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Certo sarebbe grave se realmente un testimone avvisò sulla lite tra Filippo e Giulia Cecchettin, se poi nessuna pattuglia raggiunse il luogo dove stava avvenendo l'omicidio.

Non desidero alimentare una polemica, ma certamente un’inchiesta su quella richiesta d’aiuto – secondo il sottoscritto – andrebbe compiuta!!!

D’altronde comprendo quanto non sempre è facile immischiarsi nei diverbi altrui, anche perché il più delle volte ci si ritrova ahimè inguaiati…

Il sottoscritto (che rappresenta proprio uno di quei soggetti, che i cazz… altrui non se li sa fare), si è trovato nel corso della propria vita ad affrontare una decina di situazioni più o meno analoghe, per fortuna non così gravi, ma che mi hanno visto in ogni caso coinvolto… 

Mi consola sapere che alla fine, quel mio intervento, sia servito quantomeno a non far degenerare quella momentanea conflittualità, ma certamente ripensandoci, penso di essere stato il più delle volte istintivo o chissà forse precipitoso, anche perché l’essermi inserito in quella diatriba, ha permesso sì… che si concludesse, ma in quel preciso momento, quanto compiuto, ha comportato al sottoscritto non pochi problemi.

D’altronde, se dovessi raccontare quanto più volte mi è (ahimè) accaduto ci vorrebbe un libro e sono certo che la maggior parte di voi quelle vicende l’avrebbe sicuramente evitate, mi riferisco in particolare a tutta una serie di situazioni spiacevoli a cui da ragazzo sono stato partecipe!!!

Ho letto ora di una registrazione sulla chiamata effettuata da un testimone che proprio la sera dell’11 novembre scorso, chiamò il 112 per segnalare la lite nel parcheggio di Vigonovo (Venezia) – la telefonata si è poi rivelata essere la prima aggressione che l’ex fidanzato Filippo Turetta ebbe nei confronti di Giulia Cecchettin – ed ora è stata acquisita dalla Procura di Venezia.

Certamente, la circostanza per la quale nessuna pattuglia si recò sul posto segnalato non è certamente qualcosa di positivo; qualcuno ha aggiunto che uno dei motivi per cui non si diede seguito a quella richiesta d’aiuto è dovuta al fatto che il testimone non seppe dare al telefono dettagli precisi come ad esempio il numero di targa. 

La verità – lo dico per esperienza personale – è che la maggior parte delle volte non si viene presi in considerazione, si pensa ad una abituale lite tra familiari, condomini, quelle classiche ragazzate, etc…

Io stesso ricordo come alcuni anni fa (mentre attendevo mia figlia adolescente che entrasse in un locale per una festa organizzata dagli studenti del suo liceo) all’esterno di un locale, si fosse formata una marea umana di ragazzi che provava ad entrare all’interno di quella discoteca, seppur molti di loro non possedessero l’invito…

Dopo alcuni minuti, quella massa degenerò in rissa, prima una, poi due, poi la terza, con tutti quei ragazzini nel mezzo che non sapevano cosa fare e nessuno ovviamente interveniva, neppure quegli energumeni buttafuori posti all’esterno!!!

Ecco che a quel punto, il sottoscritto, insieme ad altri genitori ci siamo posti a barriera tra quelle “bande” contendenti, provando quantomeno a calmare gli animi già di loro caldi, tra l’altro vorrei aggiungere che in quel preciso momento una ragazza cadendo si era fatta male e quindi eravamo stati costretti a chiamare l’ambulanza ..

Ma la lite purtroppo non diminuiva, tra l’altro eravamo pochi quelli intervenuti a sedarla, già… la maggior parte (come sempre avviene in questi casi…) stava lì a guardare, ed allora, non potendo più limitare quella rissa, ho provveduto a chiamare il 112.

Chi non ha mai telefonato alle nostre forze dell’ordine non sa che prima di rispondere da quel preposto ufficio, si riceve un messaggio preregistrato che avvisa di come la chiamata in atto “verrà registrata”!!! 

