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Non è un ponte, è un affare per pochi!

La realizzazione del Ponte sullo Stretto viene presentata come un traguardo storico, un simbolo di modernità che unirà due mondi e rilancerà l’economia del Sud, ma dietro questa narrazione trionfalistica – secondo me – si nasconde un groviglio di interessi che poco hanno a che fare con il bene comune.
Già… il governo parla di sviluppo, di collegamento tra le due sponde, di un’opera che cambierà per sempre il volto del nostro Paese, eppure queste parole risuonano vuote, in particolare se si osserva in maniera obiettiva, chi sta già incassando, chi sta decidendo e soprattutto chi sta muovendo le fila dietro le quinte…

Non sono ahimè soltanto i timori di infiltrazioni mafiose a rendere questa impresa così controversa, anche se va detto, dietro i miei sospetti, vi sono rapporti purtroppo fondati: le allerte della Dia, i rapporti dell’Antimafia, le cronache di appalti oscuri e i subappalti incontrollabili, raccontano come, ormai da decenni, le grandi opere in questo Paese siano terreno di caccia per la criminalità organizzata.

Eppure, nonostante il settore delle costruzioni e tutto ciò che ad esso è direttamente connesso, continui a concentrare oltre il 60% delle misure preventive antimafia, la risposta ufficiale si riduce spesso in una pericolosa sottovalutazione del fenomeno…

Già… è come se la criminalità organizzata fosse solo un pretesto da liquidare con leggerezza, un approccio che da sempre alimenta nel sottoscritto il sospetto che, per alcuni, la lotta alla criminalità sia più un obbligo di facciata che una reale missione, sì… un mero adempimento per garantirsi lo stipendio.

Ma esiste un livello ancora più profondo, e forse più inquietante, che va oltre la criminalità organizzata. È un sistema di potere fondato su alleanze silenziose e interessi convergenti tra una certa politica e una precisa fetta dell’imprenditoria – solitamente settentrionale – la stessa che oggi, sotto l’egida di “general contractor”, si sta accaparrando appalti milionari grazie alle nostre regioni.

Non si tratta quindi di semplice speculazione: è un meccanismo ben oliato, una trama di comodo in cui finanziamenti pubblici, scelte politiche e commesse private si fondono sotto una finta trasparenza di legalità. È questo sistema, che ho già definito (nei miei precedenti post) “triadico”, a spingere con forza per l’avvio dei cantieri, quasi per creare un fatto compiuto, un’opera talmente avviata da risultare a chiunque impossibile da fermare, anche quando i dubbi si accumulano…

Le stime di costo superano i tredici miliardi e mezzo di euro, una cifra astronomica, di cui oltre dieci miliardi sarebbero già destinati a un’unica figura contrattuale, un’enormità di denaro pubblico che scorre in un canale poco controllabile.

E mentre si parla di pedaggi sostenibili, gli analisti internazionali, come quelli del Financial Times, mettono in guardia: il costo per attraversare il ponte – attualmente il costo di sola andata con il traghetto per un’autovettura è di €. 42.00 – potrebbe salire fino a sessanta volte quello di un’autostrada comune, una barriera invisibile che trasformerebbe l’opera non in un collegamento, ma in un esclusivo corridoio per pochi privilegiati.

Nel frattempo, a Torre Faro, a Villa San Giovanni, migliaia di famiglie vivono nel terrore di perdere le loro case, strappate via da un progetto che non le ha mai ascoltate e le rassicurazioni tecniche, non cancellano la paura di vivere su una faglia sismica dove ogni vibrazione potrebbe diventare fatale. Si parla di progresso: ma il progresso non dovrebbe cancellare le comunità, non dovrebbe spezzare la vita di chi ci abita da generazioni…

E allora, cosa spinge l’attuale governo a questa decisione? E’ forse l’idea di unire due regioni, il continente con l’isola, il desiderio di modernizzare il Sud? O forse dietro c’è la smania di oliare quel meccanismo di potere, di ricchezza concentrata, di opportunità riservate a pochi, loro, sì… gli stessi che da sempre si muovono sotto il velo del patriottismo infrastrutturale!

E quando tutta questa storia finirà, con il ponte costruito o meno, una cosa è certa: le conseguenze le pagheranno ancora una volta i soliti. Noi siciliani, noi calabresi, quelli che dal 1860 in poi hanno imparato a conoscere bene il prezzo delle promesse non mantenute.

Il ponte, forse, si farà. Ma non sarà mai un ponte per il popolo: Sarà un ponte d’oro per pochi, e un futuro d’ombra per molti!

Auto elettrica? No grazie…

Ho ricevuto dalla Svizzera da mio “fratello” Daniele un post, che mi permetto di condividere:

Da un anno sono possessore di una auto Full Electric di ultima generazione: una Peugeot E-208 con una batteria da 50 KWh. 

Mi sono fatto convincere dalle fandonie raccontate sul fatto che le auto elettriche sarebbero molto più convenienti di quelle con motore termico. 

Ebbene, posso dire con certezza, scontata sul mio portafogli, che le auto elettriche sono una colossale fregatura!!!

