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La grammatica del potere.


Buonasera. Mentre ascolto i telegiornali, nazionali e regionali, seguo l’inesorabile scandire delle inchieste e mi fermo a considerare la natura di quel potere che ci governa. Si muove attraverso referenti che si interfacciano con meccanismi illegali e silenziosi, quasi invisibili, eppure così profondamente incisivi per la comunità. La sua pressione è costante, simile a quella di un’infezione che si autoriproduce, giorno dopo giorno, senza bisogno di giustificarsi. E allora la domanda sorge spontanea, persistente: quanti altri anni dovremo attendere prima di ribaltare questo stato di fatto?

È proprio questa l’impressione che mi rimane, ascoltando ogni giorno le parole di quei giornalisti che ormai ripetono quelle notizie come se appartenessero alla normalità, come il bollettino meteorologico. E si osservino, quelle “cicale” intervistate, che offendono con la loro presenza le stesse istituzioni che dovrebbero rappresentare. Basta guardare i loro occhi nello schermo per comprendere quanto poco siano limpidi, quanta opacità vi sia nei loro sguardi.

Il dato più assurdo è che i miei connazionali sanno perfettamente che non si tratta di episodi isolati, non sono più responsabilità individuali da isolare e condannare. Quello che avviene da ormai troppo tempo è una pratica consolidata, una sorta di grammatica condivisa del comando. In questo lessico, la corruzione non è più un’anomalia, bensì il modo stesso in cui si parla, si decide, si progetta.

Non provano alcuna vergogna nel commettere certi reati alla luce del sole, o nel celarsi dietro appuntamenti furtivi in luoghi dove si sa non esserci telecamere. Oggi basta sedersi in un bar, mentre si prende un caffè, durante una telefonata amichevole. È in questi momenti, apparentemente innocui, che si decide quella cosiddetta consulenza “tecnicamente necessaria”, quell’incarico che arriva dopo anni di fedeltà silenziosa.

È una corruzione che non ha paura, anzi si espone affinché tutti vedano e, in un certo senso, “comprendano” come stanno le cose. Del resto, questi soggetti sanno bene di poter fare affidamento su chi li sta osservando. Perché anch’essi, compromessi da quel sistema clientelare, sono gli stessi individui che proteggono quella struttura. Non solo con complicità tacite, ma attraverso un’intera architettura di relazioni, di debiti, di promesse non dette ma perfettamente comprese.

Parlo di una corruzione che non imbarazza più nessuno, perché ormai fa parte del contesto. Come il rumore di fondo in un bar, come una porta chiusa in un ufficio pubblico. Sì, come il silenzio dei cittadini che hanno imparato, con il tempo, a non chiedere spiegazioni e soprattutto a non fare domande.

Eppure, tutti sanno cosa vi sta dietro. Vivono ogni giorno quanto avviene nel proprio ambito professionale, sono perfettamente consapevoli del comportamento disonesto che viene messo in campo. Dal più umile lavoratore qualificato al più alto dirigente che si presta a concedere proroghe insensate, dietro una gara fatta su misura, dietro ogni nomina che appare più legata a un ringraziamento che a una competenza.

In tutto ciò che avviene intorno a noi, c’è sempre qualcosa di più grave del semplice malaffare. C’è la costruzione, pezzo dopo pezzo, di un sistema in cui non si vince per merito, ma per appartenenza. Non si cresce per capacità, ma per obbedienza. Non si leggono più i curriculum, e ancor meno si chiede “cosa sai fare”. Perché tutto gira intorno alla persona che ha fissato quel colloquio, la stessa a cui successivamente – a seconda da quale parte della scrivania ci si trova – si dovrà dare, o ricevere, qualcosa.

E così gli anni passano. Senza colpo ferire, si smantella ogni idea di futuro collettivo, di equità sociale, di contrasto all’illegalità. Il tutto viene sostituito da una gestione sterile del presente, in cui il potere non costruisce, non innova, non investe. Semplicemente, come un cancro, si riproduce. Anno dopo anno, progetto dopo progetto, genera dipendenza anziché opportunità, conformismo anziché partecipazione.

Allora mi chiedo: cosa resta a chi, come me, non vuole piegarsi? A chi ancora prova a guardare la propria terra con occhi non rassegnati? Forse nulla. Sì, serve a poco nominare le cose con il loro nome: una corruzione sistemica, diffusa, quotidiana. Resta, è vero, la possibilità di chiedere giustizia, non solo nei tribunali ma anche nelle piazze. Sempre più esigue e con una partecipazione che di solito non nasce dal desiderio di far sentire una voce per il bene comune, ma per un tornaconto esclusivamente personale. Sì… per quell’orticello che minaccia scioperi in cambio di un aumento, di una riforma fiscale, e appena, da quei governi, si ha la certezza di aver ottenuto quanto richiesto, ecco che, prese le briciole, si torna felicemente a casa.

Per fortuna, qualcosa di quella protesta autentica resta. Non nelle parole riportate dalle testate dei giornali o in certe pagine web, solitamente nelle mani di imprenditori fortemente collusi con il sistema, ma nei blog, nei commenti, nelle email che ancora, per fortuna, vengono scambiate tra cittadini liberi e moralmente onesti. Certamente stanchi, ma non ancora rassegnati.

Sì, a noi esigui paladini resta la possibilità di ricordare a tutti quei ragazzi – non ancora infettati dal sistema e, ahimè, a volte dai propri familiari – che la legalità non è un optional morale, ma il fondamento stesso della dignità umana e di una comunità che vuole restare tale. Senza di essa, tutto il resto serve solo da decoro superficiale. Quanto a me, se proprio devo mostrarmi, preferirei esser ricordato come chi ha combattuto per la giustizia sociale, piuttosto che come uno spettatore compiacente.

Perché, in fondo, non è la presenza della corruzione a fare più paura, quella, sapete bene, in forme diverse c’è sempre stata. È la sua normalizzazione a essere spaventosa. Quell’assenza di indignazione, di domande, di quella sana e irriducibile insofferenza che dovrebbe animare chiunque abbia a cuore la vita comune.

Ecco perché continuo a scrivere. Non per ricevere contributi finanziari, né per obbligare il lettore a piegarsi a logiche promozionali. Ancora meno mi serve stimolare clamore o accumulare notorietà. Non sarà mai il numero dei follower a far accrescere la mia, già personale, autostima. Continuo a scrivere per denunciare, per segnalare, per far svergognare qualcuno, o più di uno. Non perché sia certo di riuscire a cambiare questo stato di fatto. Ma perché, finché qualcuno lo fa, qualcosa, da qualche parte, non è ancora morto del tutto.

Caro Salvo (Ficarra), la piazza è vuota, ma io sono qui che ti aspetto!


Ho letto ieri sera un’intervista di Irene Carmina a Salvo Ficarra, e sono state le sue prime parole a colpirmi…

Parlava di un limite, usava la metafora della casa comune, depredata non solo dei suoi valori più preziosi ma persino delle cose più umili, quelle di ogni giorno. A quel punto, diceva Ficarra, scatta qualcosa: ci si chiede, ma un limite non dovrebbe esserci? E la risposta, amara, era che forse quel limite in Sicilia lo abbiamo superato da tempo.

Dopo aver letto quell’intervista con passione, ha serpeggiato in me un interrogativo ancora più amaro, già… le stesse sue parole che vado ripetendo da anni: come mai non siamo ancora scesi in piazza a dire basta, a pretendere che qualcosa, finalmente, cambi? Come mai i miei conterranei non fanno nulla per cambiare questo stato di cose che, da quasi un secolo, infetta questa nostra terra?

Nel 2015 provai a dare una risposta attraverso un post intitolato “È la mafia che ha preso dai siciliani o sono i siciliani che hanno preso dalla mafia?“. Ma risposta non c’era. Forse perché, come scrivevo allora, mi stavo convincendo ogni giorno di più che diventa difficile credere – per la maggior parte dei siciliani – di poter estirpare ciò che da sempre appartiene organicamente al Dna della nostra vita, accettato da oltre un secolo, dal corpo e dalla mente. Potrei dire metaforicamente che è ormai “cosa nostra“!

Scendere in piazza sarebbe bello per cambiare definitivamente questo stato di cose. Ma la verità è che i siciliani l’hanno fatto una sola volta, e parliamo di un tempo lontanissimo: quello dei Vespri. Mi sono ormai convinto che la maggior parte dei miei conterranei è corrotta nell’animo. Non definirei mafiosi tutti i siciliani, sarebbe scorretto e ingiusto; ma la Sicilia non ha nulla a che fare con la mafia? Ahimè non è così, se essa vive, prospera e si sviluppa a macchia d’olio in questo territorio, la colpa principale è proprio dei siciliani.

Osservate i comuni sciolti per mafia, i sindaci coinvolti in inchieste giudiziarie, i deputati, gli assessori, i consiglieri, tutti quegli appartenenti a giunte di partito che, da tempo posti sotto processo, continuano purtroppo a sedere su quelle poltrone. Non voglio ergermi a paladino della giustizia – chi mi conosce sa che è proprio ciò che faccio quotidianamente – ma la verità, senza alcun tono polemico, è che dietro a questa nostra società vi è una parte consistente di miei conterranei che non fa il proprio lavoro in maniera onesta. Opera costantemente nell’illegalità, proprio attraverso i propri incarichi, per ricevere mensilmente un ulteriore tornaconto economico.

Ecco qual è la più pericolosa associazione illegale di questa terra: non la mafia, i mafiosi o i loro familiari. Sono le persone insospettabili, quelle che conosciamo tutti, che detengono il potere sociale, economico e finanziario e rappresentano un vero e proprio cancro per questa terra. Parliamo di una classe dirigente che si fa incantare dalle lusinghe, dalle carriere, dalle promesse di favori e dal denaro messo loro a disposizione, lo stesso con cui alimentano quel mondo corruttivo.

Ai siciliani interessa poco confrontarsi con la mafia, anzi non gli importa minimamente di farne parte. A loro interessa soltanto cosa si può ricevere da essa: approfittare del bisogno di quell’organizzazione per entrare negli appalti pubblici, nei finanziamenti, nella gestione degli interessi imprenditoriali, per ottenere autorizzazioni, concessioni, sfruttare i posti di lavoro offerti, ricevere mazzette, raccogliere quel voto di scambio ottenuto grazie ai consensi sociali di cui essa gode nel territorio.

La Sicilia è bellissima, ma ahimè corrotta nell’animo. Certo, non tutti i siciliani risultano contagiati, ma la maggior parte di essi evidenzia una particolare bramosia che li tiene saldamente soggiogati. La Magistratura ormai ci propina inchieste che conosciamo a memoria, nomi di indagati che hanno la durata di un istante e noi tutti ci siamo stancati di leggere quei nomi. Dice bene Ficarra: in questa storia non c’è proprio nulla di comico, neppure un barlume.

Ma caro Salvo, questa è la società che essi preferiscono: immobile, rassegnata, soprattutto individualista, che tende ad escludere i bisogni della maggioranza, premiando esclusivamente le necessità personali e familiari, il proprio orticello. Perché a questi siciliani non importa la condizione in cui vivono, né ricercano un futuro migliore per i propri figli. Preferiscono subire il fascino dell’agonia, di quell’angoscia vissuta sulla propria pelle, quasi vivendo in attesa di un miracolo.

Basta osservare quanto avviene intorno a noi: una vera e propria negazione sociale che spinge ciascuno verso lo scetticismo, allontanando ogni ipotesi di miglioramento. Una contraddizione latente che cerca in ogni occasione quel consenso politico, quel sistema affaristico e clientelare legato a filo diretto con il mondo illegale, mafioso e consociativo. Ecco la doppia anima dei siciliani: quella a cui non interessa riflettere, quella che pur amando la propria terra non vuole cambiare rotta, che resta elettrice “fedele” di quanti, grazie a quel voto, hanno abusato del potere conferito loro.

Ai siciliani – lo dimostrano nelle votazioni regionali e nazionali – non interessa un cambiamento, una nuova possibilità. In loro non vi è alcuna insofferenza, né fermento di rivoluzione. Non riescono neppure ad aggregare e mobilitare quelle poche forze oneste in grado di spezzare il circuito dell’illegalità e della corruzione. Alla maggior parte di loro non serve: va bene così. Peraltro, non è grazie a quel mondo – e soprattutto a quell’economia sommersa – che riescono a sopravvivere?

Non posso che apprezzare le parole espresse da Ficarra. Sì… sarebbe bello se a quelle parole si potesse dare seguito con i fatti, iniziando a scendere in piazza per farci sentire da chi non vuole ascoltare. 

Io comunque sono già qui, in attesa che anche lui mi raggiunga. Auspico solo che, alla fine, in mezzo a quest’enorme piazza, non saremmo solo in due

“Cà… non si jetta nenti”. Quando il rifiuto diventa business!

C’è un silenzio strano che accompagna certi autocarri… già sono carichi di qualcosa chiamato “rifiuto”, pericolo e non…

Già…. nessuno li vuole nel proprio Comune, e allora vengono diretti chissà dove, con documenti che forse non quadrano. Ma tanto si sa: nessuno controllerà davvero.

