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La vita è fugace, ma il tuo ricordo resterà tenace!


A volte mi capita di discutere su quel confine sottile, quasi impercettibile, che separa la presenza dall’assenza. 

Sono per natura troppo razionale per prestare fede a tutte quelle storielle che ci hanno raccontato sin da piccoli, ancor meno a quelle instillate dalla nostra Chiesa e dai suoi dogmi. Una mente razionale dovrebbe saper riconoscere un qualsivoglia costrutto, per quanto antico o rivestito di autorità.

Ho sempre pensato che gli unici fantasmi degni di fiducia siano i ricordi, siano essi vividi o sbiaditi, fedeli o abbelliti dal tempo. Tutto il resto, tutto ciò che viene descritto come ombre parlanti nelle notti insonni, resurrezioni, apparizioni, voci provenienti da un immaginario altrove, presenze sacre o anche demoniache, non sono altro che il prodotto della mente… sì, una mente capace di meraviglie, ma anche di incubi, per un motivo semplice e profondo: l’incapacità di accettare il vuoto!

Quando una persona se ne va, il mondo sembra fermarsi per un istante, per poi riprendere il suo corso, indifferente. Dentro di noi, invece, qualcosa si incrina e si ribella a quella legge naturale, a quella fine che si presenta con una definitività così assoluta. Ed è allora che vediamo persone cercare un dialogo con chi non c’è più, e credo lo facciano con la più pura e struggente sincerità. Non c’è inganno in quel desiderio, solo un amore che rifiuta radicalmente il concetto stesso di addio.

Ma se ascoltassero con attenzione, la voce che risponde è sempre la loro. Se qualcosa sembra materializzarsi nell’aria, è il loro cuore a scolpirne la forma, con la precisione struggente di un artista che ritrae un volto amato per l’ultima volta. Già… è la mente, accecata dalla mancanza, a plasmare un’immagine così potente da sembrare tangibile. Il dolore, si sa, possiede una forza creativa immensa. 

Può costruire mondi paralleli in cui l’incontro è ancora possibile, può far vibrare l’aria di una presenza, trasformare un sospiro del vento in una voce familiare, un soffio in una parola riconoscibile. Sopportare la definitività di una partenza è a volte un compito troppo grande per l’anima umana. 

Ed è allora che essa, pur di non rimanere per sempre esiliata, costruisce un ponte, anche se illusorio. In questo senso, chi se ne è andato non scompare mai del tutto, continua a esistere, non in un aldilà nebuloso, ma nello spazio sterminato e intimo di chi lo ricorda. 

La mente di una sola persona, quando è animata dalla memoria, diventa un universo più vasto di quello che contiene le stelle. Può custodire voci, risate, sguardi, può rivivere interi pomeriggi dimenticati dal tempo oggettivo, in quello spazio, non valgono le leggi della fisica, ma solo le leggi dell’amore.

Ed è qui, credo, che si cela il messaggio più importante. La vita ci presenta sempre il suo conto ineluttabile, che si chiama fine. Razionalmente, sappiamo che dopo non resta nulla di ciò che siamo o possediamo, eppure, continuiamo a costruire ricordi, a lottare perché un nome non venga dimenticato, a credere che un legame possa sopravvivere alla morte della carne. 

Volete sapere perché? Perché alla fine, ciò che continua a esistere non è un fatto, ma un atto di fede. È la nostra personale, irriducibile motivazione a scegliere che qualcosa, o qualcuno, non debba finire.

Accettiamo la fine con la ragione, ma la ribelliamo con il cuore. Sappiamo bene che probabilmente non c’è nulla dopo l’ultimo respiro, eppure ci aggrappiamo con tutte le nostre forze all’idea che ci sia qualcosa dopo l’ultimo abbraccio. Quel qualcosa è il ricordo, tenace, testardo, che si rifiuta di dissolversi. 

È la nostra unica, personale vittoria, fragile e profondamente umana, contro la fugacità del tutto

Perché ormai diserto le commemorazioni delle stragi? Ve lo dico: non sopporto più gli ipocriti sui palchi.


