Sì, verso il futuro con fiducia e coraggio…

Ho letto il messaggio che il Presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, ha rivolto ai siciliani in occasione degli auguri di Natale. 

Tra i vari argomenti affrontati, emerge innanzitutto la salute: “Migliorare la sanità pubblica è stata la nostra priorità fin dall’inizio”. 

Schifani ha sottolineato lo stanziamento di 750 milioni di euro destinati a nuovi ospedali, tra cui il Polo pediatrico di Palermo, che si prevede diventi un centro di eccellenza.

Un altro tema trattato è l’emergenza rifiuti; il Presidente ha affermato che “il percorso verso la realizzazione dei termovalorizzatori è ormai tracciato”, delineando una possibile soluzione per superare questa criticità.

Si è poi affrontato il problema della siccità, con l’annuncio che i dissalatori saranno operativi già dalla prossima estate. Una promessa ambiziosa, vista la gravità di questa problematica, che richiede interventi strutturali e immediati.

Nelle politiche sociali, Schifani ha menzionato il sostegno alle famiglie più fragili con il “reddito di povertà”, una misura una tantum pensata per offrire un aiuto concreto e immediato a chi ne ha più bisogno ed ha inoltre anticipato ulteriori iniziative per incentivare i consumi, senza però fornire dettagli specifici.

Tuttavia, nel suo messaggio manca un riferimento fondamentale: il contrasto alla corruzione. Già… nessuna parola sui fondi regionali spesso bersaglio della criminalità organizzata, sulle dinamiche della politica corrotta, sulla mancanza di merito e sul diffuso clientelismo che soffoca lo sviluppo della Sicilia.

In conclusione, Schifani invita i siciliani a guardare al futuro con fiducia: “La strada è ancora lunga, ma sono certo che, uniti, possiamo costruire una Sicilia più forte”. Parole che suonano bene, ma che necessitano di essere accompagnate da fatti concreti.

Non resta che attendere la fine di questo mandato per giudicare quanto di queste promesse sarà realizzato e quanto, invece, rimarrà nel limbo delle buone intenzioni. 

Il tempo ci dirà se si tratterà di un vero cambio di passo o di una semplice reiterazione delle vuote promesse a cui, purtroppo, ci hanno abituato molti dei suoi predecessori…

Sì, verso il futuro con fiducia e coraggio…

Ho letto il messaggio che il Presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, ha rivolto ai siciliani in occasione degli auguri di Natale. 

Tra i vari argomenti affrontati, emerge innanzitutto la salute: “Migliorare la sanità pubblica è stata la nostra priorità fin dall’inizio”. 

Schifani ha sottolineato lo stanziamento di 750 milioni di euro destinati a nuovi ospedali, tra cui il Polo pediatrico di Palermo, che si prevede diventi un centro di eccellenza.

Un altro tema trattato è l’emergenza rifiuti; il Presidente ha affermato che “il percorso verso la realizzazione dei termovalorizzatori è ormai tracciato”, delineando una possibile soluzione per superare questa criticità.

Si è poi affrontato il problema della siccità, con l’annuncio che i dissalatori saranno operativi già dalla prossima estate. Una promessa ambiziosa, vista la gravità di questa problematica, che richiede interventi strutturali e immediati.

Nelle politiche sociali, Schifani ha menzionato il sostegno alle famiglie più fragili con il “reddito di povertà”, una misura una tantum pensata per offrire un aiuto concreto e immediato a chi ne ha più bisogno ed ha inoltre anticipato ulteriori iniziative per incentivare i consumi, senza però fornire dettagli specifici.

Tuttavia, nel suo messaggio manca un riferimento fondamentale: il contrasto alla corruzione. Già… nessuna parola sui fondi regionali spesso bersaglio della criminalità organizzata, sulle dinamiche della politica corrotta, sulla mancanza di merito e sul diffuso clientelismo che soffoca lo sviluppo della Sicilia.

In conclusione, Schifani invita i siciliani a guardare al futuro con fiducia: “La strada è ancora lunga, ma sono certo che, uniti, possiamo costruire una Sicilia più forte”. Parole che suonano bene, ma che necessitano di essere accompagnate da fatti concreti.

Non resta che attendere la fine di questo mandato per giudicare quanto di queste promesse sarà realizzato e quanto, invece, rimarrà nel limbo delle buone intenzioni. 

Il tempo ci dirà se si tratterà di un vero cambio di passo o di una semplice reiterazione delle vuote promesse a cui, purtroppo, ci hanno abituato molti dei suoi predecessori…

La fine di un’era: il destino del governo iraniano è forse segnato?

Gli eventi recenti in Medio Oriente, dalla Siria al Libano, passando per Gaza, mostrano una realtà sempre più complessa e instabile.

Anche in Iran, la tensione è palpabile: il movimento “Donna, Vita, Libertà“, nato dopo la tragica morte di Mahsa Amini nel 2022, continua a risuonare nei cuori di milioni di persone.

Un grido di giustizia, un appello per la libertà, una richiesta di cambiamento che il regime non può più ignorare. Un suggerimento chiaro per i suoi governanti: agire ora, per evitare la stessa fine dell’ex presidente Assad.

La Guida Suprema Ali Khamenei, nel suo ultimo discorso, ha esortato le donne a resistere a quella che definisce una “guerra morbida” orchestrata dai nemici dell’Iran. Tuttavia, il rinvio della controversa legge sull’hijab e la castità mostra che la pressione, sia interna sia internazionale, sta raggiungendo un punto critico.

Questo rinvio appare come una concessione strategica, ma rivela la crescente fragilità di un sistema incapace di rispondere alle richieste del suo popolo.

L’ipocrisia del regime è evidente: da un lato reprime con violenza ogni forma di dissenso, dall’altro accusa il movimento femminile di essere una marionetta nelle mani di potenze straniere. Ma queste accuse non possono oscurare la realtà: le donne iraniane, con il loro coraggio, stanno sfidando un’intera struttura di potere.

Non possiamo dimenticare le similitudini con altri regimi repressivi caduti sotto il peso della volontà popolare. 

Continuare a lodare la resistenza armata di gruppi come Hezbollah, Hamas e Huthi serve ormai a poco!!!

Il vero fronte da affrontare è quello interno: un popolo esasperato dalla corruzione, dalla repressione e dalla mancanza di libertà.

Il tempo del cambiamento sembra essere arrivato. È possibile che il regime iraniano si trovi presto di fronte al suo momento decisivo, forse attraverso una guerra civile o un’ondata di proteste su scala nazionale.

Tuttavia, a differenza delle democrazie instabili emerse da altre rivoluzioni, il popolo iraniano appare pronto a costruire un futuro diverso, fondato su libertà, uguaglianza e soprattutto sul rispetto dei diritti umani.

Il governo in carica sta facendo di tutto per posticipare l’inevitabile. Ma la storia ci insegna che, quando la voce della libertà si alza, nessun regime può spegnerla più.

La fine di un'era: il destino del governo iraniano è forse segnato?

Gli eventi recenti in Medio Oriente, dalla Siria al Libano, passando per Gaza, mostrano una realtà sempre più complessa e instabile.

Anche in Iran, la tensione è palpabile: il movimento “Donna, Vita, Libertà“, nato dopo la tragica morte di Mahsa Amini nel 2022, continua a risuonare nei cuori di milioni di persone.

Un grido di giustizia, un appello per la libertà, una richiesta di cambiamento che il regime non può più ignorare. Un suggerimento chiaro per i suoi governanti: agire ora, per evitare la stessa fine dell’ex presidente Assad.

La Guida Suprema Ali Khamenei, nel suo ultimo discorso, ha esortato le donne a resistere a quella che definisce una “guerra morbida” orchestrata dai nemici dell’Iran. Tuttavia, il rinvio della controversa legge sull’hijab e la castità mostra che la pressione, sia interna sia internazionale, sta raggiungendo un punto critico.

Questo rinvio appare come una concessione strategica, ma rivela la crescente fragilità di un sistema incapace di rispondere alle richieste del suo popolo.

