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Luca Attanasio: Lo Stato che non ascolta i suoi eroi.


Ed allora ci risiamo.

Già… mi ritrovo a scrivere di questa storia e mi chiedo se il tempo qui da noi non sia un inganno, un cerchio che gira su se stesso senza mai spezzarsi.

Rileggo i miei post, già di quando l’ambasciatore Attanasio e il carabiniere Iacovacci furono uccisi in quel viaggio mai autorizzato, quando scrissi di documenti scomparsi e dei sospetti che preannunciavano una tempesta, già… come nuvole cariche di pioggia.

Prevedevo che la verità sarebbe stata sepolta, che lo Stato avrebbe preferito il silenzio alla responsabilità ed oggi più che mai, capisco che non ero io a essere pessimista: era il sistema a essere già marcio, allora come adesso.

I familiari in queste ore hanno chiesto una commissione d’inchiesta, non per vendetta, ma per poter dire alle loro figlie che quei morti non sono stati inutili. Una richiesta che dovrebbe essere scontata, se non fossimo in Italia, dove persino il dolore deve passare al vaglio della convenienza politica.

E difatti… la maggioranza non firma, non si presenta, lascia che la sala resti vuota come un teatro dopo l’ultimo atto. Un silenzio che non è assenza di rumore: è un urlo, è la conferma che quelle vite, per chi conta, non valgono neppure una firma su un foglio.

Mi tornano allora in mente le parole della moglie di Luca Attanasio, quando parlava di verità per le sue bambine, di un futuro in cui il loro papà non sarebbe stato solo un nome su una lapide. Penso oggi a cosa le starà passando per la mente mentre osserva che gli stessi uomini e donne per cui suo marito ha lavorato, per cui è morto, non trovano neppure cinque minuti per ascoltarla?

Non si tratta di disorganizzazione, di impegni presi, di mancanza di tempo, no… è mero calcolo, la consapevolezza che – in fondo – nessuno chiederà conto a chi lascia nel dimenticatoio chi ha servito lo Stato.

Ma d’altronde basti ripensare ancora una volta a quel viaggio in Congo, alle scorte mai arrivate, alle responsabilità svanite nel fumo dei comunicati stampa, già… come se la morte di due uomini potesse essere cancellata con un colpo di penna. Ed ora, guarda caso, il copione si ripete qui, nel cuore delle nostre istituzioni!

La verità non è più un obiettivo: è una merce di scambio, un favore da concedere solo a chi sa negoziare meglio. E quando la morte di un ambasciatore o di un carabiniere diventa una questione di colore politico, allora non stiamo più parlando di errori. Stiamo parlando di un sistema che sa benissimo cosa sta facendo.

Qualcuno dirà che è inutile arrabbiarsi, che “tanto è sempre stato così”. Ma io non ci credo. Non ci posso credere quando ripenso a quei volti, a quelle storie interrotte, a quelle madri, mogli e figli che non vedranno più i loro cari tornare a casa.

La verità non è un lusso, non è un’opzione per chi ha tempo da perdere. È un dovere, e quando lo Stato rinuncia a questo dovere, non è solo colpa: è complicità! Perché lasciare nel buio chi ha dato la vita per le istituzioni è come uccidere con lentezza, con la crudeltà dell’indifferenza.

E allora mi chiedo: se l’ambasciatore Attanasio fosse stato meno uomo e più politico, se avesse imparato a tacere quando serviva, a non fidarsi troppo, a non andare in quel viaggio “non autorizzato”, chissà… forse sarebbe ancora qui.

Ma soprattutto, forse oggi non sarebbe solo un nome cancellato tra i comunicati, un fastidio da archiviare tra le “questioni scomode”. La sua colpa, forse, è stata quella di credere davvero nel ruolo che rivestiva, di pensare che la divisa che indossava valesse più dei giochi di palazzo e forse, in fondo, è per questo che lo hanno lasciato solo.

Ma io – a differenza loro – non l’ho dimenticato. Non ho dimenticato il suo impegno per le comunità del Nord Kivu, il suo lavoro per i progetti scolastici, quel modo di guardare il mondo come se ogni persona fosse già un ponte verso la pace.