Stamani voglio confessarvi una verità…
Da qualche tempo evito di partecipare alle commemorazioni ufficiali degli anniversari delle stragi, tutte, non solo quelle più note del ’92 e ’93, sì… e questo per due precisi motivi.

Il primo è legato a una sensazione di crescente fastidio, quasi di nausea, già… nel ritrovarmi in luoghi solenni dove si parla di memoria, di dolore, di giustizia, mentre poi dinnanzi a me, su quel palco, siedono personaggi che indossano la maschera del rispetto per le vittime, ma che poi, appena scendono dal palco, stringono mani e salutano affettuosamente proprio coloro che – in qualità di eredi di quei passati criminali, rappresentanti diretti di chi ha provocato le migliaia di morti in questo Paese – garantiscono loro affari e soprattutto voti.

Il secondo motivo è più profondo, più interiore: ho smesso di riconoscermi in quelle cerimonie perché mi sembrano sempre più vuote, ripetitive, sì… rituali sterili che servono a dare l’impressione di ricordare senza mai veramente voler capire.

Mi chiedo spesso cosa resti davvero di quegli omicidi, di quelle stragi, sì… dopo i minuti di silenzio, dopo i discorsi letti con voce tremula, dopo quelle bandiere poste a mezz’asta. Sembrano da quel palco commossi, ma ditemi: cosa è rimasto di fatto dell’operato di Falcone, di Borsellino? Io sento ancora un silenzio assordante, in particolare su chi – da quelle poltrone istituzionali – li ha traditi, su chi ne ha ostacolato il lavoro, su chi ha lasciato che venissero barbaramente uccisi insieme agli uomini e alle donne della scorta.

In questi giorni ho avuto modo di acquistare in una bancarella e letto alcuni romanzi di una saga mafiosa di Vito Bruschini: il primo capitolo di questa saga, “Romanzo mafioso. L’ascesa dei corleonesi”, racconta, con un tessuto narrativo sorprendente e un’accurata aderenza alla Storia del nostro Paese, la nascita e l’espansione capillare del fenomeno mafioso in Italia e nel mondo e soprattutto coloro che – legati al mondo politico e imprenditoriale – li hanno protetti e permesso l’ascesa.

Ecco perché ho cominciato a disertare quegli eventi, non per mancanza di rispetto, ma proprio per rispetto estremo verso chi è caduto. Perché non posso stare accanto a chi oggi piange in pubblico e ieri ha stretto alleanze con chi festeggiava in privato quelle stesse bombe, che hanno poi permesso la nascita di taluni attuali partiti

Sono stanco di ascoltare retoriche sulla legalità, in particolare da chi ha protetto tutti quei colletti bianchi mai toccati dalla giustizia, da chi ha favorito i depistaggi con il silenzio o con le parole sbagliate al momento giusto.

Ma d’altronde la verità è stata soffocata, l’agenda rossa è ora nelle mani di chi ha in qualità di puparo il potere di ricattare quanti siedono su queste nuove poltrone, sì… qualcuno di quei suoi predecessori è stato incredibilmente riabilitato, qualcun altro è riuscito a passare a nuova vita senza così pagarne le conseguenze, altri ancora grazie ad accordi e ricatti hanno potuto beneficiare del dubbio, riuscendo così ad esser riabilitati, quantomeno per poter far continuare (in quel contesto di “casta”) i propri familiari.

Certo, avrei voluto vedere un Paese capace di non rimandare la storia, gli eventi, la verità… ed invece tutto continua ad essere rimandato, già… per non trovar mai risposta.

Ma la circostanza peggiore è che ogni volta che si prova ad andare oltre il racconto (artefatto) ufficiale, si finisce per essere additati come complottisti, disturbatori, sì… di quella pax sociale che garantisce a molti, collusione, raccomandazione, compromesso, clientelismo e soprattutto illegalità.

