Archivi tag: via d’amelio
Paolo Borsellino: un uomo incorruttibile, inavvicinabile, lontano dai giochi politici, nemico delle tresche e delle trame, un uomo semplice che non avrebbe mai accettato compromessi e trattative!!!
Ed è il motivo per cui è stato ucciso!!!
Già perché egli da quella Procura nazionale antimafia, aveva deciso d’indagare per risalire in fretta all’individuazione e alla cattura non solo degli autori della strage di Capaci, ma soprattutto dei loro mandanti!!!
Permettetemi quindi di riprendere una lettera inviata al ministro dell’interno Scotti dopo esser venuto a conoscenza d’esser stato invitato a presentare la sua candidatura per la Procura antimafia per aver dato un valido contributo all’amico e collega Falcone nella realizzazione della legislazione antimafia.
Parliamo tra l’altro di una missiva che il ministro Scotti deciderà di non rendere pubblica o quantomeno lo farà soltanto nel 1994, senza mai motivare i motivi per cui l’avesse secretata.
Va difatti ricordato come fosse stato proprio l’on. Scotti ad invitare il CSM a riaprire i termini del concorso, richiedendo di sollecitare Borsellino a presentare domanda, anche se poi dichiarò che la decisione fu qualcosa di improvvisato, già di estemporanea e nacque nel momento stesso in cui si fosse compiuto quell’incontro con il magistrato e difatti, soltanto dopo il ministro ebbe a parlarne con l’allora Ministro di grazia e giustizia, Claudio Martelli
Paolo Borsellino, nel ringraziare, privatamente confessò che la proposta l’aveva sorpreso e gli aveva creato una forte tensione emotiva, tanto da portarlo a ripensarci; uno stato d’animo che comunica al collega Antonio Ingroia…
E difatti, Paolo Borsellino, dopo aver parlato con l’ex procuratore Pietro Giammanco – vedasi quanto riportato da “Repubblica” alcuni giorni fa: https://palermo.repubblica.it/cronaca/2024/07/05/news/mafia_e_appalti_si_indaga_anche_sul_procuratore_giammanco-423363427/ – chiede ai suoi di non pubblicare la lettera con cui gli chiedono di rimanere a Palermo e di rinunciare a concorrere alla carica di Superprocuratore, sconfessando definitivamente Scotti (e Martelli).
Borsellino teme che quella lettera possa essere strumentalizzata nello scontro in corso tra i ministri, il Csm ed entrare nella polemica sulla candidatura del giudice Cordova.
Ecco la ragione per cui il giudice Borsellino decise di scrivere al ministro Scotti e quanto segue è il testo della lettera:
Onorevole signor ministro, mi consenta di rispondere all’invito da Lei inaspettatamente rivoltomi nel corso della riunione per la presentazione del libro di Pino Arlacchi. I sentimenti della lunga amicizia che mi hanno legato a Giovanni Falcone mi renderebbero massimamente afflittiva l’eventuale assunzione dell’ufficio al quale non avrei potuto aspirare se egli fosse rimasto in vita. La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce, infatti, di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento. Le motivazioni addotte da quanti sollecitano la mia candidatura alla Direzione nazionale antimafia mi lusingano, ma non possono tradursi in presunzioni che potrebbero essere contraddette da requisiti posseduti da altri aspiranti a detto ufficio, specialmente se fossero riaperti i termini del concorso. Molti valorosissimi colleghi, invero, non posero domanda perché ritennero Giovanni Falcone il naturale destinatario dell’incarico, ovvero si considerarono non legittimati a proporla per ragioni poi superate dal Consiglio superiore della magistratura. Per quanto a me attiene, le sue esposte riflessioni, cui si accompagnano le affettuose insistenze di molti dei componenti del mio ufficio, mi inducono a continuare a Palermo la mia opera appena iniziata, in una procura della repubblica che è sicuramente quella più direttamente ed aspramente impegnata nelle indagini sulla criminalità mafiosa. Lascio ovviamente a Lei, onorevole signor ministro, ogni decisione relativa all’eventuale conoscenza da dare a terzi delle mie deliberazioni e di questa mia lettera.
RingraziandoLa sentitamente
Paolo E. Borsellino
Già… conosceva bene chi lo avrebbe ucciso, tanto d’aver scritto quei loro nomi nella sua agenda rossa:«Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».