Ecco perché nella foto che ho realizzato lo immagino seduto in una poltrona senza tempo, circondato da un movimento sfocato che sembra il caos del mondo in fuga. Dietro di lui, una luce intensa lo avvolge, e tra le mani un libro – il suo – che non avrà mai il tempo di finire: “Luca Attanasio, un ambasciatore di pace”, scritto da Fabio Marchese Ragona; un racconto che non parla solo di diplomazia, ma di un uomo che, spogliandosi di giacca e cravatta, entrava nelle baracche di Goma per ascoltare chi nessuno ascoltava. Un uomo che costruì una famiglia con Zakia, musulmana, e insegnò alle sue figlie che la fede non divide, ma unisce.

I racconti di chi lo ha conosciuto svelano un eroismo quotidiano: il giovane cresciuto in oratorio che non ebbe paura di sognare in grande, il diplomatico che preferiva le strade polverose alle sale dei ricevimenti, il marito e padre che portava a casa non solo storie di conflitti, ma semi di speranza. Questo è il Luca che non voglio dimenticare. Non il nome su un comunicato, non la vittima di un agguato, ma l’uomo che credeva possibile un mondo migliore, anche quando nessuno lo vedeva.

Forse è lì che vive oggi, in quel confine tra il terreno e l’eterno, dove la sua voce non è stata spenta, ma trasformata in un sussurro che ci ricorda: la verità non muore, anche quando lo Stato cerca di cancellarla. E finché qualcuno continuerà a raccontare chi era davvero, quel sussurro diventerà grido!

La nausea della Storia: il depistaggio che uccise due volte Piersanti Mattarella


Ci sono dettagli che, a distanza di decenni, gridano ancora più forte delle conclusioni ufficiali.

Già, come il ritorno di quel guanto di pelle marrone, trovato non fuori, ma dentro l’auto del presidente della Regione Piersanti Mattarella, sì… sotto il sedile del passeggero.

Per anni ci è stata proposta una versione ufficiale secondo cui, nel panico della fuga dopo quel delitto di Stato, un assassino si sarebbe tolto un guanto e lo avrebbe fatto scivolare – con cura quasi maniacale – sotto il sedile. Un gesto innaturale, illogico, che trasforma un reperto compromettente in un comodo biglietto da visita, quasi a indicare il nominativo dell’assassino.

A me è sempre sembrato più plausibile che quel guanto fosse stato posizionato lì appositamente: un dono avvelenato alle indagini. Forse non è mai appartenuto a nessun killer. Forse il suo scopo non era aiutare la giustizia, ma depistarla – già nelle prime ore dopo gli spari. Serviva a indirizzare lo sguardo altrove, a costruire un colpevole comodo o a inquinare la scena del crimine, garantendo che la verità non emergesse mai. È il primo, perfetto tassello di una copertura che doveva essere impeccabile.

E oggi, a oltre quarantacinque anni di distanza, non parliamo dei mandanti, né della regia: parliamo della scomparsa di quel guanto dagli archivi della polizia. Ci viene offerto un capro espiatorio – un funzionario accusato di averne simulato la consegna – ma questa nuova storiella non fa che confermare il sospetto atroce che ci accompagna da una vita: il sistema è un organismo tentacolare e infetto, in cui servizi deviati, logge massoniche, gruppi eversivi e politica collusa giocano la stessa partita.

In questo gioco al massacro, la criminalità organizzata è spesso il volto più utile da mostrare al pubblico: il colpevole “logico”, a cui attribuire ogni nefandezza, mentre i veri architetti del potere operano nell’ombra, indisturbati. L’omicidio di Mattarella fu un colpo al cuore dello Stato proprio perché un presidente onesto stava spezzando quel legame malsano e per questo fu fermato. Non solo dalla mafia, ma da quel sistema parallelo che della commistione tra affari, politica e violenza ha fatto la sua ragione d’essere.

È un gioco di poltrone che si tramanda da generazioni: una regia occulta che condiziona le nostre vite, decide dei nostri destini e insabbia le nostre verità. Depistaggi, collusioni, limitazioni non sono incidenti di percorso: sono il funzionamento stesso della macchina. E ogni volta che un caso come questo riemerge, non è per giustizia, ma per gestire la narrazione, sì… per offrire una verità di comodo che calmi le acque e continui a proteggere i nomi di chi, ieri come oggi, siede nelle stesse stanze di potere.