Ed allora io resto ancora in attesa di conoscere le risposte: chi tra le istituzioni ha avuto interessi opposti alla verità? Chi aveva bisogno che certi magistrati sparissero? E soprattutto, perché ancora oggi, ad oltre trent’anni di distanza, nessuno vuole raggiungere l’unica verità? Ed infine, quali nomi ancora mancano all’appello e nessuno vuole portare alla luce?

Sicuramente la verità processuale non arriverà mai, non certo con l’attuale governo e chissà, forse neppure con uno formato da quella sinistra che ha di fatto permesso – rendendosi complice – le stragi che ben conosciamo.

La verità storica comunque non potrà mai essere cancellata, verrà un giorno in cui tutto esploderà, i dossier usciranno fuori e i nomi di quei complici verranno portati alla giustizia della memoria, e quel giorno saremo lì a bisogna chiedere conto a chi ha detenuto il potere, a chi ha mantenuto il silenzio, a chi ha costruito carriere sulle macerie di quegli anni!

Perché noi tutti non possiamo permettere che una società dimentichi chi ha pagato con la vita per aver creduto nello Stato, una società che perde la memoria perde anche se stessa, diventando proprio come quella che osservo in questi giorni: docile, plasmabile, pronta ad ingoiare qualsiasi narrazione gli viene indottrinata, sì… pur di non dover guardare negli occhi il suo passato sporco.

D’altronde “Un discorso che abbia persuaso una mente, induce la mente che ha persuaso a credere nei detti e a consentire nei fatti.” (Gorgia da Lentini, ca. 485 a.c. – 375 a.C.)

Ed allora pur stando lontano da quei palchi, dentro di me porto ogni giorno quel loro insegnamento, e cerco di riproporlo con la formazione, col mio blog, con le denunce, perché a differenza di quanti in molti pensano, quel passato non è stato cancellato, non è stato sepolto, non è morto, anzi è più vivo che mai, già… perché fintanto che ci saranno persone perbene, questo Paese avrà la forza di rialzarsi.

29 agosto: a Palermo la mafia uccideva Libero Grassi

Sono trascorsi 32 anni da quel 29 agosto 1991 in cui la mafia a Palermo uccideva Libero Grassi, un imprenditore coraggioso che si era ribellato al pizzo e all’omertà!!!.

Già… il coraggio di Libero Grassi  non può essere dimenticato e resta ancora il simbolo di una lotta che non si è mai esaurita, se si considera che ancora oggi, dopo più di vent’anni, si continua ovunque a pagare il pizzo alla mafia…

Aveva detto lo stesso Libero Grassi in una diretta Tv dell’11 Aprile 1991: io  non divido le mie scelte con i mafiosi, non sono pazzo e non mi piace pagare!!! 

Un guanto di sfida lanciato allora alla mafia, un uomo che era diventato per molti un “cattivo esempio”, anche per i suoi colleghi commercianti e quindi quell’uomo lasciato solo doveva pagare, sì… con la propria vita per quel gesto coraggioso e per quella sua lotta fondata su principi di legalità e libertà…

Oggi sono in tanti a commemorare la sua morte, in particolare coloro che avrebbero dovuto fare in modo che quanto accaduto, non avrebbe dovuto realizzarsi…

Ma questa si sa è la nostra Italia, si discute molto, ma si fa sempre poco, anzi, in verità non si fa proprio nulla!!!

Libero Grassi  rappresenta il coraggio dei siciliani onesti, di quanti ogni giorno si ribellano, mostrando coraggio, integrità e sfidando quel sistema corruttivo/clientelare/mafioso…

Simbolo di resistenza e di coraggio, fonte di ispirazione per le nuove generazioni e per quanti credono di dover lottare per un Paese più sicuro, ed è proprio per questi motivi che è nostro dovere sempre rinnovare la sua memoria…    

Tu che vieni qui a contemplare ricorda che: non tutti i siciliani siamo mafiosi e non tutti i mafiosi sono siciliani!!!

