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Dove i vangeli “non ufficiali” raccontano un’altra Chiesa – (Terza e ultima parte). E un invito, caro Roberto, per il monologo che ancora manca.


E in questa tradizione, il cosiddetto Vangelo di Giacomo – un testo apocrifo del II secolo – stranamente non è stata inserita come biografia evangelica, c’è la ricostruzione della sacralità della famiglia: Maria è presentata come figlia del tempio, dedicata fin da bambina a Dio; Giuseppe è un vedovo anziano, scelto solo per proteggere la sua purezza; Gesù nasce in silenzio, senza clamore, e subito dopo è Giacomo, il primogenito di Giuseppe, a entrare in scena come custode della sorellina (Maria) e poi del fratellastro (divino). 

Non vi è alcun miracolo nel parto, e neppure adorazione dei magi, c’è semplice devozione, rispetto, familiarità. Per gli ebioniti, la santità non era nell’eccezionale, ma nel quotidiano. Nel fare bene ciò che la Torah chiede, senza sconti, senza scorciatoie e quando Giacomo morì lapidato, per loro non cadde un leader tra tanti: cadde il pilastro che teneva ancora unita la casa di Gesù alla casa d’Israele.

Certo, col tempo quella voce si fece sempre più flebile e così mentre Roma cresceva, Antiochia dibatteva e Alessandria speculava, Gerusalemme era stata sepolta dai romani sotto le ceneri…

E i vangeli – non parlo solo di quei quattro che ormai leggiamo come fossero uno – non furono scritti in un’unica volta, né con un unico intento. Ognuno porta i segni del suo tempo, delle sue ferite, dei suoi conflitti risolti a parole quando non era più possibile risolverli a fatti. 

Quello di Marco, probabilmente scritto prima della distruzione del Tempio, non conosce ancora la figura di Pietro come fondamento: lo mostra smarrito, che fugge nudo dal Getsemani (un dettaglio troppo strano per essere inventato…), che tace davanti al sommo sacerdote, che non compare alla tomba vuota, anzi, le donne “non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura”, un testo aperto, incerto, come la comunità che lo genera. 

E poi Matteo, scritto dopo il 70, in una chiesa divisa tra ebrei osservanti e convertiti ellenisti, sente il bisogno di chiudere quella incertezza: ecco allora il discorso della montagna, le antitesi («Avete inteso che fu detto… ma io vi dico»), e, appunto, la dichiarazione su Pietro — «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa». Ma attenzione, quanto scritto non rappresenta un titolo di proprietà, è un atto di fiducia in un momento di crisi. È come se la comunità dicesse: “Abbiamo perso Gerusalemme, abbiamo perso il Tempio, abbiamo perso Giacomo, ma non abbiamo perso la possibilità di ricominciare e se proprio dobbiamo ricominciare, che sia qualcuno che ha fallito, ma che è stato guardato ancora”.

Luca, viceversa, cerca l’unità: fa parlare Pietro a Pentecoste, ma affida la parola decisiva al concilio a Giacomo; mostra Paolo in viaggio, ma lo fa arrestare a Gerusalemme, in quella stessa città dove Giacomo camminava a testa alta fino all’ultimo. Giovanni, infine, scrive più tardi, forse a Efeso, e sa che ormai Giacomo è un nome quasi scomparso: allora trasforma Pietro in Simone figlio di Giovanni, lo fa riconoscere tre volte da Gesù dopo il rinnegamento – non per umiliarlo – ma per restituirgli il posto non come capo, ma come pastore. È un gesto di riconciliazione postuma, un tentativo di tenere insieme ciò che la storia aveva separato.

Ecco che così, pagina dopo pagina, quei vangeli non raccontano solo ciò che accadde, ma anche ciò che si sperò potesse ancora accadere: un’unità che non cancellasse le differenze, una fedeltà che non diventasse rigidità, una memoria che non si trasformasse in mito. 

Il problema non fu mai che qualcuno abbia “inventato” il Pietro che oggi tutti conoscono, quello che, in questi giorni, Roberto Benigni ha raccontato con tanta grazia e forza. No… il problema fu che, più tardi, qualcuno decise che quella sola immagine dovesse bastare a reggere tutto, la fede, il potere, la memoria persino e nel farlo, lasciò fuori le altre voci, i volti che non chiedevano di comandare, ma solo di testimoniare.

Come se la casa di Gesù potesse avere un’unica colonna portante, e non invece una trama di relazioni, di tensioni, di silenzi pesanti e parole ritrovate. Perché la verità è che Gesù non ha lasciato un successore: ha lasciato una tavola apparecchiata e su quella tavola c’erano dodici posti e quindi non uno solo. Alcuni furono occupati da chi rimase, altri da chi decise di andare lontano, altri ancora restarono vuoti, segno che nessuno poteva dire: “Qui siedo io, e qui nessun altro”!

