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Caro Paolo, sono passati ben 11 anni da questa lettera di Roberto, eppure siamo ancora qui a chiederci: da chi sei stato assassinato???

Chi ha ucciso Paolo Borsellino? La mafia o, come scrivono i giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, “soggetti diversi da Cosa nostra”??? 31 anni non sono bastati per conoscere la verità!!!

Caro Paolo,

oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.

E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e abarattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.

Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.

Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.

Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.

Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.

E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.

Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso. 

Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.

Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.

Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca,Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”.

Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.

Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.

Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.

Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.

E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.

Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.

Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.

Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.

E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.

Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.

Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.

Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.

Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.

E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti. 

Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.

Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.

Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.

Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte. 

E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.

Intervento di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte di Appello di Caltanissetta, letto alla commemorazione per i 20 anni dell’assassinio di Paolo Borsellino, con il quale ha lavorato fianco a fianco nel pool antimafia.

Quando si perde improvvisamente anche un semplice conoscente, ecco che una parte di noi, se ne va insieme a lui…

Il Natale è giunto ormai in dirittura arrivo, ma ahimè è stato segnato da un evento triste, già… il lutto di un ragazzo residente nel mio stesso villaggio del mare, che proprio in queste ore ha voluto compiere un gesto estremo…

Ecco perché in questo particolare momento ho pensato quanto inutile fosse – dinnanzi a questa tragedia – festeggiare questo Natale…

Si va detto… il sottoscritto conosceva appena quel coetaneo, di pochi anni solo più giovane… un ragazzo con cui dialogavo nel periodo estivo…

Sì… potrei considerare quel rapporto una formale conoscenza, non ero un suo intimo amico nel senso stretto della parola, uno cioè con cui egli si frequentavano o con cui mi vedevo in maniera costante, chissà… se lo fossi stato forse avrei potuto certamente comprendere quel suo malessere interiore,  allontanando quei cattivi pensieri con cui ormai quotidianamente sopravviveva… 

Come ho scritto in un mio post su una pagina social: quando accadono certe disgrazie, perdiamo tutti!!!

Sì, perché forse si poteva fare di più… 

Già… se ciascuno di noi fossimo stati un po’ meno estranei, se non avessimo pensato esclusivamente a noi stessi, a nostri cari, sì… se vi fosse stata una maggiore partecipazione ai problemi che questo ragazzo sicuramente manifestava, forse chissà… tutti insieme l’avremmo salvato!!!  

E’ mio auspicio quindi che con il giungere di queste feste e del nuovo anno, si possa ritrovare quello spirito di comunione andato ormai smarrito, affinché quanto appena accaduto a quel ragazzo, certamente “solo”, non abbia più a doversi ripetere…