L’ipocrisia del regime è evidente: da un lato reprime con violenza ogni forma di dissenso, dall’altro accusa il movimento femminile di essere una marionetta nelle mani di potenze straniere. Ma queste accuse non possono oscurare la realtà: le donne iraniane, con il loro coraggio, stanno sfidando un’intera struttura di potere.

Non possiamo dimenticare le similitudini con altri regimi repressivi caduti sotto il peso della volontà popolare. 

Continuare a lodare la resistenza armata di gruppi come Hezbollah, Hamas e Huthi serve ormai a poco!!!

Il vero fronte da affrontare è quello interno: un popolo esasperato dalla corruzione, dalla repressione e dalla mancanza di libertà.

Il tempo del cambiamento sembra essere arrivato. È possibile che il regime iraniano si trovi presto di fronte al suo momento decisivo, forse attraverso una guerra civile o un’ondata di proteste su scala nazionale.

Tuttavia, a differenza delle democrazie instabili emerse da altre rivoluzioni, il popolo iraniano appare pronto a costruire un futuro diverso, fondato su libertà, uguaglianza e soprattutto sul rispetto dei diritti umani.

Il governo in carica sta facendo di tutto per posticipare l’inevitabile. Ma la storia ci insegna che, quando la voce della libertà si alza, nessun regime può spegnerla più.

Politica e Dinastie: Spezzare le catene del nepotismo per un futuro di merito.

La politica, quando funziona come dovrebbe, è uno strumento potente per il bene comune.

Tuttavia, è doloroso constatare come troppo spesso essa diventi un terreno fertile per generazioni intere, ciascuna di esse sterile e incompetente.

Parlo di padri, fratelli, figli… sì, intere dinastie che prosperano grazie alla politica, ma che non hanno mai apportato alcun contributo concreto al progresso del Paese!

Questi individui inadeguati non conoscono il merito, non sanno cosa significhi conquistare un risultato con fatica e sacrificio. Hanno sempre vissuto in maniera agiata, beneficiando di privilegi che derivano non tanto dalle loro capacità, quanto dalla loro appartenenza.

Sono il prodotto di un sistema che ha da sempre premiato circostanze come connivenze, raccomandazioni, favoritismi, compromessi… Mi riferisco a tutti quei legami con enti pubblici, associazioni, ordini, fondazioni, logge, e mai a quelle competenze indispensabili. Così, noi cittadini paghiamo il prezzo delle loro carenze.

Alcuni di loro hanno approfittato di gravi circostanze: per esempio, molti hanno fatto carriera grazie alla morte di un familiare per mano della mafia o della criminalità organizzata (la stessa che, grazie allo scambio di voti, ha poi permesso ai loro discendenti di rimanere al potere). Un cinico sfruttamento del dolore e del sacrificio che rende la situazione ancora più amara.

E mentre loro godono di stipendi, vantaggi e potere, la collettività affronta sfide sempre più dure: un sistema sanitario in crisi, un’istruzione trascurata, infrastrutture che crollano, e opportunità per i giovani che si riducono drasticamente.

La verità è che queste generazioni non solo non costruiscono, ma sottraggono risorse preziose che potrebbero migliorare la vita di tutti noi.

È giunto il momento di rifiutare la politica come rendita di posizione, un comodo rifugio per chi non è in grado di contribuire realmente.

È tempo di scendere in piazza, anche per chi, attualmente sovvenzionato da quel sistema che attraverso le briciole ha comprato il loro immobilismo, ha il dovere di alzarsi!

Dobbiamo chiedere responsabilità, trasparenza e merito. Solo così possiamo sperare in un futuro in cui chi governa lo faccia per il bene di tutti, e non solo per il proprio tornaconto.

È tempo di spezzare queste catene di favoritismi e inefficienze, prendere esempio da Paesi più democratici, e pretendere il cambiamento necessario. Il futuro non può più essere affidato a chi si aggrappa al passato, senza offrire nulla di nuovo!

Politica e Dinastie: Spezzare le catene del nepotismo per un futuro di merito.

La politica, quando funziona come dovrebbe, è uno strumento potente per il bene comune.

Tuttavia, è doloroso constatare come troppo spesso essa diventi un terreno fertile per generazioni intere, ciascuna di esse sterile e incompetente.

Parlo di padri, fratelli, figli… sì, intere dinastie che prosperano grazie alla politica, ma che non hanno mai apportato alcun contributo concreto al progresso del Paese!

Questi individui inadeguati non conoscono il merito, non sanno cosa significhi conquistare un risultato con fatica e sacrificio. Hanno sempre vissuto in maniera agiata, beneficiando di privilegi che derivano non tanto dalle loro capacità, quanto dalla loro appartenenza.

Sono il prodotto di un sistema che ha da sempre premiato circostanze come connivenze, raccomandazioni, favoritismi, compromessi… Mi riferisco a tutti quei legami con enti pubblici, associazioni, ordini, fondazioni, logge, e mai a quelle competenze indispensabili. Così, noi cittadini paghiamo il prezzo delle loro carenze.

Alcuni di loro hanno approfittato di gravi circostanze: per esempio, molti hanno fatto carriera grazie alla morte di un familiare per mano della mafia o della criminalità organizzata (la stessa che, grazie allo scambio di voti, ha poi permesso ai loro discendenti di rimanere al potere). Un cinico sfruttamento del dolore e del sacrificio che rende la situazione ancora più amara.

E mentre loro godono di stipendi, vantaggi e potere, la collettività affronta sfide sempre più dure: un sistema sanitario in crisi, un’istruzione trascurata, infrastrutture che crollano, e opportunità per i giovani che si riducono drasticamente.

La verità è che queste generazioni non solo non costruiscono, ma sottraggono risorse preziose che potrebbero migliorare la vita di tutti noi.

È giunto il momento di rifiutare la politica come rendita di posizione, un comodo rifugio per chi non è in grado di contribuire realmente.

È tempo di scendere in piazza, anche per chi, attualmente sovvenzionato da quel sistema che attraverso le briciole ha comprato il loro immobilismo, ha il dovere di alzarsi!

Dobbiamo chiedere responsabilità, trasparenza e merito. Solo così possiamo sperare in un futuro in cui chi governa lo faccia per il bene di tutti, e non solo per il proprio tornaconto.

È tempo di spezzare queste catene di favoritismi e inefficienze, prendere esempio da Paesi più democratici, e pretendere il cambiamento necessario. Il futuro non può più essere affidato a chi si aggrappa al passato, senza offrire nulla di nuovo!

Un Paese diviso tra chi ruba e chi vorrebbe farlo…

“Già… la metà dei cittadini di questo Paese prende mazzette e l’altra parte girano le palle quando non riesce a farlo, con continuo passaggio di gente da un cinquanta percento 50% all’altro, le regole si fanno e si disfano secondo necessità…”.

Un continuo passaggio di persone da un 50% all’altro, in un circolo vizioso che sembra senza fine…

Le regole si fanno e si disfano secondo necessità, piegate al servizio di interessi personali e mai di un bene comune.

La corruzione è diventata la lingua madre di troppi, una prassi che permea ogni livello della società, dai più alti uffici pubblici fino alla vita quotidiana di molti cittadini. 

Si accetta, si tollera, e si partecipa. Una moltitudine di persone sceglie di chiudere un occhio o entrambi, di fare compromessi piuttosto che resistere a un sistema che sembra invincibile.

Ma questo è il punto: è invincibile solo finché lo si accetta!!!

La corruzione prospera nell’indifferenza e nella complicità. Ogni volta che un cittadino sceglie di partecipare o di non opporsi, aggiunge un altro mattone al muro che ci divide da una società più giusta, più equa.

Non è solo una questione di politica o di grandi scandali, è anche nei piccoli gesti quotidiani: una bustarella per accorciare i tempi, una scorciatoia illegale presa per convenienza, un favore fatto non per altruismo ma per costruire una rete di debiti reciproci… 

Così il senso civico si sgretola, e con esso ogni possibilità di costruire un futuro migliore.

E allora viene spontaneo chiedersi: quando smetteremo di accettare che “così vanno le cose”? 

Quando ci renderemo conto che non si può continuare a lamentarsi della corruzione mentre ci si crogiola nella sua ombra? 