Ecco allora che – a seconda di come vogliamo leggere la storia, forse o certamente – il vero errore non fu tanto mettere Pietro troppo in alto, quanto dimenticare che ogni volta che lo si sollevava, qualcun altro veniva inevitabilmente spinto giù: Giacomo, Maria di Magdala, Giuda di Giacima, la vedova con le sue due monetine, non furono cancellati, no… furono semplicemente messi fuori campo, come ombre al bordo della tela ufficiale, mentre la luce veniva concentrata su un solo volto.

Ecco per cui, mio caro Roberto, consentimi di suggerirti il tuo prossimo monologo e cioè l’unico e vero messaggio che Cristo desiderava: un insegnamento che riuniva l’umanità intera, senza divisioni religiose, senza più poveri e ricchi, senza padroni e servi, senza chi comanda in nome di Dio e chi obbedisce per paura del castigo. 

Il tutto potremmo dire riunito in una sola legge – scritta non su pietra – ma nel cuore: “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Basta  un solo segno distintivo: non la fede dichiarata, bensì il pane spezzato con chi non ha, con una giustizia equa fatta anche per chi non conta, la verità detta a chi non la vuole sentire, perché Gesù non venne a fondare una Chiesa, venne a ricordare a tutti che siamo una sola famiglia e che ogni volta che qualcuno viene lasciato fuori – non è lui a essere escluso – siamo noi a smettere di essere umani.
E quel giorno, non è Dio che si allontana: è l’uomo che si dimentica di sé!

Quando il silenzio di Giacomo parla più delle parole di Pietro – Seconda parte


Consentitemi – prima di iniziare la seconda parte del mio post – di riportarvi quanto ricevuto – ieri – dalla mia prima lettrice, e cioè mia moglie (ma sono certo che sarete stati in molti a pensare la stessa cosa…):

  • Troppo lungo per leggerlo immediatamente, lo farò con calma. Hai forse voluto eguagliare Benigni per lunghezza??? Ma lui a differenza tua è stato profumatamente pagato per intrattenere gli spettatori 🤣🤣🤣🤣

Risposta (che in un qualche modo preannuncia quanto sto ora per scrivere):

  • Hai ragione sulla lunghezza, ma per trattare con serietà un tema così vasto (e come sappiamo troppo spesso edulcorato…) servono necessariamente più parole. Ho preferito quindi una divisione in più parti a un riassunto frettoloso. Il punto centrale del mio post non è la mia opinione personale, ma il tentativo di ricostruire coerentemente eventi storici che, da duemila anni, vengono (sempre) celati dietro narrazioni più “comode e spettacolari”, come per l’appunto alcuni monologhi di intrattenimento.

Ed allora – dando seguito a quanto scritto ieri – ho lasciato l’ultima parola al “silenzio”, come si fa quando si è detto qualcosa che non può essere né aggiustato né cancellato, solo accolto. La storia – e quindi non la leggenda – ci ha consegnato un Giacomo solido, silenzioso, radicato in quella terra di Gerusalemme, mentre viceversa ci ha fatto conoscere un Pietro che cammina sui margini, tra le onde e le città, tra l’entusiasmo coraggioso di chi crede ciecamente ed il ripensamento umano di chi evidenzia paura, già… tra il fuoco e il dubbio.

Eppure, non finisce qui, perché se è vero che la storia non mente, è altrettanto vero che non parla mai da sola: le sue parole sono sempre intrecciate con quelle di chi, dopo, ha dovuto scegliere da che parte stare, in tempi in cui non si trattava più di seguire un uomo, ma di costruire una memoria capace di resistere al tempo. E quella memoria, inevitabilmente, ha dovuto fare i conti con conflitti che non erano più tra Giudei e Romani, ma dentro la stessa comunità dei discepoli.

Paolo e Pietro, per esempio, non furono mai compagni di strada nel senso tranquillo del termine.

Paolo, cittadino romano, colto, irruente, convinto che la buona novella fosse per tutti, senza distinzioni di circoncisione né di legge; Pietro, galileo, cresciuto nel ritmo delle sinagoghe, fedele alla Torah anche quando non ne capiva più il senso, sempre in bilico tra ciò che aveva udito da Gesù e ciò che il cuore gli imponeva di non abbandonare.

Ad Antiochia – come ho scritto ieri – lo scontro è netto: Pietro mangia con i pagani finché non arrivano gli emissari di Giacomo, allora si ritrae, come chi teme di aver oltrepassato un confine che non gli compete spostare: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani… come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?». Non è un rimprovero teologico: è la voce di chi sente cedere il terreno sotto i piedi, perché sa che se la legge diventa barriera, allora la grazia non è più grazia. Ma Pietro tace e quel silenzio, più di ogni parola, ci dice quanto il primato non fosse mai stato suo: non aveva l’autorità di decidere da solo, perché la comunità di Gerusalemme aveva un centro, e quel centro si chiamava Giacomo.