Berlusconi e quel viaggio tra i "buchi neri"…

Un viaggio negli abissi: quello che (forse) non si è voluto far emergere…
Dicevamo ieri. O forse no. Forse è meglio ricominciare da capo, perché certe storie, se le racconti male, rischiano di sembrare finzioni. E invece no: sono più vere della verità che ci hanno venduto.
Prendete due giornalisti come Marco Travaglio e Peter Gomez. Hanno speso anni a scavare, a incastrare pezzi, a seguire tracce che altri preferivano ignorare. Il risultato? Una biografia alternativa dell’uomo che tutti conoscono come ex presidente del Consiglio, ma che prima di allora… beh, prima di allora era già qualcos’altro. Un self-made man? Forse. O forse no.
Perché la vita di Silvio Berlusconi, al di là delle agiografie patinate, è un puzzle con pezzi mancanti. Domande senza risposta. “Buchi neri”, appunto. E allora proviamo a ripercorrerne alcuni, senza pretese di completezza—solo per farci due domande.
1. Gli inizi misteriosi (e i soldi che non si sa da dove arrivano)
1963: nasce la Edilnord Sas, la società con cui Berlusconi costruirà Milano 2. Soci accomandatari? Lui e alcuni collaboratori. Soci accomandanti? Un banchiere (Carlo Rasini) e un avvocato d’affari (Renzo Rezzonico), rappresentante di una finanziaria svizzera di cui nessuno conosce i reali proprietari.
Domanda ovvia: perché affidare capitali enormi a un ventisettenne senza un passato imprenditoriale di rilievo? E soprattutto: chi c’era dietro quei soldi?
2. La banca Rasini e gli amici di Cosa Nostra
La Rasini è la banca dove lavora Luigi Berlusconi, padre di Silvio, da impiegato a direttore generale. Nel 1985, Michele Sindona—banchiere, piduista, riciclatore di soldi mafiosi—rivela al giornalista Nick Tosches che la mafia usa, a Milano, “una piccola banca in piazza Mercanti”.
Esatto: la Rasini.
E chi aveva i conti lì? Narcotrafficanti e mafiosi siciliani, come Antonio Virgilio e Salvatore Enea, legati a Vittorio Mangano—lo stesso che, qualche anno dopo, diventerà il “fattore” (o “amministratore”, a seconda delle versioni) di Berlusconi ad Arcore.
3. La selva di società (e i prestanome svizzeri)
Berlusconi scompare e riappare dietro una cortina di sigle incomprensibili. Società intestate a parenti, finanziarie svizzere dai proprietari ignoti, capitali che sembrano materializzarsi dal nulla.
Italcantieri, ad esempio, nasce nel 1973 grazie a due fiduciarie ticinesi: una legata a un finanziere vicino a massoneria e Opus Dei, l’altra amministrata da un uomo di estrema destra più volte inquisito per riciclaggio (anche con i narcos colombiani).
4. I soldi che puzzano (e le domande senza risposta)
Tra il 1978 e il 1985, secondo la Procura di Palermo, almeno 113 miliardi di lire (250 milioni di euro oggi) finiscono nelle società di Berlusconi. In parte in contanti. In parte con assegni “mascherati”.
La Procura dice: soldi della mafia (Stefano Bontate, per la precisione).
La difesa dice: autofinanziamento.
Peccato che nessuno abbia mai spiegato da dove saltassero fuori tutti quei soldi.
5. Villa San Martino: l’affare (troppo) perfetto
1973: Berlusconi compra la lussuosissima Villa San Martino ad Arcore da Annamaria Casati Stampa, ereditiera minorenne. Il prezzo? Irrisorio. Il pagamento? In azioni di società immobiliari non quotate—che, quando la Casati tenta di monetizzare, si rivelano carta straccia.
Il pro-tutore della ragazza? Cesare Previti, amico di Berlusconi e figlio di un suo prestanome.
Una coincidenza? Forse.
6. Vittorio Mangano: il fattore (mafioso) di Arcore
1973: Berlusconi assume Vittorio Mangano, mafioso palermitano già condannato per reati gravi, come “fattore” della villa. Mangano resterà lì due anni, fino a quando non verrà sospettato di aver organizzato un sequestro.
Più tardi, condannato per narcotraffico e omicidio, finirà all’ergastolo. Ma per due anni è stato l’uomo di fiducia di Berlusconi.
7. La tessera P2 (e gli amici giusti al posto giusto)
26 gennaio 1978: Berlusconi entra nella P2, presentato da Roberto Gervaso. Tessera n° 1816.
I vantaggi? Finanziamenti, crediti facili, collaborazioni con giornali come il Corriere della Sera (allora diretto dal piduista Franco Di Bella). Tutto casualmente utile per un uomo che di lì a poco avrebbe costruito un impero mediatico.
8. Le ispezioni (troppo) frettolose della Guardia di Finanza
1979: tre finanzieri ispezionano l’Edilnord. Berlusconi si presenta come “semplice consulente”. I militari chiudono l’indagine in fretta, nonostante le anomalie.
Poco dopo, il capo della pattuglia, Massimo Maria Berruti, lascia la Finanza e va a lavorare per… la Fininvest.
Uno dei suoi colleghi? Risulterà iscritto alla P2.
9. Le indagini (troppo) scomode
1983: la Finanza intercetta Berlusconi in un’inchiesta sul narcotraffico. Un rapporto lo indica come “finanziatore di un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia”.
L’indagine? Archiviata nel 1991, senza spiegazioni.
10. Le televisioni (troppo) fuorilegge
1984: tre pretori bloccano le trasmissioni nazionali di Berlusconi, illegali per legge. Lui lancia lo slogan “Vietato vietare”, scatena l’indignazione popolare e ottiene un decreto ad personam da Craxi.
Due dei tre pretori riprovano a sequestrare le attrezzature. Craxi fa un secondo decreto. Alla fine, la legge Mammì legalizzerà il monopolio.
Morale?
Certe storie, se le guardi da lontano, sembrano complotti. Se le guardi da vicino, sono solo fatti.
E i fatti, a volte, sono più inquietanti di qualsiasi teoria.