Si sa… la memoria umana è uno strumento meraviglioso, ma ahimè fallace!!!
Certo, per non dimenticare vengono compiute ogni anno centinaia di celebrazioni, incontri, cortei, iniziative, che con il passar degli anni sono andate sempre più scemando, sia per quantità, che in presenze… 
Quando poi gli anni sono diventati decenni ecco che – ad esclusione di familiari/amici e qualche trafiletto sui quotidiani – l’ingratitudine di questo Paese, è diventata una costante!!!
Gli anniversari di quelle celebrazioni cosiddette della “memoria”, si sono trasformate in semplici occasioni gioviali, infatti, i ragazzi le vedono come un occasione per “caliarsela” dalle scuole, mentre agli adulti – in particolare a quanti legati al mondo istituzionale – servono per mettersi in mostra…
Ecco quindi che a seconda delle occasioni, assistiamo al collocamento di quelle targhe commemorative in ricordo delle vittime, come se attraverso quelle lapidi si potessero rinnovare le coscienze dei siciliani, per una storia che nei fatti in molti vorrebbe dimenticare… 
Sì… perché la verità in fondo è questa, peraltro quel frammento di storia non interessa a nessuno, neppure per ricordare a tutti noi, che c’è ancora molto da fare!!!
Sì perché finora si è solo discusso, certo vi sono state le inchieste, gli arresti, qualcuno di quegli affiliati è finito al penitenziario… ma per il resto, gli uomini e le donne di quel sistema mafioso/criminale sono ancora lì, sì… ad operare anche per coloro che non possono essere più presenti, ma che hanno ceduto il proprio scettro ai figli e/o familiari… lasciando così quel loro business inalterato, come se nulla fosse accaduto!!!
Viceversa, i familiari  di quelle vittime non sono andati più avanti, continuano a vivere le loro vita in antonimìa, in una sorta di contrapposizione sofferta nel non saper decidere se andare avanti o fermarsi, se ricercare giustizia o rinunciarvi definitivamente, ma poi ditemi, di quale verità parliamo, forse di quella che si sa essere stata collusa e depistata???
Ed allora quei familiari, a chi debbono affidare quel proprio disagio: alla comunità, alla politica, alla magistratura, sì… a chi??? 
Li hanno definiti “famigliari delle vittime“, ed hanno inciso nei propri volti la sofferenza di un dolore imposto non dal fato… ma dall’abbandono di uno Stato che avrebbe dovuto difendere e proteggere quei loro cari, i quali ahimè sono stati costretti da un corrotto sistema ad un ruolo troppo gravoso e di cui forse (rivedendo quanto accaduto e la sofferenza provocata da quel brutale crimine…) avrebbero fatto volentieri a meno. 
D’altronde sono gli stessi familiari che vengono ancora una volta inchiodati dai gesti vandalici di alcuni scellerati, individui che continuano ad offendere la dignità di un popolo con le loro azioni, ad esempio danneggiando la targa alla base dell’albero di ulivo che si trova in via d’Amelio, a Palermo, a ricordo dell’attentato compiuto il 19 luglio 1992 in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina…
La verità è che c’è ancora molto da fare per quei familiari delle vittime, perché il tempo degli insulti e dei sospetti non è ancora finito e perché in questo loro Paese sono costretti –ancora una volta – a doversi scusare per quella loro ingombrante presenza, per il peso che senza volere impongono alla memoria collettiva!!!
Sì… bisogna fortemente lottare contro questo sistema che ci vuole collusi, non solo per “non dimenticare” quelle vittime ed i loro familiari, ma soprattutto per ricordare a noi siciliani chi siamo, dove vogliamo andare,  ma soprattutto con i nostri comportamenti cosa vogliamo essere: perché non tutti i siciliani siamo mafiosi e non tutti i mafiosi sono siciliani!!! 

Rita Borsellino: "A te che sei qui a fare memoria, ricorda che sei parte di questa storia e devi continuarla…".

