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L’Africa soffocata: mappe distorte e confini imposti. L’usurpazione di un continente.

Ogni volta che guardiamo una mappa appesa a una parete, su un libro di scuola o sullo schermo di un telefono, diamo per scontato che ciò che vediamo sia la verità geografica del mondo. Ma non lo è.

Quella che ci è stata consegnata come rappresentazione fedele è in realtà un’illusione costruita con precisione, un’immagine distorta che ha servito a plasmare il nostro sguardo sul pianeta e, soprattutto, sul suo continente più ingiustamente ridimensionato: l’Africa.

La proiezione di Mercatore, quella che tutti conosciamo, non è stata scelta per fedeltà alla realtà, ma per comodità e dominio.

Ha esagerato le dimensioni delle nazioni del Nord, gonfiando Russia, Canada, Stati Uniti ed Europa, mentre ha rimpicciolito in modo drammatico l’Africa, facendola apparire meno estesa della Groenlandia, quando in verità potrebbe contenerla più di quattordici volte. E non solo: dentro i suoi confini reali ci starebbero tranquillamente gli Stati Uniti, l’India, la Cina, l’Europa intera e il Canada tutti insieme, senza nemmeno sfiorare i margini.

Questa manipolazione non è stata solo un errore cartografico, ma un atto politico. Ridurre l’Africa sulla mappa è stato il primo passo per ridurla nella storia, nell’economia, nella cultura e nella percezione globale. Una diminuzione geografica che ha preceduto e giustificato una riduzione umana, come se un continente così vasto, ricco di civiltà millenarie, biodiversità unica e risorse fondamentali, dovesse essere visto come marginale, arretrato, dipendente.

Eppure, la vera grandezza dell’Africa non sta solo nei chilometri quadrati, ma nel peso che avrebbe dovuto avere nel racconto del mondo. Se la sua dimensione fosse stata sempre mostrata con onestà, forse il mondo avrebbe imparato a guardarla con rispetto, non con pietà o interesse sfruttativo. Forse non avremmo visto confini tracciati con un righello da potenze lontane, che spezzavano tribù, univano nemici e dividevano culture solo per comodità amministrativa.

Francesi, inglesi, portoghesi, tedeschi e italiani, poi nuove forme di dominio economico e politico, hanno lasciato un’eredità di divisioni artificiali che ancora oggi generano conflitti, instabilità e sofferenza. Quelle linee dritte sulle mappe non erano geografia, erano potere. E il potere ha sempre bisogno di ridurre ciò che non può controllare, per poi riempirlo con la propria narrazione.

Ma cosa sarebbe oggi l’Africa se nessuno avesse mai disegnato quei confini? Se le sue civiltà avessero potuto evolvere senza invasioni, saccheggi, schiavitù e sfruttamento? Non lo sapremo mai. Possiamo però scegliere di smettere di vederla attraverso gli occhi di chi l’ha sempre voluta piccola.

Ripristinare la sua reale dimensione sulla mappa è un atto simbolico, ma potente. È un primo passo verso la liberazione da una visione distorta, ereditata da secoli di colonialismo cartografico, culturale e mentale. È un invito a riconoscere che l’Africa non è un continente da salvare, ma un gigante che è stato costretto a stare in ginocchio.

Guardare una mappa vera, dove l’Africa troneggia con la sua grandezza naturale, non è solo una correzione geografica. È un atto di giustizia. È un monito a non fidarsi mai ciecamente di ciò che ci viene mostrato, perché dietro ogni rappresentazione c’è sempre una prospettiva, e spesso quella prospettiva serve a nascondere chi comanda e a umiliare chi viene comandato.

Il mondo ha bisogno di un’Africa vista per quella che è: immensa, vitale, centrale. Non come una periferia da sfruttare, ma come un cuore pulsante della storia umana. E forse, solo quando smetteremo di vederla in piccolo, potremo iniziare a capire quanto grande sia davvero il nostro mondo.

La memoria tradita: dalla Shoah alla Nakba.

Riprendo nuovamente il tema principale, che ieri avevo momentaneamente sospeso per chiarire alcuni concetti a cui tenevo… 

Torno dunque alla comparazione che, nell’ultimo anno e fino a oggi, si è voluto tracciare tra le esperienze terribili vissute da ebrei e palestinesi in momenti diversi della storia.

In questi mesi, molti si sono posti una domanda: com’è possibile che Israele, in quanto Stato ebraico, possa oggi commettere i crimini che vediamo in televisione ai danni di una parte dei palestinesi, quelli di Gaza? Certamente, si tratta di coercizioni non paragonabili a quelle perpetrate dai carnefici nazisti, ma comunque gravissime dal punto di vista morale e umano.

La verità è che si è cercato di dimenticare in fretta una guerra mostruosa e, soprattutto, un “olocausto” che non sarebbe mai dovuto esistere. La memoria avrebbe dovuto impedirne la ripetizione, eppure il desiderio di ricostruire l’Europa e di pacificare gli Stati coinvolti nel conflitto ha portato a relegare il passato in un angolo. Si doveva dare speranza e un futuro ai profughi ebrei sopravvissuti alla Shoah, ma questo ha generato una conflittualità irrisolta.

La pace doveva fondarsi sulla comprensione della guerra e sull’accettazione dei suoi orrori, ma in questo processo la memoria ha lasciato spazio all’oblio. La massima sottintesa è diventata: «Ricordati di dimenticare la guerra e i suoi olocausti. La guerra è un mostro che non deve svegliarsi, non guardarla».

L’aver osservato in Tv la “Cerimonia di commemorazione dell’80° anniversario della liberazione del campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz-Birkenau“, alla presenza di sopravvissuti e di numerosi Capi di Stato e di Governo, mi ha dato più l’impressione di voler allontanare e nascondere il delitto, piuttosto che far penetrare lo sguardo nella matrice profonda del crimine.

La verità è che l’Occidente ha goduto di una lunga pace non perché abbia realmente compreso le due guerre mondiali e la Shoah, ma per semplice paura, per una distensione meccanica seguita al trauma.

Ciò che accade oggi a Gaza non è altro che il proseguimento di una storia già vista. Gli anni della Nakba sono un passaggio di testimone che, pur senza la sistematica pianificazione dello sterminio, prosegue sotto una forma celata di pulizia etnica, mascherata da una presunta civiltà.

Basta osservare come, anche nel nostro Paese, l’attuale governo di destra abbia cercato di liquidare il Fascismo e il Nazismo come “malattie inspiegabili“, catastrofi naturali spuntate dal nulla, macchiando così il candido volto della nostra civiltà.

Questo sistema internazionale di pacificazione, costruito sulle rovine della Seconda guerra mondiale, ha paradossalmente generato una nuova era di democrazia e diritti, mentre riproduce ancora una volta lo sfruttamento e legittima l’oppressione coloniale. In questo contesto, la Nakba viene avallata, e al Sionismo viene garantito riconoscimento politico e impunità, in un territorio che non gli apparteneva.

Invece di trovare una soluzione pacifica e giusta per entrambi i popoli, che permettesse di far valere le proprie ragioni e di convivere, si è preferito imporre condizioni che, in questi 80 anni, hanno dimostrato di non portare alcun cambiamento. Il conflitto continua, e la storia si ripete.