema criminale operato dai nostri funzionari pubblici, fosse stato compiuto anche in tutte quelle altre prefetture nazionali, in particolare dove la richiesta è maggiore – vedasi ad esempio proprio la nostra isola – a causa del maggior numero di presenza di quegli extracomunitari, quanto si è scoperto oggi, potrebbe rappresentare soltanto la punta di un iceberg… il cui fondo sarebbe difficile da vedere!!!
Avevo scritto proprio ieri sulla tentazione che il denaro produce su molti soggetti e mi ha fatto piacere leggere oggi come proprio Sua santità Papa Francesco, ne abbia affrontato l’argomento… 
Già, avevo fatto riferimento a coloro che operano nel settore pubblico… ed ora abbiamo avuto l’ennesima conferma,  di come, il business illegale, avviene ahimè ad ogni livello e coinvolge tantissime persone, soprattutto quelle che non ti aspetti, come ad esempio quei funzionari dello Stato…
Il problema comunque resta e servono a poco le indagini della Polizia di Stato, se pur necessarie a evidenziare la verità e a condurre alla eventuale condanna di quei soggetti coinvolti…. 
Ma quando poi le pene sono così irrisorie, quando tutta una serie di “azzeccagarbugli” riescono ad evitarle… serve a poco aver limitato quella illegalità, perché il business in tutte le sue forme, continuerà a procedere alle medesime condizioni !!!
Bisogna trovare nuove regole di contrasto… perché quelle attualmente in vigore, fanno – secondo il mio modesto parere –  semplicemente ridere!!!

La "trasparenza" Amministrativa.