E proprio attorno a Giacomo si radica una corrente di pensiero oggi quasi dimenticata, ma che per secoli fu viva, presente, resistente: gli ebioniti, i “poveri”, che vedevano in Gesù non un dio disceso dal cielo, ma un uomo giusto, profeta e maestro, figlio di Giuseppe e Maria, fratello di Giacomo, osservante della Legge fino all’ultimo respiro. Per loro, il vero erede non era chi predicava la libertà dai precetti, ma chi, come Giacomo, portava ogni giorno il “tallit”, pregava nel tempio, rifiutava la carne sacrificata agli idoli e viveva in povertà radicale.

Non avevano bisogno quindi di un Pietro universale, né di un Paolo che parlava in greco alle città: avevano bisogno di un fratello che camminava per le strade di Sion come aveva camminato Gesù, con le stesse scarpe polverose e lo stesso sguardo sulle vedove e gli orfani.

FINE SECONDA PARTE

Roberto (Benigni), il tuo monologo su Pietro è meraviglioso, ma la storia di quell’uomo racconta tutt’altro – Prima parte


Dopo la presentazione su Rai 1 del monologo di Roberto Benigni sul discepolo di Gesù, Pietro, ho letto nel web un post di Vatican News che riprendeva quell’assolo e lo intitolava “Quella forza che nasce dalla fragilità, Benigni racconta San Pietro”, ed allora ho deciso che fosse “giusto” (sì… un parola che trova proprio in questo contesto la sua perfetta collocazione…) bilanciare, sì…quanto da entrambi riportato. 

Sì… perché anch’io, come molti di voi, ho ascoltato con attenzione quel monologo durato circa due ore – opera del grande attore, regista, sceneggiatore e cantautore che tutti conosciamo – ma debbo dire che quanto ho udito mi è sembrato più un racconto fantasioso – certo bello – avvincente, a volte commovente, ma non un terreno su cui fermarsi a riflettere, bensì uno specchio in cui riconoscersi senza dover mai mettersi in discussione.

Già – caro Roberto – ciò che hai detto va bene ai bambini, e va bene anche a tuuti quei fedeli che vogliono credere tenendo però gli occhi chiusi, senza mai mettere in discussione nulla, accettando – quasi fossero seguaci di una verità che non ammette domande – tutto ciò che viene loro insegnato: già… mai a chiedersi se quegli insegnamenti siano radicati nella storia o costruiti per consolare.

Non chiedono a se stessi se quelle parole ascoltate con devozione, a volte persino studiate in modo approfondito, servano davvero a discernere il giusto dall’ingiusto o – come solitamente accade – solo a confermare ciò che già si vuole sentire. Già… l’importante è riceverle – e basta– come se a parlare loro fosse il divino in persona.

Per cui, quanto andrò ora a scrivere non è per tutti, in particolare non per chi ha da sempre chiuso il proprio cuore e cammina come un cavallo con i paraocchi, sì… perché la strada non l’ha scelta lui: l’ha decisa il fantino!

Ed allora, consentimi di far conoscere chi era realmente – quantomeno storicamente – quel Pietro da te tanto decantato con amorevole passione e scusami se nel mio post, mi rivolgerò a te senza darti del lei, ma su questo punto, sono certo che apprezzerai il mio esser spontaneo.   

Innanzitutto desidero precisare che nel tuo monologo ti stessi riferendo a quel soggetto chiamato “Simone”, detto Kefà, in aramaico: “roccia”, (tradotto in greco Petros). Ed allora iniziamo a vedere chi era questo umile pescatore, originario di Betsaida (Galilea); certamente era un analfabeta o quantomeno con una bassissima scolarizzazione: basti leggersi il passaggio – Atti 4,13 – dove viene descritto come “agrammatos kai idiotēs” –  e cioè “senza lettere e privo di formazione”.

Ed allora continuando, vediamo cosa sappiamo di lui (quantomeno) con certezza: dovrebbe esser stato uno dei primi seguaci di Gesù ed è anche presente in molti episodi riportati come la trasfigurazione, Getsemani, rinnegamento (quest’ultimo come sappiamo presente in tutti e quattro i vangeli canonici).

Sappiamo inoltre che dopo la morte del profeta Gesù, egli è tra i protagonisti del movimento post-pasquale: appare per primo – o quantomeno tra i primi –  a Gesù risorto (vedasi Cor 15,5; Lc 24,34), inoltre, predica la Pentecoste (Atti 2), ma sappiamo bene come questa rappresentazione sia una narrazione teologica molto tardiva.

