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Quando il pianeta parla e il mondo ascolta con “interesse”.


Continuando il discorso che porto avanti da mesi sul blog, mi sono imbattuto in una nota su una pagina Instagram che ha catturato subito la mia attenzione e da cui ho tratto spunto per questa riflessione.

La notizia confermava, con dati incontrovertibili, ciò di cui si parla da tempo: il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e, con ogni probabilità, il più caldo degli ultimi 125.000 anni. Non si tratta di un semplice numero, ma di un segnale profondo emerso dal sesto rapporto sullo “Stato del Clima”.

Mi colpisce sempre pensare a come questi parametri vitali del pianeta — 22 su 35 ormai a rischio (nel post di domani ne parlerò più nel dettaglio) — non siano più fredde statistiche, ma sintomi visibili di un’accelerazione della crisi climatica. Dagli oceani che si surriscaldano alle foreste divorate dalle fiamme, la percepiamo ormai come un rumore di fondo alla nostra esistenza.

Ascoltando Johan Rockström, si comprende che molti di questi indicatori hanno da tempo superato ogni soglia storica. Non si può allora non riflettere sulla natura interconnessa dei rischi che affrontiamo: dall’indebolimento delle correnti oceaniche alla fragilità delle risorse idriche. È un monito che va ben oltre l’allarme ambientale: ci parla della salute stessa dei sistemi che ci permettono di vivere.

Eppure, mentre la realtà fisica del pianeta ci parla con un linguaggio diretto e implacabile, la nostra risposta collettiva sembra annaspare in un paradosso stridente. Gli “Accordi di Parigi” fissano obiettivi vincolanti, ma di fatto non prevedono sanzioni, affidandosi unicamente alla buona volontà degli Stati.

Questo meccanismo è visibile anche nel nostro paese, dove i piani vengono aggiornati senza che i ritardi comportino conseguenze reali. Si rivela così un conflitto profondo tra sovranità nazionale e urgenza globale: non esistono tribunali internazionali capaci di imporre tagli alle emissioni, ma solo un dialogo tra pari, un osservarsi a vicenda mentre la situazione precipita.

È affascinante e, al tempo stesso, angosciante notare come, nonostante il collasso dei parametri climatici, l’interesse mondiale per il tema stia crescendo. Forse la spinta non viene più solo dalla coscienza morale, ma dagli incentivi economici che stanno inclinando l’ago della bilancia verso la cosiddetta transizione ecologica, trasformandola da dovere etico a calcolo strategico.

Forse è proprio in questa frizione — tra la lentezza della politica e la nascita di nuovi interessi — che si sta scrivendo il nostro futuro. E forse è qui che si conferma un meccanismo ricorrente: le istituzioni, nazionali e internazionali, sembrano più concentrate nel coltivare un “interesse” economico e finanziario che nel monitorare con serietà gli indicatori chiave — quei “vital signs” che dovrebbero misurare lo stato reale del sistema climatico e il progresso effettivo verso il suo recupero.

C'è vita su venere???

Venere è il secondo pianeta del sistema solare e prende il nome dalla dea romana dell’amore e della bellezza.

Presenta un’atmosfera molto più densa di quella terrestre, costituita al 96,5% da anidride carbonica e al 3,5% da azoto.

La densità e la composizione dell’atmosfera creano un impressionante effetto serra che rende Venere il pianeta più caldo del sistema solare, superando la temperatura di 460° sulla superficie.

Esso è avvolto da uno spesso strato di nubi, composte principalmente da acido solforico.

In una fascia che va dai 40 ai 60 km di quota, però le condizioni atmosferiche si attestano su valori molti simili a quelli terrestri, nonostante la forte presenza di queste nubi tossiche.

Ed è proprio in questa fascia che gli scienziati del MIT (Massachusetts Institute of Technology), in collaborazione con l’università di Cardiff e importanti centri di ricerca internazionale, hanno riscontrato la presenza di un importantissima molecola, la fosfina.

La fosfina, nota anche come idrogeno fosforato, è un gas incolore dall’odore sgradevole e molto tossico per la maggior parte delle forme di vita.

E’ utilizzata principalmente come pesticida in aziende agricole o come prodotto di scarto di attività industriali.

Essa, è associata secondo sempre uno studio dei ricercatori del MIT, ad attività biologiche, in particolar modo su pianeti rocciosi, e quindi ha un importante ruolo come marcatore di bioattività, non presentando origine abiotica.

La presenza di questa sostanza, è stata verificata tramite uno studio spettroscopico, ovvero analizzando la luce proveniente dall’atmosfera di Venere.

In questa particolare analisi, accade che, parte della luce che colpisce questa molecola (o altre molecole e atomi) viene assorbita, e studiando quali bande di luce vengono assorbite si può determinare che tipo di materiali stiamo osservando.

Conoscendo lo spettro caratteristico della luce, quando colpisce la fosfina, gli scienziati sono stati in grado di riconoscere questa molecola seppur fosse a distanze astronomiche.

La responsabile del già citato studio pubblicato su Astrobiology,che precede la scoperta attuale, Clara Sousa-Silva, afferma che: “Trovare fosfina su Venere è stato un bonus inaspettato! La scoperta ha scaturito molte domande, come ad esempio alcuni organismi possano sopravvivere. Sulla Terra, molti microrganismi possono sopportare fino al 5% di acidità nel loro habitat, ma le nubi di Venere sonno completamente composte da acido.”

Non si ha, ovviamente, la completa certezza che questo composto sia prodotto esclusivamente da attività di tipo biologico, potendo sul pianeta esistere fonti abiotiche a noi sconosciute in grado di rilasciare fosfina.

I ricercatori però escludono che questo sia possibile secondo le nostre attuali conoscenze, e ipotizzano una massiccia presenza di batteri definiti estremofili, nello strato simil-terrestre dell’atmosfera di Venere, in grado di produrre questa molecola.

La dottoressa Greaves, responsabile della scoperta e della pubblicazione, afferma che: “è molto difficile spiegare la presenza della molecola fosfina senza considerare la vita, quindi in nessun altro modo naturale.”

Inoltre, c’è da aggiungere che la quantità di fosfina in atmosfera, è estremamente elevata, e questo potrebbe essere spiegato esclusivamente dalla presenza di un habitat in cui forme di vita estremofile si sono adattate a vivere.

Per definizione, i batteri estremofili, sono microrganismi adattati a vivere in condizioni estreme.

Anche per questi microrganismi però, le condizioni ambientali dell’atmosfera di Venere risulterebbero proibitive, per questo si pensa che per sopravvivere all’elevata acidità, pressione e temperatura delle nubi di Venere, queste forme di vita microscopiche siano del tutto sconosciute all’uomo e quindi per definizione aliene.

Tutto ciò è ovviamente ancora da dimostrare, e solo il tempo e l’innovazione nel campo della ricerca spaziale, ci daranno le risposte giuste.

In conclusione, se dovesse essere verificata la presenza di queste piccole forme di vita, si potrà affermare che esiste effettivamente una forma di vita aliena, il primo batterio alieno.