Sì, sembra tutto regolare, tutto in ordine, eppure, dietro quelle procedure si nasconde un movimento furtivo, un percorso che sa come evitare gli sguardi indiscreti.

Dietro ogni bidone, ogni tonnellata di materiale, ogni discarica – autorizzata o no – c’è un giro di soldi che fa invidia ai principali indici mondiali. E non parlo di pochi euro, ma di milioni. Milioni che si muovono tra le pieghe di un sistema che, sulla carta, dovrebbe proteggerci, ma che in realtà, costantemente, ci tradisce.

Il rifiuto, in fondo, è solo un errore di prospettiva. Per qualcuno è immondizia; per altri, è materia prima. E quando quella materia prima non ha un prezzo stabilito, quando il suo valore dipende da chi la smaltisce, da chi la ricicla, o da chi, ancor peggio, la brucia o la seppellisce illegalmente… ecco che diventa terreno fertile per chi sa muoversi nell’ombra.

Non importa di cosa si tratti. L’importante è che qualcuno paghi per farla sparire. E chi riesce a farla sparire – anche se lo fa male, anche se la nasconde in un campo invece che in un impianto autorizzato – intasca. E ahimè, intasca bene!

Ecco così che nascono le discariche abusive, scavate nel terreno come fossero tombe per la dignità di un territorio. Ecco sorgere falsi impianti di riciclaggio, dove il materiale non viene mai lavorato, ma solo accumulato, per poi sparire di nuovo o essere rivenduto per riempimenti, colmate, e via discorrendo. E così, mentre sulle carte tutto risulta trasformato, rigenerato, reinserito nel ciclo produttivo… quel materiale misteriosamente svanisce.

Per far ciò, nascono società fantasma: niente autocarri, niente dipendenti, men che meno stabilimenti. Eppure emettono fatture, mensilmente, appoggiandosi ad autorizzazioni ottenute con nomi prestati, documenti taroccati e, soprattutto, funzionari compiacenti.

E così, mentre questo sistema marcio gira, l’ambiente si ammala, l’acqua si inquina, l’aria diventa veleno. E nessuno alza la voce. Sì, perché qualcuno, da qualche parte, sta guadagnando troppo. E non ha alcuna intenzione di fermarsi.

Eppure, il problema non è solo di chi smaltisce il rifiuto, è di chi decide cosa farne, e soprattutto di come si controlla la sua tracciabilità. Perché dietro ogni tonnellata di rifiuto c’è un appalto, una gara, una commessa che può valere milioni e milioni di euro. E quando i controlli sono deboli, quando chi dovrebbe vigilare chiude un occhio – anzi, tutti e due – allora il crimine organizzato capisce in fretta che gestire i rifiuti è più redditizio della cocaina.

Senza confini, senza rischi di sequestri, con coperture legali che durano anni. Basta un autocarro, un terreno isolato, uno stabilimento interdetto. Gli si aggiunga un funzionario corrotto… ed ecco, il gioco è fatto. Il rifiuto non è più un problema ambientale: diventa un prodotto. E come ogni prodotto, ha un prezzo. Solo che quel prezzo lo paghiamo noi, in salute, con un paesaggio contaminato: suolo, acqua, aria avvelenati. Non solo: la dispersione di sostanze tossiche rende il territorio inadatto all’agricoltura, creando effetti devastanti sugli ecosistemi.

Ma forse la cosa più amara è che tutto questo accade mentre parliamo di economia circolare, di sostenibilità, di transizione ecologica. Belle parole, progetti ambiziosi. E soprattutto, finanziamenti europei. Fondi ricevuti per il riciclo, incentivi incassati per le energie pulite. Ingenti somme di denaro che finiscono nelle tasche di chi ha imparato a falsificare – persino la coscienza.

Perché il rifiuto, se ben gestito, potrebbe davvero diventare risorsa. Potrebbe ridurre l’inquinamento, creare lavoro vero, alimentare nuove industrie. Ma quando il sistema è infetto, quando la trasparenza è un optional, allora anche la speranza si trasforma in merce di scambio.

E allora, “ca’ non si jetta nenti” diventa una frase amara, ironica, quasi beffarda. Perché in realtà si getta tutto: la legalità, la responsabilità, e soprattutto il futuro!

Si tiene solo il guadagno. Sporco, silenzioso, continuo. Fino a quando qualcuno non deciderà che quell’autocarro illegale non deve più circolare per le nostre strade. Fino a quando qualcuno – onesto e incorruttibile – capirà che il rifiuto non è un affare, ma un dovere.

Perché se quel dovere non inizieremo a rispettarlo, tra un po’ di anni… lo pagheremo tutti. In particolare i nostri figli. E i nostri nipoti.

Rifiuti: business illegale con le abituali complicità e distrazioni dello Stato.

La gestione dei rifiuti rappresenta, oggi più che mai, uno dei settori più appetibili e preoccupanti sotto il profilo dell’illegalità, sì… un vero e proprio “banchetto” imbandito, a cui ovviamente la criminalità organizzata non ha potuto resistere, già… per ovvie ragioni di profitto.
E quindi, in questi anni, ci hanno messo le mani sopra, costruendo un sistema “velato” fatto di imprese affiliate o quantomeno compiacenti, perfettamente oliato, per compiere ogni tipo di operazione fraudolenta.

Questo meccanismo perfetto funziona grazie anche ad una rete di collusioni che spesso include chi, per quieto vivere, per interesse o per pura negligenza, si astiene dal verificare scrupolosamente quei previsti documenti, accettando in tal modo quei predisposti formulari, con un’acquiescenza che sa più di “complicità” che di distrazione.

Forse – ed è questo il dubbio più amaro – perché anche loro fanno parte di quel malaffare, di quel circuito che permette a troppe imprese di intascare migliaia e migliaia di euro in maniera del tutto illegale, avvelenando il territorio e il mercato.

Proprio in questo contesto già torbido, dal 9 agosto 2025, è entrato in vigore il decreto n. 116/2025, che ha cambiato in maniera significativa le regole del gioco. Le nuove norme, sulla carta, mirano a colpire duramente le illegalità con sanzioni così severe da poter mettere in ginocchio intere aziende.

Ma viene da chiedersi se questo inasprimento punitivo sia davvero finalizzato a ripulire il settore o se, in un modo perverso, rischi di alimentare ancora di più il giro d’affari illecito, spingendo gli operatori disonesti a trovare stratagemmi sempre più sofisticati per eludere i controlli, magari corrompendo chi quei controlli dovrebbe farli.

Il punto focale è l’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali, che non è più una mera formalità ma un requisito essenziale, con sanzioni che vanno dalla sospensione dell’attività alla cancellazione con divieto di reiscrizione per due anni, il che equivale a una condanna a morte per un’impresa.

Le conseguenze si fanno ancor più personali e gravi quando si parla di documenti. Omissioni o errori nella compilazione di registri e formulari non sono più tollerati e si pagano con multe salatissime, mentre i conducenti rischiano la sospensione della patente.

Il trasporto di rifiuti pericolosi senza la corretta documentazione diventa addirittura un reato che prevede fino a tre anni di carcere e la confisca del mezzo. È proprio qui che il sospetto si fa più forte: tutta questa trafila burocratica, così rigida e punitiva, non potrebbe essere sfruttata proprio da quel sistema criminale per creare un mercato parallelo di documenti falsi impeccabili, venduti a peso d’oro a chi vuole evitare la galera, arricchendo ancor di più le stesse organizzazioni che il decreto vorrebbe combattere?

Il decreto ha anche inasprito le pene per il trasporto illegale, portando la reclusione fino a cinque anni, e ha esteso le sanzioni persino a comportamenti prima considerati banali, come gettare un mozzicone di sigaretta dal finestrino, rendendo ogni azione potenzialmente sanzionabile attraverso un controllo telecamere sempre più pervasivo.

Il messaggio ufficiale è chiaro: mettersi in regola o essere spazzati via!

Quindi la domanda che rimane, insistente e provocatoria, è: chi trarrà il vero vantaggio da questa selva di regole? Forse proprio coloro che, dall’ombra, offrono la “protezione” per navigarvi dentro, sì… garantendo formulari compilati “a dovere” per qualcuno che – di fatto – non ha poi alcuna intenzione di verificare, perpetuando così quel circolo vizioso di illeciti e corruzione, iniziato da decenni e che sembra non finire mai…

Il messaggio ufficiale – come ormai consuetudine da questo governo nazionale, “persuasivo e propagandistico” – è di compiere una pulizia esemplare (sì come la riforma realizzata sulla “giustizia”…). Ma è un’ironia amara, perché è proprio questo business sporco – grazie alle montagne di denaro che genera – ad offrire loro, la migliore opportunità di ripulirsi. Perché, con quei soldi, si può comprare tutto: il silenzio, i documenti, la distrazione di chi controlla e soprattutto il consenso dei miei connazionali!

Quel denaro è un sapone così potente e profumato che, chi dovrebbe vigilare, impregnato fino al midollo da quelle banconote profumate, non riesce più a vedere lo sporco che ha sotto gli occhi. Resta talmente abbagliato dal lucente riflesso del “sapone” che, ahimè, non distingue più il rifiuto dalla tangente.

Sì… alla fine, l’unica cosa che viene veramente lavata via, è la loro vista!

I nuovi don Lolò: imprigionati nella giara della loro avidità!

Buongiorno a tutti, condivido con voi una riflessione che mi è venuta rileggendo una delle novelle più potenti di Pirandello.
I siciliani disonesti, ladri e soprattutto avidi di potere e denaro, sono come quel don Lolò Zirafa, già… il protagonista della novella di Pirandello, un uomo ossessionato dalla brama del possesso, che vive nella perenne e logorante diffidenza nei confronti del prossimo.

Ma non solo, spinto da quella identità che lo contraddistingue, ha la perenne convinzione che chiunque possa derubarlo, sottraendogli la cosiddetta “roba” a cui ha consacrato tutta la sua esistenza. Ed allora trascorre il suo tempo inseguendo e accanendosi verso chiunque possa intaccare quel suo potere e nel far ciò, dissipa il suo denaro in processi persi in partenza.

Anche il suo legale – che pur si arricchisce grazie alla nevrosi del suo cliente – arriva al punto di non sopportarlo più ed ecco perché quella sua parabola è un monito perfetto e sempre attuale.

Pensate a don Lolò, che dopo aver acquistato una giara enorme per la sua oliva, la trova inspiegabilmente rotta a metà. La sua mente sospettosa lo spinge immediatamente dall’artigiano Zi’ Dima, un uomo di cui, ovviamente, non si fida per niente…

È questa diffidenza patologica a portarlo alla rovina. Non si accontenta del collante proposto da Zi’ Dima per riparare il danno e, convinto di essere furbissimo, lo obbliga a rinforzare tutto con una saldatura di ferro, per paura di essere raggirato. E qui inizia la trappola.

Zi’ Dima, per eseguire quell’ordine insensato, è costretto a entrare nella giara, rimanendovi poi tragicamente intrappolato una volta terminato il lavoro. L’artigiano capisce subito che l’unica via d’uscita è rompere quel vaso, ma si rifiuta di farlo perché non vuole pagare i danni di una colpa che non è sua. Don Lolò, davanti a questa scena, non vede la paradossale disgrazia di un anno, ma solo la minaccia per la sua proprietà.

È ossessionato dal volere un risarcimento per la sua “roba”, esattamente come certa gente oggi è ossessionata dall’apparire ricca e potente a tutti i costi. Alla fine, accecato da un impeto di rabbia incontenibile, è proprio lui a dare il calcio che distrugge la giara.

E così, con le sue stesse mani, don Lolò libera l’artigiano e distrugge il simbolo stesso della sua ricchezza, uscendo sconfitto e beffato. È la perfetta allegoria di un sistema malato dove l’avidità e la diffidenza portano all’autodistruzione.

Come don Lolò, chi vive nell’illegalità e nello sfruttamento dei propri conterranei finisce per ritrovarsi imprigionato nella giara che lui stesso ha costruito, una prigione di terracotta fatta di sospetti, paure e solitudine, dove l’unico modo per uscire sarebbe distruggere tutto ciò che si è accumulato con tanta avidità.

Mi consola profondamente pensare che tutto il frutto della loro vita meschina, quell’accumulo spasmodico di potere e ricchezza, sia destinato a ridursi a nulla, per poi trasformarsi in altro.

Come insegnava Lavoisier: nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Quel potere tanto agognato e difeso con ogni nefandezza, un giorno si dissolverà in polvere, e a beneficiarne non saranno neppure i loro stessi familiari, che non avranno lasciato alcuna stirpe degna di questo nome, ma bensì soggetti totalmente estranei e indifferenti alla loro misera storia.

I raggiri di Ferragosto sono i più esilaranti… peccato non siano una barzelletta!