Certo svolge un ruolo di rilievo tra i dodici apostoli, ma quel numero “Dodici” rappresenta un gruppo simbolico, non un organo stabile, difatti, dopo la morte di Giuda, Mattia viene “sorteggiato” e quindi scelto, ma stranamente non compare più…

Passiamo allora a tutta una serie di frasi riportate nei cosiddetti vangeli sinottici, in particolare quella in cui Gesù chiama Simone Pietro e gli dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16,18). 

Ma questo testo compare solo in Matteo- ed è in greco- segno che non risale alla tradizione aramaica di Gesù- ma a una redazione posteriore- forse ad Antiochia, attorno agli anni 80-90 d.C. – in una comunità attraversata da tensioni interne – alla ricerca non di un’identità “unica”, ma di un’autorità riconosciuta da tutti, proprio mentre giudeo-cristiani ed ellenisti stavano prendendo strade diverse.

Se prendiamo ad esempio quello di Marco (il più antico), lì… non vi è riportato nulla!

Ed ancora, permettimi di aggiungere come Luca e Giovanni non lo riportano in quella forma; si comprende quindi come quell’episodio sembra rispondere più a una situazione successiva e non ai giorni di Gesù. Vi è in quella frase – creata appositamente – la ricerca di legittimazione gerarchica, soprattutto in un periodo nel quale emergevano forti tensioni tra giudeo-cristiani ed ellenisti.

Per cui, la frase “tu sei Pietro…” probabilmente non possiede nulla di storico, nel senso di “pronunciato da Gesù in quel momento”, ma riflette una volontà di sviluppò teologico che voleva porre Pietro in un ruolo di leader che non gli spettava e che, come sappiamo, fu assegnato a Giacomo detto “il Giusto”.

Ed allora, mettiamo per un momento da parte questa figura di Pietro e andiamo ad analizzare la figura di Giacomo (Ya‘aqov), fratello di Gesù (Mc 6,3; Gal 1,19), che emerge con chiarezza già nei primi decenni, e in modo assai più concreto rispetto (a questo tuo e non solo tuo…) “Pietro”. 

Paolo lo chiama “Giacomo, il fratello del Signore” (Gal 1,19), e dice di averlo incontrato a Gerusalemme e difatti, in Galati 2,9, si legge: e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi.

Scusami Roberto, hai letto? I “pilastri” della chiesa di Gerusalemme sono “Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni”, ma è Giacomo ad essere nominato per primo.

Ma non solo, nello stesso capitolo, Paolo riferisce di un disaccordo ad Antiochia tra Giacomo e Pietro (Gal 2,11–14): 11 Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. 12 Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13 E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. 14 Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?

Si comprende da questo passo come Pietro si ritiri dalla mensa comune con i pagani per timore “di quelli che venivano da Giacomo”, un segno tangibile di come fosse Giacomo ad avere l’autorità, riconosciuta anche fuori Gerusalemme.

Andiamo avanti, prendiamo ora gli Atti degli apostoli al passaggio 15 (concilio di Gerusalemme) è ancora Giacomo a pronunciare la decisione finale (At 15,13–21) e non Pietro, quest’ultimo parla solo per primo: “Fratelli- voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi- perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo” (At 15,7), ma quando tutti finiscono di parlare, è Giacomo a concludere: Fratelli- ascoltatemi- Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome” (At 15,13–14). Il ruolo decisivo è suo!

Ecco perché mi dispiace contraddirti quando dici: “Voi potete prendere qualunque libro al mondo, ma quando si arriva al Vangelo non c’è discussione”. No… perdonami ma non sono d’accordo, viceversa ritengo ci sia molto da discutere ed allora per farlo continuo ad argomentare quanto tu hai “abilmente” sospeso…

Prendiamo ad esempio un bellissimo libro di Giuseppe Flavio – https://www.homolaicus.com/religioni/fonti/antichita-giudaiche.pdf – Antichità giudaiche XX,200“Poiché Anano – sommo sacerdote – riteneva di avere ora l’occasione propizia, convocò il sinedrio e vi fece comparire il fratello di Gesù –detto Cristo– di nome Giacomo e alcuni altri, e li fece lapidare.” Siamo nel 62 d.C. e Giacomo – non Pietro – viene ucciso come leader riconosciuto della comunità giudeo-cristiana.

La conclusione storica è evidente a chiunque – in particolare a chi vuole avere un cuore aperto – e cioè che, tra il 30 e il 62 d.C., Giacomo è il vero centro di gravità della chiesa madre di Gerusalemme, mentre Pietro ha un ruolo certamente itinerante e carismatico, ma non stabile, né direttivo nel senso istituzionale.