Sì… perchè questo Paese ha bisogno di cittadini coraggiosi, non di complici. Ha bisogno di chi non si accontenta di galleggiare in un mare di compromessi, ma è disposto a lottare per emergere in un mondo più pulito. Perché, alla fine, il cambiamento inizia da noi.

Mi accorgo ogni giorno che passa che la strada per il cambiamento è lunga, faticosa, forse non ne vedrò mai la fine, ma qualcosa in me resta tenace, già… la volontà di esser diverso da tutti gli altri, di provare ogni giorno a cambiare questo stato di fatto, di dire no a situazioni ambigue e soprattutto a non dover mediare, anche quando tutto intorno a me sembra farsi pesante: sì… tutto pur di non cedere mai!!!

Un Paese diviso tra chi ruba e chi vorrebbe farlo…

“Già… la metà dei cittadini di questo Paese prende mazzette e l’altra parte girano le palle quando non riesce a farlo, con continuo passaggio di gente da un cinquanta percento all’altro, le regole si fanno e si disfano secondo necessità…”.

Infatti… è proprio un continuo passaggio di persone, da un 50% all’altro, in un circolo vizioso che sembra senza fine.

Ed ancora, le regole si fanno e si disfano secondo necessità, piegate al servizio di interessi personali e mai di un bene comune.

La corruzione è diventata la lingua madre di troppi, una prassi che permea ogni livello della società, dai più alti uffici pubblici fino alla vita quotidiana di molti miei connazionali…. 

Il tutto può esser riassunto in tre parole: si accetta, si tollera, si partecipa!!!

Una moltitudine di persone che sceglie di chiudere un occhio o entrambi, di fare compromessi piuttosto che resistere a un sistema che sembra ormai invincibile.

Ma questo è il punto: è invincibile solo finché lo si accetta!!!

La corruzione prospera nell’indifferenza e nella complicità. Ogni volta che un cittadino sceglie di partecipare o di non opporsi, aggiunge un altro mattone al muro che ci divide da una società più giusta, più equa.

Non è solo una questione di politica o di grandi scandali, è anche nei piccoli gesti quotidiani: una bustarella per accorciare i tempi, una scorciatoia illegale presa per convenienza, un favore fatto non per altruismo ma per costruire una rete di debiti reciproci… 

Così il senso civico si sgretola, e con esso ogni possibilità di costruire un futuro migliore.

E allora viene spontaneo chiedersi: quando smetteremo di accettare che “così vanno le cose”? 

Quando ci renderemo conto che non si può continuare a lamentarsi della corruzione mentre ci si crogiola nella sua ombra? 

Sì… perchè questo Paese ha bisogno di cittadini coraggiosi, non di complici. Ha bisogno di chi non si accontenta di galleggiare in un mare di compromessi, ma è disposto a lottare per emergere in un mondo più pulito. Perché, alla fine, il cambiamento inizia da noi.

Mi accorgo ogni giorno che passa che la strada per il cambiamento è lunga, faticosa, forse non ne vedrò mai la fine, ma qualcosa in me resta tenace, già… la volontà di esser diverso da tutti gli altri, di provare ogni giorno a cambiare questo stato di fatto, di dire no a situazioni ambigue e soprattutto a non dover mediare, anche quando tutto intorno a me sembra farsi pesante: sì… tutto pur di non cedere mai!!!

Carichi pendenti e casellari: l’altra faccia del successo in Sicilia!

Dott. Costanzo, buonasera.

Ho letto ieri sera il suo interessante articolo e ho deciso di scriverle per condividere una riflessione che, credo, possa ampliare il dibattito. Lei tocca un tema cruciale: il problema di questa terra non è più soltanto quello di denunciare, ma quello di far giungere le denunce nelle mani giuste, ammesso che ne esistano ancora di realmente affidabili.

Chi, come me, vive questa terra, percepisce ogni giorno il peso di un sistema che, lungi dal favorire la trasparenza e la legalità, sembra voler avvolgere tutto in una cortina di inefficienza e indifferenza. 

La White list, che dovrebbe rappresentare un argine contro le infiltrazioni mafiose nelle imprese, rischia paradossalmente di includere chi di quell’odore non si è mai liberato. E non è solo la Prefettura a destare preoccupazione: anche la Procura, spesso, sembra restare in silenzio, lasciando che i nodi si stringano sempre di più attorno a una cittadinanza già sfiduciata.

Ma c’è un punto ancor più dolente: la percezione diffusa che, ormai, in pochi siano rimasti disposti a combattere. Quanti cittadini, davvero, sono pronti a fare la propria parte? Quanti, al contrario, scelgono la via più comoda: quella dell’indifferenza, o peggio, della complicità con un sistema corrotto e corruttivo?

Le attuali normative, anziché incentivare la denuncia, spesso agiscono come un muro scoraggiante.

Burocrazia interminabile, tempi infiniti per ottenere una giustizia che, troppo spesso, arriva tardi – ammesso che arrivi – e una società che sembra non saper distinguere più tra vittima e colpevole: tutto questo porta molti a ritrarsi, a desistere, a lasciar perdere.

Mi verrebbe da dire che in Sicilia, i carichi pendenti e i casellari giudiziari “positivi”, fanno curriculum!!!

A questo si aggiunge una desolante constatazione: troppi preferiscono non vedere, girarsi dall’altra parte, accettare quel compromesso che, seppur piccolo, contribuisce ad alimentare un sistema marcio. Il senso civico si svuota e il cittadino, che dovrebbe essere il pilastro della società, si trasforma in un ingranaggio di un meccanismo corrotto.

La domanda, allora, è una sola: possiamo ancora parlare di una speranza di riscatto per questa terra? Esistono ancora quelle “mani giuste” a cui affidare le nostre denunce? La risposta, forse, è sepolta nel coraggio di pochi che, nonostante tutto, continuano a combattere.

Questo è un richiamo, non solo a chi ha il potere di agire nelle istituzioni, ma a tutti noi: cittadini, professionisti, genitori. 

Recuperare il senso del dovere, ricostruire la fiducia, e soprattutto scegliere, ogni giorno, di fare la cosa giusta – anche quando sembra non servire a nulla. Perché solo così possiamo sperare di riaccendere una scintilla in un contesto che sembra aver spento ogni luce.

Lettera firmata

RISPOSTA:
Gentile lettore, la ringrazio di cuore per il suo intervento. Le sue parole, lucide e incisive, non solo arricchiscono il dibattito, ma evidenziano con forza quei nodi critici che troppo spesso rimangono in ombra.

Condivido pienamente la sua analisi: il problema non è più solo denunciare, ma far sì che le denunce arrivino nelle mani giuste, in un contesto dove la sfiducia nelle istituzioni sembra aver scavato un solco sempre più profondo. La sua osservazione sulla White list e sulla latitanza della giustizia è un promemoria doloroso ma necessario: le norme, anziché proteggere, talvolta scoraggiano chi avrebbe il coraggio di esporsi.

Le sue riflessioni sull’indifferenza e sul senso civico sono un richiamo che dovremmo fare nostro ogni giorno. 

Non possiamo più permettere che l’abitudine al compromesso e la rassegnazione prendano il sopravvento.

Mi auguro che voci come la sua possano continuare a farsi sentire e, in qualche modo, ispirare altri a non arrendersi, perché solo con il contributo di cittadini come lei, come me, determinati e disposti a fare la propria parte, che possiamo sperare in un futuro diverso per questa terra.

Quindi, grazie ancora per aver condiviso nel mio blog questo suo pensiero.

Mi permetta di riprendere una sua frase che mi ha particolarmente colpito, quella sul “riaccendere una scintilla“. Da sempre, una riflessione accompagna il mio percorso di vita: chi, nel corso della sua vita, è riuscito ad accendere anche solo una luce, nell’ora più buia di qualcun altro, non è vissuto invano.

Concludo salutandola, con l’auspicio di ricevere presto altri suoi preziosi contributi.

Nicola Costanzo

Carichi pendenti e casellari: l’altra faccia del successo in Sicilia!

Dott. Costanzo, buonasera.

Ho letto ieri sera il suo interessante articolo e ho deciso di scriverle per condividere una riflessione che, credo, possa ampliare il dibattito. Lei tocca un tema cruciale: il problema di questa terra non è più soltanto quello di denunciare, ma quello di far giungere le denunce nelle mani giuste, ammesso che ne esistano ancora di realmente affidabili.