Poco m’importa, mi presento e comunico all’operatore quanto sta accadendo e richiedo urgentemente che venga inviata una pattuglia!!! Mi sento rispondere che forse si tratta di una semplice lite tra ragazzini; ovviamente a quella risposta banale, faccio presente che è stata già chiamata un’ambulanza e che se non s’interviene in maniera celere, qualche altro ragazzo/a sarebbe finito certamente in ospedale.

L’ennesima risposta evasiva mi comunicava che in quel momento le pattuglie erano occupate, ma che comunque avrebbe avvisato i colleghi…

Passano quasi 25 minuti ma non si vede nessuno, anzi no… una pattuglia passa dinnanzi ma non si ferma!!!

A quel punto richiamo, mi ripresento e chiedo se egli rappresenti lo stesso operatore con cui poco prima mi ero parlato telefonicamente, mi conferma di essere lui, a quel punto chiedo i motivi per cui non si fosse vista neppure una pattuglia e ricevo la stessa risposta di prima: “sono impegnati e via discorrendo…”.

A questo punto, il sottoscritto richiede a quell’operatore di presentarsi, ovviamente non con il proprio nome e cognome, bensì con il proprio “numero” ed ecco che improvvisamente egli inizia a svincolarsi, dice di non comprendere la mia domanda, anzi mi risponde in maniera altezzosa, quasi che gli avesse dato fastidio quella interlocuzione e difatti le sue risposte hanno un ché di intimidatorio, ed allora a quel punto faccio presente che la chiamata in corso non è soltanto registrata da loro, ma anche il sottoscritto i quel momento, avendo istallato sul proprio cellulare un software di registrazione, stava di fatto registrando, preannunciando che quanto stava in quel momento accadendo dinnanzi a quel locale, se fosse sfociato in qualcosa di grave, sarebbe emerso in tutta la sua gravita non solo attraverso la Procura, ma anche in tutti i media/social, tra cui anche il mio blog e ovviamente ciascuno ne avrebbe pagato direttamente con le proprie responsabilità, soprattutto nel caso in cui quella baraonda generale, fosse degenerata provocando qualche vittima!!!

Concludo, dopo meno di dieci minuti sono giunte 4 pattuglie, il locale è stato chiuso perché non vi era alcuna sicurezza e migliaia di ragazzi sono stati finalmente fatti allontanare!!!

Cosa voglio dire con questo racconto, che a volte basta un intervento immediato per salvare qualcuno, ma ahimè per riuscirci non basta il solo coraggio di chiamare, ma serve anche molta ostinazione, altrimenti può capitare di non essere ascoltati oppure che quelle nostre richieste siano ritenute banali o irrilevanti!!!   

Ed allora viene da chiedersi: se quella chiamata fosse stata presa sul serio, avrebbe forse salvato Giulia? 

Non lo sappiamo e non lo sapremo mai, ma è per questo motivo che diventa fondamentale intervenire quando si vede o si sente qualcosa, perché il silenzio a volte è come quel femminicidio: uccide!!! 

Diceva Martin Luther King: ciò che mi spaventa di più non è la violenza dei cattivi, ma è l’indifferenza dei buoni!!!  

Da Giulia Donato a Giulia Cecchettin: tutte le vittime di femminicidio nel 2023 in Italia

Almeno è qualcosa, un piccolo passo, una presa di posizione”!!!

“Un provvedimento inutile, sbagliato, che non tiene conto della realtà”. 

Da giorni il dibattito sul decreto presentato come la panacea contro il femminicidio anima la rete tra favorevoli e contrari (quasi sempre sono commenti di donne o associazioni che lottano contro la violenza) anche se, a riproporne l’urgenza e al tempo stesso i limiti, sono arrivati, quasi nelle stesse ore, altri due delitti. 

Altre due vittime innocenti che hanno perso la vita solo per aver osato un “no, non voglio più” all’uomo che aveva giurato di amarle e che le voleva a qualunque costo. Senza contare una donna ustionata con l’acido a Genova e altri episodi di violenza che nemmeno trovano spazio sui giornali, piccoli stalker fermati, almeno per il momento. E questo continua a far pensare che ci sia una scollatura profonda tra chi siede in Parlamento e chi tutti i giorni si scontra con questo dramma, siano esse donne alla ricerca di una via d’uscita dalla violenza quotidiana, operatrici, associazioni, esperte, persino poliziotte o persone impegnate tra le forze dell’ordine.