Ed allora viene spontaneo chiedersi: perché Pietro storicamente “sopravvive” e Giacomo scompare dalla memoria popolare?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto far riferimento ad alcune circostanze: 

-la distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) – la chiesa madre viene dispersa e la successiva centralità va prima ad Antiochia e poi a Roma, dove la tradizione petrina si radica presto (fine I sec.: Clemente romano chiama Pietro “esempio di sopportazione”, 1 Clem 5,4–7).

– Giacomo è strettamente legato al giudaismo: osservante della Torah, asceta, “giusto”, ma è dopo il 70, che la separazione tra ebraismo e cristianesimo inizia ad accentuarsi e quindi quella sua figura non si adatta facilmente a una chiesa sempre più ellenistica e soprattutto pagana.

– Pietro diventa “universale”: quel pescatore impulsivo, fallibile (rinnegamento), poi convertito, rappresenta un personaggio più “umano” e narrativamente efficace, difatti è proprio ciò che hai realizzato tu, in maniera sublime, esaltando la sua virtù umana: è diventato anche il mio migliore amico, perché me ne sono innamorato! (…) Come parla, come si muove, come reagisce, come guarda, come cammina, come pesca E quante ne combina! Oh, Signore! All’inizio non ne fa una giusta. Non capisce, sbaglia, inciampa, ci ripensa, (…) è proprio uguale a noi, ripeto: il più vicino a noi, e nello stesso tempo il più vicino a Gesù. 

La vicenda umana del pescatore di Galilea – raccontata da te – è perfetta:  svela «cosa può fare un uomo per Dio e cosa può fare Dio di un uomo». E difatti, la sua morte a Roma (probabile sotto Nerone, ca. 64–67) lo lega indissolubilmente alla nuova Chiesa di Roma, destinata a un ruolo sempre più crescente.

Ed allora concludendo, ma soprattutto basando le mie riflessioni su fatti concreti (ho eliminato qualsivoglia fantasia), non vi è alcuna prova storica che Gesù abbia istituito Pietro come “capo” della futura chiesa, come peraltro il ruolo di Pietro se pur reale, non fu mai gerarchico nel senso moderno. Viceversa fu Giacomo “il Giusto“, ad esser stato nominato leader della prima comunità cristiana, con un’autorità riconosciuta anche da Paolo e dallo stesso Pietro stesso.

Ecco perché quanto emerso dalla storia sta in netto contrasto con il racconto del tuo monologo – e ancor più con la tradizione consolidata della Chiesa – in particolare con quella “primazia” di Pietro che non ha fondamento nei primi decenni dopo Gesù, ma si forma lentamente, tra l’80 e il II secolo, già… come risposta a bisogni reali (e non divini…) di unità, riconoscibilità e continuità, in una fede che stava diventando universale – ma rischiava di perdere le radici – e così si decise di costruire un fondamento solido, sì… su una pietra che, storicamente, non era mai stata posta dal profeta di Nazaret.

FINE PRIMA PARTE

Emanuela Orlandi: i misteri di una ragazza sparita all'interno del Vaticano!!!

In questi lunghi anni hanno cercato in tutti i modi d’insabbiare la verità su quanto accaduto in quell’enigmatico “Stato” Vaticano…

Già… ci hanno fatto sapere che Emanuela vivesse a Londra, poi hanno inscenato l’allontanamento da Roma per problemi familiari, quindi è stata portata alla luce una lettera anonima nella quale si diceva che la ragazza fosse incinta, ed ancora, quella telefonata anonima che avvisava del suo sequestro in cambio del terrorista Alì Acga, per continuare con un uomo del gruppo di estrema destra sodale con Enrico de Pedis, boss della Banda della Magliana, legato a un cardinale, con cui si ipotizzava un coinvolgimento della banda criminale e soprattutto del Vaticano che a quanto pare fosse a conoscenza di quanto accaduto alla ragazza, a causa del crack del Banco Ambrosiano e della perdita di denaro lì conservato che avrebbe portato prima all’uccisione del banchiere Calvi e poi al rapimento della Orlandi per ricattare lo Stato pontificio affinchè restituisse i soldi in precedenza lì investiti.

Una cosa è certa, qualcuno sin dal primo momento ha celato quanto accaduto all’interno di quelle mura e ciò dimostra che per esser giunti a quella tragica determinazione qualcosa di grave fosse realmente accaduto e bisognava in qualche modo far sparire il corpo della Orlandi!!!

E’ evidente quindi come all’interno del Vaticano qualcuno sapesse e ancora oggi sappia di quella povera ragazza, direttamente o indirettamente è stata coinvolta in qualcosa più grande di lei…

Ha visto forse qualcuno o qualcosa che non doveva??? Ha subito un torto e voleva denunciarlo??? Ed ancora, osservando quanto abitualmente accade all’interno di quelle strutture ecclesiastiche, non mi meraviglierei che forse qualcuno (certamente un togato) abbia potuto…   

Comunque, quella ragazza è sparita e sicuramente il suo corpo va ricercato in quel territorio e con tutti i mezzi possibili, perché non si può più attendere più una verità che ci è stata negata da quel lontano 22 giugno del 1983!!!