Chi, come me, vive questa terra, percepisce ogni giorno il peso di un sistema che, lungi dal favorire la trasparenza e la legalità, sembra voler avvolgere tutto in una cortina di inefficienza e indifferenza. 

La White list, che dovrebbe rappresentare un argine contro le infiltrazioni mafiose nelle imprese, rischia paradossalmente di includere chi di quell’odore non si è mai liberato. E non è solo la Prefettura a destare preoccupazione: anche la Procura, spesso, sembra restare in silenzio, lasciando che i nodi si stringano sempre di più attorno a una cittadinanza già sfiduciata.

Ma c’è un punto ancor più dolente: la percezione diffusa che, ormai, in pochi siano rimasti disposti a combattere. Quanti cittadini, davvero, sono pronti a fare la propria parte? Quanti, al contrario, scelgono la via più comoda: quella dell’indifferenza, o peggio, della complicità con un sistema corrotto e corruttivo?

Le attuali normative, anziché incentivare la denuncia, spesso agiscono come un muro scoraggiante.

Burocrazia interminabile, tempi infiniti per ottenere una giustizia che, troppo spesso, arriva tardi – ammesso che arrivi – e una società che sembra non saper distinguere più tra vittima e colpevole: tutto questo porta molti a ritrarsi, a desistere, a lasciar perdere.

Mi verrebbe da dire che in Sicilia, i carichi pendenti e i casellari giudiziari “positivi”, fanno curriculum!!!

A questo si aggiunge una desolante constatazione: troppi preferiscono non vedere, girarsi dall’altra parte, accettare quel compromesso che, seppur piccolo, contribuisce ad alimentare un sistema marcio. Il senso civico si svuota e il cittadino, che dovrebbe essere il pilastro della società, si trasforma in un ingranaggio di un meccanismo corrotto.

La domanda, allora, è una sola: possiamo ancora parlare di una speranza di riscatto per questa terra? Esistono ancora quelle “mani giuste” a cui affidare le nostre denunce? La risposta, forse, è sepolta nel coraggio di pochi che, nonostante tutto, continuano a combattere.

Questo è un richiamo, non solo a chi ha il potere di agire nelle istituzioni, ma a tutti noi: cittadini, professionisti, genitori. 

Recuperare il senso del dovere, ricostruire la fiducia, e soprattutto scegliere, ogni giorno, di fare la cosa giusta – anche quando sembra non servire a nulla. Perché solo così possiamo sperare di riaccendere una scintilla in un contesto che sembra aver spento ogni luce.

Lettera firmata

RISPOSTA:
Gentile lettore, la ringrazio di cuore per il suo intervento. Le sue parole, lucide e incisive, non solo arricchiscono il dibattito, ma evidenziano con forza quei nodi critici che troppo spesso rimangono in ombra.

Condivido pienamente la sua analisi: il problema non è più solo denunciare, ma far sì che le denunce arrivino nelle mani giuste, in un contesto dove la sfiducia nelle istituzioni sembra aver scavato un solco sempre più profondo. La sua osservazione sulla White list e sulla latitanza della giustizia è un promemoria doloroso ma necessario: le norme, anziché proteggere, talvolta scoraggiano chi avrebbe il coraggio di esporsi.

Le sue riflessioni sull’indifferenza e sul senso civico sono un richiamo che dovremmo fare nostro ogni giorno. 

Non possiamo più permettere che l’abitudine al compromesso e la rassegnazione prendano il sopravvento.

Mi auguro che voci come la sua possano continuare a farsi sentire e, in qualche modo, ispirare altri a non arrendersi, perché solo con il contributo di cittadini come lei, come me, determinati e disposti a fare la propria parte, che possiamo sperare in un futuro diverso per questa terra.

Quindi, grazie ancora per aver condiviso nel mio blog questo suo pensiero.

Mi permetta di riprendere una sua frase che mi ha particolarmente colpito, quella sul “riaccendere una scintilla“. Da sempre, una riflessione accompagna il mio percorso di vita: chi, nel corso della sua vita, è riuscito ad accendere anche solo una luce, nell’ora più buia di qualcun altro, non è vissuto invano.

Concludo salutandola, con l’auspicio di ricevere presto altri suoi preziosi contributi.

Nicola Costanzo

A Catania cresce l’ombra delle aziende in “odor di mafia”: l’estorsione regna, la denuncia manca!!!

Il fenomeno delle aziende controllate dalla mafia è una realtà sempre più preoccupante nella nostra Sicilia, e in particolare a Catania. Un territorio dove il crimine organizzato non si limita più alle attività illecite tradizionali, ma penetra sempre più profondamente nel tessuto economico legale.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi dell’associazione artigiani e piccole imprese, il volume d’affari annuo delle mafie italiane si attesta attorno ai 40 miliardi di euro. Una cifra impressionante che collocherebbe l’industria del crimine al quarto posto in una ipotetica classifica nazionale, subito dopo colossi come Eni (93,7 miliardi), Enel (92,9 miliardi) e il Gestore dei servizi energetici (55,1 miliardi). Eppure, tale stima è ritenuta sottostimata, poiché non include i proventi derivanti dall’infiltrazione mafiosa nell’economia legale.

Le attività criminali tradizionali, come il narcotraffico, il traffico di armi, lo smaltimento illegale dei rifiuti, le scommesse clandestine, il gioco d’azzardo, l’usura e la prostituzione, continuano a generare profitti ingenti. A queste si aggiungono le infiltrazioni negli appalti pubblici e la gestione opaca delle aziende. 

In Sicilia, oltre 13.000 attività sono considerate a rischio di infiltrazione mafiosa. La situazione è allarmante: secondo recenti analisi, ben il 99% delle imprese locali risulterebbe in qualche modo controllato o condizionato dalle organizzazioni criminali. Chi non si adegua a questo sistema raramente riesce a operare, soprattutto nel settore pubblico o nei grandi appalti, spesso gestiti da “General contractor” legati a società del Nord Italia, ma comunque sotto l’egida mafiosa.

Controlli inefficaci e il fallimento della legalità formale.

Il sistema di controlli, incluso quello delle Prefetture (White list) si rivela inefficace. Basta analizzare le liste delle imprese coinvolte per scoprire come molte di queste, o i loro reali proprietari, abbiano alle spalle procedimenti penali o condanne. Nonostante ciò, queste aziende continuano a operare indisturbate, protette da una rete di connivenze e inefficienze. Si sottoscrivono Protocolli di legalità, si firmano accordi, ma tutto questo rimane sulla carta.

Nel frattempo, sotto gli occhi di tutti, prosperano sistemi fraudolenti resi possibili dalla complicità di funzionari pubblici disonesti. Questi, in cambio di mazzette, chiudono un occhio o facilitano pratiche illecite, garantendo così la perpetuazione del sistema mafioso.

Lavoro nero e violazione delle norme: l’altra faccia del problema.

Un altro aspetto cruciale è il dilagare del lavoro nero e delle pratiche irregolari. Nei cantieri e nelle aziende mancano spesso le minime condizioni di sicurezza, e i processi di qualità e rispetto per l’ambiente vengono sistematicamente ignorati. Tutto questo avviene con la tacita accettazione di una società ormai assuefatta alla corruzione e alla complicità diffusa.

La corruzione: il vero cancro della Sicilia.

Viviamo in una terra contaminata dalla corruzione sistemica, dove molti preferiscono chiudere entrambi gli occhi pur di ottenere un tornaconto personale: una raccomandazione, un posto di lavoro per un familiare, un favore da parte del politico di turno. 

In questo contesto, i valori della legalità e della dignità vengono calpestati, e chi cerca di denunciare o far emergere le verità scomode – come il sottoscritto – si ritrova ahimè isolato, criticato e persino intimidito (senza però ottenere alcun risultato concreto…).

La battaglia per la legalità deve continuare!!!

La situazione è complessa, ma non possiamo rassegnarci. La lotta contro l’illegalità passa anche attraverso la denuncia, la sensibilizzazione e la costruzione di una coscienza collettiva che non tolleri più compromessi. Solo con un impegno condiviso e coraggioso potremo sperare di cambiare davvero le cose.