Entrando nel sito del governo per leggere i dodici punti in questione si ha la prima sorpresa (www.interno.gov.it) perché si parla di “decreto sicurezza” e non certo di donne o di femminicidio, come se il complesso rapporto tra i sessi che stiamo vivendo non meritasse una nota a se stante, una presa di posizione precisa, un desiderio reale di cambiamento, ma venga visto solo come una questione di ordine pubblico, da sconfiggere con l’inasprimento delle pene, passando con disinvoltura, nello stesso decreto, dagli stalker ai ladri di rame, dalle truffe on line ai supporter violenti negli stadi. 

Il che riporta alla memoria altri tentativi analoghi di repressione come ad esempio l’idea di sconfiggere il terrorismo negli anni di piombo con la Legge Reale, con i risultati che abbiamo visto nella nostra storia recente. Perché è di un cambiamento morale che le donne hanno bisogno, di un’educazione permanente che parta dai bambini e dalle bambine, dalla scuola, dalla costruzione di una rete di appoggio e solidarietà, dalla consapevolezza reale, insita nella coscienza collettiva, che un delitto contro le donne non è un delitto di “serie b”, non può liquidarsi con un “se l’è cercata”, non può essere confinato in un “piano sicurezza”, non può dimenticare le associazioni e i centri anti violenza che hanno il polso del problema e il contatto quotidiano con le donne in fuga e nemmeno ignorare la necessità di nominare un nuovo ministro per le Pari Opportunità, dopo le dimissioni di Josefa Idem. Così il primo pensiero che viene a chi scrive è che, come al solito, si cerchi di speculare sulla pelle delle donne, ottenendo facili consensi e titoloni sui giornali, come spesso avviene quando si parla di questa realtà.

Certo, cercare di dare risposte alla strage cui assistiamo, alle vite negate dalla tortura delle percosse e degli stalker, è un passo avanti che deve far sperare, ma questo cammino non può basarsi sulla sola, a volte inutile, repressione e va compiuto insieme, come aveva tentato di fare l’ex ministro Idem, convocando le associazioni per capire davvero, da dentro, il problema. L’avvocato vicentino che ha vagabondato con il corpo della sua donna in macchina, convinto di aver agito perché a sua volta ucciso moralmente dalla compagna che lo aveva “sedotto e abbandonato” si sarebbe fermato se avesse saputo questo? No, non lo avrebbe mai fatto, le leggi le conosce benissimo, così come il gommista siciliano che si è ucciso dopo aver sparato alla moglie, che pure lo aveva denunciato e si era rifugiata nella casa dei genitori. Le loro vite erano già al macero, come quasi sempre accade in casi simili. Gli uomini che uccidono la loro ex non cercano fuga, non si sottraggono all’arresto, confessano, si uccidono, piangono. 

Addossano la colpa a lei. Li ha costretti con il suo comportamento, aveva un amante, era sfuggente, voleva lasciarlo, se ne era andata di casa e via dicendo. Non sono criminali mafiosi, non sono abituati, nella vita quotidiana, a delinquere. Sono persone con un problema psichico, malate della sindrome del possesso, incapaci di gestire un abbandono, di veder messa in dubbio la loro presunta superiorità maschile. Così come chi picchia la propria donna, magari davanti ai bambini (nel caso in cui la famiglia viva ancora sotto lo stesso tetto) o chi la tortura inseguendola fino a rendere la vita di tutti un inferno (nel caso in cui lei stia tentando di ricostruirsi una vita altrove). Questi uomini non guariranno con la bacchetta magica, chi è stato violento una volta lo sarà ancora e non basterà nemmeno il carcere preventivo o l’arresto in fragranza di reato, perché dopo usciranno di galera e ricominceranno. Questi uomini dovrebbero essere allontanati davvero dalle loro vittime, e soprattutto aiutati, curati con una terapia di sostegno, rieducati a vivere. Dovrebbero vedere negli occhi di chi li circonda la riprovazione mentre torturano la ex, sentire che sono dalla parte del torto e che non possiedono il corpo e i pensieri altrui. Una rivoluzione culturale che non può passare certo per l’inasprimento delle pene. Di cui non c’è traccia nel decreto. Dei centri per uomini maltrattanti (una dozzina o poco più in Italia) non c’è parola. Eppure sono loro, gli uomini, che uccidono.