Il fratello Pietro Orlandi insiste che la sorella sia nascosta a Santa Maria Maggiore, ed allora mi chiedo: cosa aspetta il Papa ad autorizzare le verifiche all’interno di quella Chiesa, ma non solo, anche in tutti quei luoghi dove sicuramente qualcuno avrà – forse per pulirsi la coscienza – raccontato (chissà se non sotto confessione…), già… su dove potrebbe nascondersi il corpo di quella giovane!!!

D’altronde non è stato proprio Papa Francesco a dire: Occorre la pazienza di preferire una Chiesa che non teme di sporcarsi le mani lavando i panni dei suoi figli,ad una Chiesa invece fatta solo di “puri” che pretende di giudicare prima del tempo chi sta nel Regno di Dio e chi no??? Perché il bene e il male sono talmente intrecciati nel nostro cuore, che è impossibile separarli. Solo Dio può fare questo, nessun altro!!!

Ed allora è giunto il tempo che la giustizia terrena faccia il suo corso, altrimenti cari togati, sarà la “giustizia divina” a colpirvi nuovamente – per come ha già fatto vedere svuotando di tutti i fedeli le sue chiese e rendendole vuote, sì… durante la pandemia da “Covid-19”), poiché questa volta, secondo la tradizione riportata nelle scritture, verrà inviato (nuovamente) quell’Angelo della morte, quindi preparatevi, perchè ad Egli, sapete bene che non potrete sfuggire!!!

E l’Angelo disse:“Ora piangi, urla e implora per la tua vita! Mostrami la disperazione sul tuo viso!!!”.

Emanuela Orlandi… forse finalmente s'inizia ad affrontare il vero problema di quella sparizione!!!

Non so che dire… 

Ci sono voluti un bel po’ di anni per iniziare a comprendere quanto forse sia realmente accaduto…

Il sottoscritto anni fa, affrontando molti di quei demoni della nostra Chiesa aveva riportato un convincimento sul misterioso sequestro che faceva riferimento a Emanuela Orlandi ed ora, dopo tanti anni, mi convinco sempre più di non essere stato così distante da quella verità, la stessa che in tanti, in questi quarant’anni dalla sua scomparsa, hanno provato in tutti i modi ad occultare!!!

Il post di allora s’intitolava “Il gallo cantò ancora e ancora, già… e una volta ancora!!!” –  http://nicola-costanzo.blogspot.com/2020/04/il-gallo-canto-ancora-e-ancora-gia-e.html e nel leggerlo scoprirete in sintesi quanto è accaduto solo in piccola parte a causa del potere della nostra Chiesa e forse chissà, anche alla giovane Emanuela… 

Ho sempre pensato durante il periodo della pandemia – nel vedere quella Piazza S. Pietro totalmente vuota – come forse qualcuno da lassù abbia voluto mandare a quegli uomini vestiti con abiti talari, un preciso messaggio affinché comprendessero che nulla è eterno e che anche i fedeli della chiesa, gli stessi che da secoli fanno in modo di esserci in particolare durante le celebrazioni, beh… anche loro possono improvvisamente scomparire, in particolare quando posti dinnanzi aelle aberrazioni compite in nome di Cristo… 

E’ tempo quindi che si faccia un passo indietro, che da quel Vaticano finalmente si comprenda come la verità debba venire prima di ogni cosa, perché l’uomo coraggioso non ha paura di affrontare il giudizio non solo di Dio, ma anche quello degli uomini… 

Auspico che anche Papa Francesco dia ora una mano per raggiungere quella giustezza che finora è stata negata ai familiari Orlandi, in particolare a suo fratello Pietro, che da sempre non ha smesso di cercarla…

Basta con i sotterfugi, gli inganni, con tutti quegli espedienti finora utilizzati per sottrarsi alle proprie responsabilità è tempo di dire la verità, quanto allora è realmente accaduto, chi ne erano i responsabili, chi li ha coperti, possano quest’ultimi essere anche cardinali o più!!! 

Chi è stato deve pagare e tempo quindi che su Emanuela Orlandi si sappia tutto e soprattutto ci si dica dov’è… perché giusto che sia così!!!

Con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte!!! Io ti dico: non canterà oggi il gallo, prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi!!!


Sono passati duemila anni… ma quanto detto allora da nostro Signore a Pietro… è ancora attuale!!!