Caro Paolo, sono passati ben 11 anni da questa lettera di Roberto, eppure siamo ancora qui a chiederci: da chi sei stato assassinato???
Chi ha ucciso Paolo Borsellino? La mafia o, come scrivono i giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, “soggetti diversi da Cosa nostra”??? 31 anni non sono bastati per conoscere la verità!!!
Caro Paolo,
oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.
E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e abarattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.
Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.
Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.
Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.
Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.
E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.
Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.
Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.
Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.
Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca,Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”.
Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.
Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.
Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.
Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.
E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.
Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.
Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.
Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.
E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.
Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.
Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.
Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.
Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.
E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.
Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.
Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.
Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.
Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.
E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.
Intervento di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte di Appello di Caltanissetta, letto alla commemorazione per i 20 anni dell’assassinio di Paolo Borsellino, con il quale ha lavorato fianco a fianco nel pool antimafia.
la strage di via D 'Amelio
La mafia, ritengono i giudici, voleva “prevenire” il “rischio: e quindi a stroncare sul nascere la possibilità di ulteriori sviluppi di quell’indagine, attraverso l’annientamento del magistrato che forse più di ogni altro in quel momento avrebbe saputo mettere un patrimonio inestimabile di conoscenze e acquisizioni e capacità di analisi del fenomeno mafioso al servizio di un’indagine tesa a sviluppare un’intuizione” che il magistrato aveva “mutuato” da Falcone
La decisione di Riina di mettere la strage di via D’Amelio, “quell’input affinché si uccidesse Borsellino con urgenza, nel giro di pochi giorni, mettendo da parte altri progetti omicidiari in più avanzata fase di esecuzione”, può avere origine nell’interessamento del giudice al dossier mafia e appalti.
È la riflessione dei giudici della Corte d’assise d’appello di Palermo contenuta nelle motivazioni della sentenza d’appello sulla trattativa Stato-mafia. Verdetto che ha mandato assolti i carabinieri del Ros (qui le motivazioni) e l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri (qui le motivazioni).
“Sono stati acquisiti – scrivono i giudici a supporto dell’ipotesi – elementi che comprovano l’intendimento del dottor Borsellino di studiare il fascicolo relativo rapporto “mafia appalti” nel periodo compreso tra strage di Capaci e la strage via D’Amelio“. Borsellino, come del resto Falcone, erano stati condannati da tempo a morte.
Ma l’attentato del 19 luglio 1992 “fu studiato alla giornata” come confermato dallo stesso capo dei capi intercettato in carcere a Opera nell’agosto del 2013. Parole, che per i giudici, rappresentano “un eccezionale riscontro”.
Già i giudici di primo grado avevano accertato che Riina, nel luglio 1992, avesse cambiato i piani decidendo di eliminare Borsellino anche se quella strage non era nei programmi.
Lo ricordano i giudici d’appello: “La Corte (nella sentenza di primo grado, ndr) reputa certamente provato, all’esito dell’istruttoria dibattimentale compiuta, che il generico e generale progetto di uccidere Borsellino … abbia subito una improvvisa accelerazione ed esecuzione, ancora una volta per volere di Salvatore Riina, proprio nei giorni immediatamente precedenti quello cui, poi, avvenne la strage di via D’Amelio”.
Una ricostruzione basata sulle ricostruzioni di Giovanni Brusca (a cui fu chiesto di interrompere la preparazione dell’omicidio dell’ex ministro Calogero Mannino) e Salvatore Cancemi. La sentenza di primo grado aveva respinto l’ipotesi, avanzata dalle difese di Subranni, Mori e De Donno, che Borsellino fosse stato ucciso per la sua decisione di iniziare a occuparsi della vicenda del rapporto “mafia e appalti”. Un’ipotesi, quella delle difese, che serviva ad allontanare il sospetto di un collegamento tra la strage e la trattativa.