Questa sera, presso la Sala Layola della Parrocchia del SS. Crocifisso dei Miracoli, si è tenuto un incontro sul tema: ” La trasparenza amministrativa come diritto di cittadinanza”. 
L’incontro è stato organizzato da Padre Gianni Notari, dove hanno partecipato importanti docenti, presidenti e direttori di Associazioni e Centro Studi…
Riprendendo quanto ha riportato il Dott. Vittorio Alvino (Presidente dell’Associazione Openpolis): “Oggi assistiamo ad un appiattimento piuttosto sistematico dell’ideale sul reale, pensiamo al campo della vita civile, a quando, ad esempio, ci lamentiamo per il fatto che il nostro paese sia tra i più corrotti dell’Unione Europea… preso atto di questo, c’è in atto una costante tendenza a modificare la legge per adeguarla alle pratiche correnti; si ha di conseguenza, un’appiattimento della norma sul fatto, del diritto sul potere, del valore sulla pratica corrente…”.
Riconoscendo quindi la dimensione del diritto di cittadinanza di libertà della stessa trasparenza, diritto di ogni cittadino e la promozione connessa della partecipazione dell’interessato all’attività amministrativa (formulazione questa peraltro dovuta ad un intervento espresso dal Consiglio di Stato), ciò che si tende ad assicurare è l’attuazione dei principi costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento delle Pubbliche Amministrazioni, così come sanciti dall’art.97 della Costituzione   
L’impatto di tale normativa sui rapporti tra le Pubbliche Amministrazioni e i cittadini è dirompente, rispetto ad un arcaico sistema organizzativo delle istituzioni pubbliche basato sull’autoreferenzialità e l’inaccessibilità al mondo esterno…
Infatti, mediante quest’innovazione normativa, non solo si garantisce al cittadino il pieno diritto di prendere visione degli atti di un procedimento, ma soprattutto si condiziona l’intera attività amministrativa che da ora in poi, dovrà ispirarsi a quei principi di trasparenza e legalità…
Per quanto sopra si interseca, anche il diritto di accesso, inteso come quel potere (e/o diritto degli interessati) di richiedere o prendere visione ed eventualmente ottenere (ai sensi dell’art. 22 della legge 241/90), copia dei documenti amministrativi…
Certo quanto scritto sulla carta… avrebbe dovuto trovare disposizione nella pratica ed invece, ad oggi, soltanto il 30% delle Amministrazioni Pubbliche ha assolto all’implementazione dei principi di trasparenza imposti dal decreto in vigore dal 20 aprile 2013 (dati verificati su un campione di enti pubblici monitorati)…
Va aggiunto inoltre che, le richieste di accesso agli atti vengono evase con tempi biblici, ignari probabilmente che qualsiasi azione dell’amministrazione pubblica deve avere tempi certi (la L.241/90 prevede la predeterminazione dei tempi dei procedimenti amministrativi, nonché il termine per l’accesso agli atti dei cittadini).
Inesorabilmente, per molti Enti, sono già arrivate le prime sanzioni per mancato adempimento degli obblighi normativi imposti dal Legislatore in materia di trasparenza…
E difatti, la magistratura a cominciato a sanzionare i comportamenti omissivi e inadempienti, rispetto agli obblighi in tema di piattaforme informatiche, pubblicazione on line e trasparenza amministrativa…
La verità è che il più delle volte, dietro quei comportamenti “omissivi“, si nascondono le tracce di comportamenti “collusivi“, di procedure eseguite affinché si possa giungere a “autorizzazioni” o procedure “correttive” che di fatto violano i principi di legalità e che di conseguenza non possono essere rese pubbliche…
Alle domande dei cittadini si risponde con un silenzio assordante… sia da parte di quei responsabili dell’Amministrazione, ma soprattutto da parte di quelle forze politiche, che coprono costantemente quanto compiuto da alcuni dipendenti “corrotti” all’interno di quelle amministrazioni, ed è il motivo per il quale, non si premurano a fare in modo che le documentazioni richieste agli uffici preposti, possano divenire in maniera celere pubbliche…!!!
La corruzione all’interno di quegli uffici, non è un destino inevitabile… ma un abito culturale!!! 
In tal senso, nella lotta al fenomeno corruttivo, la prevenzione, gioca un ruolo strategico, perché capace di agire sulle occasioni e sui fattori determinanti della corruzione, su quei comportamenti deviati ascrivibili alle zona d’ombra del governo in cui il potere si fa opaco e invisibile.  
Una politica di prevenzione interviene principalmente a livello amministrativo, promuovendo la cultura della trasparenza nella Pubblica Amministrazione. 
La corruzione pubblica si insidia, infatti, nelle amministrazioni che non garantiscono alcuna tracciabilità e soprattutto rendicontazione della propria attività….
E’ questa una verità talmente ovvia che novanta Stati nel mondo, si sono dotati di una legge specifica sulla libertà d’informazione, nota come Freedom of Information Act o meglio “Foia“. 
Il “Foia” garantisce un diritto di accesso totale ai documenti amministrativi, rivelandosi un potente strumento di democrazia e controllo. 
Non a caso, nei paesi in cui la trasparenza è un’abitudine consolidata, il tasso di corruzione pubblica percepita è bassissimo!!!
Quindi, come ho cercato di spiegare questa sera… prima della “trasparenza amministrativa”, bisogna costruire una “trasparenza morale”, in grado di annientare una volta e per tutte, quel culto della “segretezza” nell’attività amministrativa, altrimenti quella “casa di vetro” della Pubblica Amministrazione (tanto decantata durante i vari interventi), lascerà non solo fuori il cittadino, ma soprattutto non permetterà mai ad egli, di poter guardare dentro e partecipare… che poi di fatto è… quanto sta avvenendo nella pratica di tutti i giorni!
Purtroppo da noi… la nozione di trasparenza, per nostra disgrazia, pare essere intrinsecamente e fatalmente oscura!!!
P.s. Mi volevo scusare con la Prof.ssa Nicoletta Parisi (docente di Diritto dell’Unione europea e componente dell’ANAC) in quanto, nel redigere quanto riportato, non avevo menzionato il suo nominativo (durante l’incontro non avevo avuto modo di segnarmi i nomi di quanti avevano partecipato all’incontro…), che vorrei aggiungere, in modo preciso e soprattutto chiaro, è riuscita a spiegare a noi presenti, quel principio fondamentale dell’esercizio della funzione amministrativa.