D’altronde che volete, la natura umana è fragile, basta poco per evidenziarne la debolezza, in particolare nei momenti più ardui, quando si è sotto pressione… ed è lì che la maggior parte delle persone crolla!!!
Quanto sopra peraltro è stato dimostrato nei molti avvenimenti di cronaca…
Basti pensare ad esempio a quei cosiddetti “uomini duri“, che hanno manifestato la loro intrinseca natura animalesca, criminali capaci di sciogliere nell’acido altri individui, ma che poi… appena arrestati dalle forze dell’ordine, si sono immediatamente pentiti… ma pentiti di cosa???
Potrei comprendere un soggetto sottoposto a tortura che decida di parlare, per quanto quella sua resa possa poi successivamente garantirgli la salvezza… certo in quelle circostanze non è facile resistere, peraltro esistono metodi di coercizione a cui è difficile resistere, la maggior parte degli uomini si arrendono o si lasciano morire…
Ma non è questo il caso… 
Qui parliamo di situazioni quotidiane, a quella semplice consuetudine, quelli a cui mi riferisco sono uomini comuni, personaggi legati a quel mondo della politica, imprenditoria, sono professionisti, colletti bianchi, professori, medici, ecc… che appena vengono colti con le mani nella marmellata, si cac… addosso ed iniziano a fare tutti i nomi possibili e immaginabili, anche quelli che nulla centrano con la loro inchiesta!!!
Eppure prima di aver provato il freddo di quelle manette, si dichiaravano pronti al sacrificio… disponibili anche ad andare in prigione o alla morte se necessaria, tutto… pur di non pronunciare quei nomi!!!  
Ma appena quello scatto metallico a chiuso quei loro polsi, ecco che all’improvviso tutto è cambiato… e ci si è piegati come un ramoscello d’erba, esili, fragili già… come i biscotti friabili!!!
E dire che si dimostravano potenti ed invece ora evidenziano tutta la loro fragilità… già… in questi particolari momenti – nei quali avrebbero dovuto dimostrare la loro forza – si sono sciolti come neve al sole…
E’ bastato uno schiaffo per farli parlare… ed ora ne servono cento per farli stare zitti!!! 
Si perché in queste circostanze sono come un fiume in piena, non riescono a limitarsi, dinnanzi alla giustizia decade ogni forma di arroganza e prepotenza fin qui evidenziata e la paura prende il sopravvento…
Il fatto più insolito è che nessuno sta minacciando loro con violenza, già… nessun sopruso si sta compiendo nei loro confronti, eppure loro, come docili cagnolini, iniziano a scodinzolare quella coda, pur di far piacere quel loro interlocutore…
D’altro canto il traditore non si vede subito… ma solo quando viene messo alla prova, e lì per l’appunto che disattende gli obblighi di lealtà e fedeltà!!!
Certo, dispiace scoprire d’aver avuto per tanto tempo una serpe in seno, uno che pensava esclusivamente a sfruttare la situazione, ad accrescere la propria posizione sociale e soprattutto ad arricchirsi alle vostre spalle… 
Ma d’altronde cosa avreste potuto fare…
Era impossibile prevedere – prima di quegli accadimenti – in quali modi quell’individuo si sarebbe comportato e quale personalità avrebbe con il tempo svelato… 
Che dire… vi siete fidati ciecamente ed ora purtroppo ne pagate il prezzo: vivere sotto la spada di Damocle, sperando che mai il vostro nome venga pronunciato!!!

La Profezia di Malachia….