L’altro punto dolente del “piano sicurezza” (segnalato a più voci) è in quell’irrevocabilità della querela che invece viene presentata come un punto di forza, dando per scontato che la donna è un soggetto fragile, incapace di intendere e volere, che va tutelata dal legislatore ma anche e soprattutto da se stessa. Già è gravissima l’idea che si decida contro il suo volere, d’ufficio, ma qualcuno si è chiesto, veramente, perché una donna ritira una denuncia? Non sempre lo fa perché vuole dare una seconda possibilità al suo aguzzino e non riesce a spezzare il legame affettivo che la lega a quest’uomo, l’autonomia emotiva è un percorso complesso, come sappiamo. E di sicuro non torna sui suoi passi perché è una minorata psichica, come sembra pensare il legislatore, la soluzione è molto più complessa, variegata. La ritira anche perché non trova nessuno pronto a sostenerla nella vita quotidiana, nemmeno tra le forze dell’ordine che ancora non sono preparate ad aiutarla concretamente o nelle aule dei Tribunali dove spesso non viene creduta e la violenza pericolosa viene confusa con conflittualità di coppia- se e quando la sua causa viene portata in dibattimento – oppure non ha una casa dove andare o soldi per affrontare l’emergenza, figli a carico cui deve garantire una vita normale. Certo potrebbe anche essere stata minacciata, costretta a questo passo indietro per evitare nuove violenze, come suggerisce il decreto. Ma allora dovrebbe risuonare l’ulteriore campanello d’allarme, prima della prossima domanda. Chi la aiuterà in concreto dopo, quando non potrà ritirare la denuncia ? Dove troverà rifugio? Dove andrà a dormire? Come ricostruirà la sua vita? Le associazioni femminili che da anni conoscono questa realtà andrebbero ascoltate e potenziate, così come i centri antiviolenza, troppo pochi in Italia, con pochi posti letto e ormai quasi senza finanziamenti. Nel decreto a queste strutture c’è solo un vago accenno, così come alla formazione degli operatori, il problema culturale e anche quello emotivo rimangono al limite del testo. Inesistenti.

L’altro passaggio che colpisce è quello sulla “delazione”, ovvero l’ammonimento del Questore, chiamato a prevenire un possibile delitto, privando il presunto aggressore di armi e patente, misura che “può essere applicata anche a seguito dell’intervento delle forze di polizia, senza che ne faccia richiesta la parte lesa, con specifica forma di tutela della riservatezza dell’identità dei soggetti che hanno segnalato i fatti”. Un passaggio pericoloso per molti versi, sia per l’intromissione nelle scelte della donna – e sappiamo quanto è difficile il cammino verso la consapevolezza e l’autonomia- sia per le reazioni che potrebbe avere il presunto maltrattante se e quando tornerà a casa o cercherà la sua compagna. Sarà sempre lei ai suoi occhi la colpevole di essersi confidata con chi poi lo ha denunciato. Sembra quasi di essere tornati ai tempi del proibizionismo, della caccia alle streghe.

Un’altra nota dolente riguarda l’inasprimento della pena per chi commette violenza sessuale su donne in stato di gravidanza o su mogli e compagne. Cosa rende le donne diverse davanti al legislatore? Certo, abusare o picchiare una donna incinta è un reato disgustoso, come lo è nei confronti di una persona con cui si ha un vincolo che dovrebbe essere sancito da un progetto di vita, ma è meno grave violentare una donna appena conosciuta? Questo passaggio rimarca , ancora una volta, una differenza culturale tra individui e avvalla lo stereotipo secondo cui una donna non esiste mai come persona di per sé, ma solo in “funzione di”, di essere incinta, di essere sposata, di avere un compagno.