La domanda, allora, non è più chi ha ucciso Piersanti Mattarella, ma chi aveva interesse a che quella verità non venisse mai a galla, e perché quel sistema è ancora lì, intatto, a raccontarci storie. Alla fine, ciò che rimane dopo tutti questi anni non è la verità, ma la consapevolezza di aver vissuto in una narrazione forzata.

Io non ho mai creduto a nulla di ciò che mi è stato raccontato, perché ogni storia ufficiale si è rivelata un castello di carte, pronto a crollare sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Dall’omicidio di Aldo Moro – un teatro sanguinoso i cui veri registi sono rimasti impeccabilmente nell’ombra – alle stragi che hanno insanguinato piazze e stazioni, macchine perfette per seminare un terrore funzionale a qualsiasi restrizione delle nostre libertà.

E poi gli accordi: quei patti scellerati tra Stato e mafia, scritti su “papelli” di carta, che da diceria sono diventati verità storica, rivelando non un’emergenza, ma una simbiosi tossica al più alto livello.

Tutte queste vicende, intrecciate come i tentacoli di una stessa piovra, non sono tragedie isolate, ma capitoli di un’unica, grande strategia. Sono state le armi di una propaganda che ha sistematicamente alimentato paura e insicurezza nei cittadini, perché un popolo impaurito è un popolo che accetta qualsiasi cosa in cambio di un’illusione di ordine.

È così che si è consumato, passo dopo passo, fatto dopo fatto, un vero e proprio colpo di Stato silenzioso. Non con i carri armati in piazza, ma con leggi speciali, deviazioni investigative, segreti di Stato e la sistematica distruzione di ogni prova scomoda. E le stesse autorità che avrebbero dovuto proteggere la democrazia sono state le artefici del suo insabbiamento, garantendo che il gioco delle poltrone e il riciclo dei potenti continuasse e ahimè – continua ancora – indisturbato.

Questo non è più un sospetto, ma la traiettoria inconfutabile della nostra storia: un’eredità di menzogne che non appartiene al passato, ma avvelena il nostro presente e ipoteca il futuro.

E quando queste verità scomode tornano a galla, non proviamo più rabbia o sconcerto. Proviamo solo un profondo, viscerale disgusto. A pensarci, viene il vomito, sì… per un sistema che si è nutrito della nostra paura e ha scavato le sue fondamenta nella nostra inconsapevolezza.

L'assassinio di Piersanti Mattarella: Un mistero lungo 45 anni.

Sono passati ben 45 anni da quel 6 gennaio del 1980, e ancora oggi non si sa con certezza chi sia stato ad assassinare Piersanti Mattarella.

È vero, secondo le ultime indagini, ad agire furono Antonino Madonia, figlio di Francesco e membro di una delle famiglie mafiose più potenti, insieme a Giuseppe Lucchese. Tuttavia, in questi lunghi anni, entrambi, pur condannati e in carcere per decine di omicidi, non hanno mai rivelato nulla.

E allora, si ricorre nuovamente alle testimonianze di decine di pentiti. Ma quanti di loro sono realmente a conoscenza di ciò che accadde quel giorno? E soprattutto, quale movente spinse eventualmente la cupola corleonese ad assassinare il Presidente della Regione? Questo resta un mistero.

D’altronde, occorre ricordare che il giudice Falcone stava esplorando una pista diversa: quella neofascista, con Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, due esponenti dei Nar poi assolti.

Io stesso ho sempre nutrito qualche dubbio su questo assassinio. Perché colpire un uomo della Democrazia Cristiana, il cui padre era stato un importante esponente politico, tanto da essere stato cinque volte ministro tra gli anni Cinquanta e Sessanta? Perché la mafia, che in seguito è emerso essere legata a doppio filo proprio con il Partito Democristiano, avrebbe deciso di uccidere Piersanti Mattarella? Parliamo di un partito i cui uomini, come i fratelli Salvo o Vito Ciancimino — già assessore e poi sindaco di Palermo — avevano stretti rapporti con Cosa Nostra. E non dimentichiamo Giulio Andreotti, che secondo Tommaso Buscetta, il pentito le cui rivelazioni avevano mandato in carcere numerosi mafiosi, rappresentava il punto di connessione tra mafia e politica.

