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Paolo Borsellino: un uomo incorruttibile, inavvicinabile, lontano dai giochi politici, nemico delle tresche e delle trame, un uomo semplice che non avrebbe mai accettato compromessi e trattative!!!
Ed è il motivo per cui è stato ucciso!!!
Già perché egli da quella Procura nazionale antimafia, aveva deciso d’indagare per risalire in fretta all’individuazione e alla cattura non solo degli autori della strage di Capaci, ma soprattutto dei loro mandanti!!!
Permettetemi quindi di riprendere una lettera inviata al ministro dell’interno Scotti dopo esser venuto a conoscenza d’esser stato invitato a presentare la sua candidatura per la Procura antimafia per aver dato un valido contributo all’amico e collega Falcone nella realizzazione della legislazione antimafia.
Parliamo tra l’altro di una missiva che il ministro Scotti deciderà di non rendere pubblica o quantomeno lo farà soltanto nel 1994, senza mai motivare i motivi per cui l’avesse secretata.
Va difatti ricordato come fosse stato proprio l’on. Scotti ad invitare il CSM a riaprire i termini del concorso, richiedendo di sollecitare Borsellino a presentare domanda, anche se poi dichiarò che la decisione fu qualcosa di improvvisato, già di estemporanea e nacque nel momento stesso in cui si fosse compiuto quell’incontro con il magistrato e difatti, soltanto dopo il ministro ebbe a parlarne con l’allora Ministro di grazia e giustizia, Claudio Martelli
Paolo Borsellino, nel ringraziare, privatamente confessò che la proposta l’aveva sorpreso e gli aveva creato una forte tensione emotiva, tanto da portarlo a ripensarci; uno stato d’animo che comunica al collega Antonio Ingroia…
E difatti, Paolo Borsellino, dopo aver parlato con l’ex procuratore Pietro Giammanco – vedasi quanto riportato da “Repubblica” alcuni giorni fa: https://palermo.repubblica.it/cronaca/2024/07/05/news/mafia_e_appalti_si_indaga_anche_sul_procuratore_giammanco-423363427/ – chiede ai suoi di non pubblicare la lettera con cui gli chiedono di rimanere a Palermo e di rinunciare a concorrere alla carica di Superprocuratore, sconfessando definitivamente Scotti (e Martelli).
Borsellino teme che quella lettera possa essere strumentalizzata nello scontro in corso tra i ministri, il Csm ed entrare nella polemica sulla candidatura del giudice Cordova.
Ecco la ragione per cui il giudice Borsellino decise di scrivere al ministro Scotti e quanto segue è il testo della lettera:
Onorevole signor ministro, mi consenta di rispondere all’invito da Lei inaspettatamente rivoltomi nel corso della riunione per la presentazione del libro di Pino Arlacchi. I sentimenti della lunga amicizia che mi hanno legato a Giovanni Falcone mi renderebbero massimamente afflittiva l’eventuale assunzione dell’ufficio al quale non avrei potuto aspirare se egli fosse rimasto in vita. La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce, infatti, di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento. Le motivazioni addotte da quanti sollecitano la mia candidatura alla Direzione nazionale antimafia mi lusingano, ma non possono tradursi in presunzioni che potrebbero essere contraddette da requisiti posseduti da altri aspiranti a detto ufficio, specialmente se fossero riaperti i termini del concorso. Molti valorosissimi colleghi, invero, non posero domanda perché ritennero Giovanni Falcone il naturale destinatario dell’incarico, ovvero si considerarono non legittimati a proporla per ragioni poi superate dal Consiglio superiore della magistratura. Per quanto a me attiene, le sue esposte riflessioni, cui si accompagnano le affettuose insistenze di molti dei componenti del mio ufficio, mi inducono a continuare a Palermo la mia opera appena iniziata, in una procura della repubblica che è sicuramente quella più direttamente ed aspramente impegnata nelle indagini sulla criminalità mafiosa. Lascio ovviamente a Lei, onorevole signor ministro, ogni decisione relativa all’eventuale conoscenza da dare a terzi delle mie deliberazioni e di questa mia lettera.