In ricordo di una persona perbene: Sebastiano Bucca.

Questa mattina ho ricevuto una triste notizia: un mio caro amico ed anche collega è venuto a mancare…

Desidero pubblicare questo post, per quanti hanno avuto modo di conoscerlo e non sono oggi a conoscenza della sua prematura scomparsa…
Sembra che Dio, abbia una predisposizione particolare per prendere accanto a se, anticipatamente, le persone migliori e Sebastiano era difatti una di queste…
Ho avuto il piacere di conoscerlo nel 2010, durante i lavori per il raddoppio ferroviario SIS di Palermo e in quegli anni, abbiamo avuto modo, insieme ai tanti colleghi e dipendenti della In.Co.Ter Spa (e della SIS SCPA), di trascorrere quella interessante esperienza lavorativa…
Sapere che ora non c’è più, mi ha dato una grande tristezza ed è il motivo per cui, voglio ricordarlo… 

Durante la nostra vita, non sempre si è fortunati d’incontrare persone speciali, che sappiano trasmettere agli altri, naturali qualità morali di bontà e rettitudine…

Un’anima pura, che ha preferito vivere, non per aver vantaggi personali, ma aspirando continuamente a fare qualcosa per gli altri…
Sebastiano era così, sempre pronto al dovere, ad aiutare gli altri, in particolare i colleghi e i lavoratori di cui, molti di essi, ragazzi, hanno potuto condividere i tanti momenti allegri, ricevendo nel contempo i suoi consigli, quasi fosse stato per loro, un secondo padre…
Una persona perbene e onesta, un uomo che ha saputo affrontare in silenzio tutte le difficoltà sopraggiunte, senza mai trasmettere agli altri, emozioni di tristezza o di sconforto…
Ci siamo incontrati la scorsa estate, quando insieme a mia figlia Emanuela, sono andato a trovarlo a casa sua, presso Barcellona Pozzo di Gotto ed egli era felice di quel inatteso incontro, manifestando ad entrambi, tutto il suo calore umano e la gioia indescrivibile per quella visita…
So che in questi anni mi seguiva sul blog… ogni tanto mi scriveva qualche messaggio via email o sulle pagine social, il più delle volte, quando leggeva qualche mio articolo un po’ troppo “risonante”, mi consigliava di lasciar perdere, scrivendomi: “Nicola… questo terra non ti merita…”!!!
Chissà forse aveva ragione… ma io penso che sono i piccoli gesti, a fare di un uomo la sua grandezza… sono le piccole azioni, le cose dette, quelle che permetteranno ad egli di vivere sempre nel ricordo degli altri, anche di coloro che non si conoscono, parole che resteranno eterne nella memoria…
Io mi ricordo ogni secondo passato insieme, quelle giornate in cantiere, le colazioni della mattina ed anche le risate a cena… in quella nostra Palermo che ci ha saputo accogliere (noi per lo più catanesi), con grande affetto e simpatia…
Cosa dire dei quartieri nei quali abbiamo operato, considerati da molti “pericolosi”, ma non per noi, dove senza mai alcun problema, abbiamo trascorso quegli anni, accolti con benevolenza dai suoi concittadini…
Sebastiano… so che non è giusto, se non altro, non così presto, questa è per noi tutti, in particolare certamente per i tuoi cari, un’inattesa perdita…
Io stesso… mentre sto scrivendo queste righe, non ci voglio credere, mi sento come smarrito, penso tra me…  “… no, non può essere vero, non voglio crederlo, non posso accettarlo“!!! 
Dicono che “il tempo guarirà le ferite“, ma il tempo ora, almeno per il sottoscritto, sembra essersi fermato… 
Nulla sarà più come prima… non potrò più vederti, ascoltare la tua voce al telefono, non avrò più i tuoi messaggi sul mio cellulare, non riuscirò a fare colazione con te e ridere di quando abbiamo vissuto insieme, ma io so che da lassù… tu, sarai sempre vicino ai tuoi cari, a me, a chi sai ti ha voluto bene, aiutando ciascuno di noi a reagire nei momenti difficili, consigliandoci sulle scelte importanti da fare e allontanando le sofferenze di questa vita…
Caro Sebastiano grazie, per tutti i momenti trascorsi insieme… 