Una chiesa gremita stamani per dare l’ultimo saluto a Rita Borsellino… 
Come ormai consuetudine al termine dei funerali, un lungo applauso ha accompagnato l’uscita dalla chiesa del feretro di Rita, la sorella del giudice Paolo ucciso dalla mafia nel 1992. 
All’esterno, si è raccolta una folla commossa per rendere omaggio ad una donna, che si è impegnata in tutti i modi per ricordare il fratello e quanto da egli compiuto insieme al collega Giovanni… 
Don Luigi Ciotti (fondatore di Libera), al termine delle esequie ha voluto ricordarla così: “Era sempre disponibile con gli altri, con un forte impegno sia civile che nella politica, una politica intesa come servizio per il bene comune. Ricordare Rita significa ricordare una donna di sostanza, com’era suo fratello. E’ stata una delle prime a capire che la memoria delle vittime andava trasmessa ai giovani come impulso di vita e verità, e come il desiderio di costruire un’Italia mai più’ compromessa con le mafie e con i corrotti”. 
Lo stesso arcivescovo Corrado Lorefice, durante l’omelia ha voluto ricordarla così: “Da lei possiamo imparare qualcosa della vera umiltà della fede, il suo era un cuore non avvezzo al compromesso, la sua storia personale l’ha legata alla storia di un popolo, di questa città’ e di un’intera umanità. Mi porto ancora lo sguardo di Rita del 19 luglio quando lei stessa ha voluto la benedizione di quella targa che e’ sotto l’albero di ulivo che parla da se’, come e’ capace di parlare un segno. E su quella targa, citando Antonino Caponnetto, alla fine si legge ‘a te che sei qui a fare memoria, ricorda che sei parte di questa storia e devi continuarla’. E proprio il 19 luglio scorso Rita, in una intervista, ebbe a dire che il modo migliore per ricordare Paolo Borsellino e’ fare memoria. Significa ricordare non un giorno l’anno, ma operare ogni giorno affinché’ il passato non ritorni”.  
Vorrei ricordare la Sig.ra Rita Borsellino con una frase straordinaria, toccante, unica, che solo una donna speciale come Lei poteva esprimere: “Noi non chiediamo vendetta… non solo non la chiediamo, non la sentiamo proprio dentro. Io ho sempre detto che ho avuto un grandissimo dono da Dio, non ho mai provato odio nei confronti di nessuno e ho quasi paura di questo sentimento, ho quasi paura di poter provare odio nei confronti di qualcuno, perché penso che debba essere un sentimento devastante che ti debba far male dentro, che ti debba far vivere male, che ti debba far stare male. Una volta sentivo durante un dibattito la vedova di uno che era stato ucciso dalle Brigate Rosse e lei diceva: “Non posso perdonare perché sto troppo male”. Io le dissi:

“Tu stai troppo male perché non riesci a perdonare”. Perché è vero, perché se tu riesci a entrare in questa ottica particolarissima del perdono di cui adesso vorrei chiarire insieme a voi i termini, se non si riesce ad entrare in questa ottica, in questo meccanismo del perdono, si sta male, si deve stare proprio male, secondo me non si trova pace neanche per un momento. Ho visto persone dichiarare proprio di volere vendetta, di odiare coloro che gli avevano fatto del male e li ho visti sempre stare male, male, male, soffrire in una maniera tormentosa davvero. Io ringrazio Dio perché non ho mai provato questo. Perché non ho mai provato odio e ho quasi paura di potere chissà, qualche volta, scivolare in questa tentazione. Non l’ho mai provato, ma non è merito mio. Credo che sia un dono di Dio perché mi ha aiutato ad accettare questa situazione con serenità, non con rassegnazione. Attenzione, perché questo è assolutamente diverso. Non mi sono mai rassegnata alla morte di mio fratello, fin dal primo momento, quando mi sono resa conto perfettamente che questa morte che veniva sbandierata quasi come una morte inevitabile, non lo era affatto. E’ che nessuno aveva fatto niente per evitarla – il che è diverso, profondamente diverso…”!!!