RingraziandoLa sentitamente
Paolo E. Borsellino
Già… conosceva bene chi lo avrebbe ucciso, tanto d’aver scritto quei loro nomi nella sua agenda rossa:«Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».
Salvatore Borsellino: fatti e non parole!!!
Una “Strage di Stato“, così la definisce il fratello del giudice ucciso in Via D’Amelio insieme alla sua scorta…
Quell’agenda rossa scomparsa o per meglio dire trafugata, ma forse in questa vicenda non tutto è andato perso, già forse qualcosa sta accadendo, certo… è ancora presto per dirlo, ma qualcuno (improvvisamente) è in grado di rivelare cosa ci fosse scritto su quell’agenda e soprattutto a quali nomi, il fratello Paolo, si stava per interessare!!!
Non so dire se esiste una copia di quell’agenda, potrebbe essere la rivelazione di qualcuno di fiducia che ne ha preso visione prima della strage (o forse subito dopo averla recuperata da quell’inferno di fuoco…), certamente quanto potrebbe emergere fornirebbe finalmente quelle informazioni determinanti per comprendere i mandanti esterni della strage e soprattutto farebbero luce sulle considerazioni riportate dal Magistrato che come sappiamo era solito appuntare riflessioni e colloqui investigativi, soprattutto negli ultimi mesi che precedettero la strage.
Un’agenda che come sappiamo viaggiava sempre con egli, dentro quella borsa di cuoio, sì… come testimoniato dai figli e dalla moglie, poi da quel giorno della strage si sono perse le tracce e difatti nella borsa del giudice (ricordo… trovata intatta dopo l’esplosione) sono stati rinvenuti alcuni suoi oggetti personali, ma stranamente non più l’agenda.
Una cosa è certa… in quel diario sono contenuti appunti sugli incontri ed i colloqui che Borsellino ebbe con alcuni collaboratori di giustizia e con rappresentanti delle Istituzioni, elementi determinanti per mettere a fuoco le complicità di pezzi dello Stato con Cosa Nostra e non solo…
Una cosa è certa, chiunque è entrato in possesso di quell’agenda è riuscito – ricattando – a far carriera negli apparati istituzionali o quantomeno non ha più avuto problemi con lo Stato o quantomeno, con quella parte politica ad egli avversa!!!
Quando ripenso a quanto accaduto in questi lunghi anni, alle complicità dei nostri referenti Istituzionali e alle stragi che sono state non solo permesse, ma soprattutto occultate, mi convinco sempre di più che nulla mi piace di questo Paese!!!
Ma nel riportare quanto sopra, ecco che mi sopraggiunge una frase del giudice Borsellino che diceva: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.
Ed allora, riprendo nuovamente la mia strada e provo – per l’ennesima volta a cambiare quest’indegno stato di fatto!!!
Concordo con Borsellino (fratello): quelle manifestazioni per la legalità sono soltanto una passarella!!!
Il 19 luglio tra pochi giorni si cercherà con l’ennesima commemorazione, di ricordare quella strage commessa nel 1992 in via D’Amelio!!!
Parliamo del vile attentato di stampo terroristico-mafioso avvenuto all’altezza del numero civico 19 di via Mariano D’Amelio a Palermo in cui morirono non solo il magistrato Paolo Borsellino, ma anche cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina; si salvo soltanto l’agente Antonino Vullo che al momento dell’esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta…
Permettetemi di ricordare come ancora oggi, dopo ben 32 anni, non si conoscono mandanti e seppur gli esecutori di quella strage furono considerati affiliati a cosa nostra, stranamente l’ex boss Totò Riina, non diede mai alcuna giustificazione ai responsabili della cupola, difatti lo stesso Roberto Scarpinato (Procuratore Generale di Palermo) riprendendo quella vicenda dichiarò: “C’è una grandissima anomalia nell’esecuzione di questa strage, che è l’improvvisa accelerazione. E’ irrazionale se si pensa agli interessi di Cosa nostra. Quando Riina lo comunica ad alcuni capi di Cosa nostra questi rimangono sorpresi e non riescono a capirlo. Totò Riina non dà spiegazioni e taglia corto: mi assumo la responsabilità. Raffaele Gangi, quando esce da quella riunione, dice: questo è pazzo. Cangemi dice ‘a quel punto ho capito che doveva rispondere a qualche altro e quella strage doveva essere eseguita per motivi che andavano al di là di Cosa nostra’”.