Catania, come tutta la Sicilia, merita di essere liberata da questa piaga, ma sta a noi cittadini, ognuno nel proprio ruolo, fare la differenza e non cedere mai alla paura e ancor meno all’indifferenza generale.

A Catania cresce l’ombra delle aziende in “odor di mafia”: l'estorsione regna, la denuncia manca!!!

Il fenomeno delle aziende controllate dalla mafia è una realtà sempre più preoccupante nella nostra Sicilia, e in particolare a Catania. Un territorio dove il crimine organizzato non si limita più alle attività illecite tradizionali, ma penetra sempre più profondamente nel tessuto economico legale.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi dell’associazione artigiani e piccole imprese, il volume d’affari annuo delle mafie italiane si attesta attorno ai 40 miliardi di euro. Una cifra impressionante che collocherebbe l’industria del crimine al quarto posto in una ipotetica classifica nazionale, subito dopo colossi come Eni (93,7 miliardi), Enel (92,9 miliardi) e il Gestore dei servizi energetici (55,1 miliardi). Eppure, tale stima è ritenuta sottostimata, poiché non include i proventi derivanti dall’infiltrazione mafiosa nell’economia legale.

Le attività criminali tradizionali, come il narcotraffico, il traffico di armi, lo smaltimento illegale dei rifiuti, le scommesse clandestine, il gioco d’azzardo, l’usura e la prostituzione, continuano a generare profitti ingenti. A queste si aggiungono le infiltrazioni negli appalti pubblici e la gestione opaca delle aziende. 

In Sicilia, oltre 13.000 attività sono considerate a rischio di infiltrazione mafiosa. La situazione è allarmante: secondo recenti analisi, ben il 99% delle imprese locali risulterebbe in qualche modo controllato o condizionato dalle organizzazioni criminali. Chi non si adegua a questo sistema raramente riesce a operare, soprattutto nel settore pubblico o nei grandi appalti, spesso gestiti da “General contractor” legati a società del Nord Italia, ma comunque sotto l’egida mafiosa.

Controlli inefficaci e il fallimento della legalità formale.

Il sistema di controlli, incluso quello delle Prefetture (White list) si rivela inefficace. Basta analizzare le liste delle imprese coinvolte per scoprire come molte di queste, o i loro reali proprietari, abbiano alle spalle procedimenti penali o condanne. Nonostante ciò, queste aziende continuano a operare indisturbate, protette da una rete di connivenze e inefficienze. Si sottoscrivono Protocolli di legalità, si firmano accordi, ma tutto questo rimane sulla carta.

Nel frattempo, sotto gli occhi di tutti, prosperano sistemi fraudolenti resi possibili dalla complicità di funzionari pubblici disonesti. Questi, in cambio di mazzette, chiudono un occhio o facilitano pratiche illecite, garantendo così la perpetuazione del sistema mafioso.

Lavoro nero e violazione delle norme: l’altra faccia del problema.

Un altro aspetto cruciale è il dilagare del lavoro nero e delle pratiche irregolari. Nei cantieri e nelle aziende mancano spesso le minime condizioni di sicurezza, e i processi di qualità e rispetto per l’ambiente vengono sistematicamente ignorati. Tutto questo avviene con la tacita accettazione di una società ormai assuefatta alla corruzione e alla complicità diffusa.

La corruzione: il vero cancro della Sicilia.

Viviamo in una terra contaminata dalla corruzione sistemica, dove molti preferiscono chiudere entrambi gli occhi pur di ottenere un tornaconto personale: una raccomandazione, un posto di lavoro per un familiare, un favore da parte del politico di turno. 

In questo contesto, i valori della legalità e della dignità vengono calpestati, e chi cerca di denunciare o far emergere le verità scomode – come il sottoscritto – si ritrova ahimè isolato, criticato e persino intimidito (senza però ottenere alcun risultato concreto…).

La battaglia per la legalità deve continuare!!!

La situazione è complessa, ma non possiamo rassegnarci. La lotta contro l’illegalità passa anche attraverso la denuncia, la sensibilizzazione e la costruzione di una coscienza collettiva che non tolleri più compromessi. Solo con un impegno condiviso e coraggioso potremo sperare di cambiare davvero le cose.

Catania, come tutta la Sicilia, merita di essere liberata da questa piaga, ma sta a noi cittadini, ognuno nel proprio ruolo, fare la differenza e non cedere mai alla paura e ancor meno all’indifferenza generale.

Che schifo: ministri e sottosegretari (non eletti) di questo governo si aumentano di 7000 euro lo stipendio, mentre chi ha meno deve stringere ancora più la cinghia!!!!

In un paese dove la disuguaglianza sociale cresce ogni giorno, il governo ha appena deciso un aumento di 7.000 euro al mese per ministri e sottosegretari non eletti, già ben retribuiti, ai quali si aggiungono altri 1.200 euro per spese telefoniche e viaggi. 

E intanto…

Le pensioni minime restano ferme, nonostante l’inflazione.

Le tasse aumentano su voli e giochi online, pesando soprattutto sulle famiglie comuni.

Gli strumenti per semplificare la vita fiscale dei cittadini si rivelano inefficaci.

Questa ulteriore decisione del Governo Meloni non è solo uno schiaffo morale, ma è la dimostrazione di un sistema che continua a dare a chi ha già tanto e a ignorare chi ha davvero bisogno.

Il messaggio è chiaro: se appartieni alle classi meno abbienti, puoi solo rassegnarti a un futuro sempre più incerto, mentre se ti trova nei palazzi del potere ti vengono concessi privilegi, bonus e spese da danno della collettività.

Cosa aggiungere, osservando quanto accade ogni giorno in questo nostro “democratico” Paese, non possiamo che sperare in una rivoluzione, già… come quella appena compiuta in Siria!!! 

D’altronde ditemi: fino a quando sarà accettabile tollerare un’Italia così sbilanciata? Non è forse giunto il momento di dire basta a tutte queste indegne ingiustizie?

Che schifo: ministri e sottosegretari (non eletti) di questo governo si aumentano di 7000 euro lo stipendio, mentre chi ha meno deve stringere ancora più la cinghia!!!!

In un paese dove la disuguaglianza sociale cresce ogni giorno, il governo ha appena deciso un aumento di 7.000 euro al mese per ministri e sottosegretari non eletti, già ben retribuiti, ai quali si aggiungono altri 1.200 euro per spese telefoniche e viaggi. 

E intanto…

Le pensioni minime restano ferme, nonostante l’inflazione.

Le tasse aumentano su voli e giochi online, pesando soprattutto sulle famiglie comuni.

Gli strumenti per semplificare la vita fiscale dei cittadini si rivelano inefficaci.

Questa ulteriore decisione del Governo Meloni non è solo uno schiaffo morale, ma è la dimostrazione di un sistema che continua a dare a chi ha già tanto e a ignorare chi ha davvero bisogno.

Il messaggio è chiaro: se appartieni alle classi meno abbienti, puoi solo rassegnarti a un futuro sempre più incerto, mentre se ti trova nei palazzi del potere ti vengono concessi privilegi, bonus e spese da danno della collettività.

Cosa aggiungere, osservando quanto accade ogni giorno in questo nostro “democratico” Paese, non possiamo che sperare in una rivoluzione, già… come quella appena compiuta in Siria!!! 

D’altronde ditemi: fino a quando sarà accettabile tollerare un’Italia così sbilanciata? Non è forse giunto il momento di dire basta a tutte queste indegne ingiustizie?

Controllo del territorio in Sicilia: i fatti mi danno ragione!

A inizio anno avevo pubblicato un post in cui esprimevo le mie perplessità sulla mancanza di un serio coordinamento per il controllo del territorio in Sicilia.

In particolare, segnalavo l’evidente facilità con cui enormi quantitativi di sostanze stupefacenti giungano ogni giorno dalla Calabria alla nostra isola senza essere intercettati.

Ora, a distanza di mesi, quanto denunciavo a inizio anno – vedasi link: https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/01/controllo-del-territorio-in-sicilia.html – si è purtroppo dimostrato tristemente reale.