Ferragosto, si sa, è il periodo della spensieratezza e così, mentre la maggior parte del Paese si gode il sole in spiaggia, il silenzio della montagna o il rumore di una griglia accesa, c’è chi, invece, approfitta di questa tregua collettiva per muoversi nell’ombra…

E no, non sto parlando di fantasmi, ma di raggiri, truffe e abusi che sembrano moltiplicarsi proprio quando gli uffici giudiziari sono ridotti all’osso e le procure lavorano a rilento.

Ho letto alcune notizie in questi giorni sul web che, più che indignarmi, mi fanno sorridere amaramente…

Perché è tutto così prevedibile, eppure nessuno sembra accorgersene. Le forze dell’ordine? Prese tra turni ridotti e emergenze estive. Le procure? Metà in ferie, l’altra metà probabilmente sommersa da pratiche o, peggio, gestita da chi ancora non ha l’esperienza per riconoscere ciò che sta davanti ai suoi occhi.

E difatti, mentre i cittadini credono di vivere in un Paese dove la legalità non va in vacanza, la realtà è ben diversa. Chi vuole agire illegalmente sa benissimo che agosto è il mese perfetto: meno controlli, meno personale, ma soprattutto meno attenzione!

E se per caso qualcuno – già… con il mio stesso acume, ma diversamente da me che non ricopro ruoli istituzionali – si dovesse accorgere di qualcosa che non va… già, cosa fare? Basterà, come al solito, aspettare…

Sì… aspettare che un esposto, magari scritto nei modi e nei tempi imposti dalla Legge Cartabia – quella stessa legge che, guarda caso, sembra fatta apposta per scoraggiare le denunce – giunga sulla sua scrivania. E nel frattempo? Nel frattempo, tutto procede come al solito, con la complicità di chi, invece di vigilare, abbassa lo sguardo o, peggio, finge di non vedere.

Mi chiedo: è davvero solo incapacità? O c’è dell’altro? Perché certe dinamiche sembrano ripetersi con una precisione quasi sospetta. Funzionari compiacenti, pratiche che si perdono nel vuoto, tempistiche che coincidono troppo bene con le assenze dei vertici. E dovrei aggiungere quanto, ahimè, ho scoperto… ma così sarebbe troppo semplice, quantomeno per chi dovrebbe scoprire i raggiri posti in atto.

Continuare ad aiutarli non mi sembra più così corretto: d’altronde, è quello il loro lavoro (sono loro a prendersi le “coccarde”). E quindi, se non sanno compiere bene il proprio lavoro, forse, chissà… dovrebbero cambiarlo!

Già… basterebbe loro ricordare le parole del giudice Borsellino: «A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato».

E così, mentre il sottoscritto scrive questo post, le truffe e i raggiri continuano. E chi si ritrova – da semplice cittadino – a combattere contro questo sistema illegale, resta solo, sì… perché chi dovrebbe proteggerlo, alla fine… gli rema contro.

Ecco perché scrivo. Sì, lo faccio per tutti quei soggetti istituzionali che considerano Ferragosto come il periodo dei bagni, delle grigliate, delle gite al lago o in montagna, mentre invece dovrebbero iniziare a dedicare il proprio tempo a chiedersi cosa succede davvero in questa nostra regione, mentre tutto intorno dorme.

Perché se è vero che la legalità non dovrebbe mai andare in ferie, allora qualcuno dovrebbe spiegare perché, invece, sembra proprio che sia così…

Ovviamente, mi rendo disponibile – come sempre, d’altronde, nei miei ultimi quindici anni – a spiegare a qualche funzionario inquirente cosa sta, ahimè, accadendo. Già… purtroppo sotto gli occhi di tutti. Anzi, no: sotto i loro occhi. Ma forse, ahimè, non se ne sono accorti. O forse – e qui sta il dramma – per muoversi hanno bisogno di un esposto formalmente presentato, altrimenti, di loro iniziativa… non possono agire, già… nemmeno dinnanzi alla più palese delle violazioni!

Ma d’altronde, è questo il Paese che – proprio grazie alla nuova riforma sulla giustizia – si vuole ottenere! Dove ogni denuncia deve superare un percorso a ostacoli degno delle olimpiadi burocratiche, mentre i furbi continuano a fare il bello e il cattivo tempo.

Complimenti vivissimi ai geni che hanno realizzato questo splendido sistema giuridico. Già… che progresso, signori miei… che progresso.

Mafia e antimafia, tra riforme e passi indietro! – Parte terza

Allora, riprendendo nuovamente l’incontro dal punto di vista del nostro Procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, mi piace iniziare da quella sua prima dichiarazione: “chi ha pensato a questo tipo di riforma, non ha la lontana idea di come si svolgono le indagini”. Già… ascoltando questa sua affermazione, non so se ridere o piangere pensando alle conseguenze nefaste che questa nuova riforma comporterà.

Proseguendo – sottolinea il procuratore Ardita – non ci si deve limitare a indagare ‘su’, ma è fondamentale avvalersi ‘anche’ delle intercettazioni telefoniche che, pur non essendo l’unico strumento investigativo, una volta disponibili possono rivelarsi fondamentali. Devono essere usate in modo efficace, altrimenti non ha senso interromperle dopo soli 45 giorni. Significa che se un’indagine preliminare rivela attività sospette in un certo luogo tra determinate persone, e si ha la possibilità legittima di ascoltare cosa si dicono, dopo quei 45 giorni – che passano in un attimo – tutto viene interrotto e il lavoro svolto va perduto.

Ma qui il problema non è tanto il senso della norma, che è abbastanza chiaro a tutti. Il problema è il motivo per cui queste norme vengono fatte. L’idea diffusa è che siano create proprio per ostacolare l’attività giudiziaria. Consentitemi di ribadirlo: queste norme sembrano fatte per creare un argine all’attività giudiziaria! E quanti di voi non hanno pensato la stessa cosa? Già… la verità è che questa è la reale motivazione dietro la riforma.

E allora, il procuratore Ardita chiarisce in modo inequivocabile ciò che io stesso sostenevo ieri su quel “sistema tentacolare e sedimentato”. In fondo, dice Ardita, è la stessa idea che ci siamo fatti guardando la riforma sulla separazione delle carriere. Cioè? Premesso che molte riforme penali sembrano avere un’eterogenesi dei fini – ottenendo risultati opposti a quelli dichiarati – non sappiamo ancora quali saranno gli effetti concreti di alcune di queste modifiche.

Sappiamo però che, per quanto riguarda le intercettazioni, il processo penale subirà un grave indebolimento. Ma ciò che fa più riflettere è che queste riforme siano state ideate da chi, in qualche modo, vuole mettersi al riparo dalle indagini. E questo è il grande equivoco. Perché finché esisterà una classe dirigente che pensa solo a scambiare favori, a intascare tangenti per appalti, a ottenere vantaggi personali da atti amministrativi, sarà sempre in una condizione di debolezza strutturale. Nessuna riforma potrà mai proteggerla.

L’unico modo per essere al riparo è svolgere il proprio lavoro con dignità, passione e onore, servendo lo Stato con integrità. A tal proposito, vale la pena ricordare le parole di Papa Leone XIV nel suo discorso ai parlamentari di 68 Paesi: “La politica non è un mestiere, è una missione di verità e di bene!”.

Ardita prosegue: solo così si può arginare davvero qualsiasi indagine o processo, non certo creando meccanismi di separazione delle carriere o dipendenze dall’Esecutivo, di cui ancora non conosciamo le reali conseguenze. Lo stesso vale per le intercettazioni. Il punto cruciale è capire perché vengono fatte certe riforme. Se l’obiettivo fosse davvero rendere il processo più efficiente o ottenere risparmi, questa non è la strada giusta. Quando entrammo in magistratura, le intercettazioni erano costose, ma oggi il loro costo è pari a quello di una normale telefonata.

Quella che negli anni ’90 era una spesa enorme per intercettare un cellulare, oggi è un costo irrisorio per lo stesso servizio. Quindi è una grande menzogna sostenere che queste riforme servano a risparmiare. Il vero scopo è palesemente quello di limitare l’attività giudiziaria. E questo è un nonsenso, perché ciò che va corretto non sono gli strumenti per contrastare i reati, ma le condotte illecite di chi dovrebbe servire lo Stato.

Purtroppo, dopo questo intervento – come avevo già scritto nel mio primo post – ho dovuto lasciare l’incontro per andare a prendere mia figlia all’aeroporto. Tuttavia, ho potuto seguire il resto della discussione il giorno successivo grazie allo streaming pubblicato a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=JXw2WZ4Bv6Y&t=887s&ab_channel=ANTIMAFIADuemilaTV.

Vi consiglio di ascoltarlo, perché le domande poste ai Procuratori dal giornalista Giuseppe Pipitone de “Il Fatto Quotidiano” sono estremamente rivelatrici. Dimostrano ancora una volta come in questo Paese le leggi non siano fatte per combattere l’illegalità, ma per proteggere quel sistema marcio che, negli ultimi trent’anni, è stato governato da chi ha preso il potere con astuzia e lo ha mantenuto promulgando norme ad personam…

Mafia e antimafia, tra riforme e passi indietro! – Parte seconda.

E allora, continuando con quanto riportato ieri, entro nel merito per esperienza diretta di ciò che accade a un cittadino che decide di compiere il proprio dovere, senza che quest’ultimo abbia alcuna necessità morale di prendere a esempio gli insegnamenti di quegli uomini coraggiosi dello Stato, ricordati nel discorso del procuratore Di Matteo, non solo come vittime della mafia, ma per la loro dedizione e professionalità.

Osservare quella foto in cui due di quei magistrati sono ritratti sorridenti insieme, già… quanti di voi l’avranno vista esposta in bella mostra, quasi fosse un altarino, appesa alle pareti di quegli uffici istituzionali, come se la loro semplice presenza bastasse a motivare moralmente chi vi lavora. Già, se solo un’immagine potesse trasmettere quei veri valori, quel senso di servizio e devozione per l’incarico ricoperto. Ma se andiamo a scavare, scopriamo come la maggior parte di quei soggetti abbia ottenuto quel ruolo non per merito, non attraverso un concorso pubblico, ma grazie alla solita raccomandazione politica. E allora, ditemi, cosa possiamo aspettarci da chi si è già compromesso in partenza?

Ecco perché ritengo ormai inutile continuare a organizzare incontri per parlare di mafia, collusioni, corruzione, di un “sistema tentacolare e sedimentato”. Già… invece potrei gentilmente invitare i due procuratori, Ardita e Di Matteo, a una giornata al mare, sì, per fare un bel bagno e parlare del nostro Paese, o meglio, della mia meravigliosa isola, la Sicilia, con la sua cultura, la sua cucina, le sue tradizioni, il mare e la montagna, un paradiso per chi cerca relax e bellezza. Peccato che la realtà sia un’altra: viviamo in una terra marcia, da nord a sud, dove la maggior parte dei miei connazionali si è piegata a quel sistema clientelare e tentacolare chiamato politica, e nei casi più gravi si è lasciata foraggiare come pecore dalla criminalità organizzata, con buste e mazzette che arrivavano puntuali ogni mese.

E allora, mi rivolgo a quella parte sana che ancora esiste, esigua ma a cui voglio ancora credere, anche se ancora troppo timida nel compiere il proprio dovere e denunciare ciò che avviene illegalmente intorno a sé. Domani descriverò cosa succede quando qualcuno prova a fare la cosa giusta, sia come cittadino che come professionista.

Ma permettetemi di chiudere con un messaggio che ho ricevuto su WhatsApp dalla mia amica Romj, che ho menzionato nel post di ieri: “Nicola, ti ringrazio per avermi avvisato dell’intervista ai due procuratori. Come sempre, belle parole, ma nessuna risposta per chi, come me o te, si è esposto in prima linea. Oggi, senza entrare nei dettagli, nonostante tre condanne contro un professionista grazie alle nostre denunce, il sistema giudiziario continua a proteggerlo, lasciando in ostaggio lo Stato, l’amministratore giudiziario e 800 famiglie. In questi anni ho subito aggressioni, minacce, danni alla mia casa, costruita con sacrifici. La mia vita è trascorsa tra tribunali e uffici, sono testimone per due Procure, eppure nessuno mi ascolta. Alcuni magistrati sono scappati davanti alle mie richieste. Le associazioni antimafia tacciono, e la stampa d’inchiesta, quella che fa gli eroi quando conviene, ha avuto paura della complessità del caso e delle persone coinvolte. Nicola, nel mio cuore credo ancora nella giustizia, ma il problema è che non c’è nessuno che ascolta…”

Ecco perché scrivo. Perché quando le istituzioni tacciono, quando i magistrati voltano le spalle, quando la stampa ha paura, resta solo la voce di chi, come Romj, continua a lottare nonostante tutto. E questa voce non può rimanere inascoltata.

Mafia e antimafia, tra riforme e (aggiunge il sottoscritto: ‘troppi’) passi indietro! – Parte prima.