“Uomini dei servizi in via d’Amelio subito dopo la strage”: la scomparsa dell’Agenda rossa di Paolo Borsellino nelle nuove puntate di Mattanza
“Uomini dei servizi in via d’Amelio subito dopo la strage”: la scomparsa dell’Agenda rossa di Paolo Borsellino nelle nuove puntate di Mattanza
I giudici d’appello sembrano ritenere invece che la ragione dell’ordine di Riina possa trarre origine proprio nell’interessamento a quel dossier, accogliendo una prospettazione della difesa. “Se fu un’effettiva accelerazione nel dare concreta attuazione alla decisione già adottata da tempo di uccidere dottor Borsellino, essa fu dovuta ad un coacervo di cause concomitanti che nulla hanno a che vedere con la presunta trattativa Stato-mafia; su tutte prima di tutte, risalterebbe rinnovato interesse del magistrato per l’indagine mafia appalti la sua determinazione a riprendere approfondire tale indagine, che mirava a uno dei gangli vitali del potere mafioso. Da qui la preoccupazione dei vertici mafiosi stroncare sul nascere qualsiasi velleità sviluppare questo filone d’indagine, eliminando Borsellino prima ancora che potesse mettere atto suo proposito”. I magistrati d’appello sostengono anche “che gli argomenti che inducono il giudice di prime cure ad escludere che l’interesse” di Borsellino “per l’indagine mafia e appalti e la sua determinazione a riprendere e approfondire quel tema d’indagine abbiano avuto concreta incidenza nell’accelerazione della strage di via D’Amelio (nella sua fase esecutiva) appaiono tutt’altro che irresistibili e convincenti”.
Cosa Nostra doveva, secondo i giudici, prevenire il rischio che l’erede del giudice eliminato a Capaci potesse iniziare a indagare su quel dossier. Di proprio cui Borsellino aveva parlato anche ad Antonio Di Pietro (sentito come testimone durante il processo il 3 ottobre 2019, ndr) intervenuto ai funerali di Falcone. L’ex pm di Mani pulite ai giudici ha riferito sia che Falcone gli disse di controllare “gli appalti e che in Sicilia accanto ai politici e agli imprenditori, bisognava fare i conti con i mafiosi” sia che ne aveva parlato con Borsellino che però non gli riferì che ci stava lavorando e che stava interrogando il pentito Gaspare Mutolo. “Mi disse però che dovevamo tornare a incontrarci, era convinto che in Italia ci fosse un sistema di spartizione nazionale attorno agli appalti”. La mafia, ritengono i giudici, “aveva altresì interesse a prevenire quel rischio: e quindi a stroncare sul nascere la possibilità di ulteriori sviluppi di quell’indagine, attraverso l’annientamento del magistrato che forse più di ogni altro in quel momento avrebbe saputo mettere un patrimonio inestimabile di conoscenze e acquisizioni e capacità di analisi del fenomeno mafioso al servizio di un’indagine tesa a sviluppare un’intuizione” che Borsellino aveva “mutuato” da Falcone.
“Che vi sia stato una sorta di passaggio del testimone” tra Falcone e Borsellino lo ha testimoniato anche Liliana Ferraro, magistrato che che aveva “assistito ad una telefonata con la quale” Falcone “rammentava all’amico Paolo che adesso toccava a lui seguire gli sviluppi dell’indagine compendiata nel rapporto “mafia e appalti” del Ros. Anche se i giudici sottolineano che proprio i carabinieri ignorarono le dichiarazioni dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, sull’argomento evitando anche di prendere appunti da una fonte che ben poteva essere informata sul groviglio di interessi. I militari mostrarono un “totale disinteresse per la disponibilità subito manifestata da Vito Ciancimino a parlare di tangentopoli e dei suoi riflessi o delle sue connessioni con le vicende (delittuose) e ciò non solo con riferimento alla cosiddetta “tangentopoli siciliana”, cioè al riprodursi in Sicilia del medesimo fenomeno di corruzione sistemica legato agli appalti di opere pubbliche, ma – scrivono i giudici in sentenza – con una connotazione peculiare derivante dalla presenza e dall’inedito ruolo di Cosa Nostra quale protagonista degli accordi regolatori per la spartizione di appalti e tangenti. Ma anche a possibili indiretti legami persino con la genesi o la causale delle stragi di Capaci e via D’Amelio”. Un disinteresse “inspiegabile” chiosano i magistrati.