Pippo Fava, un vero "Siciliano"…

Ricorre oggi il 33° anniversario dell’assassinio del giornalista Giuseppe Fava. 
Sono molte le manifestazioni commemorative che in questi giorni l’hanno ricordato…
Cosa dire, non si finirà mai di ringraziarlo per quella eredità di valori e per gli ideali che ha saputo trasmettere a ciascuno di noi…
Giuseppe Fava per gli amici “pippo”, prima di essere una giornalista di eccezionale cultura era soprattutto un grande uomo… ucciso in quel lontano 1984, proprio per quella umanità che riusciva a trasmettere, a questa sua amata città…
Poco prima di morire aveva detto-, “vorrei che gli italiani sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi. I siciliani lottano da secoli contro la mafia…. I veri mafiosi stanno in parlamento, i mafiosi sono ministri, i mafiosi sono banchieri, sono quelli che in questo momento sono al vertice della nazione. Nella mafia moderna non ci sono padrini, ci sono grandi vecchi i quali si servono della mafia per accrescere le loro ricchezze, dato questo che spesso viene trascurato.

L’uomo politico non cerca attraverso la mafia solo il potere, ma anche la ricchezza personale, perché è dalla ricchezza personale che deriva il potere, che ti permette di avere sempre quei 150mila voti di preferenza. La struttura della nostra politica è questa: chi non ha soldi, 150mila voti di preferenza non riuscirà ad averli mai! I mafiosi non sono quelli che ammazzano, quelli sono gli esecutori. Ad esempio si dice che i fratelli Greco siano i padroni di Palermo, i governatori. Non è vero, sono solo degli esecutori, stanno al posto loro e fanno quello che devono fare. Io ho visto molti funerali di Stato: dico una cosa che credo io e che quindi può anche non essere vera, ma molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità…”.

Ecco da queste parole, comprenderete i veri motivi che hanno condotto alla sua uccisione… Sono state queste le parole che lo hanno ucciso… parole che allora – come oggi – non vanno dette, verità che devono ad ogni costo restare celate e mai “sputtanate” ai quattro venti…
Un paese come il nostro omertoso e soggiogato, non può permettersi che qualcuno si presenti con la propria faccia e denunci quei politici e colletti bianchi, che passeggiano a braccetto con noti esponenti mafiosi…  
Questa sera, avrei desiderato partecipare ad un dibattito “La città (im)possibile” (condotto da Adriana Laudani), non solo per gli ospiti invitati, ma soprattutto perché tra essi vi erano degli amici, come Giovanni Tizian, Claudio Fava e Michele Gambino; purtroppo, alcuni problemi personali mi hanno impedito d’esserci…
Riprendendo il titolo del dibattito… il sottoscritto crede che ad ognuno di noi, è data la possibilità di onorare quanti hanno dato la loro vita per questa terra, trasmettendo per esempio, quei valori di dignità e moralità, senza doverla ogni qualvolta ricercarla negli altri… 
Bisogna dimostrare attraverso i quotidiani gesti, d’essere degni di poterci paragonarci (nel nostro piccolo…) a loro!!! 
Ricordarli viceversa, senza mettere in pratica quegli insegnamenti di vita, operando sempre in maniera indegna e cancellando ripetutamente e con molta superficialità quei illegittimi comportamenti… sarebbe come averli uccisi una seconda volta…
Vorrei concludere riproponendo un ritaglio di un bellissimo poema di U. Santinò… intitolato “Ricordati di ricordare”: 
Ricordati di ricordare
coloro che caddero
lottando per costruire un’altra storia
e un’altra terra
ricordali uno per uno
perché il silenzio non chiuda per sempre
la bocca dei morti
e dove non è arrivata la giustizia
arrivi la memoria
e sia più forte
della polvere
e della complicità…
Ricordati di ricordare
quanto più difficile è il cammino
e la meta più lontana
perché
le mani dei vivi
e le mani dei morti
aprono la strada…