Perdonate la franchezza, ma nel trattare quest’argomento non mi limiterò a sfiorare la superficie.
Ci sono momenti in cui il silenzio diventa complice, ed è proprio quando tutti abbassano lo sguardo che bisogna avere il coraggio di guardare più in profondità.

Affronterò quindi senza reticenze tutte le criticità che, secondo il sottoscritto, colpiscono chi – senza secondi fini o interessi personali – cerca semplicemente di fare il proprio dovere di cittadino o professionista. Persone che provano a portare alla luce verità scomode, denunciando fatti gravi, solo per scontrarsi con un apparato statale che sembra volerli ignorare.

E qui viene il bello: perché spesso non è solo questione di omissione, ma di attiva resistenza!

Già, un sistema che preferisce la retorica alle azioni concrete, mentre dall’altra parte la mafia si evolve, infilandosi con nonchalance in settori apparentemente legali: Appalti, finanziamenti, riciclaggio!

Tutti ambiti dove fioriscono le relazioni pericolose tra chi dovrebbe combattere il crimine e chi invece ci nuota dentro. Il vero cancro non è solo la mafia spudorata, ma quel mondo grigio di professionisti, funzionari e politici che fanno da ponte tra legalità e illegalità, mantenendo sempre le mani apparentemente pulite.

Prima di approfondire, però, un doveroso ringraziamento a due figure che da sempre ammiro: i procuratori Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo. Uomini che hanno messo in campo non solo le loro competenze, ma – ahimè – anche le loro vite.

Ieri sera, come molti miei concittadini, mi sono recato ad Aci Castello per assistere al loro incontro “Mafia e Antimafia, tra riforme e passi indietro”. Purtroppo un impegno improrogabile mi ha costretto ad andare via prima del previsto, ma non prima di aver colto alcuni spunti fondamentali.

Tra l’altro, in piazza ho incontrato una cara amica – la stessa con cui in questi anni abbiamo denunciato fatti gravissimi, ottenendo anche importanti condanne – e le ho chiesto gentilmente di intervenire al mio posto, per porgere loro alcune domande che avrei voluto fare personalmente. Mentre preparavamo questo passaggio di testimone, ho potuto comunque ascoltare i primi interventi…

Di Matteo, con quella grande sensibilità che lo caratterizza, ha iniziato innanzitutto rivolgendo un pensiero alla tragedia che sta colpendo la popolazione di Gaza, ma ha anche preso una posizione netta contro i silenzi e le politiche del nostro governo che, non solo continua a vendere armi allo Stato d’Israele, ma evidenzia – a differenza di altri Stati – di non voler riconoscere lo Stato Palestinese.

Riprendendo quindi con l’incontro, il procuratore ha iniziato con lucidità ad affrontare i “passi indietro” compiuti in tema di riforme sulla giustizia, in particolare: la separazione delle carriere, l’approvazione dell’abuso d’ufficio, quella che lede il principio assoluto dell’obbligatorietà dell’azione penale, e infine, la riforma sulle intercettazioni.

Permettetemi di aggiungere una riflessione su quanto occorso in questi lunghi anni, ad esempio, nella lotta alla mafia: l’esclusione di magistrati del calibro di Scarpinato dalla Commissione Antimafia, oppure quanto accaduto con il decesso del boss Messina Denaro ed il suo arresto, che si è dimostrato inconsistente, avendo portato con se nella tomba tutti quei segreti cruciali riferiti alle stragi del ’92-’93.

Mi riferisco all’archivio di documenti recuperati sicuramente da questo “prediletto” del boss di cosa nostra, Totò Riina, conservati immagino dentro quella sua cassaforte, stranamente mai recuperata dal gruppo dei Carabinieri del ROS, forse perché qualcuno – molto in alto del nostro Stato – ha imposto di non intervenire, per evitare che quei documenti e i suoi legami venissero portati alla luce.

Ah… quanto mi pento oggi di non essere entrato da ragazzo nelle forze dell’ordine, già, quando mi era stato richiesto di farne parte; sono certo – conoscendomi – che nessun ordine di un qualsivoglia superiore sarebbe riuscito in quell’occasione a limitare il mio agire!

Ma come sappiamo tutti, si è preferito non intervenire per celare quanto vi era contenuto, evidenziando – e non solo in quell’occasione – una volontaria “sordità selettiva” verso quelle verità scomode.

Quello che emerge chiaramente oggi – secondo il procuratore Di Matteo – con questa nuova riforma è una giustizia a due velocità: una, giustizia che magari può essere a volte rigorosa, veloce, certe volte spietata, nei confronti delle manifestazioni criminali degli “ultimi” della società, e una giustizia, viceversa, con le armi spuntate, nei confronti delle manifestazioni criminali del potere, nei reati commessi da quei cosiddetti “colletti bianchi”.

Già… aggiungerei un metodo antimafia distorto, dove la Commissione parlamentari adottano logiche politiche invece di indagare a fondo, ma soprattutto dove, la riforma della giustizia messa in atto, in particolare con la separazione delle carriere, non sposta di un millimetro il reale problema della giustizia in questo paese e cioè la lentezza dei processi; una riforma che può portare, anzi, inevitabilmente porterà, ad una fuoriuscita del Pm dall’ambito della giurisdizione e a un controllo degli uffici del pubblico ministero, da parte dell’esecutivo.

Basti vedere quello che accade in tutti gli altri stati, quello che è previsto in tutti gli ordinamenti in cui c’è la separazione delle carriere, tra il pubblico ministero e il giudice, e costatare come in tutti quei Paesi, vi è una forma di controllo “penetrante” del potere esecutivo, quindi, del governo, della politica al governo in quel momento, sul pubblico ministero, alla faccia diciamo, del principio della separazione dei poteri e del necessario bilanciamento e controllo dei poteri suddivisi (legislativo, esecutivo e giudiziario).

Facendo sempre riferimento alla separazione delle carriere (paragono questo passaggio subliminale, al tocco magistrale di un grande Direttore d’orchestra, sì… questa nota aggiuntiva, evidenzia qualcosa di finemente “orchestrato”), il procuratore ricorda infatti non solo la vicenda della P2 di Licio Gelli ma di come, come questo punto, sia stato un vero e proprio – cavallo di battaglia – del governo Berlusconi.

Questa nuova riforma, non ha nulla a che vedere col funzionamento della giustizia, non ha nulla a che vedere nemmeno con la parità delle parti, la parità delle parti è nel processo, la parità delle parti significa che all’avvocato e alle parti private devono essere attribuiti gli stessi strumenti di poter provare una circostanza che vengono conferiti al pubblico ministero; ma non ci può mai essere una parità istituzionale tra chi, come il pubblico ministero – per costituzione e per legge – ha l’unico obbligo di ricercare la verità e chi come l’avvocato, ha invece un obbligo deontologico di difendere – a tutti i costi – la posizione del proprio assistito.

Quindi, il concetto della parità delle parti viene oggi rappresentato in maniera strumentale, perché la parità delle parti deve essere all’interno del processo, ma non significa potere, diciamo, parificare una parte istituzionale, qual è quello del pubblico ministero, con la parte privata, all’avvocato, su un piano più generale.

Ecco perché questo post, ma soprattutto i prossimi, che sto per scrivere non saranno in alcun modo “leggeri”.

Sì… parlerò di come denunciare significa scontrarsi con un sistema che marginalizza chi prova a fare luce, con un’informazione assente che sempre più dimostra d’essere superficiale e ahimè politicizzata, con istituzioni che mostrano un’indifferenza sconcertante e soprattutto con un mondo sociale e imprenditoriale che mette da parte chi ha dimostrato essere non solo onesto, ma soprattutto coraggioso.

Ma non solo, significa ahimè fare i conti con quell’esercito di persone “perbene” che, dietro scrivanie linde e colletti inamidati, tengono in piedi proprio quel sistema marcio e corruttivo!

Ed infine, il giudizio finale espresso dal procuratore – facendo leva sui 33 anni di esperienza dedicati in magistratura – e quindi, su quali conseguenze negative questa riforma costituzionale sulla separazione delle carriere, produrrà nel tempo una condizione dannosa.

Il procuratore Di Matteo, ha difatti dichiarato d’esser sempre più convinto che: la professionalità di un magistrato viene arricchita dall’avere svolto entrambe le funzioni; non c’è miglior giudice di quello che sa come si svolgono sul campo le indagini, come altresì non c’è miglior pubblico ministero – che magari per aver fatto anche il giudice – abbia fin dall’inizio quella cultura della prova, quel senso della necessità di acquisire una prova piena, che può derivare dalla sua precedente funzione di giudice.

In fondo sono stati giudici e pubblici ministeri come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rosario Livativo, Antonino Saetta, soltanto per parlare dei nostri colleghi, dei nostri colleghi uccisi e, non mi pare che fossero magistrati che non hanno dato buona prova di se.

Separare il Pm, farne una cosa completamente diversa dal giudice, già dall’inizio, significa comunque creare una categoria di funzionari dello Stato – potentissima – che inevitabilmente assumerebbe la caratteristica di un organismo di super-polizia, assumerebbe la caratteristica il pubblico ministero, di diventare un accusatore a tutti i costi, proprio perché altro rispetto al giudice, altro per mentalità , altro per studi, altro per formazione e questo finirebbe per accrescere a dismisura il suo potere, ma soprattutto per diminuire le garanzie del cittadino, nella fase più delicata che è quella delle indagini preliminari.

Quindi, a chi mi accuserà nei prossimi giorni di essere troppo duro, rispondo anticipatamente dicendo loro: guardate i fatti. I fatti gridano, anche se molti (già… purtroppo molti, anche tra voi) fingono di non sentirli.

Nei prossimi giorni, nella seconda e terza parte di questo post, entrerò nel merito delle mie motivazioni personali, perché certe verità – consentitemi – non possono essere racchiuse in poche righe.

Sì… ma tanto non succede niente.

Quante volte l’abbiamo detto dopo ogni scandalo? 

Già… dopo ogni arresto per corruzione, traffico di potere, concussione: un funzionario con le mani nel vaso, un politico che riceve denaro al buio, un colletto bianco che stringe accordi sporchi. 

Eppure la solita eco torna puntale: Sì… ma tanto non succede niente

Ma come potrebbe cambiare qualcosa in questo Paese che difende chi sbaglia? Sì… dove lo Stato scrive leggi come scudi, non come spade, un Paese che promuove norme che non spazzano via il marcio ma viceversa lo incastonano nel sistema, rendendolo intoccabile? Dove la complicità si maschera da legalità e chi dovrebbe pagare non paga mai? 

E tutto questo grazie allo Stato stesso, ai suo uomini/donne che promuovono queste riforme per pararsi il c…, una politica che non solo non agisce, ma firma, ratifica e soprattutto si piega a chi ha interesse a non cambiare mai!

Io nel mio piccolo ci ho provato. Già molti anni a portare alla luce scheletri che altri volevano sepolti, ma ogni volta ritrovo semrpe lo stesso schema: gente farabutta che fa dell’illegalità il proprio vivere, sostenitori e lecchinio che promuovo e foraggiano con le loro azioni quotidiane quel sistema illegale a cui poi si somma una giustizia lenta, inceppata, con leggi trasformate in scappatoie e così chi denuncia, quei pochi esigui individui che hanno fatto della purezza d’animo il loro vivere quotidiano, non solo devono scontrarsi con quei muri di gomma collusi, ma ahimè vengono traditi da chi viceversa avrebbe dovuto proteggerli.  

Il tradimento più grave? Non è solo la corruzione, ma la sua normalizzazione, l’averla trasformata in routine, in prassi. Perché quando diventa “normale”, diventa invincibile!

Ogni riforma che rallenta i processi, ogni norma che protegge i colpevoli, ogni legge scritta su misura per i potenti: non è una battaglia contro il crimine. È un accordo con esso!

E lo Stato? Lo Stato è certamente complice. Quelle norme approvate per finta, quelle regole scritte a favore di chi comanda, sono un colpo al cuore di chi crede ancora in uno Stato giusto ed equo.

Che schifo. Che vergogna…. dopo anni a cercare di cambiare le cose, a rompere schemi immutabili, ci si ritrova con le mani vuote, perché chi doveva riscrivere le regole, le ha ridisegnate per chi non vuole che nulla si muova…

E allora sì, forse è tempo di contare i giorni, di pensare a una vita diversa, lontano da questo Paese ingrato, dove lo Stato non protegge i cittadini, ma i potenti. Dove la corruzione non è un cancro da estirpare, ma un affare da gestire.

Ma prima di andare via – riferendomi a tutti quei soggetti ancora perbene – dovrebbero chiedersi: fino a quando permetteremo che il gioco resti sempre lo stesso?

Sì… immagino che starete pensando: “ma tanto non succede niente”. Ed allora iniziate voi con i vostri gesti: rifiutatevi quando vi viene chiesto un “favore”, abbandonate quelle adulazioni che sanno di “ipocrisie ricamate“, non scambiate la vostra dignità per una promessa o una bustarella, sapendo a priori che accettandola, si diventa indissolubilmente compromessi, con quei soggetti corroti e con quel sistema marcio da loro rappresentato, che negli anni, avevate criticato e odiato!