Difatti, le recenti indagini della Guardia di Finanza hanno confermato come lo Stretto di Messina rappresenti una cruciale via di transito per il traffico di droga!

Secondo quanto emerso, i corrieri utilizzavano auto a noleggio modificate con sofisticati doppi fondi per trasportare la cocaina lungo la tratta Reggio Calabria-Messina-Palermo; questo sistema, consolidato nel tempo, generava un giro d’affari di oltre 10 milioni di euro all’anno.

Come da me ipotizzato, si è scoperto che i traghetti erano il mezzo preferito dai narcotrafficanti, con le auto che venivano imbarcate e poi scaricate sul suolo siciliano senza alcun controllo efficace.

Avevo a suo tempo suggerito che con misure semplici ma mirate – come l’uso di unità cinofile, controlli a bordo dei traghetti e il rafforzamento della sorveglianza nei principali porti d’accesso – si sarebbe potuto limitare questo flusso. Misure, però, che evidentemente non sono state adottate.

È sconfortante vedere come una strategia tanto elementare sia stata ignorata, permettendo alla criminalità organizzata di prosperare e ampliare il proprio business.

Forse, come avevo già sottolineato, non è solo una questione di disorganizzazione o incompetenza, ma di un sistema che preferisce “voltarsi dall’altra parte“, come tutto ciò che avviene in questa terra “corrotta“.

Già… le mie non erano fantasie, ma riflessioni concrete: il controllo del territorio non è solo un tema astratto, ma una necessità fondamentale per garantire la sicurezza e combattere le attività illecite che avvelenano la nostra “Bedda Sicilia“.

Auspico ora che questa vicenda serva da monito e che le autorità finalmente si decidano a intervenire con determinazione.

Minch… ma quanto deve essere evidente una soluzione perché venga attuata?

Controllo del territorio in Sicilia: i fatti mi danno ragione!

A inizio anno avevo pubblicato un post in cui esprimevo le mie perplessità sulla mancanza di un serio coordinamento per il controllo del territorio in Sicilia.

In particolare, segnalavo l’evidente facilità con cui enormi quantitativi di sostanze stupefacenti giungano ogni giorno dalla Calabria alla nostra isola senza essere intercettati.

Ora, a distanza di mesi, quanto denunciavo a inizio anno – vedasi link: https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/01/controllo-del-territorio-in-sicilia.html – si è purtroppo dimostrato tristemente reale.

Difatti, le recenti indagini della Guardia di Finanza hanno confermato come lo Stretto di Messina rappresenti una cruciale via di transito per il traffico di droga!

Secondo quanto emerso, i corrieri utilizzavano auto a noleggio modificate con sofisticati doppi fondi per trasportare la cocaina lungo la tratta Reggio Calabria-Messina-Palermo; questo sistema, consolidato nel tempo, generava un giro d’affari di oltre 10 milioni di euro all’anno.

Come da me ipotizzato, si è scoperto che i traghetti erano il mezzo preferito dai narcotrafficanti, con le auto che venivano imbarcate e poi scaricate sul suolo siciliano senza alcun controllo efficace.

Avevo a suo tempo suggerito che con misure semplici ma mirate – come l’uso di unità cinofile, controlli a bordo dei traghetti e il rafforzamento della sorveglianza nei principali porti d’accesso – si sarebbe potuto limitare questo flusso. Misure, però, che evidentemente non sono state adottate.

È sconfortante vedere come una strategia tanto elementare sia stata ignorata, permettendo alla criminalità organizzata di prosperare e ampliare il proprio business.

Forse, come avevo già sottolineato, non è solo una questione di disorganizzazione o incompetenza, ma di un sistema che preferisce “voltarsi dall’altra parte“, come tutto ciò che avviene in questa terra “corrotta“.

Già… le mie non erano fantasie, ma riflessioni concrete: il controllo del territorio non è solo un tema astratto, ma una necessità fondamentale per garantire la sicurezza e combattere le attività illecite che avvelenano la nostra “Bedda Sicilia“.

Auspico ora che questa vicenda serva da monito e che le autorità finalmente si decidano a intervenire con determinazione.

Minch… ma quanto deve essere evidente una soluzione perché venga attuata?

Calcio Catania: sì… forse qualche errore di valutazione, in buona fede, è stato commesso!

Nel mese di novembre ho scritto una missiva al Presidente della Società Pelligra, esprimendo alcune perplessità riguardo alla decisione di lasciar andare certi ex giocatori, forse con troppa leggerezza. Successivamente, durante la trasmissione televisiva Corner, quelle stesse perplessità sono state confermate, alimentando il dibattito su alcune scelte tecniche e strategiche.

In questi giorni, un articolo del quotidiano La Sicilia è tornato sul tema, sottolineando i successi di alcuni ex calciatori del Catania, come Cicerelli, Cianci e Di Carmine, che ora stanno brillando con le loro nuove squadre. Si riconosce che sono stati commessi errori di valutazione, ma l’attenzione deve ora concentrarsi sulle prossime gare e sulle opportunità di mercato che si apriranno a breve.

Il quotidiano avverte: “Sarà un mercato non di rivoluzione, altrimenti si rischierebbe di ripetere gli errori dell’anno scorso. Servono cinque rinforzi, ma è necessario anche alleggerire il gruppo dei fuori rosa”. A questo si aggiunge il caso di Celli, definito un “errore considerevole”: inizialmente escluso, poi reintegrato, ma sfortunatamente subito infortunato.

Un tema altrettanto delicato è il rapporto tra la squadra e la città. Come riportato nell’articolo di Giovanni Finocchiaro, durante un recente evento sponsorizzato da alcuni giocatori (Bethers, Carpani e Raimo), la partecipazione dei tifosi è stata molto ridotta. Questo dato deve far riflettere, perché senza il sostegno della città, si rischia di rimanere soli.

Molti tifosi attendono segnali concreti da parte del Presidente Ross Pelligra. Personalmente, preferirei non puntare su acquisti onerosi, ma vedere in campo giovani promettenti, come il giovane Forti, che ha suggellato il 5-1 contro il Taranto.

Naturalmente, qualche correttivo da parte della società è necessario. Come ricordato nell’articolo: Catania è una piazza che vive di calcio e passione. È fondamentale ritrovare al più presto la coesione necessaria per affrontare le prossime sfide e riportare entusiasmo tra i tifosi.

Calcio Catania: sì… forse qualche errore di valutazione, in buona fede, è stato commesso!

Nel mese di novembre ho scritto una missiva al Presidente della Società Pelligra, esprimendo alcune perplessità riguardo alla decisione di lasciar andare certi ex giocatori, forse con troppa leggerezza. Successivamente, durante la trasmissione televisiva Corner, quelle stesse perplessità sono state confermate, alimentando il dibattito su alcune scelte tecniche e strategiche.

In questi giorni, un articolo del quotidiano La Sicilia è tornato sul tema, sottolineando i successi di alcuni ex calciatori del Catania, come Cicerelli, Cianci e Di Carmine, che ora stanno brillando con le loro nuove squadre. Si riconosce che sono stati commessi errori di valutazione, ma l’attenzione deve ora concentrarsi sulle prossime gare e sulle opportunità di mercato che si apriranno a breve.

Il quotidiano avverte: “Sarà un mercato non di rivoluzione, altrimenti si rischierebbe di ripetere gli errori dell’anno scorso. Servono cinque rinforzi, ma è necessario anche alleggerire il gruppo dei fuori rosa”. A questo si aggiunge il caso di Celli, definito un “errore considerevole”: inizialmente escluso, poi reintegrato, ma sfortunatamente subito infortunato.

Un tema altrettanto delicato è il rapporto tra la squadra e la città. Come riportato nell’articolo di Giovanni Finocchiaro, durante un recente evento sponsorizzato da alcuni giocatori (Bethers, Carpani e Raimo), la partecipazione dei tifosi è stata molto ridotta. Questo dato deve far riflettere, perché senza il sostegno della città, si rischia di rimanere soli.

Molti tifosi attendono segnali concreti da parte del Presidente Ross Pelligra. Personalmente, preferirei non puntare su acquisti onerosi, ma vedere in campo giovani promettenti, come il giovane Forti, che ha suggellato il 5-1 contro il Taranto.