In ricordo di Emanuele Piazza…

Emanuele Piazza ha iniziato la sua carriera nella Polizia di Stato, prestando il servizio militare di leva in Italia come agente ausiliario.
Successivamente, dimessosi per trasferirsi a Palermo (sua città natale), operò come agente dei servizi segreti italiani nel SISDE, occupandosi in particolare della ricerca di soggetti latitanti. 
Emanuele, scompare dalla sua abitazione di Sferracavallo, a Palermo, il 16 marzo 1990, e successivamente fu ucciso in circostanze mai del tutto chiarite, probabilmente ad opera di cosa nostra…
Il corpo non venne mai ritrovato e soltanto a nove anni di distanza da quella data si è venuti a conoscenza che la morte di Emanuele  avvenne il 16 marzo. 
Emanuele Piazza aveva come nome in codice “topo” e tra i suoi compito c’era quello di infiltrarsi nelle potenti cosche dei Corleonesi, quella di Resuttana e San Lorenzo…
Nello stesso periodo infatti, 12 giorni dopo la sparizione di Emanuele, un suo caro amico, vigile del fuoco, Gaetano Genova, venne ucciso da quegli stessi boss, che lo ritenevano un suo confidente…
Entrambi si scopri successivamente essere stati sequestrati ed uccisi…. 
E grazie alle rivelazioni dei pentiti a da una indagine della Dia di Palermo (coordinata dai pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia), che sono stati svelati i retroscena della scomparsa di Genova: nel 1998 Enzo Salvatore Brusca consentì di ritrovare i resti del giovane vigile del fuoco. 
Resta il mistero sull’attività di Genova, probabilmente il vigile del fuoco aveva fornito un’ indicazione importante a Piazza per l’arresto di un latitante, Giovanni Sammarco, all’interno di un centro sportivo. In quella struttura Genova stava facendo alcuni lavori con la piccola impresa edilizia che aveva approntato per arrotondare lo stipendio. 
Ma chi svelò il ruolo di Sammarco e poi successivamente anche di Emanuele… resta ancora oggi un giallo…
Certamente una talpa istituzionale tradì i due giovani!!!
Per Emanuele non sarà stato facile fare l’infiltrato in una realtà criminale, all’interno di quelle cosche ritenute da tutti tra le più pericolose… con personaggi al comando come Riina, Gambino e Madonia… Ma Emanuele Piazza (figlio di un noto avvocato di Palermo) a soli 30 anni dimostrava di non aver paura… e soprattutto dimostrò nel corso della propria esperienza, di non auspicare ad una carriera semplice e senza alcun rischio, ma bensì sin da subito mostrò il proprio coraggio, avventurandosi in contesti a cui la maggior parte sfuggiva…
La notizia della sua scomparsa rimase ovviamente per parecchi giorni rigorosamente segreta e nessuna indiscrezione trapelò su questa vicenda che salto fuori dopo alcuni mesi di indagini da parte del giudice Giovanni Falcone e soprattutto da parte di un giornalista… 
Sembra che la morte di Emanuele fosse legata anche all’amicizia con Antonino Agostino, agente di Polizia alla questura di Palermo (di Villagrazia di Carini); mentre entravano nella villa di famiglia per festeggiare il compleanno della sorella di lui, un gruppo di sicari in motocicletta arrivò all’improvviso e cominciò a sparare a lui e a sua moglie (incinta) Ida Castelluccio: Agostino venne colpito da vari proiettili, mentre la moglie venne raggiunta da un solo colpo, ma continuò a strisciare per terra… per avvicinarsi al marito morente. 
Nel 2009 il collaboratore di giustizia Vito Lo Forte dichiarò che Agostino, insieme ad un collega (era Emanuele Piazza), si trovava nei pressi della “Addaura” la mattina del 20 giugno 1989; proprio il giorno prima del fallito attentato al giudice Falcone, riuscendo ad impedire che l’attentato si compiesse: si finsero sommozzatori, rendendo inoffensivo l’ordigno nelle ore notturne antecedenti al ritrovamento… 