E tu, da che parte stai? Quella di chi aspetta o di chi prova ( o quantomeno proverà…) a cambiare le cose?

Potere e omertà: La politica nelle mani della mafia.

Di poche ore è l’ennesimo processo con rito abbreviato relativo all’inchiesta su presunte infiltrazioni mafiose e casi di corruzione in un Comune alle falde dell’Etna.

In particolare, la Procura ha chiesto la condanna dell’ex sindaco per voto di scambio politico-mafioso e per alcuni presunti episodi di corruzione.

Come già avviene da tempo nelle pagine del mio blog, non intendo entrare nel merito delle inchieste giudiziarie, quelle competono ai Tribunali e ai siti web dedicati alla cronaca. 

Viceversa, come studioso dei comportamenti umani, e in particolare delle condotte che emergono quando fenomeni politici si intrecciano con soggettività mafiose, mi soffermo sugli effetti e sulle gravi conseguenze che tali dinamiche producono non solo nel territorio amministrato, ma anche nella società civile.

Non bisogna mai confondere la posizione di coloro che ricoprono incarichi istituzionali e, al tempo stesso, giustificano il proprio operato infedele attribuendolo a fattori esterni, come le organizzazioni mafiose. Questo atteggiamento permette a tali organizzazioni di stabilire e consolidare un rapporto capace di estendere i propri tentacoli verso la sfera politica e le istituzioni pubbliche.

In questo modo, l’associazione mafiosa acquisisce un carattere di autonomia e sovranità, elevandosi a una posizione di parità rispetto allo Stato. Ciò le consente di imporre le proprie regole, escludendo quelle statuali, e di affermare una logica di dominio che si concretizza nell’accumulazione di ricchezza. Tale ricchezza, a sua volta, le permette di agire come un soggetto sovrano, capace di legare a sé (alcuni) uomini politici o persino intere organizzazioni di potere, come i partiti.

Nel corso degli anni, l’associazione mafiosa ha strutturato un sistema a doppio binario che opera su due fronti paralleli. Da un lato, vi è la manovalanza, impegnata nei traffici illeciti; dall’altro, vi sono i cosiddetti “colletti bianchi”, che si occupano di politica, preferenze elettorali, appalti, raccomandazioni e gestione della manodopera. Si tratta di una struttura dotata di regole, procedure e sanzioni proprie, un vero e proprio ordinamento giuridico parallelo.

Affrontare un problema di tale portata si rivela estremamente complesso… 

Non mancano esempi di illustri studiosi, uomini politici e magistrati che, nonostante anni di impegno e tentativi, non sono riusciti a scardinare questa rete pervasiva. Le continue inchieste giudiziarie sui rapporti tra mafia e politica, regolarmente depositate dai sostituti Procuratori nazionali, rappresentano un drammatico promemoria della profondità e della resilienza di questo sistema. Tuttavia, tali inchieste sono anche un segno che la lotta non è ferma, e che la consapevolezza è il primo passo per costruire un futuro in cui legalità e giustizia possano prevalere.

La mafia Imprenditoriale: Radici profonde, rami ovunque…

È evidente a tutti noi siciliani che gli insediamenti imprenditorial-mafiosi siano decisamente più radicati nella nostra regione rispetto al Nord Italia, non a caso, in Sicilia si contano circa 240 cosche con oltre 7.000 affiliati!!!

Per comprendere meglio l’impatto di questa presenza, basta confrontare questi numeri con quelli della ‘ndrangheta calabrese, oggi considerata la mafia più pericolosa: quest’ultima conta “solo” 160 cosche e circa 5.500 affiliati. 

È chiaro, dunque, quanto Cosa Nostra incida negativamente sul nostro territorio!!!

Va detto, però, che queste associazioni non si limitano a operare nei loro territori d’origine, al contrario, estendono le proprie attività criminali al Centro e al Nord Italia, stabilendo veri e propri “uffici di rappresentanza“. 

Queste, pur mascherati da realtà imprenditoriali legali sotto il profilo giuridico e amministrativo, spesso si trasformano in filiali operative, funzionali a riciclare il denaro proveniente dalla casa madre. In tal modo, riescono a far prosperare il loro business, incrementando a dismisura i profitti.

Non c’è settore dell’economia o della vita civile che sia immune da questa aggressività criminale, inoltre, la prassi consolidata delle imprese a partecipazione mafiosa ha portato molti imprenditori, un tempo onesti, ad adattarsi a queste dinamiche.

Pensare, però, che queste nuove formazioni mafiose siano semplicemente soggetti imprenditoriali è fuorviante. 

Un simile approccio rischia di ridurre la mafia a un insieme di comportamenti isolati, quando in realtà essa opera come una struttura ben definita e radicata, con modalità specifiche e una strategia chiara.

La responsabilità di questa situazione, così come del debole contrasto a essa, risiede principalmente nella mancata comprensione della fenomenologia mafiosa nella sua complessità. 

La politica, spesso, preferisce soprassedere per meri interessi personali, perpetuando un sistema basato sul “do ut des” e questo atteggiamento fa sì che molti scelgano di chiudere un occhio, partecipando indirettamente al sistema, piuttosto che impegnarsi nel contrasto alla mafia.

A Catania cresce l’ombra delle aziende in “odor di mafia”: l'estorsione regna, la denuncia manca!!!

Il fenomeno delle aziende controllate dalla mafia è una realtà sempre più preoccupante nella nostra Sicilia, e in particolare a Catania. Un territorio dove il crimine organizzato non si limita più alle attività illecite tradizionali, ma penetra sempre più profondamente nel tessuto economico legale.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi dell’associazione artigiani e piccole imprese, il volume d’affari annuo delle mafie italiane si attesta attorno ai 40 miliardi di euro. Una cifra impressionante che collocherebbe l’industria del crimine al quarto posto in una ipotetica classifica nazionale, subito dopo colossi come Eni (93,7 miliardi), Enel (92,9 miliardi) e il Gestore dei servizi energetici (55,1 miliardi). Eppure, tale stima è ritenuta sottostimata, poiché non include i proventi derivanti dall’infiltrazione mafiosa nell’economia legale.

Le attività criminali tradizionali, come il narcotraffico, il traffico di armi, lo smaltimento illegale dei rifiuti, le scommesse clandestine, il gioco d’azzardo, l’usura e la prostituzione, continuano a generare profitti ingenti. A queste si aggiungono le infiltrazioni negli appalti pubblici e la gestione opaca delle aziende. 

In Sicilia, oltre 13.000 attività sono considerate a rischio di infiltrazione mafiosa. La situazione è allarmante: secondo recenti analisi, ben il 99% delle imprese locali risulterebbe in qualche modo controllato o condizionato dalle organizzazioni criminali. Chi non si adegua a questo sistema raramente riesce a operare, soprattutto nel settore pubblico o nei grandi appalti, spesso gestiti da “General contractor” legati a società del Nord Italia, ma comunque sotto l’egida mafiosa.

Controlli inefficaci e il fallimento della legalità formale.

Il sistema di controlli, incluso quello delle Prefetture (White list) si rivela inefficace. Basta analizzare le liste delle imprese coinvolte per scoprire come molte di queste, o i loro reali proprietari, abbiano alle spalle procedimenti penali o condanne. Nonostante ciò, queste aziende continuano a operare indisturbate, protette da una rete di connivenze e inefficienze. Si sottoscrivono Protocolli di legalità, si firmano accordi, ma tutto questo rimane sulla carta.

Nel frattempo, sotto gli occhi di tutti, prosperano sistemi fraudolenti resi possibili dalla complicità di funzionari pubblici disonesti. Questi, in cambio di mazzette, chiudono un occhio o facilitano pratiche illecite, garantendo così la perpetuazione del sistema mafioso.

Lavoro nero e violazione delle norme: l’altra faccia del problema.

Un altro aspetto cruciale è il dilagare del lavoro nero e delle pratiche irregolari. Nei cantieri e nelle aziende mancano spesso le minime condizioni di sicurezza, e i processi di qualità e rispetto per l’ambiente vengono sistematicamente ignorati. Tutto questo avviene con la tacita accettazione di una società ormai assuefatta alla corruzione e alla complicità diffusa.

La corruzione: il vero cancro della Sicilia.

Viviamo in una terra contaminata dalla corruzione sistemica, dove molti preferiscono chiudere entrambi gli occhi pur di ottenere un tornaconto personale: una raccomandazione, un posto di lavoro per un familiare, un favore da parte del politico di turno. 

In questo contesto, i valori della legalità e della dignità vengono calpestati, e chi cerca di denunciare o far emergere le verità scomode – come il sottoscritto – si ritrova ahimè isolato, criticato e persino intimidito (senza però ottenere alcun risultato concreto…).

La battaglia per la legalità deve continuare!!!

La situazione è complessa, ma non possiamo rassegnarci. La lotta contro l’illegalità passa anche attraverso la denuncia, la sensibilizzazione e la costruzione di una coscienza collettiva che non tolleri più compromessi. Solo con un impegno condiviso e coraggioso potremo sperare di cambiare davvero le cose.

Catania, come tutta la Sicilia, merita di essere liberata da questa piaga, ma sta a noi cittadini, ognuno nel proprio ruolo, fare la differenza e non cedere mai alla paura e ancor meno all’indifferenza generale.

Frode milionaria da parte di un gruppo criminale cinese!!!

La Guardia di finanza di Ancona ha scoperto in tutta Italia un’associazione a delinquere dotata di veri e propri sportelli “abusivi” utilizzati come banca per raccogliere, stoccare e riconsegnare denaro da riciclare…

Dalle indagini tutt’ora in corso si è scoperto che l’associazione per delinquere cinese fosse finalizzata a una frode fiscale internazionale per centinaia di milioni di euro…

L’hanno definita “Chinese Underground Bank”, una struttura che è stata ora sequestrata e che serviva, per come riportato sopra, per raccogliere, stoccare e riconsegnare il denaro da riciclare. 

Attualmente stanno operando in quegli uffici oltre 250 finanzieri, quattro unità cinofile cash-dog e apparecchiature scanner per la ricerca di intercapedini, oltre ad un elicottero…

Potremmo deinirla una vera e propria “lavatrice” di denaro, certamente di provenienza illecita che ritornava “ripulito” nuovamente in Cina oppure reimpiegato in nuove attività di ristorazione, beni mobili quali metalli preziosi e auto di lusso, ma anche acquisto di immobili. 

Sono oltre 500 i milioni di euro sottratti a tassazione, di cui si contano oltre tre miliardi di transazioni effettuate tramite questa banca abusiva dalla quale il denaro viaggiava sotto traccia e veniva trasferito tramite corrieri o attraverso prelievi in contanti in cambio di bonifici per fatture false: ovviamente per questo scambio l’organizzazione percepiva una provvigione e gli utenti, tra cui molti imprenditori italiani, ricevevano una consistente liquidita!!!

Una procedura che come avrete comrpeso forniva una mole di denaro elevata e soprattutto ripulita, alla cui frode ovviamente contribuivano imprenditori italiani che fingevano di pagare fatture “fantasma” con bonifici a conti in apparenza Ue, ma destinati a tornare in Cina, sì… dopo aver eluso l’anti-riciclaggio, transitando in vari stati tra cui Grecia, Bulgaria, Francia, Spagna, Germania, Serbia, Albania, Estonia, Irlanda e Gran Bretagna…

Pensate che quanto sopra costituisca una novità??? No… basta rileggersi i miei precedenti post:

– https://nicola-costanzo.blogspot.com/2023/12/scoperte-banche-abusive-che-operano-in.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2023/10/milioni-di-euro-che-si-spostano-senza.html

– https://nicola-costanzo.blogspot.com/2023/10/incredibile-con-la-tecnica-apri-e.html

– https://nicola-costanzo.blogspot.com/2016/01/chinatown-catania.html

I controlli in Sicilia vengono compiutì a chi è in regola, viceversa chi non lo è, continua tranquillamente a operare nella totale illegalità!!!

E si… perché da quegli uffici istituzionali attendono sempre che ci sia qualcuno che si presenti a denunciare, altrimenti loro – da quei comodi locali ben refrigerati – non si muovono minimamente!!!

Mi dispiace, ma le cose vanno dette per come sono, senza alcuna ipocrisia, perché so bene come in questa regione, in particolare nel territorio della mia provincia che meglio di altri conosco alla perfezione, quei necessari controlli per contrastare il malaffare, vengono svolti in modo del tutto saltuario e il più delle volte perché appositamente richiesti proprio da coloro che pagano, sì… da  quei “prenditori” (poichè certamente “imprenditori” non possono esser definiti, in quanto molti di essi sono eguali alla foto allegata), gli stessi che mensilmente alimentano chi di dovere, affinchè non si abbia – in quel loro settore – una leale concorrenza!!!