Ora, dopo quasi mezzo secolo, si cerca di realizzare un identikit per dare un volto a uno dei due assassini. Si parla dell’“uomo dagli occhi di ghiaccio”, riconosciuto come il sicario che sparò al Presidente Mattarella.

Non so… vedo più ombre che luci in questa vicenda. Ma in fondo, siamo in un Paese dove la verità spesso viene ostacolata. E questo accade anche perché, nel cercarla, si rischia di svelare realtà scomode. Troppe volte, invece di fare luce, si è tentato di insabbiare azioni e comportamenti ignobili compiuti da uomini dello Stato, corrotti e asserviti ai poteri della mafia e della massoneria.

Non ci resta che esprimere il nostro cordoglio e commemorare quel giorno terribile, con la speranza di non dover più vivere anni bui come quelli che hanno costretto il nostro Paese a soccombere a una schiera di delinquenti.
Questo è accaduto solo perché non si è avuto il coraggio di combattere quando si doveva!!!

Piersanti Mattarella: luci e ombre su quell'omicidio!!!

Oggi, 6 gennaio ricordiamo Piersanti Mattarella.

Fu dichiarato nel processo che ad assassinarlo era stata “cosa nostra“, ma forse rileggendo quei documenti processuali si comprenderà come la mafia centri poco in questo delitto, forse nulla…

Già, ci si dimentica o si prova in tutti i modi a far dimenticare alle nuove generazioni, come a quei tempi gli interessi della Dc (Democrazia Cristiana) fossero convergenti con gli affari di quella associazione criminale, per cui non ritengo fosse ragionevole colpire un uomo di quel partito con cui in quel momento si facevano affari!!! 

Va ricordato inoltre che, proprio durante il processo, la moglie di Mattarella (testimone oculare dell’omicidio) dichiarò di riconoscere l’esecutore materiale, sì… nella persona di Giuseppe Valerio Fioravanti, tuttavia per questo crimine, l’ex terrorista italiano esponente del gruppo eversivo “Nuclei Armati Rivoluzionari” d’ispirazione neofascista, verrà assolto in quanto la testimonianza della Sig.ra Mattarella e di altre testimonianze (tra cui quella del pluriomicida Angelo Izzo) non furono ritenute attendibili.

Peraltro, va altresì riportato come in quella circostanza non si tenne conto delle dichiarazioni dello stesso Fioravanti, che fece intendere come l’ordine di uccidere l’ex Presidente della regione siciliana, provenisse direttamente dall’ambiente massonico, affaristico e politico di matrice democristiana…

Esso difatti andrebbe inserito in quei cosiddetti delitti “politici”, iniziati l’anno prima con il segretario provinciale della Dc a Palermo, Michele Reina, proseguito poi con l’uccisione di Mattarella e infine completato con il segretario regionale del Pci, Pio La Torre…

La storia degi omicidi eccellenti come abbiamo potuto assistere, proseguì successivamente con l’assassinio dell’eurodeputato Salvo Lima, assassinato il 12 marzo del 1992 che secondo il killer Angelo Izzo, sarebbe stato il “suggeritore” del pentito catanese Giuseppe Pellegriti il quale indicò in Salvo Lima, il mandante del delitto Mattarella!!! 

Non dimentichiamo che quello era un periodo nel quale i procuratori della Repubblica passavano “informazioni” ai cugini Salvo (due imprenditori esponenti politici aderenti alla Democrazia Cristiana, fedelissimi a Lima e Andreotti, e legati a cosa nostra), i giornalisti di quel tempo mostravano essere vicini ai boss dell’epoca, ed anche taluni funzionari di polizia evidenziavano di fatto esser corrotti. 

Andrebbero sommati poi alcuni Ministri che erano sempre “a disposizione“, seguiti da tutta una serie di personaggi collusi tra cui noti avvocati, consulenti, medici, docenti universitari e i cosiddetti vecchi “nobili”, tutti ovviamente al servizio dei mafiosi. 