Siamo a – 3

Finalmente siamo giunti a – 3…!!!
Già, stanno finendo questi giorni insopportabili, questo spreco di carta, di pubblicità, di manifesti elettorali, di programmi televisivi, di discussioni futili, di promesse fatte al vento, di comizi silenziosi, di manovre sottobanco, di gente falsa, di proposte indecenti, di regali e promesse, di pranzi e cene, di strette di mano, di baci ed abbracci…
Ecco che a pochi giorni da queste votazioni, ognuno di loro, cerca di dare il meglio di se… 
Chissà in questa fase quali pensieri li tormentano, provo a fantasticare ed immaginare quale situazione passa per le loro teste: si… ormai siamo allo sprint  finale, debbo rinsaldare i voti  certi  e tentare di recuperare ancora qualche amico riluttante e diffidente…

Ci sarà pure, qualcuno che avrà ancora bisogno di un posto, per se, per sua moglie, per i suoi figli…, non può essere che nessuno ha un problema che non lo assilli, qualche pagamento con l’ufficio imposte da sistemare, un problema familiare che necessita di cure mediche, qualche sostegno finanziario o bancario, un mutuo per la prima casa… ma dove sono tutti…, perché non vengono a chiedere…,  certo se nessuno ha bisogno… diventa difficile proporsi  per chiedergli il voto…

Si per fortuna, ci sono i soliti amici, quelli che sono stati raccomandati ed aiutati in questi anni, già ma ci sono pure coloro che sono rimasti delusi…
Cosa dire loro…, certo, si poteva fare di più, ma non potevo accontentare tutti… qualcuno sfugge… e poi si sa, prima ci sono i parenti, i parenti dei parenti, coloro che ti hanno sostenuto durante il lavoro, i tuoi colleghi di partito, i vicini di casa, del quartiere e cosa dire di quei conoscenti che ogni giorno ti salutano, che ti sono venuti a cercare durante l’anno, ecco a questi cosa raccontare…, quale scusa potersi inventare oggi, per non averli saputi accontentare ieri…
Non so…, potrei… si…, iniziare con la crisi economica, l’instabilità politica, l’incertezza governativa, la morte di Gheddafi, la guerra civile in Siria…, si qualcosa debbo  pure inventarmela, per non perdere questi voti…    
SI…, posso sempre dire di stare tranquilli…
Già, potete… stare tranquilli, basterà soltanto che io giunga su quella poltrona e prometto che in breve tempo, sistemerò ognuno di voi…