Ed allora ecco una serie di soggetti “collusi” che si offrono per quelle particolari occasioni, non quindi per svolgere il proprio incarico in maniera professionale e direi soprattutto in modo leale, ma per offrirsi spontaneamente per compiere quei controlli dove di fatto non servono, dove si sa già di avere in quei luoghi “attenzionati” una presenza di legalità e di trasparenza, mi riferisco a società che provano in tutti i modi (in una terra infetta…)  a restare slegati da quelle abituali coercizioni e prevaricazioni, provano quindi a non piegarsi, ma ahimè tutto ciò non basta…

Già… perché alcuni sleali dirigenti, funzionari, uomini delle istituzioni e ahimè anche uomini delle forze dell’ordine, sono lì – già… dove “gentilmente” richiesto, per far cosa??? Semplice… controllare, mentre viceversa quei controlli dovrebbero esser indirizzati in altre (corrette) ispezioni!!!

Ed allora, ecco che “inspiegabilmente“, proprio questi soggetti si girano dall’altro lato, non vedono ( o dovre dire non vogliono vedere, già… siamo in presenza dell’elefante nella stanza…) quanto evidente a chiunque… anche a noi cittadini!!!

Ma se provate a chiedete loro, beh… vi risponderanno sempre nella stessa maniera: ah… ma non sapevamo, nessuno ci aveva informato, ma perché non ci avete avvisato prima???

Ma per favore… anche i muli che passano da quell’area sanno cosa sta accadendo e questi incaricati pubblici (in quanto da noi tutti retribuiti) dello Stato, dicono di non sapere…

La verità è che pensano di prenderci per il culo, già…dimenticano quanto semplice possa esser per ciascuno di noi sputtanarli; già… perché lo si può fare pubblicamente sui social, pubblicando i loro nomi e cognomi, le funzione e gli incarichi svolti all’interno di quel loro settore pubblico, il tutto accompagnato con un bel video su “Tik Tok“, seguito ovviamente da un esposto in Procura e chissà, anche a qualche Associazione di legalità!!!

Perchè soltanto così si può levare questo letamaio dalla nostra terra, perchè i primi che debbono esser colpiti non sono i soliti criminali o quei cosiddetti mafiosi, no… sono questi soggetti collusi – infidi e schifosi – che debbono essere evidenziati, in quanto sono proprio loro che vengono mensilmente foraggiati da quanti vivono d’illegalità!!!

E’ dire che si sa tutto, ci sono le intercettazioni che dimostrano quanto sopra, eppure non si è in grado di eliminare questo marciume che fa sì che le imprese illegali operino attraverso procedure di controllo “white list” ridicole, viceversa, chi fa di tutto per seguire correttamente i principi di legalità, si ritrova incredibilmente proprio quegli “uomini dello stato” (con la “u” e la “s” minuscola – per come d’altronde sono loro come individui….) che fanno di tutto per provare ad ostacolarli!!!

Ecco perché mi permetto di consigliare alcuni di quei Responsabili e/o Dirigernti (ancora leali) di darsi una mossa, poiché a breve alcuni nomi di quei loro sottoposti  – per come mi è stato anticipato dai miei lettori – potrebbero finire a giorni sulle pagine di “Tik Tok“, con ripercussioni certamente negative nei confronti di quegli uffici da loro diretti che riceverebbeo giudizi da parte dell’opinione pubblica non certo degni di nota!!!

Le bancarotte fraudolenti in questo Paese sono una consuetudine!!!

Ho letto alcuni giorni fa dell’ennesimo sequestro preventivo che ha visto la Guardia di Finanza di Catania eseguire una misura cautelare nei confronti di una società già dichiarata fallita dal Tribunale di Piazza Giovanni Verga…

Come solitamente accade in questi casi, i soggetti coinvolti sono stati indagati a vario titolo per reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, nonché per aver aggravato il dissesto della società già in crisi…

Ciò che voglio dire – senza entrare nei particolari che solitamente non m’interessano – e che vi è costantemente un ripetuto “modus operandi” cioè un insieme di modalità che vengono abitualmente utilizzate per compiere quelle azioni fraudolente…

Ed allora mi chiedo: perché lo Stato non si predispone a cautela affinchè queste ripetuti comportamenti truffaldini non abbiano a ripetersi???

Ad esempio si potrebbe richiedere alle società di nuova costituzione una forma di garanzia, ad esempio il rilascio di una fidejussione… 

D’altronde è evidente a tutti come basti eseguire una serie di operazioni distrattive del patrimonio aziendale per celare i debiti presenti e di conseguenza le perdite poste in atto a cui si sommano anche i debiti prodotti nei confronti dell’erario, il tutto per poi investire il denaro rubato in altre attività (legali), predisponendo l’ex società primaria a quel mirato fallimento!!!

E così, se da un lato quella superata società va in fallimento, a farne le spese sono i creditori, già… privilegiati e non, nel frattempo la società appositamente costituita viene intestata a familiari, parenti, prestanome, etc… ed eccola rinata nella sua nuova veste di crescita nel mercato legale…

Quindi, da un lato la vecchia società viene depauperata del suo patrimonio, attraverso la svalutazione dei crediti e delle disponibilità finanziarie, cedendo quanto più possibile quei beni ad una società di comodo, per poi arli rintrare nuovamente nelle mani della (nuova società) famiglia, che da quest’ultima acquiesta i beni a un prezzo irrisorio o attraverso la creazione e quindi lo scambio di fatture ideate sul momento, dimostra altresì – in caso di eventuali controlli – che non esiste alcun collegamento con la prima società in fallimento risultando estranea alle vicende fin lì compiute da essa… 

Come si dice nel gerco… la nuova società ha operato nel rispetto della compravendita, essendo di fatto la: “terza in buona fede“!!! 

E difatti procedendo in questo modo si potrà avere un regolare passaggio di consegne, non solo dei beni patrimoniali ma anche dell’attività produttiva; quest’ultima infatti avrebbe nel corso di quel periodo assorbito gran parte di quella vecchia clientela e di conseguenza ha visto crescere ora il proprio fatturato, già…grazie al dislocamento dei clienti provenienti dalla società fallita che, vedendo limitare le proprie commesse, andrà sempre più a morire, lasciando il posto libero alla nuova concorrente…

Ecco perché quando leggo questo tipo di notizie abbozzo un sorriso… perché ho come l’impressione di stare in una “stanza con l’elefante“, dove tutti sanno quanto sta accadendo ma nessuno fa in modo che questo malaffare venga, una volta e per tutte, contrastato ed eliminato!!!

Già… vedrete infatti come tra qualche giorno una nuova inchiesta giudiziaria verrà portata alla luce, sì… con gli stessi analoghi criteri di cui sopra!!! 

Perché si sa da noi non si fa altro che andare avanti a colpi di martello in quelle aule di giustizia, ma poi per il resto, il sistema rimane così come, già… con tutte le sue brutture e come possiamo osservare, a vantaggio sempre di questi viscidi e infidi truffatori !!!

E dire che il Procuratore Gratteri aveva proposto di mettere i Jammer!!!

Già… vi è un video che sta circolando da alcuni giorni su “Tik Tok” – https://www.tiktok.com/@presidentesippe/video/7327904239953530144?_t=8odxeq2dugj&_r=1 – dove il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha dichiarato come nelle carceri italiane siano presenti non solo droga e alcol, ma anche cellulari…
Peraltro a dare conferma a quanto sopra ci hanno pensato direttamente dal carcere di Torino un gruppo di detenuti “Trapper“…

Sì… difatti quest’ultimi riprendendosi con il cellulare hanno cantato dinnanzi a uno sfondo con alle spalle le celle, salutando e mostrando quei loro corpi ricoperti da tatuaggi senza alcun timore e non solo, accompagnando il video con uno spinello… 

Cosa dire, considerate le migliaia di follower che su Instagram seguono quanto da essi compiuto, non posso che (pur sconfortato nell’osservare come quotidianamente l’illegalità in questo Paese prevalga sulla legalità) apprezzarne in un certo senso… quell’idea; d’altronde va detto… essa rappresenta il perfetto viatico per intrappredere una carriera di cantante e quindi ben venga ogni forma di pubblicità pur di giungere aalla definizione di un eventuale contratto discografico e quindi ad un inaspettato successo che potrà certamente realizzarsi appena usciti da quel penitenziario!!!

Debbo dire che il pensiero di come attraverso la musica ci si possa allontanare definitivamente da quell’ambiente insano non mi dispiace, anche se – ahimè – ci credo poco…

Certo, quanto accaduto a Torino (e non solo…) ha riproposto il tema tanto difficile delle carceri nel nostro Paese, in particolare sul sovraffollamento, le condizioni igieniche/sanitarie, il degrado delle strutture molte delle quali fatiscienti e soprattutto la difficile convivenza tra gruppi criminali contrapposti cui si sommano quelli di colore, etnia o religioni diverse… 

Un racconto che viene perfettamente riportato nei testi di quelle loro canzoni, dove viene raccontata l’esperienza di vita precedente a quella loro cattura e quanto viceversa si sta ora vivendo all’interno di quel penitenziario…

Quanto sopra conferma come queste cosiddette “case di pena“, non agevolino minimamente quel principio per cui la detenzione dovrebbe in un qualche modo rieducare il condannato, così come d’altronde previsto dall’art. 27 della Costituzione.

Perchè sappiamo bene come il più delle volte quando un detenuto viene inserito in quell’ambiente, eleva negli anni il proprio livello di pericolosità, proprio perché si lega e quindi entra far parte di un gruppo ancor più criminale!!!

Basto osservare quelle serie tv sullìargomento, su quanto accade all’interno di quei penitenziari, ma anche nelle strutture minorili chiamati “riformatori” e non bisogna dimenticare del problema preposto come polizia penitenziaria, addetti a quella difficile gestione che hanno evidenziato negli anni, attraverso il sindacato do categoria, di possedere un organico fortemente ridotto e lamentando in più di una circostanza, gravi difficoltà nel gestire quelle case circondariali nelle quali – come possiamo vedere – entra di tutto, tra cui anche quei cellulari utilizzati poi dagli stessi capi criminali, già… per poter dare gli ordini ai propro affiliati all’esterno!!!

Mettere i Jammer??? Si… sarebbe in parte una buona soluzione, ma ritengo che non sia soltanto così che si potrà risolvere questo difficile problema!!!

A Catania (ed anche nei comuni dell'hinterland) la illegalità è sotto gli occhi tutti, ma l'impressione è quella di stare con l'elefante nella stanza!!!

Già… quell’elefante nella stanza, un’espressione tipica della lingua inglese per indicare una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene da tutti ignorata o del tutto minimizzata!!!

L’espressione si riferisce cioè ad un problema noto ma di cui nessuno vuole discutere oppure ad un particolare elemento di tale problema. 

L’idea di base è che un elefante dentro una stanza sarebbe impossibile da ignorare; quindi, se le persone all’interno della stanza fanno finta che questo non sia presente, la ragione è che così facendo sperano di evitare un problema più che palese!!!

Ed è questo l’atteggiamento tipicamente adottato dai miei conterranei ( e non solo loro…) in presenza dei problemi sociali o dinnanzi a quelle situazioni imbarazzanti, che pur non potendo il sottoscritto accettare, posso viceversa comprenderli, perché fanno parte di quell’ereditato bagaglio interiore che nei secoli si è andato attuando e che vede prevalere quell’odioso costume “omertoso” diffuso soprattutto tra gli strati più popolari e meno socialmente evoluti della popolazione, al quale poi si associa la complicità di quella che viene solitamente definita “borghesia mafiosa”, composta da taluni referenti politico e istituzionali, dirigenziali, imprenditoriali e naturalmente mafiosi… 

L’omertà si sa… è il silenzio adottato dalla popolazione dinnanzi a quelle ambigue circostanze, sarà per interessi di comodo o di tornaconto, oppure provocato da paure e timori che potrebbero provocare ripercussioni personali ed è per questi motivi che in un qualche modo, essi partecipano di fatto – attraverso i loro silenzi – ad incoraggiare tutte quelle azioni illegali!!!

Ed allora ritornando all’elefante, come può essere che nessuno vede quanto accade intorno a loro, nessuno che ne denuncia gli abusi??? 

Permettetemi alcuni esempi… 

Le affissioni pubblicitarie, se ne vedono ovunque, aggangiate in modo selvaggio, sulle recinzioni pubbliche stradali, sui pali dell’energia, nelle facciate di alcuni palazzi senza che questi centrino qualcosa con quelle attività commerciali, ultimamente – sarà stata certamente per concessione del Comune – alcune piazze, rotonde, parchi, etc… vengono pubblicizzati da note società, sicuramente in cambio hanno dovuto eseguire i lavori di ripristino di quell’area a verde (sulle quali avrei molto da dire, alcune certamente fatte bene, altre viceversa realizzate in maniera pacchiana e sul cui progetto ci sarebbe molto da discutere) e soprattutto su quella loro manutenzione disinteressata; viceversa, i cartelli pubblicitari posti lì sono ben curati e, a vista di tutti, ma per quanto riguardava l’oggetto di quello scambio impari, sì… dei i lavori da compiersi per mantenere in condizione decorosa quella (ad esempio) rotonda stradale, beh… evito di pubblicare le foto, perché fanno veramente orrore!!!