La libertà è la misura della maturità di un uomo e di una nazione…

La prima definizione di “politica” risale ad Aristotele ed è legata al termine “polis”, che in greco significa la città; politica, secondo il filosofo ateniese, significava l’amministrazione della “polis” per il bene di tutti…

Per Max Weber la politica non è che aspirazione al potere mentre per David Easton essa è la allocazione di valori imperativi (cioè di decisioni) nell’ambito di una comunità.
Ora diciamo che al di là delle definizioni più o meno interessanti, la politica in senso generale, riguarda “tutti” i soggetti facenti parte di una società e non soltanto chi fa politica attiva e quindi esclusiva di chi opera nelle strutture deputate a determinarla.
Per cui  “fa politica” anche chi, subendone ogni giorno gli effetti negativi ad opera di coloro che ne sono istituzionalmente investiti, riesce a scendere in piazza per protestare.
Quanti di Noi invece riteniamo che la politica non ci appartiene o che questa sia soltanto qualcosa di così lontano dalla nostra vita quotidiana, che soltanto quando veniamo chiamati al cosidetto ” voto ” ( quasi sempre richiestoci da qualche amico di turno, che poi appena eletto si dimentica di Noi…) ci ricordiamo di essa…
Ora il problema fondamentale è non come liberarci dalla politica ma da coloro che utilizzano questa, per farne i propri interessi personali…quindi credo che sia venuto il momento di prendere a calci in culo tutti coloro che sia in governo, che in opposizione, dimenticano dei reali bisogni cui il cittadino necessità!
Certamente ognuno di Noi pensa che tutto ciò è soltanto un’utopia…e poi cosa può fare un solo individuo in mezzo a questo mare ” sporco ” dove dal più semplice consigliere fino al più blasonato onorevole ( che di onorevole non possiedono neanche il nome…) ed attorno tutti coloro che per vantaggi ricevuti o in attesa di riceverli sono lì a spingersi con la speranza di coglierne qualche beneficio…Beh, io credo che ognuno di Noi può fare molto innanzittutto cominciando a strappare le proprie tessere di partito…poi continuando con quelle dei sindacati i quali vendono ad uno e all’altro i propri servizi a secondo i benefici personali cui possono attingere ( si ergono a difensori e paladini…ma in realta mediano per trovare scambi per posizioni e/o assunzioni di favore…), ed ancora tutti quei consigli espressi nei quotidiani nelle televisioni, nei libri, ed ancora nelle scuole e nelle chiese…per influenzare la collettività con  pareri che seguono invece proprie ideologie…politiche, religiose, ecc…infatti quando io sono più debole di te, ti chiedo la libertà perché ciò è in accordo con i tuoi princìpi. Quando sono io più forte di te, ti tolgo la libertà perché ciò è in accordo con i miei princìpi. Frank Herbert (1920-1986), scrittore americano.
Quindi, soltanto ed esclusivamente attraverso ” NOI “, passa l’unica strada per dare una svolta a questa situazione cancrenica cui ormai tutti ci siamo adeguati … e quindi credo sia venuto il momento di unirci, farci sentire, proporre nuove soluzioni, adottare anche cominciando attraverso Internet a proporci per realizzare un movimento libero, senza nessuna ideologia partitica, ma con l’unica obbiettivo di risollevare un Paese che ormai ha raggiunto una posizione da Terzo Mondo; il nostro infatti è un finto benessere… dove soltanto pochi stanno realmente bene e dove la stramaggioranza, indebitata, si trova a raggiungere a fine mese la possibilità di sopravvivere!!!
Non è tardi, almeno non per i nostri figli…se cominciamo a costituirci vedrete che fra qualche anno qualcosa cambierà…
 La libertà non sta nello scegliere tra il bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta.
La libertà quindi non è una cosa che si possa dare…ma ognuno di noi la libertà se la deve guadagnare e prendendola ciascuno è libero per quanto lo voglia essere. E come diceva nel film Bravehearth l’attore Mel Gibson…” Ricordatevi che potranno toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai la libertà!” 
Ah, libertà, libertà! Persino un vago accenno, persino una debole speranza che essa sia possibile dà le ali all’anima…