Ecco questa era la Sicilia di allora raccontata dai pentiti e chi decise di non piegarsi a quel sistema collusivo/clientelare come ad esempio il giornalista Mario Francese, venne tragicamente ucciso!!!

In quella lista di persone perbene, vanno ricordati anche i giudici Scaglione, Costa e Terranova, anch’essi ahimè barbaramente uccisi!!!

Come abbiamo visto, per molti di quei delitti, lo “stato” (quello con la “s” minuscola) ha preferito attribuire a quella nota associazione criminale tutte le responsabilità dell’omicidio, in questo modo ha potuto continuare indisturbata per un altro ventennio, ampliando quelle necessarie infiltrazioni che le hanno permesso di crescere fino ad oggi all’interno degli apparati statali, collusioni di cui molti sapevano ed ancora oggi sanno, ma che per l’appunto hanno fatto finta d’ignorare…

Bisogna aggiungere comunque, che negli anni seguenti (grazie al sacrificio di uomini e donne che hanno dato la loro vita per questo loro Paese) quel sistema illegale è stato in parte limitato, anche se restano attivi tutti quei legami a suo tempo predisposti, ciascuno intrecciato tra essi nei tentacoli della società civile, difficile – con le metodologie “delicate” finora adottate da una legislazione effimera basata sulle “interpretazioni” –  da essere ahimè ancora oggi debellata!!!

Mi piace ricordare una frase di Carlo Alberto Dalla Chiesa: Quando c’è un delitto di mafia, la prima corona che arriva è quella del mandante!!!

Qual'è la regola per evitare d'esser condannati??? Semplice, basta semplicemente pagare per vedersi insabbiare le indagini!!!

Quanto riportato nel titolo di apertura sembra una follia, eppure da sempre ( anche se non lo dicono apertamente), sono molti tra noi a crederci ciecamente!!!

Certo, va detto, per fortuna la magistratura è composta da persone perbene, rette nel compiere il proprio dovere e  soprattutto rispettose dell’incarico a cui sono stati chiamati…

Per cui leggere notizie come quella che sto per proporvi, deve essere considerata come un qualcosa occasionale, certamente un qualcosa distorto di questo nostro sistema giudiziario, ma d’altronde sappiamo bene come le cosiddette “pecore nere” appartengano a tutte le famiglia e nel caso specifico, proprio a causa del suo numero elevato di professionisti, ve ne si trovano ahimè tante… 

Ecco quindi ora scoprire da parte di alcune Procure nazionali (che vanno dalla Puglia alla Campania, ma sono certo che basterebbe semplicemente ampliare le indagini sin qui effettuate, per ritrovare anche in altre sedi questi meccanismi elusivi…) che coloro che dovrebbero essere garanti della legalità, non lo siano affatto!!! 

I reati sono sempre eguali, gli stessi che si ripetono ormai costantemente, sì… è vero cambiano i nomi, ma alla fine sono tutti indagati con quelle motivazioni, le stesse di cui proprio alcuni giorni fa avevo scritto, sì… parlando dei colletti bianchi: corruzione per l’esercizio delle funzioni, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita e concussione.

Ecco quindi che ora nove persone risultano indagate a vario titolo e come riportavo sopra, tra gli indagati compaiono un vice procuratore onorario in servizio nel Tribunale Leccese, un avvocato dello stesso foro, oltre a due funzionari dell’Asl, un medico e un imprenditore…

Come avrete ben compreso, l’indagine ruota intorno al ruolo del magistrato e dell’avvocato ora indagati in quanto sospettati di aver insabbiato le indagini dietro il presunto ricevimento di denaro…

Difatti, le forze dell’ordine, in particolare la Guardia di finanza, su disposizione delle Procure di Potenza e di Benevento, stanno ora  eseguendo perquisizioni capillari in tutti quei comuni interessati.

Ora, leggendo quanto sopra, mi è venuto spontaneo pensare: “un operato compiuto non per dovere ma per interesse” e difatti aggiungerei, mai quest’ultimo per dar giustizia ai cittadini, già…tutt’altro.!!!

Auspico quantomeno che questa volta la giustizia, anche se si tratti di un caso spiacevole, faccia come sempre ( o quasi…) , il proprio dovere!!!