Infine scrivono i giudici: “Ben si comprendono le perplessità di Paolo Borsellino a fronte dell’opzione di chiudere con una richiesta di archiviazione le indagini del più importante procedimento istruito in quel momento storico dalla Procura di Palermo nell’ambito di quello specifico filone investigativo”. E fanno riferimento a quanto accadde nell’affollata e assemblea plenaria che si tenne in Procura con i pm il 14 luglio del 1992, cioè appena cinque giorni prima della strage di via D’Amelio. “Il dottor Borsellino lo disse espressamente in quella assemblea”, dicono, come “ben rammenta Luigi Patronaggio”.
Borsellino tenne un atteggiamento che non tradiva affatto sfiducia e diffidenza nei confronti dell’operato dei colleghi titolari del procedimento, ma, al contrario denotava la volontà di aprire un confronto sincero sul tema in discussione, come aperte e trasparenti furono le critiche e le perplessità e le richieste di chiarimenti esternate in quella sede”.
Pochi giorni fa, a trent’anni dalla chiusura, l’inchiesta “mafia e appalti” è stata riaperta. Il dossier dei carabinieri del Ros che risale a fine ’91 e di cui Borsellino dopo la strage di Capaci aveva chiesto una copia, iniziando a occuparsene, sarà ora oggetto delle indagini della procura di Caltanissetta.
Vedremo cosa emergerà…
19 Luglio 1992 – Morire per che cosa, a già… per la patria!!!
Come non ricordare in ogni momento della nostra giornata questa fatidica giornata del 19 luglio del 1992!!!
Ho già scritto parecchi post su quella su quella strage e su quanti sono stati barbaramente uccisi da cosa-nostra (e non solo): dal giudice Paolo Borsellino agli agenti di scorta Claudio Traina, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Eddie Walter Cosina.
Certo, rivedendo quanto accaduto, prima con il collega Falcone e poi con tutte le vicende giudiziarie che ne sono seguite, fino alla scarcerazione dell’esecutore di quegli attentati, entrato nel programma di protezione, viene spontaneo chiedersi, se quella lotta valesse la pena compierla…
Certo, se parlate con il sottoscritto vi dirà che non vi è vita vissuta se essa non prevede anche la morte….
Ma si sa, chi vive la propria vita da idealista e crede fermamente che attraverso le azioni e le parole si possa giungere a modificare quel particolare stato soporifero vissuto dalla maggior parte dei propri concittadini, non ha alcuna paura della morte, perché sempre pronto a morire per i propri ideali…
D’altronde, non si dice che “un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda…”??? Ed allora mi viene da credere che forse è grazie a questo pensiero che molti familiari vittime della mafia, sono riuscite (forse) nel corso di questi lunghi anni a sopravvivere…
Io ricordo bene i danni provocati da quell’esplosione, in quegli anni frequentavo Palermo per … , ed un giorno passando dinnanzi a quella strada di Via D’Amelio rimasi scioccato nel vedere quelle immagini, quei palazzi sventrati, sembrava di essere in un luogo di guerra…
Ciò che comunque con il passar del tempo mi ha poi fatto riflettere, è essere ritornato dopo tanti anni in quei luoghi e aver visto come tutto fosse ritornato com’era, quasi a voler far scomparire quanto fosse accaduto, era come se quella strage andasse di fatto dimenticata, già… come se si fosse deciso arbitrariamente di non lasciare alcun segno su quel tragico momento!!!
Dicono che si muoia due volte. Una volta quando si smette di respirare e una seconda volta, un po’ più tardi, quando qualcuno ricorda il tuo nome… ed io ormai rivedo in ciascuna di quelle commemorazioni quanto sopra e ciò mi fa rabbia, perché invece di soffermarsi a ricordare, lo Stato e i suoi referenti istituzionali, invece di portare ghirlande e corone di fiori, avrebbe dovuto dare le giuste risposte a ciascun familiare e a ognuno di noi, dimostrando di aver condannato i reali colpevoli e non soltanto i loro pseudo esecutori, scoprendo chi si è impossessato di quell’agenda rossa del giudice Paolo e per quali motivi, e facendo luce su lavoro di una vita che è stato stroncato da qualcuno che sapeva troppo e forse chissà il suo nome era proprio riportato in grassetto su quell’agenda!!!
Giovanni Falcone l’aveva capito, tanto da scriverlo: Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola.
Già…
L'ennesima inchiesta su magistrati e poliziotti!!!