Naturalmente, qualche correttivo da parte della società è necessario. Come ricordato nell’articolo: Catania è una piazza che vive di calcio e passione. È fondamentale ritrovare al più presto la coesione necessaria per affrontare le prossime sfide e riportare entusiasmo tra i tifosi.

Siria: un momento di svolta tra speranze e incubi.

La caduta del regime di Bashar al-Assad rappresenta un punto di svolta nella storia della Siria. 

Già… dopo anni di oppressione, violazioni e guerra civile, il crollo di un sistema autoritario potrebbe apparire come una vittoria per chi ha lottato per la libertà, tuttavia, ciò che accade dopo la caduta di un regime è spesso altrettanto importante di quanto accaduto prima.

La storia ci insegna che il vuoto lasciato da un dittatore non sempre viene riempito da un sistema migliore.

 L’Afghanistan, la Libia e l’Iraq ci offrono tristi esempi di come la caduta di un regime oppressivo possa essere seguita da anni di caos, violenza e nuove forme di oppressione. 

Sì… perché quando al potere emergono figure o movimenti che promettono stabilità a scapito della libertà, i sogni di democrazia e giustizia rischiano di svanire rapidamente.

Ecco perchè la situazione in Siria è ora particolarmente delicata, poichè con il crollo del regime di Assad, il Paese è frammentato e conteso da una miriade di attori: fazioni estremiste, comunità locali, minoranze etniche e potenze regionali e globali che perseguono i propri interessi. 

Tra questi spicca proprio Ha’yat Tahrir al-Sham, che, sebbene cerchi di mostrarsi moderata e di proporsi come forza di governo, porta con sé un passato e una visione politica che difficilmente si conciliano con i principi di pluralismo, diritti umani e inclusività.

Ciò che difatti preoccupa maggiormente è il destino delle minoranze e dei gruppi più vulnerabili. 

Sono molte infatti le comunità – dagli armeni ai cristiani, dai curdi ad altre minoranze religiose – che stanno per lasciare il Paese per timore di persecuzioni. 

Questo esodo riflette in modo chiaro la profonda sfiducia in queste nuove leadership, ma soprattutto impoverisce ulteriormente il tessuto sociale rendendo più difficile immaginare un futuro di pace e convivenza.

Le lezioni del passato ci mostrano che un cambiamento di leadership non può limitarsi a un semplice ricambio al vertice…

La Siria ha bisogno di un processo di transizione che tenga conto delle aspirazioni di tutti i suoi cittadini, inclusi coloro che hanno sofferto sotto il regime di Assad e coloro che temono le nuove fazioni al potere. La comunità internazionale deve assumersi la responsabilità di evitare che questo momento storico si trasformi in un nuovo incubo per il popolo siriano.

Stabilità e sicurezza non devono essere imposte a costo della libertà. Il rischio è quello di assistere alla nascita di un nuovo regime autoritario, che potrebbe essere persino più brutale e repressivo di quello appena caduto. La Siria non può permettersi di ripetere questo ciclo di oppressione.

È fondamentale quindi che si lavori per costruire un futuro in cui la democrazia, il rispetto dei diritti umani e la convivenza pacifica diventino realtà tangibili e non semplici slogan. 

Certo, la strada è lunga e piena di ostacoli, ma non possiamo abbandonare il popolo siriano proprio ora, quando il loro destino è più incerto che mai.

Siria: un momento di svolta tra speranze e incubi.

La caduta del regime di Bashar al-Assad rappresenta un punto di svolta nella storia della Siria. 

Già… dopo anni di oppressione, violazioni e guerra civile, il crollo di un sistema autoritario potrebbe apparire come una vittoria per chi ha lottato per la libertà, tuttavia, ciò che accade dopo la caduta di un regime è spesso altrettanto importante di quanto accaduto prima.

La storia ci insegna che il vuoto lasciato da un dittatore non sempre viene riempito da un sistema migliore.

 L’Afghanistan, la Libia e l’Iraq ci offrono tristi esempi di come la caduta di un regime oppressivo possa essere seguita da anni di caos, violenza e nuove forme di oppressione. 

Sì… perché quando al potere emergono figure o movimenti che promettono stabilità a scapito della libertà, i sogni di democrazia e giustizia rischiano di svanire rapidamente.

Ecco perchè la situazione in Siria è ora particolarmente delicata, poichè con il crollo del regime di Assad, il Paese è frammentato e conteso da una miriade di attori: fazioni estremiste, comunità locali, minoranze etniche e potenze regionali e globali che perseguono i propri interessi. 

Tra questi spicca proprio Ha’yat Tahrir al-Sham, che, sebbene cerchi di mostrarsi moderata e di proporsi come forza di governo, porta con sé un passato e una visione politica che difficilmente si conciliano con i principi di pluralismo, diritti umani e inclusività.

Ciò che difatti preoccupa maggiormente è il destino delle minoranze e dei gruppi più vulnerabili. 

Sono molte infatti le comunità – dagli armeni ai cristiani, dai curdi ad altre minoranze religiose – che stanno per lasciare il Paese per timore di persecuzioni. 

Questo esodo riflette in modo chiaro la profonda sfiducia in queste nuove leadership, ma soprattutto impoverisce ulteriormente il tessuto sociale rendendo più difficile immaginare un futuro di pace e convivenza.

Le lezioni del passato ci mostrano che un cambiamento di leadership non può limitarsi a un semplice ricambio al vertice…

La Siria ha bisogno di un processo di transizione che tenga conto delle aspirazioni di tutti i suoi cittadini, inclusi coloro che hanno sofferto sotto il regime di Assad e coloro che temono le nuove fazioni al potere. La comunità internazionale deve assumersi la responsabilità di evitare che questo momento storico si trasformi in un nuovo incubo per il popolo siriano.

Stabilità e sicurezza non devono essere imposte a costo della libertà. Il rischio è quello di assistere alla nascita di un nuovo regime autoritario, che potrebbe essere persino più brutale e repressivo di quello appena caduto. La Siria non può permettersi di ripetere questo ciclo di oppressione.

È fondamentale quindi che si lavori per costruire un futuro in cui la democrazia, il rispetto dei diritti umani e la convivenza pacifica diventino realtà tangibili e non semplici slogan. 

Certo, la strada è lunga e piena di ostacoli, ma non possiamo abbandonare il popolo siriano proprio ora, quando il loro destino è più incerto che mai.

Siria nel caos: la fuga di Assad e le mire di Israele e Turchia sui territori strategici.

Le tensioni in Medio Oriente stanno raggiungendo un nuovo picco, con sviluppi drammatici che rischiano di ridisegnare gli equilibri geopolitici della regione. 

Nel fine settimana, le forze di terra israeliane hanno attraversato la zona demilitarizzata al confine tra Israele e Siria, entrando nel Paese per la prima volta dalla guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973. 

L’operazione si inserisce in un contesto di rapidi cambiamenti sul terreno: i ribelli siriani hanno preso il controllo di Damasco, costringendo il presidente Bashar al-Assad a fuggire. Fonti locali confermano che Assad avrebbe lasciato il Paese dirigendosi verso un luogo non specificato, presumibilmente protetto da alleati regionali. La caduta di Damasco segna un punto di svolta in un conflitto decennale e apre nuovi scenari di instabilità.

Secondo le fonti citate, le forze israeliane ora controllano la cima del Monte Hermon, sul lato siriano del confine, oltre a diverse altre località strategiche ritenute essenziali per garantire il controllo della regione. Il Monte Hermon rappresenta un punto chiave sia per la sicurezza militare sia per la superiorità territoriale.

Israele, che ha operato segretamente in Siria per anni, giustifica questa mossa come necessaria per prevenire eventuali attacchi del gruppo militante libanese Hezbollah, sostenuto dall’Iran. 

La caduta di Assad, storico alleato di Teheran, potrebbe però indebolire l’influenza iraniana nella regione, creando un vuoto di potere che sia Israele che altre potenze, come la Turchia, sembrano intenzionate a sfruttare…

Nel frattempo, la Turchia osserva attentamente gli sviluppi con l’obiettivo di espandere la propria influenza nel nord della Siria. Ankara potrebbe tentare di approfittare della situazione per consolidare la sua presenza nelle aree contese, sfruttando il caos politico e militare.