Ah… proposito, vorrei ricordare a tutti, in particolare a chi dovrebbe verificare da quegli uffici di controllo, il corretto utilizzo di quelle insegne affisse e soprattutto il pagamento degli oneri previsti che nel caso di una superficie compresa fra 5,50 e 8,50 mq sono soggette a una maggiorazione del 50%, mentre per quelle superiori a 8,50 mq del 100%. La stessa maggiorazione del 100% è prevista per le insegne luminose, mentre per i mezzi pubblicitari con più facce l’imposta è calcolata in base alla superficie complessiva…

Naturalmente debbo aggiungere che l’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, ma queste non devono superare la superficie complessiva di 5 metri quadrati, altrimenti si deve pagare la tassa di affissione, beh… basta farsi un giro, oppure se si preferisce rimanere seduti a prendere il fresco dai condizionatori da quegli uffici, basta mettere sulla pagina del Comune (e quindi dei vari comuni dell’hinterland catanese) un numero “whatsapp” su cui inviare le foto, con la descrizione della via e di una approssimata misura dei quella affissa irregolarità: potete starne certi da quegli uffici di come verrete in pochi giorni invasi da un numero consistente d’immagini, ovviamente illecite!!! 

Ma non solo, cosa aggiungere di tutte quelle strada, piazze, attualmente utilizzate impropriamente come parcheggio per la propria attività, mi riferisco ai noleggi di auto/furgoni, cresciuti in questi anni – subito dopo la pandemia – in modo elevato… 

Certo, ben vengano nuove attività commerciali, queste d’altronde producono ricchezza e soprattutto danno lavoro, ma certamente tutto deve essere finalizzato secondo regole di diritto e senza violazione del codice della strada… 

Ah… a proposito del codice della strada, sarebbe opportuno che da quei Comuni s’intervenisse per ripristinare la segnaletica stradale, mi riferisco a quella orizzontale, composta come tutti sappiamo dalle strisce e le scritte apposte sulla pavimentazione stradale, con funzione non solo di prescrizione ma anche di indicazione al fine di regolamentare la circolazione dei veicoli e delle persone; d’altronde in quest’isola si ha la personale convinzione che essendo “siciliani” si ha sempre diritto di precedenza e quindi ogni tanto è ben far capire a tutti, quali sono le regole e quindi i doveri a cui dover sottostare!!!

Ma non solo, va sistemata anche la segnaletica verticale, in alcuni casi vi è necessità di rimuovere quanto ahimè divelto e che può determinare – in caso d’incidente o di uscita improvvisa dalla carreggiata – una ferita grave o la morte stessa dell’autista… 

Allora, rivolgendomi a tutti coloro che sono addetti al controllo del territorio, dalle figure Istituzionali, ai Sindaci delle citta: cosa facciamo… continuiamo a far finta che l’elefante non esiste oppure iniziamo a cambiare le regole facendo finalmente emergere quei principi di legalità che a quanto pare vengono esclusivamente rivolti (attraverso sterili arresti… ) alla manodopera della criminalità organizzata, con cui tra l’altro, la maggior parte di noi cittadini, non ha alcun tipo di rapporto???  

Quindi, per favore, non andate ripetendo che noi cittadini non vogliamo collaborare, perché sapete bene come nulla di ciò sia vero, quantomeno la regola non vale per tutti, perché c’è chi (come il sottoscritto, ma non solo…) ogni giorno prova a dare il proprio sostegno e a collaborare con le Istituzioni, ma (mi dispiace…) una “mossa” dovete darvela anche voi, già… non potete stare lì, sempre in attesa!!!

Sigilli ad un cantiere senza autorizzazioni!!!

“Invitiamo la cittadinanza a collaborare attivamente, segnalando qualsiasi anomalia o attività sospetta. Solo con il coinvolgimento e la partecipazione di tutti possiamo garantire la tutela e la salvaguardia dell’habitat unico e straordinario in cui viviamo”.

Con queste parole il Comune di Taormina ha voluto far sentire il proprio impegno nel perseguire ogni forma di abuso che minacci il nostro patrimonio ambientale.

Questa volta le verifiche hanno riguardato il torrente Sirina al confine con Giardini Naxos, che hanno portato al sequestro di un cantiere edile privato finalizzato alla riqualificazione e messa in sicurezza del corso d’acqua per la mitigazione del rischio idraulico.

Secondo i controlli le opere erano prive delle autorizzazioni urbanistiche e d’inizio attività, e per questi motivi sobo scattati provvedimenti di sequestro e con la contestuale comunicazione alla Procura della Repubblica di Messina per la convalida e i provvedimenti del caso…

Certo l’invito fatto ai cittadini è ineccepibile, ma purtroppo conosco bene cosa quanto accade quotidianamente in questa terra e cioè che ciascuno si fa i caz… propri, preferendo non immischiarsi mai in vicende che potrebbero poi avere delle ripercussioni personali…

E così ecco che chiunque, senza alcuna autorizzazione decide di realizzare dei lavori, ma non c’è da meravigliarsi perché questa è la consuetudine di questa terra, dove chiunque – da un giorno all’altro – si alza una mattina, decidendo senza alcun rispetto delle regola e soprattutto delle normative vigenti, di fare come meglio ritiene, d’altronde cosa mai potrebbe capitare, una multa, una sanzione, una sospensione… ma poi con il passar del tempo ci si dimentica o qualche sanatoria sistema tutto!!!

Questo è il Paese dell’illegalità e coloro che provano ad essere onesti, vengono non solo derisi, ma ahimè… anche attaccati!!!

 A mio figlio dirò che non è vero che l’onestà paga sempre. Falso!!! Ma vuoi mettere la serenità con la quale si va a dormire?

Catania: Francesco Puleio nuovo procuratore aggiunto.

Non ho scritto nulla in questi giorni e come si dice solitamente in questi casi… “sono rimasto alla finestra”, sì per osservare gli eventi. 

Riprendo quindi quanto riportato la scorsa settimana da “ilfattoquotidiano.it“: C’è una nomina diventata un caso al Consiglio superiore della magistratura. È quella del nuovo procuratore di Catania, poltrona tra le più importanti d’Italia, vacante da luglio dopo l’addio di Carmelo Zuccaro, diventato procuratore generale sempre nella città etnea. La scelta del successore è considerato un passaggio di estrema delicatezza, tanto da attirare l’attenzione dei massimi vertici del potere giudiziario e politico.

Ora da semplice osservatore di questa mia città, ho potuto in questi mesi avvertire la sgradevole senzazione che fosse in atto – da parte di alcuni nostri interlocutori della politica nazionale, ma anche regionale – una forma d’intromissione, sì… una non meglio definita “ingerenza” affinchè talune situazioni – poste al  limite intrinseco di quel definito concetto di “legalità” – potessero in un qualche modo esser rivisitate, sì… tanto da divenire attraverso quell’intervento, un qualcosa di naturale o quantomeno conforme a quelle complesse ed eclettiche azioni compiute ormai abitualmente dai miei conterranei…

Infatti, la presenza in questo terrotorio di una diffusa area di illegalità e soprattutto la consistente economia sommersa e parallela che si contrappone a quella legale, peraltro è la stessa che opera attraverso le mani della criminalità organizzata e di fatto comporta la coesistenza di due ambiti, già… due sfere come fossero bolle di sapone, le quali – a seconda delle corcostanze – si toccano, s’inglobano o generano una grande quantità di bolle di dimensioni più piccole, un eterno dualismo che pone in contrapposizione legalità ed illegalità!!!

Parliamo indiscutibilmente di un sistema “infetto” ereditato  dal passato, ma che da sempre, come fosse una zavorra, impedisce a questa terra di proseguire verso quel necessario cambiamento, viceversa, quel sistema colluso, allontana qualsivoglia azione di positivo mutamento, considerando quel “cangiamento” un’anomalia, tanto da produrre effetti gravi ad un sistema perfettamente collaudato, sì… da oltre un secolo e cioè quello: clientelare/politico e mafioso!!!

Ecco perchè nel vedere il plenum del Csm nominare all’unanimità il Dott. Francesco Puleio quale procuratore aggiunto a Catania, ho avvertito in quella decisione una crescita, anzi di più… una maturità al corretto proseguio di una strada intrapresa da alcuni anni…

Ho letto inoltre che per il magistrato incaricato si tratta di un ritorno essendo stato componente della Dda e quindi da cittadino non posso che ritenermi soddisfatto da questa designazione, perché il rischio che si correva era quello di ritornare indietro ad oltre un decennio, sì… con tutte le ripercussioni che noi catanesi (mi riferisco a quelli ancora liberi e quindi oggi non compromessi…) ben ricordiamo!!!   

Gli Appalti Pubblici??? Gia… una vera e propria "manna dal cielo"!!!

Gli appalti pubblici sono stati creati dai legislatori come un interesse pubblico… 
Sì… un vero e proprio contratto che lega la pubblica amministrazione ad un soggetto privato, sì… in vari contesti, ad esempio l’esecuzione di lavori, forniture o servizi vari…
Già… mai e poi mai ci si saremmo aspettati che proprio coloro che avrebbero dovuto controllare e quindi, in quanto controllori, avrebbero dovuto verificare che tutto procedesse in maniera corretta, sono stati viceversa i primi ad aver iniziato gli illecitidi cui ormai quotidianamente andiamo leggendo…

Difatti, anche noi siamo diventati esperti, sì… di tutta una serie di parole come corruzione, appropriazione indebita, abuso di potere, favoritismo, concorrenza sleale, concussione, falsificazione, clientelismo e servono a poco le multe inflitte o le condanne di chi si è comportato in maniera colpevole!!!

La circostanza che mi fa più ridere è vedere coloro che auspicano nella giustizia ed in quel risarcimento, ben sapendo che nessuno in questo nostro paese paghi mai per i danni finanziari causati alla pubblica amministrazione e ancor meno hanno effetto l’esclusione di certe imprese dalla partecipazione alle gare d’appalto per un periodo determinato o l’eventuale revoca di quello stesso appalto per essere stata in flagrante violazione delle normative previste, per poi scoprire successivamente come la pubblica amministrazione abbia assegnato ad altra impresa quello stesso appalto, la stessa che ha poi evidenziato esser peggiore della precedente formalmente  esclusa.

La verità è che questo Paese manca di trasparenza e la corruzione e l’illegalità rappresentano fenomeni talmente diffusi che fanno parte ormai della quotidianità e difatti la lista dei funzionari infedeli è talmente lunga dal rappresentare una vera e propria organizzazione, la stessa che si autoalimenta attraverso tangenti e/o favori illeciti, per ottenere costantemente vantaggi personali…

Ma tanto a nessuno interessa ciò e difatti questo cancro cresce e si riperquotendo in maniera negativa in ciascuno aspetto della vita società, ma non solo, anche nell’economia e nello stesso mercato del lavoro, completamente infettato da una concorrenza sleale e da un clientelismo provocato dalla politica e dalla criminalità organizzata!!!

Nei miei connazionali manca totalmente quella necessaria fiducia per la legalità e difatti si è indebolita l’aspettativa che si aveva nelle istituzioni, condizione necessaria per affrontare in maniera consapevole le conseguenze provocate da quegli illeciti!!!

E’ fondamentale quindi liberarci da questo marcio adottando un approccio rigoroso nella gestione degli appalti con criteri di selezione chiari che implementino ancor più le regole e soprattutto i principi di legalità posti attualmente in atto attraverso quei controlli mirati ben conosciuti con il nome di “whitelist”, gli stessi però che ahimè… vengono abitualmente bypassati!!!

Affinchè quindi si possano prevenire e riconoscere eventuali comportamenti illegali c’è bisogno di tutti, in particolare di una totale collaborazione tra le autorità di controllo, le amministrazioni pubbliche e le imprese, al fine di rafforzare quella necessaria trasparenza, contruibuendo così all’integrità di questo settore degli appalti pubblici, ridotto ormai a vero e proprio “bancomat”, sì… di tutte quelle imprese formalmente “controllate”, già… da chi sappiamo!!!

Politiche per la prevenzione della corruzione??? Forse è tempo che anche la Prefettura di Catania inizi ad interessarsi.

Certamente sono molte le imprese consapevoli degli effetti negativi che le pratiche corruttive determinano sugli sviluppi economici e sociali, tanto che sono molte tra esse, nell’ambito degli appalti in cui operano a provare ad adottare un approccio fermo e risolutivo nel proibire qualsivoglia forma di corruzione. 

D’altronde ricordo come la prevenzione a quelle odiose pratiche corruttive rappresentino di fatto, oltre che un obbligo di natura legale, uno dei principi morali su cui dovrebbe improntarsi l’agire di un corretto imprenditore!!!