Ma d’altronde se le premesse sono quelle riportate anche dal sottoscritto in questi giorni, con tutta una serie d’inchieste che vanno dal “CSM” ad alcune Procure nazionali, dai Tribunali a quegli uffici istituzionali, dai magistrati a gli uomini delle forze dell’ordine dimostratisi corrotti, proseguendo ancora con Enti istituzionali e personalità note di associazioni di categorie o di legalità, già con tutto questo lerciume che ogni giorno ci viene evidenziato, dove si pensa di poter andare???Giovanni Falcone: Oggi avrebbe compiuto 80 anni!!!
Un nuovo sistema politico/mafioso voleva che si alzasse la tensione, che cadessero alcune teste di governo, che quella classe dirigente andasse definitivamente a casa per essere cambiata da una nuova, ed in questo la mafia ha dato una mano…
Riprendendo quindi quanto sopra esposto ed a conferma che i “pecorai” non erano in condizione di utilizzare quelle tecnologie sofisticatissime, ecco i nuovi dati sui quali la procura di Caltanissetta sta ora indagando, e cioè che il tipo di esplosivo utilizzato, non è quello specificatamente usuale per la mafia. Tu che vieni qui a contemplare ricorda che: non tutti i siciliani siamo mafiosi e non tutti i mafiosi sono siciliani!!!
Sì… perché la verità in fondo è questa, peraltro quel frammento di storia non interessa a nessuno, neppure per ricordare a tutti noi, che c’è ancora molto da fare!!!
D’altronde sono gli stessi familiari che vengono ancora una volta inchiodati dai gesti vandalici di alcuni scellerati, individui che continuano ad offendere la dignità di un popolo con le loro azioni, ad esempio danneggiando la targa alla base dell’albero di ulivo che si trova in via d’Amelio, a Palermo, a ricordo dell’attentato compiuto il 19 luglio 1992 in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina…Non ho tempo da perdere, devo lavorare, devo lavorare… E’ una corsa contro il tempo, per arrivare alla verità prima di essere fermato".
Sì… hanno provato ( quantomeno questo è quanto ci hanno raccontato…) a ricostruire quegli ultimi giorni, ma soprattutto si è cercato di comprendere a quali indagini il giudice Borsellino era interessato, in particolare dopo alcune dichiarazioni confidenziali rivelate ad egli da alcuni pentiti, in particolare quelle di Gaspare Mutolo e Nino Giuffrè, che proprio in quei giorni, avevano cominciato a rivelare le collusioni tra criminalità organizzata, magistratura, forze dell’ordine e servizi segreti!!!
Difatti, sembra che dopo aver ricevuto quelle dichiarazioni, egli abbia compreso come la sua vita era ormai appesa ad un filo… tanto che, proprio il giorno prima della strage, il procuratore si recò a pregare nella chiesetta di Santa Luisa de Marillac (dove tra l’altro, verranno celebrati i suoi funerali)…
Quella mattina decise di scrivere una lettera alla preside di un liceo di Padova, presso il quale avrebbe dovuto recarsi per un incontro al quale non si era poi recato per una serie di disguidi e per i suoi impegni che non gli davano tregua…
E’ passato più di un quarto di secolo e credo che ormai abbiamo la certezza che la fine di questo magistrato, non la si conosce affatto!!!Già, perché ancora oggi non sappiamo chi l’ha ucciso e perché lo voleva morto, ma soprattutto chi l’ha tradito e l’ha lasciato solo!!!
Paolo Borsellino non si è sacrificato… ma è stato sacrificato, proprio da coloro che percepivano come un pericolo l’opera del Magistrato…
Individui infami (riportati sicuramente in quell’agenda rossa…), che hanno beneficiato della sua morte, e che finalmente attraverso quella sua dipartita, hanno potuto proseguire indisturbati verso quelle loro finalità, nel quadro di una convergenza di interessi tra “Centri di potere”, “Apparati dello Stato” e “Cosa nostra”!!!
Una circostanza quest’ultima percepita dallo stesso giudice che rivolgendosi il giorno prima della strage alla moglie Agnese, raccontò che: “Non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo… ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere”!!!
Borsellino e la verità negata…
Alcuni giorni fa il sottoscritto si trovava a parlare con alcuni alunni di una scuola media e a chiesto loro… chi fosse Borsellino.
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)














