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“La guerra è finita”: il paradosso del Cardinale Pizzaballa in un conflitto che continua.


Già il 17 novembre scorso mi interrogavo, e vi interrogavo, su una sensazione inquieta. Parlando dell’appello del cardinale Pizzaballa e del Custode di Terra Santa per riportare i pellegrini in Terrasanta, mi chiedevo se non fossimo di fronte, più che a un desiderio puramente spirituale, alla pressante necessità di rianimare un business miliardario.

Scrivevo che forse, a Gesù, poco importa di code davanti a un presunto luogo sacro. Ciò che conta è che il suo messaggio circoli nei cuori, ovunque essi siano. Quel dubbio, quel fastidio per una fede trasformata in “commodity“, non mi ha mai abbandonato.

Oggi quel sospetto ritorna, acuito, e si trasforma in uno sconcertante senso di frattura. Perché leggo quanto il cardinale, di ritorno da Gaza, ha dichiarato: “La guerra è finita, ma Gaza resta un simbolo del conflitto e della tentazione di fuggire”. Descrive che non c’è più la guerra, ma restano povertà, tende allagate e bambini senza scuola. Sostiene che gli aiuti entrano, soprattutto quelli commerciali, anche se Gaza resta simbolo del conflitto e della fatica di restare. Pur riconoscendo le enormi difficoltà, la sua affermazione cardinale resta dunque quella: la guerra è finita. Una riflessione alta, pacata, che invita a una testimonianza di presenza.

Poi, quasi nello stesso respiro, apro i notiziari. Raid aerei israeliani su Gaza City e Rafah nella notte. Attacchi con droni nel sud del Libano, miliziani uccisi. Il ministro della Difesa israeliano parla di istituire avamposti militari nel nord di Gaza. Persino Vatican News, organo di Santa Sede, titola senza mezzi termini: “Israele, nuovi raid dell’aviazione su Gaza e Rafah”. Notizie di ieri, di oggi, in un flusso continuo che parla non di pace, ma di un conflitto che si ramifica, si intensifica, muta forma ma non sostanza.

E allora, cosa resta da pensare? Mi ritrovo spaesato, come se vivessi in due dimensioni parallele che rifiutano di incontrarsi. Da un lato, la narrazione pastorale di una guerra conclusa, che invita a guardare oltre il dolore, a ricostruire, a restare. Dall’altro, la cronaca spietata di esplosioni, dichiarazioni di belligeranza, e una tensione internazionale che non accenna a placarsi. Due verità inconciliabili occupano lo stesso spazio, e una di esse sembra vivere in una sorta di bulbo protetto, isolato dal frastuono dei motori dei caccia e dal boato degli obici.

Mi chiedo, con amarezza, se non ci troviamo di fronte all’ultima, sofisticata evoluzione di quel “business del culto” di cui parlavamo a novembre. Forse, in questa fase, il prodotto da vendere non è più solo il pellegrinaggio sicuro, ma addirittura la narrazione di un conflitto terminato. Una narrazione necessaria per far ripartire i flussi, per rassicurare, per costruire un’immagine di normalità che è funzionale a tanti, tranne che a chi sotto quelle bombe ci vive ancora. È una spiritualità che rischia di diventare una forma di negazione, un rifugio in un contesto simbolico così elevato da perdere ogni contatto con la terra bruciata della realtà.

Il cardinale insiste: “Dio non cancella la notte, ma la illumina”. È un’immagine potente. Ma quando la notte è solcata dalle traccianti e illuminata a giorno dalle esplosioni, quella luce divina rischia di essere oscurata, o peggio, di essere strumentalizzata per far vedere qualcosa che, semplicemente, non c’è. La testimonianza di fede è un atto eroico, soprattutto in quelle terre martoriate. Ma perché non si accompagna, oggi, a un grido altrettanto forte che denunci l’abisso tra le parole di pace pronunciate in una sala e le guerre che continuano fuori dalla finestra?

Forse è questa la tentazione più grande: non quella di fuggire materialmente, ma di fuggire nella narrazione. Di costruire un recinto sacro di parole rassicuranti mentre fuori infuria la tempesta. Il vero coraggio, forse, non sarebbe solo quello di “restare”, ma di restare guardando in faccia tutta la contraddizione, chiamandola per nome, senza edulcorarla in un messaggio di pacificazione prematura. Perché se il business ha bisogno di normalità, la profezia ha il dovere di gridare l’anormalità, anche quando è scomoda, anche quando disturba il ritorno ai giri d’affari.

