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Morire a 17 anni perché la madre ha saputo denunciare i criminali!!!

Emanuela Sansone è la figlia di appena diciassettenne anni di Giuseppa Di Sarno, una donna che svolgeva la propria mansione all’interno del magazzino familiare, adibito anche a merceria, pasteria e bettola, oltre ovviamente che ad abitazione…

Era come oggi il 27 Dicembre quando la ragazzina venne uccisa dalla mafia per una ritorsione nei confronti della madre, che restò gravemente ferita, sospettata di aver denunciato alcuni episodi criminali…

L’agguato compiuto con due colpi di fucile ferirono gravemente la madre, che però venne colpita al braccio e al fianco, mentre la figlia, Manuela, venne raggiunta da un proiettile alla tempia.

Anche se a caldo si parlò della vendetta di un pretendente rifiutato o di un agguato di cui in realtà era destinatario il padre, Salvatore Sansone, il quale restò illeso, secondo, fu il questore Ermanno Sangiorgi a ventilare l’ipotesi che dietro ci fosse la criminalità organizzata, decisa a vendicarsi di Giuseppa che li aveva denunciati per fabbricazione di banconote false. 

Quel rapporto è qualcosa di unico… perché rappresenta il primo documento che definisce la “mafia” come “un’organizzazione criminale fondata su un giuramento, la cui attività principale è il racket della protezione”.

A seguito dell’omicidio della figlia, Giuseppa Di Sarno divenne la prima donna collaboratrice di giustizia!!!

In ricordo di Giovanni Spampinato: un giornalista che non ha avuto paura di denunciare la verità!!!

Era la sera del 27 ottobre 1972 quando a Ragusa, veniva assassinato il giornalista Giovanni Spampinato…

Non aveva ancora compiuto 26 anni e il suo nome è compreso nella lista delle vittime della mafia che viene letta nelle piazze ogni 21 marzo per iniziativa dell’Associazione Libera. Nel 2007 gli è stato assegnato il Premio Saint-Vincent di Giornalismo alla memoria, con una motivazione che definisce la sua storia rappresentativa di quella di tutti i giornalisti italiani uccisi a causa del loro lavoro. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha ricordato affermando che “ha onorato la professione giornalistica e i valori di verità, legalità e giustizia”. In suo nome è stato fondato nel 2007 l’osservatorio sui giornalisti minacciati in Italia “Ossigeno per l’informazione”, promosso dalla FNSI e dall’Ordine dei Giornalisti.

Giovanni Spampinato fu ucciso a bordo della sua Fiat Cinquecento, mentre era alla guida. Fu raggiunto da sei proiettili esplose a bruciapelo da due pistole impugnate dal passeggero che sedeva accanto a lui: Roberto Campria, 30 anni, figlio del presidente del Tribunale di Ragusa, che aveva chiesto di incontrarlo urgentemente con la promessa di fare importanti rivelazioni. Campria era uno dei maggiori indiziati di un altro omicidio, quello dell’ingegnere Angelo Tumino, commerciante di antiquariato e oggetti d’arte, ucciso a Ragusa sei mesi prima, il 25 febbraio 1972 in modo misterioso da ignoti sicari con un colpo di pistola in fronte ed abbandonato su un sentiero di campagna.

Subito dopo quell’assassinio Giovanni Spampinato rivelò in articoli pubblicati dall’Ora e da l’Unità che Campria, una delle persone più vicine a Tumino, era coinvolto nelle indagini ed era stato interrogato. Quindi una pista portava dentro il Palazzo di Giustizia. Che il figlio del giudice era stato interrogato subito dopo la scoperta del corpo senza vita dell’ingegnere lo sapevano tutti i corrispondenti, ma Spampinato fu l’unico giornalista a rivelarlo. La circostanza era vera. Ciononostante dopo la pubblicazione della notizia Campria aveva querelato il cronista accusandolo di diffamazione a mezzo stampa, in modo pretestuoso e con palese scopo intimidatorio.

A quell’epoca questi processi si celebravano per direttissima. Il processo fu celebrato quaranta giorni dopo a Palermo. Campria non si presentò e la querela fu lasciata decadere…

Superato quell’ostacolo, Giovanni Spampinato aveva continuato a seguire il caso Tumino pubblicando alcuni articoli su L’Ora sviluppando indagini personali e avvalendosi del racconto di testimoni e familiari dell’ingegnere ucciso. In alcuni articoli aveva chiesto apertamente come mai, secondo logica e procedura, l’inchiesta penale che coinvolgeva un familiare di un magistrato del luogo non fosse affidata ai giudici di un’altra città per legittima suspicione.

Inspiegabilmente l’inchiesta non fu trasferita neppure dopo queste legittime sollecitazioni, anzi il giovane cronista fu criticato per averlo chiesto e perché i suoi articoli tenevano sotto osservazione un personaggio altolocato che altri consideravano un intoccabile. 

Ovviamente queste critiche isolarono Giovanni Spampinato da alcuni corrispondenti locali.

Il 3 agosto 1972 Giovanni Spampinato concesse al sospettato un’ampia replica pubblicando una intervista con dichiarazioni auto-assolutorie e commentò pacatamente che probabilmente egli non c’entrava davvero con il delitto Tumino. 

Ma Campria non si ritenne soddisfatto. Cominciò ad assillare il cronista chiedendogli una più aperta attestazione circa la sua estraneità all’omicidio e promettendogli clamorose rivelazioni su macchinazioni all’interno del Palazzo di Giustizia, ordite contro di lui per colpire il padre magistrato.

L’attenzione giornalistica per l’inchiesta giudiziaria sull’assassinio dell’ingegnere scemò dopo l’assassinio di Spampinato. L’inchiesta penale venne condotta a carico di ignoti e dopo oltre trent’anni, fu archiviata. Difatti ancora oggi, non si conoscono ne gli esecutori, ne i mandanti e ancor meno il movente del delitto Tumino.