L’Unione Europea, non ho ben capito con quale logica e per quale interesse, spinge fortemente per la conversione totale della mobilità dal termico all’elettrico. I principali argomenti per convincere gli utenti a passare all’elettrico sono la scelta ecologica ed il risparmio.

Quanto alla valenza ecologica dei motori elettrici, non ho gli elementi per affermare se sussiste veramente ma ho seri dubbi anche in considerazione dell’enorme problema relativo allo smaltimento delle batterie esauste.

Per quanto riguarda invece la assoluta anti-economicità delle auto elettriche, e problema di non secondaria importanza, la loro faticosissima fruibilità, ebbene qui ho solo certezze, raggiunte dopo un anno di calvario, sia pratico che economico.

Innanzitutto voglio spendere una parola sulla indegna malafede speculativa rappresentata dal costo addebitato all’utente per la energia erogata dalle colonnine pubbliche.

A fronte di un costo medio della energia domestica pari ad € 0,52/KWh, ho dovuto riscontrare che per le ricariche alle colonnine pubbliche viene praticato un costo pari ad euro 0,89/KWh, ovvero quasi il doppio.

Riguardo poi alla non fruibilità delle auto elettriche, faccio presente che i motori elettrici di nuova generazione necessitano di batterie con una capacità di almeno 40kwh, che, a causa della rilevanza di tale capienza, necessitano di essere ricaricate quasi esclusivamente presso i punti di ricarica veloce visto che, con una ricarica lenta, per raggiungere il 100% ci vorrebbero almeno 14 ore.

Quindi il problema della scarsissima disponibilità di punti di ricarica pubblici viene enormemente acuito dalla necessità di accedere esclusivamente ai punti di ricarica veloce, che sono circa il 20% della totalità.

Da ciò deriva che se devi fare un viaggio, o ti prendi due giorni per fare 400 km oppure ti fermi almeno un paio di volte per ricaricare nelle postazioni di ricarica veloce, con una attesa per ogni ricarica di minimo un’ora (purtroppo anche la storia che con 20 minuti si raggiunge l’80% della ricarica è un’altra fandonia: ce ne vogliono almeno 40).

Si aggiunga poi che sulla rete autostradale italiana i punti di ricarica veloce sono rarissimi, il che significa che ogni volta che si ha bisogno di ricaricare si deve uscire dall’autostrada e percorrere a volte diversi chilometri aggiuntivi per raggiungere la postazione.

In sostanza un viaggio che con un motore termico richiederebbe tre ore di percorrenza, con un motore elettrico, se si è fortunati a trovare le colonnine funzionanti e libere, se ne impiegano almeno sei!

Veniamo ora alla tanto sbandierata “economicità” delle auto elettriche.

Mettiamo a paragone una piccola utilitaria con batteria da 40kWh ed autonomia di 170 km (che è la reale autonomia su percorso extraurbano rispettando i limiti di velocità, alla faccia della autonomia di 350 km dichiarata dalla casa), con la stessa utilitaria con motore termico a benzina e Gpl: 

A) un “pieno” di energia effettuato collegandosi ad una utenza domestica costa € 20,80 (€ 0,52 x 40kwh = € 20,80); 

B) un “pieno” di energia effettuato collegandosi alle colonnine pubbliche costa € 35,60 (€ 0,89 x 40kwh = € 35,60);

C) un pieno di 40 litri di benzina costa € 74,40 (€ 1,86 x 40lt = € 74,40);

D) un pieno di 40 litri di Gpl costa € 29,44 (€ 0,736 x 40lt = € 29,44).

Nel paragone va considerato un “piccolo particolare”: con un  pieno di energia si percorrono al massimo 170 km, mentre con un pieno di benzina si percorrono almeno 680 km (considerando un consumo medio di 17 km/l) e con un pieno di Gpl se ne percorrono 560 (calcolando un consumo di 14 km/l).

E qui casca l’asino: 

– costo a km di una ricarica domestica = € 0,122 (€ 20,80 ÷ 170km = € 0,122)

– costo a km di una ricarica pubblica = € 0,217 (€ 35,60 ÷ 170km = € 0,209)

– costo a km di un pieno di benzina = € 0,109 (€ 74,40 ÷ 680km = € 0,109)

– costo a km di un pieno di Gpl = € 0,052 (€ 29,44 ÷ 560km = € 0,052).


Quindi, tirando le somme, un pieno di carica elettrica alla colonnina costa il quadruplo di un pieno di GPL.

Il tutto senza considerare che una auto elettrica costa il 30% in più rispetto ad una pari modello termica e che una auto termica può durare anche 15 anni mentre una auto elettrica all’esaurimento delle batterie o della garanzia sulle medesime(dopo non più di 8 anni) vale zero.

Alla faccia delle “scelte ecologiche” per le quali subiamo pressioni da anni: facile così, tanto paga Pantalone.

A questo punto si può giungere ad una sola conclusione: va bene il Green, il rispetto dell’ambiente, l’etica ambientalista, va bene tutto, ma non a spese nostre, non costringendoci a spendere il quadruplo e soprattutto, non speculandoci sopra!!!