Quel grido, oggi, mi sembra dolorosamente assente. E in questo silenzio, rischia di perdersi non solo la credibilità di una parola, ma il significato stesso di una presenza.

Gesù e quel suo essere ebreo!!!

Premesso che nessuno tra i suoi familiari ed anche tra i discepoli, avesse previsto che quel profeta morisse in quel modo e difatti furono tutti presi alla sprovvista da quell’azione celere dei romani, istigati come sappiamo dai sommi sacerdoti… 

Com’era possibile che quell’uomo indicato dalle scritture come il messia, discendente della stirpe di Davide, fosse morto in quel modo, già com’era possibile che Dio lo avesse permesso, dov’era Egli mentre suo figlio pativa la croce???

D’altronde, cosa aveva fatto di male quell’uomo con le sue parole e con le sue opere di taumaturgo, un uomo che aveva sempre rispettato le leggi della Torah: ricordiamoci sempre che Gesù fosse ebreo e non cristiano!!!

Basterebbe riflettere su quest’ultimo punto per comprendere come duemila anni d’efferati crimini compiuti sotto il nome di “Cristo”, non sarebbero dovuti neppure esistere; già… millenni di separazione e di allontanamento ostile tra giudaismo e cristianesimo hanno permesso di compiere agli uomini azioni brutali e spregevoli, tanto ignobili che viene difficile il solo pensiero di descriverli.

Gesù era ebreo!!! Questo non si può cancellare, anche se qualcuno nei secoli ci ha provato!!! 

Sì… da piccolo venne circonciso, leggeva la bibbia in ebraico, rispettava il giorno del Sabbath e si recava in pellegrinaggio tre volte l’anno a Gerusalemme (come prescritto dalla Torah…); osservava difatti a primavera la Pasqua ebraica, all’inizio dell’estate la festa delle primizie e in autunno era in città per la festa dei Tabernacoli; crebbe quindi in un mondo religioso e culturale impegnato a seguire quella parola di Mose e dei profeti, ed ancora, ciò che ci è stato successivamente riportato è stato compiuto esclusivamente per determinare quell’antisemitismo che fu alla base della formazione della prima cristianità, ma che incise profondamente nella coscienza di tutto l’occidente nei secoli a venire!!!

D’altro canto, quanto detto fino ad oggi manca totalmente di fondamento storico, ma ciò è stato dovuto affinché si giungesse a dividere quell’uomo dal suo contrassegno “ebreo“, lo stesso a cui sin dalla nascita egli apparteneva; d’altronde tutta la vita di Gesù è indirizzata affinché la sua missione fosse anticipata dai testi sacri, che preannunciavano l’arrivo di figure chiave nell’atteso ruolo di annunciare il regno di Dio…

Lo stesso Giovanni Battista è partecipe a quel compito di annunciatore e difatti quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme i sacerdoti ed i leviti ad interrogarlo presso la cittadina di Betània, al di là del fiume Giordano, dove Giovanni stava battezzando, alle domande: «Chi sei tu?». Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo».  Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No». Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore; «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». 

Da quanto sopra anche quindi suo cugino rispondeva attenendosi ai testi sacri e citando i profeti Iasaia e Malachia; vorrei difatti ricordare quanto sia sottile la linea che fa credere che una profezia predichi una certa sequenza di eventi ed il cercare in un qualche modo di pilotare quegli stessi eventi, in quanto già predetti nella profezia stessa!!!

Gesù era morto e nessuno dei presenti era preparato a quell’evento!!! Necessitava quindi trovare immediatamente un sepolcro (temporaneo) per quel corpo affinché gli fosse risparmiato di restare solo su quella croce, abbandonato da tutti e con il rischio di venir divorato nella notte dagli animali, ma soprattutto evitando alla famiglia l’onta della vergogna!!!

Ed allora vediamo in quali modi si giunse a quella “temporanea” sepoltura e cosa accade (realmente o quantomeno sforzandosi di operare entro i parametri di una visione scientifica delle realtà…) al corpo di Gesù??? 

Preparateci, perché un’impervia salita vi aspetta…