Va ricordato come il Tumino fosse un esponente di destra. Era stato consigliere comunale del MSI. Fu assassinato proprio nei giorni in cui Giovanni Spampinato, con la sua inchiesta sul neofascismo, rivelava la presenza a Ragusa del “bombardiere nero” Stefano Delle Chiaie (all’epoca ricercato per le bombe del 12 dicembre 1969 all’Altare della Patria) e di altri noti fascisti romani legati a Junio Valerio Borghese, che nel dicembre del 1970 avevano tentato un colpo di stato per il quale si era cercato di arruolare anche la mafia, come si seppe molti anni dopo. 

Uno di quei personaggi, Vittorio Quintavalle, fu interrogato dagli inquirenti che seguivano le indagini sul delitto e questa circostanza rafforzò nella mente del cronista l’impressione che l’omicidio Tumino potesse essere collegato alle trame eversive che stava documentando. Tanto più che i contatti fra Campria e Tumino e fra questi e i trafficanti di estrema destra erano frequenti. 

Giovanni Spampinato però fu ucciso prima di poterlo dimostrare!!!

Il suo assassino Roberto Campria si costituì subito dopo il delitto, dichiarando che aveva reagito a una insopportabile provocazione. Il processo in Corte d’Assise fu celebrato a Siracusa nel 1975. Campria fu condannato a 21 anni di reclusione. La sentenza fu ridotta a14 anni dalla Corte d’Appello di Catania, che concesse all’imputato l’attenuante della provocazione, equiparando ad attività provocatoria gli articoli di cronaca di Spampinato. Campria scontò la pena nella casa penale di Barcellona Pozzo di Gotto e tornò libero dopo otto anni.

Va ricordato infine come le inchieste di Giovanni Spampinato fossero sempre condotte con il massimo rigore e con un lavoro sul campo, e difatti, grazie all’ausilio di numerosi fonti non ufficiali ed in collaborazione con l’equipe di giornalisti ed avvocati, nell’estate del 1970 pubblicò il libro-inchiesta “La strage di Stato”!!!

Su di egli ha scritto il giornalista Paolo Borrometi: “Del suo lavoro Giovanni aveva un’idea altissima, generosa e nobile. Non si tirò indietro al ruolo di custode del racconto e del giornalismo imparziale e libero. Non scese mai a patti con la sua coscienza e assolveva al ruolo di raccontare ed informare la sua comunità, anche se ciò poteva costare caro”!!! Giovanni è un martire dimenticato… vergognosa, inoltre, è la mancanza di memoria della sua provincia, Ragusa, che non lo ricorda o fa finta di ricordare. Perché ricordare, spesso, è scomodo. Quindi meglio dimenticare. Giovanni non arretrò nemmeno quando si trattò di pubblicare il nome di un intoccabile: quel Roberto Cambria che poi sarebbe stato il suo carnefice. Da quella tragica serata sono passati quarantatrè anni, ma in quella terra c’è ancora chi sostiene che, in fondo, “Giovanni se l’è cercata”. Non si può continuare a scambiare i carnefici per vittime, bisogna ripristinarne la memoria. Lo si deve a Giovanni, alla sua famiglia e ad una intera collettività che merita di ricordare un eroe normale, da spiegare ai giovani perché possano avere proprio lui come modello positivo”!!!

Muore il 01 Agosto… "Vittima innocentissima di mafia"!!!

Nella notte tra il 4 e il 5 marzo 2015, ad Altamura, cominciava il drammatico calvario di Domenico Martimucci, la prima vittima innocente delle “azzardomafie”. 

Rimane per cinque mesi di agonia, fino alla morte l’1 agosto in una clinica austriaca specializzata in riabilitazione neurologica, dove era stato trasportato nella speranza di una ripresa…

Tutto è cominciato quella notte quando una bomba viene fatta esplodere davanti alla vetrina della sala giochi “Green table”, quasi un chilo di tritolo “pari a 20 granate da guerra”…

Dentro la sala alcuni ragazzi stavano guardando una partita in tv, tra loro vi era Domenico, “Domi” per gli amici, promettente calciatore, soprannominato “il piccolo Zidane”…

Viene colpito alla testa da pezzi di metallo,rimane in coma per cinque mesi, fino alla morte l’1 agosto. 

“Vittima innocentissima di mafia”, così lo ha definito la mamma Grazia a Bari in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno organizzata da Libera. 

I familiari hanno scelto sin da subito di partecipare alla lotta alla mafia, “per essere tutti uniti e sperando che la mafia venga definitivamente sconfitta!!!

Quell’ordigno davanti alla sala ha avuto una volontà “stragista”, una bomba esagerata dall’effetto devastante, infatti oltre a Domenico rimangono feriti altri otto ragazzi… un gesto eclatante, provocato perché l’azzardo, sì quell’azzardo legale, non clandestino, era un affare a cui non si poteva rinunciare,  assieme a quella “reputazione mafiosa”. 

Ma per fortuna, grazie alle telecamere della zona, i carabinieri riescono ad individuare l’auto degli attentatori, di proprietà di un incensurato e seguendo egli vengono individuati anche l’esecutore e il mandante!!!

Ma cinque anni fa cominciava anche il forte impegno della famiglia a non dimenticare, a trasformare quella drammatica e ingiusta morte in un percorso di riscatto. “In quella situazione poteva trovarsi chiunque, un figlio, un fratello, un padre – spiega la sorella Lea -. È successo a casa nostra, non in una città lontana. Questo vogliamo che i ragazzi capiscano. Per questo abbiamo pensato di fare qualcosa per la nostra città e anche per noi”.