Ma d’altronde abbiamo compreso tutti come ad uccidere il giudice Borsellino siano stati alcuni apparati dello Stato, gli stessi che erano in combutta con cosa nostra e che – avendo paura di esser stati scoperti a causa dell’interesse del magistrato per quei collegamenti politico/mafiosi sullo scambio di voto e nello spartimento degli appalti – non hanno permesso al giudice di salvarsi…
Già… perché va ricordato come il giudice Borsellino era a conoscenza dell’arrivo nel capoluogo di un grosso carico di esplosivo per essere utilizzato appositamente contro di lui e difatti, venti giorni prima dell’attentato, aveva chiesto alla Questura di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la domanda – stranamente – rimase inevasa: immagino la carriera brillante che avrà comiuto quel funzionario – responsabile della sicurezza del giudice Borsellino – per non aver messo in pratica quanto richiesto…
Come sappiamo la bomba venne radiocomandata a distanza, si sospetta che il detonatore che ha provocato l’esplosione sia stato azionato dal Castello Utveggio e comunque dopo l’attentato, l’agenda rossa che il giudice portava sempre con sè e dove annotava i dati delle indagini, non venne più ritrovata, in quanto venne fatta sparire dal luogo dell’attentato.
Come ho sempre ripetuto, non penso proprio che il giudice Borsellino fosse uno sprovveduto e sono certo che una copia dell’agenda sia stata conservata presso una cassetta di sicurezza, per esser a disposizione dei familiari, ma comprendo perfettamente come questa – per protezione familiare – non possa venir pubblicata, quantomeno non ora, ma sono certo che appena vi saranno le condizioni di salvaguardia, quelle copie fotostatiche verranno fuori ed allora inizieremo a riscrivere 30 anni della storia di questo Paese e di tutte quelle sue vergognose collusioni politico/mafiose ed imprenditoriali, con elencati i nomi di quei collusi e corrotti infedeli referenti!!!
Ecco perché non concordo con la maggior parte di quelle commemorazioni, perchè nulla è stato fatto realmente dallo Stato per eliminare in tutti questi anni la mafia dal nostro territorio, attraverso leggi mirate e soprattutto una politica seria di contrasto, che potrei viceversa paragonare per delicatezza all’acqua di rosa!!!
Viceversa – come solitamente accade – si è soltanto chiacchierato inutilmente!!!
D’altronde con non osservare quei gesti banali compiuti dai nostri referenti istituzionali, sempre lì a inchinare la testa dinnanzi a quelle ghirlande, a toccarle in maniera commovente quesi sis entisse su di essi il peso di quel lutto, ed infine quel baciare il nastro a striscie con i colori i della nostra nazione quasi a voler diventare un tutt’uno con essi…
Ma poi… il nulla, tutto procede nello stesso modo da sempre e tutti loro, sì questi nostri politici restano lì in combutta con quel sistema criminale, lo stesso che foraggia con i loro voti quelle belle poltrone di cui non vogliono far a meno!!!!
Già… chiedetevi perché nessuno di essi, abbia mai proprosto una legge, per far concludere il proprio mandato dopo una legislazione!!!