Le dimissioni di Papa Benedetto XVI hanno riportato alla mente di molti la “profezia di Malachia”… 
Secondo questa profezia infatti, il successore di Papa Ratzinger potrebbe essere l’ultimo papa della storia… e poi dovrebbe giungere la fine del mondo…
Tutto inizio intorno al 1140 quando il Vescovo Irlandese Malachia, profetizzò le successioni papali, sino al tempo in cui Pietro sarebbe ritornato sulla terra per riprendere le chiavi della Chiesa…
Queste profezie vanno sotto il nome di “Profezie sui Pontefici”  ed iniziarono a circolare verso la fine del 1500 e furono pubblicate per la prima volta dal benedettino Dom Arnold Wion nel 1595, nel suo libro “Lignum Vitae” e riguarderebbero il destino della Chiesa Cristiano-Cattolica…
Le Profezie di San Malachia, contengono 111 iscrizioni latine che descrivono quelli che in realtà, sarebbero stati i rispettivi 111 motti e stemmi dei successivi 111 Papi della Chiesa Cattolica.
Ora se da un lato, essendo stato pubblicati 500 anni dopo la sua morte, i Papi descritti fino a quel anno erano già spirati in altra vita è altrettanto vero, che per quelli successivi, la descrizione risulta molto precisa….
Ed è proprio nei giorni nostri, che viene collocato l’ultimo Papa, quello cioè a cui seguirà poi il ritorno di Cristo sulla terra.
Ma cosa centra Benedetto XVI con tutta questa storia???
Secondo San Malachia, Benedetto XVI sarebbe il 111° Papa, ossia …l’ultimo!!!
Ma l’ultimo non doveva essere nero??? 
Seguitemi e vedrete qualcosa di veramente strano…
Sappiamo che ogni Papa viene descritto attraverso il suo stemma o un suo motto…
Tralasciando l’elenco ed esaminando soltanto gli ultimi tre Papi…, possiamo vedere che, per la profezia sul Papa 109° e cioè Papa Giovanni Paolo I, detto anche Papa Luciani, San Malachia descrive questo Papa come “ De medietate lunae ” ossia durerà il tempo di una lunazione… , Papa Giovanni Paolo I, durò esattamente 33 giorni ossia quanto una lunazione!
Ancora più straordinaria, appare la profezia sul 110° Papa definito “ De labore solis ” cioè dal levante del Sole e come sappiamo il sole sorge ad est  e difatti Giovanni Paolo II era di un paese dell’est, la Polonia… ma consultando il registro delle eclissi solari si è scoperto inoltre un fatto molto curioso, risulta infatti che papa Giovanni Paolo II, nato il 18 maggio 1920, è nato proprio il giorno di una eclissi solare, ed è morto il 2 aprile 2005, giorno in cui non è avvenuta alcuna eclissi…, ma a causa dell’eccezionale numero di fedeli presentatisi per rendere l’ultimo saluto, la salma del pontefice è dovuta rimanere esposta alle folle per un periodo insolitamente lungo, e per tale ragione il funerale e la tumulazione sono avvenuti solo l’8 aprile 2005…, giorno  anch’esso di eclissi solare!!!
E siamo quindi giunti al ultimo Papa descritto, il 111° che San Malachia descrive come “ De gloria olivae ”, a questa profezia, in molti pensarono che si fosse sbagliato, poiché di “colore olivastro” certamente il nostro papa aveva poco, ma, se si osserva attentamente, ci sono dei dettagli che mettono in relazione il motto di San Malachia con Bendetto XVI:
– Il primo è lo stemma scelto dallo stesso Papa, possiamo vedere che nel  cantone in alto a sinistra troneggia la testa di un Re (con tanto di corona) nero e con collana rossa.
– il secondo, deriva dalla parola “De gloria olivae”, la gloria dell’ulivo, che avrebbe una relazione diretta con il nome che il Papa si è imposto e cioè Bendetto che fu il fondatore dell’ordine benedettino, chiamati anche “monaci olivetani”, inoltre nello stemma adottato da benedetto XVI, lo scudo del tipo a calice è rosso cappato di oro, presenta cioè il campo principale rosso, con due campiture laterali color oro, negli angoli superiori a mò di “cappa”; quest’ultimo è un simbolo religioso che si riferisce alla spiritualità monastica, in particolare quella Benedettina!!!.
– il terzo è quello che viene indicato attraverso il segno dell’ulivo, cioè un simbolo di pace… e proprio Ratzinger,  nella sua prima Udienza Generale del 27 aprile 2005 ha voluto richiamarsi a Benedetto XV, il Papa che tentò in ogni modo di porre fine alla prima guerra mondiale: ” Egli “, ha detto , ” fu coraggioso e autentico profeta di pace, e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra, e poi per limitarne le conseguenze nefaste ed è sulle sue orme, che desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio “.
Quindi secondo le profezie di San Malachia Benedetto XVI sarebbe il 111° ed ultimo Papa prima dell’inizio della grande tribolazione della Chiesa….
Secondo alcuni il nuovo papa siederà sulla cattedra che fu di S. Pietro e si chiamerà Pietro, sarà romano e guiderà la Chiesa attraverso una fase difficilissima.
A costui Malachia non ha dedicato un semplice motto, bensì alcuni versi latini: ” In persecuione extrema sacrae romanae ecclesiae sedebit Petrus romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibi transactis, civitas septis collis diruetur, ed Judex tremendus judicabit populum suum. Amen e cioè ” Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa, siederà Pietro il romano, che pascerà il suo gregge tra molte tribolazioni; quando queste saranno terminate, la città dai sette colli sarà distrutta, ed il temibile giudice giudicherà il suo popolo. E così sia “…
Tutto ciò coinciderebbe con le profezie di Nostradamus che prevedeva un evento che metterà d’accordo tutti gli uomini e assicurerà 400 anni di pace sulla terra…. e se a ciò aggiungiamo anche la profezia dei Maya che descrivevano di una nuova era che inizierebbe proprio il 21 dicembre 2012, possiamo dire che  forse le coincidenze sono diventano un po’ troppe…