I familiari di Emanuele non si sono dati mai pace, in particolare il padre, l’Avv. Giustino Piazza, dichiarò che suo figlio “fu mandato allo sbaraglio da gente irresponsabile che l’aveva illuso“. 
L’accusa ovviamente è rivolta al Sisde e ad alcuni funzionari dei Servizi segreti, definiti dal padre di Emanuele, “gente senza scrupoli che ha bisogno di carne da macello per le loro sporche faccende“; “Mio figlio è morto – ha detto – perché questi mascalzoni gli avevano detto che prima o poi sarebbe diventato un vero agente segreto!!!
Secondo l’Avv. Piazza, inizialmente i responsabili del Sisde di Palermo minimizzarono il ruolo del figlio e tentarono anche di negare che collaborava con i Servizi. 
Ma Emanuele (aspirante 007) era stato inserito nei libri paga e percepiva di conseguenza un compenso (un milione e mezzo di lire al mese), era quindi impossibile per l’agenzia, continuare con le menzogne…
Emanuele, alto un metro e 75, atletico ed esperto di lotta libera e karatè… per due anni era stato in polizia ed aveva inoltre frequentato il corso delle teste di cuoio ad Abbasanta (Sardegna) e quindi era stato assegnato al servizio di sicurezza del Quirinale…
Ma lui voleva fare ad ogni costo il poliziotto e così dopo alcuni mesi, fu assegnato alla sezione narcotici della Squadra mobile romana. 
Nel 1985 lasciò la polizia e fece ritornò a Palermo; voleva diventare agente segreto e così trovò gli agganci giusti per far parte (sia pure part time) del Sisde. 
Quando scomparve dalla sua villetta di Sferracavallo, gli investigatori trovarono in alcuni cassetti una lista su carta intestata del Ministero degli Interni, con i nomi d’importanti latitanti di mafia… 
Difatti, il suo omicidio, venne svelato parecchi anni dopo dai pentiti: il giovane agente, rivelò, Giovan Battista Ferrante (mafioso doc: dal 1980 faceva parte della famiglia mafiosa di San Lorenzo, mandamento storico di Palermo, capeggiato negli anni ottanta dal boss Rosario Riccobono, poi passato sotto la reggenza di Pippo Gambino e infine affidato a Salvatore Biodino, l’autista personale di Totò Riina, fino al 1993 ) divenuto collaboratore di giustizia (affidabile e profondo conoscitore delle dinamiche più interne di Cosa Nostra), venne eliminato per impedirgli di proseguire la caccia ai latitanti… 
Raccontò che fu attirato in un tranello, dove venne strangolato ed il suo corpo squagliato nell’acido, secondo un preciso rituale mafioso. 
Recentemente il pubblico ministero ha chiesto la condanna all’ergastolo per tre presunti mafiosi e 204 anni di carcere per altre otto persone coinvolte in quel delitto…
Emanuele comunque non è scomparso… è rimasto tra noi: perché la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla…

Il tuo volto…

Sei stato il mio sogno

il mio sospiro

ho vissuto per te

tutto il mio amore…

Tu sei ricordo

di desiderio

che per la vita

conservo in cuore…

Tu sei il dolce tempo

dei valori

l’insieme di quelli

che non ci sono più…

Mondo egoista

immorale

che hai tolto amore

aprendolo ad ogni male

tu splendi sempre

degna del passato

mirabile al presente

immortale nel futuro…

Miro nel tuo volto

sempre vivo

e che giammai finirà…

Dimenticarti…

image

Per quanto fugga

con la ragione

non so distaccare

il ricordo da te…

Cancello

ogni mio pensiero

con un soffio

ma il tempo

trascina con se

i ricordi…

Il tuo volto

prima o poi

riappare,

debole…

ma la sua presenza

riacquista energia

vuole ancora darmi

Amore..!

Lo so che non ha più senso

ma quanto è difficile

…dimenticarla!