Sì… perché tutta una buffionata, difatti basterebbero soltanto sei mesi per far scomparire per sempre la mafia e i mafiosi dalla Sicilia… se solo volessero farlo, ma chi d’altronde dovrebbe compiere ciò, forse coloro che finora hanno stretto un patto di collaborazione – basti osservare le campagne elettorali compiute negli anni – con quei referenti criminali???
Dice bene il fratello del giudice, Salvatore Borsellino: “Evidentemente una scelta di campo… quell’evento non ha nulla a che vedere né con le manifestazioni organizzate per il 19 luglio dalla Casa di Paolo e neppure con quanto è successo il 23 maggio: già… una parata per personaggi istituzionali, anche reduci da condanne penali per contiguità alla mafia, per amministratori eletti grazie all’appoggio della mafia, mai rifiutato, e per chi vuole addossare soltanto alla mafia le responsabilità delle stragi”.
Già… come non esser d’accordo!!!
Permettetemi di dedicare un'effigie al magistrato A. Fanara, per il suo incarico alla Procura Nazionale Antimafia di Roma.
Ieri, con la circostanza di trovarmi dinnanzi a quel suo ex ufficio e successivamente ad un’udienza in una delle aule poste al piano terra del nostro Tribunale di Catania, nel vedere sopra quella porta una raffigurazione della “giustizia”, ho pensato stamani di portare a compimento quanto avrei voluto fare da tempo…
E quindi, se pur felice per l’incarico prestigioso ricevuto presso la Procura Nazionale di Roma, tuttavia provo molta nostalgia a sapere che questa nostra città abbia perso uno degli uomini più retti e soprattutto preparati, in quelle dinamiche “negative” che tanto affligono questa mia terra.
Mi riferisco a quelle evoluzioni compiute dalla criminalità organizzata, passando alle ben note collusioni di politici, dirigenti, imprenditori e professionisti vari, a cui seguono a ruota taluni infedeli funzionari e/o responsabili di pubblici uffici, che proprio attraverso quei loro abituali comportamenti illegali, alimentano l’intricato sottobosco di miseria umana, fatto di favori personali, ricatti, guadagni, già… sistema clientelare di quella costante corruzione sistemica.
Permettetemi – per far comprendere meglio quanto è accaduto e ahimè quanto ancora accade in questa nostra provincia catanese – di riportare una celebre frase da un Suo emerito collega, Paolo Borsellino, che spiega in maniera esplicita questo presente sistema illegale e mafioso: Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi, esse solo, del problema della mafia. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no!!!
Procuratore Fanara, nel reiterare quindi come la notizia del Suo nuovo incarico a Roma mi abbia reso felice (d’altronde ritengo che nessuno o quantomeno pochi lo meritavano più di Lei), colgo l’occasione di congratularmi e augurarLe buon lavoro, permettendomi di dedicarLe quella stessa effigie che per tanti anni l’ha vista annunciare il suo ingresso in quell’aula del nostro Tribunale.
Con affetto, Nicola Costanzo.
Caro Paolo, sono passati ben 11 anni da questa lettera di Roberto, eppure siamo ancora qui a chiederci: da chi sei stato assassinato???
Chi ha ucciso Paolo Borsellino? La mafia o, come scrivono i giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, “soggetti diversi da Cosa nostra”??? 31 anni non sono bastati per conoscere la verità!!!
Caro Paolo,
oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.
E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e abarattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.
Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.
Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.
Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.
Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.
E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.
Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.
Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.
Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.
Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca,Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”.
Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.
Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.
Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.
Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.
E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.
Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.
Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.
Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.
E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.
Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.
Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.
Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.
Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.
E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.
Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.
Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.
Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.
Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.
E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.
Intervento di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte di Appello di Caltanissetta, letto alla commemorazione per i 20 anni dell’assassinio di Paolo Borsellino, con il quale ha lavorato fianco a fianco nel pool antimafia.
Falcone e Borsellino non possono essere celebrati da chi convive con i collusi!!!
Ed ora, l’ex magistrato oggi in pensione Alfredo Morvillo, fratello di Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone, ricordando il collega Borsellino ha dichiarato: “Paolo invitava a rifiutare il puzzo del compromesso morale. Ma oggi a Palermo aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti disdicevole?”.