Le preoccupazioni per l’integrità territoriale della Siria sono ora più vive che mai, con attori regionali che premono per ottenere vantaggi strategici. 

Ed infine, l’instabilità continua a peggiorare una situazione umanitaria critica, mentre la comunità internazionale osserva con apprensione una crisi che sembra destinata a ridefinire i confini e le alleanze nella regione.

Vedremo in questi mesi come si evolverà la situazione…

Siria nel caos: la fuga di Assad e le mire di Israele e Turchia sui territori strategici.

Le tensioni in Medio Oriente stanno raggiungendo un nuovo picco con sviluppi drammatici che rischiano di ridisegnare gli equilibri geopolitici della regione. 

Nel fine settimana le forze di terra israeliane hanno attraversato la zona demilitarizzata al confine tra Israele e Siria, entrando nel Paese per la prima volta dalla guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973. 

L’operazione si inserisce in un contesto di rapidi cambiamenti sul terreno: i ribelli siriani hanno preso il controllo di Damasco, costringendo il presidente Bashar al-Assad a fuggire. Fonti locali confermano che Assad avrebbe lasciato il Paese dirigendosi verso un luogo non specificato, presumibilmente protetto da alleati regionali. La caduta di Damasco segna un punto di svolta in un conflitto decennale e apre nuovi scenari di instabilità.

Secondo le fonti citate, le forze israeliane ora controllano la cima del Monte Hermon, sul lato siriano del confine, oltre a diverse altre località strategiche ritenute essenziali per garantire il controllo della regione. Il Monte Hermon rappresenta un punto chiave sia per la sicurezza militare sia per la superiorità territoriale.

Israele, che ha operato segretamente in Siria per anni, giustifica questa mossa come necessaria per prevenire eventuali attacchi del gruppo militante libanese Hezbollah, sostenuto dall’Iran. 

La caduta di Assad, storico alleato di Teheran, potrebbe però indebolire l’influenza iraniana nella regione, creando un vuoto di potere che sia Israele che altre potenze, come la Turchia, sembrano intenzionate a sfruttare…

Nel frattempo, la Turchia osserva attentamente gli sviluppi con l’obiettivo di espandere la propria influenza nel nord della Siria. Ankara potrebbe tentare di approfittare della situazione per consolidare la sua presenza nelle aree contese, sfruttando il caos politico e militare.

Le preoccupazioni per l’integrità territoriale della Siria sono ora più vive che mai, con attori regionali che premono per ottenere vantaggi strategici. 

Ed infine, l’instabilità continua a peggiorare una situazione umanitaria critica, mentre la comunità internazionale osserva con apprensione una crisi che sembra destinata a ridefinire i confini e le alleanze nella regione.

Vedremo in questi mesi come si evolverà la situazione…

Hassad è scappato ma la tragedia siriana resta inalterata con oltre 50.000 sfollati ed una crisi umanitaria inasprita dai conflitti.

In Siria, con la fuga in Russia del presidente Bashar al-Assad, i combattimenti sono finalmente terminati, anche se l’ondata di sofferenza umana non si è ancira arrestata.

Infatti secondo l’ONU, sono oltre 50.000 le persone che erano state costrette ad abbandonare le proprie case e che adesso, in queste ore, stanno provando a rientrare…

Difatti va ricordato come prima della fuga del suo leader, le forze governative siriane, supportate dalla Russia, stavano ancora conducendo raid contro i ribelli filo-turchi, gli stessi che ora stanno per prendere il potere…

Dall’altro canto i raid israeliani e gli scontri tra gruppi rivali filo-turchi e filo-iraniani avevano non poco complicano uno scenario di per se frammentato e drammatico.

Questa ulteriore escalation ha portato peraltro ad una crisi umanitaria gravissima!!! 

Migliaia di famiglie, tra cui donne e bambini, sono senza cibo, medicine e rifugi sicuri. Gli stessi sfollati vivono in condizioni estreme: molti sono ammassati in campi improvvisati, privi di servizi essenziali o ancora intrappolati in zone di conflitto attivo e con il giungere dell’inverno e quindi del freddo aumentano esponenzialmente le sofferenze di chi ha già perso tutto.

Zone come Hama, Aleppo e la valle dell’Eufrate, già devastate dalla guerra, continuano ancora oggi ad essere bersaglio di bombardamenti, accentuando il dolore e il senso di abbandono di una popolazione già martoriata.

La Siria si sa… è un mosaico di interessi regionali e internazionali. La presenza infatti della Russia (e aggiungerei anche degli Stati Uniti) riflette la volontà di entrambe le potenze di mantenere un’influenza strategica nella regione, un elemento che rischia di acuire le tensioni globali tra Mosca e Washington. 

A ciò si aggiungono gli attacchi israeliani contro le infrastrutture legate all’Iran, alimentando il timore che il conflitto siriano possa ancora trasformarsi in un campo di battaglia per uno scontro più ampio tra i due Paesi…

Ripeto… la crisi siriana è soprattutto un dramma umano prima di essere una sfida geopolitica di portata globale!!!

Gli sfollamenti di massa richiedono ora una risposta umanitaria immediata e incisiva e non bastano i soli aiuti internazionali. 

Serve un impegno politico internazionale preciso per far ripartire uno Stato distrutto che, come abbiamo visto in questi lunghi anni, si alimenta principalmente di interessi stranieri, mentre è tempo che si restituisca a quel suo popolo una nuova e soprattutto definitiva, speranza di democrazia!!!

Hassad è scappato ma la tragedia siriana resta inalterata con oltre 50.000 sfollati ed una crisi umanitaria inasprita dai conflitti.

In Siria, con la fuga in Russia del presidente Bashar al-Assad, i combattimenti sono finalmente terminati, anche se l’ondata di sofferenza umana non si è ancira arrestata.

Infatti secondo l’ONU, sono oltre 50.000 le persone che erano state costrette ad abbandonare le proprie case e che adesso, in queste ore, stanno provando a rientrare…

Difatti va ricordato come prima della fuga del suo leader, le forze governative siriane, supportate dalla Russia, stavano ancora conducendo raid contro i ribelli filo-turchi, gli stessi che ora stanno per prendere il potere…

Dall’altro canto i raid israeliani e gli scontri tra gruppi rivali filo-turchi e filo-iraniani avevano non poco complicano uno scenario di per se frammentato e drammatico.

Questa ulteriore escalation ha portato peraltro ad una crisi umanitaria gravissima!!! 

Migliaia di famiglie, tra cui donne e bambini, sono senza cibo, medicine e rifugi sicuri. Gli stessi sfollati vivono in condizioni estreme: molti sono ammassati in campi improvvisati, privi di servizi essenziali o ancora intrappolati in zone di conflitto attivo e con il giungere dell’inverno e quindi del freddo aumentano esponenzialmente le sofferenze di chi ha già perso tutto.

Zone come Hama, Aleppo e la valle dell’Eufrate, già devastate dalla guerra, continuano ancora oggi ad essere bersaglio di bombardamenti, accentuando il dolore e il senso di abbandono di una popolazione già martoriata.

La Siria si sa… è un mosaico di interessi regionali e internazionali. La presenza infatti della Russia (e aggiungerei anche degli Stati Uniti) riflette la volontà di entrambe le potenze di mantenere un’influenza strategica nella regione, un elemento che rischia di acuire le tensioni globali tra Mosca e Washington. 

A ciò si aggiungono gli attacchi israeliani contro le infrastrutture legate all’Iran, alimentando il timore che il conflitto siriano possa ancora trasformarsi in un campo di battaglia per uno scontro più ampio tra i due Paesi…

Ripeto… la crisi siriana è soprattutto un dramma umano prima di essere una sfida geopolitica di portata globale!!!

Gli sfollamenti di massa richiedono ora una risposta umanitaria immediata e incisiva e non bastano i soli aiuti internazionali. 

Serve un impegno politico internazionale preciso per far ripartire uno Stato distrutto che, come abbiamo visto in questi lunghi anni, si alimenta principalmente di interessi stranieri, mentre è tempo che si restituisca a quel suo popolo una nuova e soprattutto definitiva, speranza di democrazia!!!