Leggo spesso come in molte imprese, consorzi, holding e via disorrendo, sia presente un “Codice Etico“, lo stesso che dovrebbe definire a quali valori e principi s’ispira quel proprio gruppo di lavoro e di come ciascuno di quei suoi collaboratori, si impegni nel rispettare e perseguire la propria missione.

Vorrei ricordare tra l’altro come esista una norma – UNI ISO 37001 – che prevede un Sistema di gestione per la prevenzione della corruzione; esso definisce i requisiti e fornisce le linee guida per aiutare un’organizzazione a prevenire, individuare, rispondere a tutti quei fenomeni di corruzione, conformandosi alla legislazione anti-corruzione ed altri eventuali impegni volontari applicabili alle proprie attività.

Solitamente le fasi principali dell’iter di certificazione comprendono:

  • ■ definizione dello scopo di certificazione
  • ■ verifica preliminare (su richiesta): analisi delle lacune e valutazione dell’attuale conformità dell’organizzazione ai requisiti normativi
  • ■ verifica di certificazione in due fasi (initial & main): verifica della conformità del sistema rispetto alla norma di riferimento ed emissione del certificato
  • ■ visite di sorveglianza per valutare il miglioramento continuo
  • ■ rinnovo della certificazione dopo 3 anni a seguito di una verifica completa.

Al termine di ogni visita all’Impresa viene consegnato un rapporto chiaro e completo, che consente di migliorare continuamente le prestazioni in materia di gestione della qualità.

Altri tasselli fondamentali richiesti dalla norma sono: l’analisi del contesto interno e esterno, la nomina di un responsabile anticorruzione, il monitoraggio continuo, con lo svolgimento di audit interni periodici ed il riesame finale della Direzione.

Comprenderete quindi come questa norma costituisca un’importante supporto per gli Enti ma non solo, anche per le Società che devono adempiere agli obblighi legislativi previsti in materia di anticorruzione, più in generale, un’opportunità per tutti per divenire concretamente capaci di controllare, nel tempo, i maggiori rischi e i costi legati al fenomeno della corruzione!!!

Certamente quanto sopraddetto ha effetto esclusivamente nel momento in cui quanto certificato nella carta persegua poi nella “pratica”, attuando quindi quei necessari comportamenti anti-corruttivi, non soltanto per evidenziare di essere rispettosi della legge, ma facendo sì che vengano confermati e  adottati quegli strumenti di prevenzione alla corruzione, al fine di accrescere la consapevolezza di tutti sulle regole e sui comportamenti che devono essere osservati, in particolare nei confronti di Dirigenti, Responsabili, Capi Commessa, ma anche di semplici dipendenti, in quanto ciascuno è legato da quell’obiettivo comune, rappresentato ad esempio da un appalto, un progetto, ma anche da un modesto business…

E quindi, nell’applicare quelle regole di trasparenza, è fondamentale proibire qualsivoglia comportamento e/o pratica che possa anche solo apparire illegale o collusiva!!!

Taluni pagamenti ad esempio possano apparire illeciti, come favoritismi, raccomandazioni, sollecitazioni dirette o indirette, vantaggi personali per i propri familiari o di carriera per sé, sono certamente da proibire!!!

Su quest’ultimo punto tra l’altro vorrei aggiungere una nota disdicevolebe presente in questa mia terra, in particolare nella mia provincia di Catania e chissà se forse, proprio l’attuale prefetto, Dott.ssa Maria Carmela Librizzi (una persona che so bene esser particolarmente dedida alla legalità), potrebbe intervenire, ad esempio interessandosi delle metodologie applicate sulle “assunzioni pilotate“, le quali evidenziano per l’appunto, di non seguire alcun criterio di trasparenza o quantomeno nessuna di esse dimostra esser fondate su quella che una volta rappresentava una banale graduatoria che a seconda delle priorità o anche in base alle qualifiche eventualmente ricercate, permetteva a chiunque l’ingresso in quel mondo lavorativo…

Ed invece come tutti sanno, ciò rappresenta per l’appunto il motivo che spinge la maggior parte dei miei conterranei a rendersi “schiavi” per non dire “ridicoli” di quel sistema, lo stesso che premia gli atteggiamenti lacchè ed omertosi e che favorisce tra l’altro la maggior parte di essi, incapaci professionalmente, tanto da dover passare attraverso abituali raccomandazioni (da non confondersi con le cosiddette “presentazioni”) di politici, dirigenti, presidenti di ordini, professionisti, ma potrei ahimé aggiungere anche quegli “amici degli amici“!!!

Mi viene da ridere e già… perchè parliamo di quegli stessi soggetti che poi dovrebbero di fatto controllare e quindi verificare che quelle estese metodologie anticorruttive e collusive non vengano di fatti applicate!!! Ma d’altronde, chi dovrebbe mai denunciarle???

Naturalmente per quanto riportato sopra (se qualcuno riterrà di volermi contattare) mi rendo sin d’ora disponibile ad un incontro, affinchè il sottoscritto possa evidenziare in maniera concreta quanto purtroppo sta accadendo e di cui – basti osservare sul web – la maggior parte dei media (sovvenzionata d’altronde da quegli stessi soggetti sopra-riportati) non scriva minimamente!!! 

Corner: ospite Vincenzo Grella, vice presidente e amministratore delegato del "Calcio Catania".

Ieri sera, nel cambiare canale ho visto che stava per iniziare su Telecolor il progamma sportivo “Corner” con ospite il vicepresidente e amministratore delegato del Catania, Vincenzo Grella (potete rivedere il video su  https://youtu.be/dpk9n6Y1Fa8 ) per discutere sulle difficoltà, non solo sportive, della squadra etnea. 

Innanzitutto vorrei esprimere un plauso al vicepresidente per il garbo dimostrato, in particolare nel dover affrontare temi che da sempre penalizzano questa nostra squadra del cuore; mi riferisco ad alcuni “pseduo” tifosi, ma non solo, anche ad un insincero giornalismo, pronto a scagliare in ogni negativa circostanza la pietra, ma poi bravo a nascondere la mano!!!

Ed allora iniziamo da quest’ultimo punto…

Ho sentito parlare durante l’intervista di “responsabilità oggettiva” e di “costituzione di parte civile“!!!

Ritengo che la prima domanda non doveva neppure esser posta; d’altronde – pur tenendo conto delle cause che hanno determinato l’ingresso in campo di alcuni soggetti (individuati dalle forze dell’ordine come tifosi della squadra etnea), mi riferisco all’aver lasciato aperto quel varco, chissà forse debbo pensare (ma a  pensar male a volte s’indovina…) che quel varco sia stato lasciato appositamente senza alcuna chiusura di sicurezza, affinchè qualcuno ci entrasse e portasse alle conseguenze che ben conosciamo, ciò non toglie comunque la grave responsabilità, soggettiva, collettiva ed eventualmente  anche oggettiva (nel caso specifico della società), che se pur dimostri non essere di fatto tecnicamente responsabile dell’accaduto, a differenza della squadra del Padova, ciò non esonera comunque l’azione compiuta. Difatti, concordo con l’eventuale decisione della squadra etnea, perché, è proprio rinunciando al ricorso che la società evidenzia in maniera palese (a tutti), l’indispensabile cambio di rotta, dimostrando di prendere le distanze da quei facinorosi “pseudo” tifosi che proprio con le loro deplorevoli azioni, hanno dimostrato di non amare questa squadra!!!

Ed ancora, alla domanda se costituirsi parte civile in un eventuale processo contro i violenti, il vice presidente risponde: “Stiamo valutando, non abbiamo ancora deciso”.

Ed allora vorrei chiedere a quei giornalisti in studio: invece di eludere il problema o per come si è fatto in tutti questi lunghi anni, sottrarsi ad esso, demandandolo per come si è visto, alla sola Società del “Calcio Catania” (chissà… debbo pensare perchè a causa delle ben note spiacevoli ripercussioni, le stesse d’altronde che noi catanesi ben conosciamo, ma che – come sempre accade in queste circostanze- facciamo finta per “ipocrisia” di non percepire o dovrei dire forse per quel timoroso senso di “omertà”), quindi, invece di porre la domanda lasciando che siano sempre gli altri a risolvere il problema, perché da quella stessa trasmissione (così tanto seguita) non si fa partire una petizione a modello “Class action”, in cui collettivamente tutti coloro che si dichiarano “tifosi“, firmano con il proprio nome e cognome, costituendosi parte civile??? 

Sono certo che riscontrando quanto sopra, anche la dirigenza della società deciderà a quel punto d’intervenire per ripristinare definitivamente quel senso di legalità!!! Altrimenti, se dobbiamo continuare – come abitualmente si fa in questa terra – già… facendo gli “gnorri”, beh consiglio di lasciar perdere o quantomeno di non forzare la mano, in particolare a una proprietà che in questo momento a ben più importanti problemi e non può anche farsi carico di quelli compiuti da una parte (facinorosa) della nostra tifoseria, perchè poi alla fine di questo si tratta.     

Bellissimo inoltre il richiamo, da parte del vicepresidente Grella, sull’avere in ogni circostanza un taglio positivo e di trasmetterlo anche ad egli!!! Perché una critica, seppur giusta, deve sempre avere in se qualcosa di costruttivo e non per come abitualmente mi accade di leggere o ascoltare anche in talune trasmissioni Tv; difatti ieri sera su questo punto, ho deciso durante la trasmissione di inviare al vicepresidente una nota su “whatsapp”, che riportava quanto segue: “Grella, perché non dice di chi sta parlando??? Forse di quanti ora in studio. Firmato Nicola Costanzo. (Ps. Sono serto che questo msg non verrà pubblicato) domani ne farò comunque un post!!! 

Ed infine, concordo pienamente con il vicepresidente quando dice: “non voglio trovare alibi, ma quando dopo una vittoria sofferta in casa, leggo certi commenti critici e vivo un certo tipo di clima, significa che si vuole buttare benzina su una situazione difficile”.

Completando, credo che sia venuto per noi tifosi il momento di dimostrare come qualcosa possiamo ancora fare, sia per la squadra, ma soprattutto per la sua dirigenza: essere vicini!!!

Stadio a porte chiuse??? Nessun problema, saremo fuori ad accoglierli prima dell’ingresso e poi, durante l’incontro, sentiranno il sostegno dei nostri cori e a fine partita, attenderemo ciascuno di loro per appaludirli!!!

FORZA CATANIA!!!

L'Italia??? Un Paese sorretto dal denaro sporco!!! Seconda parte.

Di una cosa sono convinto: nel nostro paese c’è una grossa fetta d’individui, che vive esclusivamente grazie al riciclaggio!!!

Ovviamente non sono coloro che controllano e gestiscono quell’enormi somme incassate quotidianamente, ma certamente nel loro piccolo, rientrano a pieno titolo come riciclatori seriali, d’altronde essi vivono per incassare puntualmente quel denaro sporco, già… sono lì ogni mese ad attendere quella loro bustarella, denaro immeritato facile da incassare, perché non sudato!!!

Peraltro vorrei ricordare a quei miserabili soggetti, che quei denaro proviene da attività illegali come estorsione, pizzo, usura, prostituzione, gioco d’azzardo, contraffazione, traffico di armi, contrabbando, ma soprattutto droga e quindi riciclaggio!!!

Per cui, nell’accettare quelle somme, ciascuno di questi individui meschini si rende complice, sì.. di quei crimini e di tutte quelle attività illegali di cui sopra, senza mai chiedersi se attraverso quel denaro irregolarmente incassato, essi stessi, ma ancor più i loro figli, possano abusarne e quindi diventare clienti prima e dipendenti dopo, di quelle sostanze quali stupefacenti, alcol, cannabis, etc… le stesse che hanno per l’appunto consentito di ricevere ora quelle mazzette!!!

Poi ahimè nei casi più tragici, li vediamo a piangere i propri cari, divenuti ormai vittime di quello stesso denaro criminale nel tempo ricevuto!!!

Ma bisognava pensarci prima, fare in modo di rifiutarle quelle mazzette, troppo semplice versare ora lacrime da coccodrilli, dopo averlo adorato quel denaro, consumato, speso in maniera frivola, vivere per esso, ma non solo, riciclarlo attraverso quei passaggi illegali…

In questo mio disquisire, ciò che maggiormente da fastidio non è il puntare il dito contro il semplice delinquente o il capo di quell’area legata a quell’associazione criminale, no… loro risponderanno per quei reati direttamente alle forze dell’ordine, viceversa ciò che condanno, sono i soggetti celati, quei colletti “grigi” che potrebbero fare a meno di svendersi, poiché hanno avuto dalla loro la fortuna (sicuramente non per meriti, già… basterebbe una semplice verifica per dimostrarne la fondatezza…), sì… di ottenere un posto di lavoro, lo stesso che ha permesso e garantito una vita serena, certamente moderata, ma sicuramente irreprensibile e onesta!!!

 I delinquenti quindi sono loro, i loro familiari, quest’ultimi sanno e tacciono, perché fa comodo avere dell’entrate da poter utilizzare per sfoggiare quei loro lussuosi “gadget”: già… tra essere e avere vinse l’apparire!!!

Fine seconda parte