Ribadendo le accuse che aveva già lanciato alcuni mesi fa, l’ex magistrato evidenzia come non si possa più accettare di condividere quei momenti tristi di partecipazione in ricordo delle vittime della mafia, con personaggi politici e/o istituzionali, che se pur inevitabilmente invitati, hanno dimostrato con le loro azioni che nulla hanno a che fare con i nostri eroi indimenticabili, giudici, militari e quanti si sono ribellati a quel sistema criminale, a differenza di chi viceversa – dall’alto delle loro responsabilità istituzionali – non tralasciano di mandare alla cittadinanza messaggi di pacifica convivenza con quegli ambienti e con i loro affiliati e/o ammiratori, notoriamente in odore di mafia…
Basti osservare d’altronde i bassi livelli di istruzione scolastica, la grave disoccupazione, lo sfruttamento dei lavoratori in nero, la profonda arretratezza culturale, lo scarso o quasi nullo interesse da parte della grande imprenditoria, l’emigrazione di tanti validissimi giovani in altre parti d’Italia o all’estero, a cui vanno sommati i frequenti condizionamenti illeciti di ogni aspetto della vita dell’Isola, con particolare riferimento all’attività della pubblica amministrazione, alla gestione del denaro pubblico e alla circostanza di queste ore, già… le consultazioni elettorali che stanno per compiersi!!!
"Scica da notizia"!
Sì… in particolare proprio per chi quelle notizie preferisce tenerle celate.
Il sottoscritto d’altronde ha sempre pensato di sapere cosa ci potesse essere scritto in quella nota “agenda rossa” del giudice Paolo Borsellino, quali nomi e cognomi fossero riportati e chi in particolare, avesse fatto in modo che quel memorandum scomparisse per sempre o quantomeno fino ad oggi…
Ah… vedo che anche voi sapete la risposta, eppure negli anni si è continuato a far finta di niente o forse dovrei dire, ci si è comportati analogamente come i cittadini di quel Comune, salito alle cronache in questi giorni, per non aver riconosciuto in quel loro ospite “domiciliato”, il primo latitante più ricercato d’Italia!!!
Ed allora, ricordando quanto a suo tempo “cosa nostra” abbia compiuto con estrema brutalità per lo sgarro subito e per il tradimento di quel suo partner politico chiamato “Democrazia cristiana”, ecco essendo giunti allora ad un bivio (e con l’allora Capo dei capi corleonesi in gattabuia), si pensò d’impostare in quegli anni un nuovo progetto politico, ma soprattutto d’elevare qualcuno al di sopra di ogni sospetto, capace di ricevere il sostegno elettorale di quell’associazione criminale, in cambio certamente di una nuova collaborazione con garanzie sia sul piano degli investimenti nel territorio isolano che in quelli della riforma sulla giustizia…
Questi due circostanze, hanno fatto in modo d’allontanare definitivamente molti di quegli iscritti ai partiti di governo, dirigendo le loro preferenze verso qualcosa di nuovo, un cambiamento radicale effettuato con la certezza o quantomeno la speranza, che quella scelta rappresentasse la decisione giusta.
Ma tutti noi sappiamo bene che non andò così, abbiamo visto cos’è accaduto negli anni, letto dai media le dichiarazioni dei pentiti, compreso dai verbali di processo quanto fosse realmente accaduto in quel periodo, il tutto peraltro confermato dalle sentenze di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa!!!
Far finta ora di dimenticare quegli eventi scomodi, non farà minimamente migliorare le coscienze di chi ha partecipato a quel colpo di Stato, come sappiamo… senza sparare un colpo!!!
C’è un filo sottile che lega lo Stato all’Antistato, quest’ultimo sostenuto – come ormai evidente a tutti – da massoneria e mafia, un connubio collaudato che decide quando e come procedere, chi colpire e chi aiutare, affinché gli interessi di una parte non vadano a condizionare quella dell’altra, perché in fondo vi è un’intesa tra quei reciproci poteri, una vera e propria alleanza che permette, in qualunque momento, di incontrarsi (quasi sempre in campo neutro) e definire quelle ignobili trattative di cui ormai siamo ormai stanchi!!!
Che senso ha essere accompagnato la mattina per poi essere libero di essere ucciso la sera?
A che serve vivere se non c'è il coraggio di lottare???
Ed allora rivediamoli quei magistrati che hanno deciso di lottare, mentre gli altri… tutti gli altri, (tra cui anche alcuni loro colleghi) sono rimasti lì, ben nascosti: Cesare Terranova, Gaetano Costa, Gian Giacomo Ciaccio-Montalto, Rocco Chinnici, Alberto Giacomelli, Antonino Saetta, Rosario Angelo Livatino, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino. Hanno voluto sacrificare se stessi per questo Stato e sono morti per portare avanti le proprie idee, senza piegarsi allora ad un sistema… che dimostra essere ancora oggi eguale: corrotto e mafioso!!!
Già, vivono la loro esistenza nella totale indifferenza e consentono all’ingiustizia di regnare incontrastata…Ma soprattutto quel loro modo di essere priva tutti quei cittadini onesti (pochi, pochissimi… ma per fortuna esistono…) che la giustizia primeggi e che la libertà di ciascuno venga in ogni circostanza garantita, anche a costo della vita…
Non ho tempo da perdere, devo lavorare, devo lavorare… E’ una corsa contro il tempo, per arrivare alla verità prima di essere fermato".
Sì… hanno provato ( quantomeno questo è quanto ci hanno raccontato…) a ricostruire quegli ultimi giorni, ma soprattutto si è cercato di comprendere a quali indagini il giudice Borsellino era interessato, in particolare dopo alcune dichiarazioni confidenziali rivelate ad egli da alcuni pentiti, in particolare quelle di Gaspare Mutolo e Nino Giuffrè, che proprio in quei giorni, avevano cominciato a rivelare le collusioni tra criminalità organizzata, magistratura, forze dell’ordine e servizi segreti!!!
Difatti, sembra che dopo aver ricevuto quelle dichiarazioni, egli abbia compreso come la sua vita era ormai appesa ad un filo… tanto che, proprio il giorno prima della strage, il procuratore si recò a pregare nella chiesetta di Santa Luisa de Marillac (dove tra l’altro, verranno celebrati i suoi funerali)…
Quella mattina decise di scrivere una lettera alla preside di un liceo di Padova, presso il quale avrebbe dovuto recarsi per un incontro al quale non si era poi recato per una serie di disguidi e per i suoi impegni che non gli davano tregua…
E’ passato più di un quarto di secolo e credo che ormai abbiamo la certezza che la fine di questo magistrato, non la si conosce affatto!!!Già, perché ancora oggi non sappiamo chi l’ha ucciso e perché lo voleva morto, ma soprattutto chi l’ha tradito e l’ha lasciato solo!!!
Paolo Borsellino non si è sacrificato… ma è stato sacrificato, proprio da coloro che percepivano come un pericolo l’opera del Magistrato…
Individui infami (riportati sicuramente in quell’agenda rossa…), che hanno beneficiato della sua morte, e che finalmente attraverso quella sua dipartita, hanno potuto proseguire indisturbati verso quelle loro finalità, nel quadro di una convergenza di interessi tra “Centri di potere”, “Apparati dello Stato” e “Cosa nostra”!!!
Una circostanza quest’ultima percepita dallo stesso giudice che rivolgendosi il giorno prima della strage alla moglie Agnese, raccontò che: “Non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo… ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere”!!!
Borsellino: Una storia da riscrivere!!!
Ho sempre scritto sull’argomento dicendo che c’era ancora tanto da compilare e soprattutto, che la storia che mi avevano raccontato, non mi convinceva affatto…




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