C’è da aggiungere che alcuni punti del “piano sicurezza” rappresentano un tentativo interessante di andare oltre, per esempio per quanto riguarda i minori vittime a loro volta di violenza assistita, con l’inasprimento delle pene nei confronti del padre carnefice, o delle donne straniere, tutelate anche se prive del permesso di soggiorno che a quel punto otterrebbero e ancora dell’arresto in flagranza di reato del persecutore o della corsia preferenziale del processo e del patrocinio gratuito per persone in difficoltà economica. Ma ancora una volta bisogna ricordare che si tratta di misure repressive che porteranno solo a una sospensione momentanea del pericolo. Chi aiuterà i bambini e la donna, ad esempio, una volta che è stato allontanato il papà, chi li seguirà per permettere loro di ricostruire una base affettiva e una vita serena? Cosa succederà quando l’aggressore, una volta scarcerato, tornerà in libertà, magari con il desiderio ingigantito dalla prigionia di vendicarsi? Il problema della violenza contro le donne, non ci stancheremo di ripeterlo, non è un problema di ordine pubblico ma culturale, richiede uno sforzo e un impegno congiunto, di tutti, per educare, sensibilizzare, cambiare la mentalità e di conseguenza i comportamenti. 

Leggere ancora oggi di una donna costretta da più di sette anni sulla sedia a rotelle per colpa dell’ex (www.https://www.repubblica.it/cronaca/2013/08/14/news/femminicidio_intervista_filomena_de_gennaro-64742614/?ref=HREC1-10) con il paese che attribuisce a lei la colpa di averlo mandato in carcere non fa davvero ben sperare. 

Ma è anche da questo che si deve partire o se preferite dalle 84 donne uccise dall’inizio dell’anno in Italia e da tutte quelle che sono in fuga dal loro ex, senza sapere bene cosa accadrà loro domani.

L’articolo è stato ripreso dal sito della psicologa Dott.ssa Roberta Bruzzone: https://robertabruzzone.com/segnaliamo-e-riproduciamo-integralmente-larticolo-relativo-al-decreto-sul-femminicidio-del-telefono-rosa/

Purtroppo dalla pubblicazione di questo post, abbiamo in queste ore letto e ascoltato altre tragiche notizia su vittime di femminicidio, in particolare quella di Giulia Cecchettin, uccisa in maniera disumana, da quel suo ex fidanzato…

Come avevo riportano nel mio precedente post, scrivendo su Castelfiorentino https://nicola-costanzo.blogspot.com/2023/09/castelfiorentino-una-cittadina-che.html, quanto per l’ennesima volta accaduto, dimostra “il fallimento di uno Stato e delle sue Istituzioni che per l’appunto non hanno saputo dettare e quindi obbligare, al rispetto delle regole di civile convivenza”!!!

Auspico quindi che – dopo queste ultime vittime – s’intervenga da quel Parlamento in maniera seria e soprattutto concreta, affinché si ponga la parola fine a questa continua tragedia!!!

A tutti i bambini stellati e ai loro genitori: come affrontare la tragedia e aiutare gli altri ad affrontarla.

Ho ricevuto alcuni giorni fa un commento ad un mio post, che desidero condividere perché tratta ahimè di una maternità di cui nessuno vuol parlare o si preferisce che questo argomento resti celato e ciò comporta che lo stesso non venga in alcun modo affrontato…  

Sto parlando di quella terribile esperienza chiamata aborto spontaneo, che rappresenta per chi sta affrontando una maternità qualcosa di terribile, un dolore soffocato, non solo per tutti quei genitori ma anche per i loro familiari che vedono in quella sofferenza “invisibile” qualcosa a cui non saper dar conforto… 

E’ in commercio un libro bellissimo intitolato “Stella cadente” è descrive lo struggente monologo di una donna che sta affrontando la terribile esperienza dell’aborto spontaneo e l’autrice attraverso quelle sue parole vuol dar voce a quella sensazione che purtroppo logora tantissime donne, ed essere così d’aiuto a chi ha sofferto o sta ancora soffrendo per un figlio mai nato…

È una lettera tormentata, carica di dolore, di rabbia, di angoscia, ma anche di speranza e d’amore, che l’autrice scrive proprio a quel figlio che non nascerà mai:  “Riverso il buio che mi divora su queste pagine. Grido il mio tormento senza freni e senza remore, senza il timore di essere giudicata o fraintesa, perché tanto tu non puoi far altro che ascoltarmi senza fiatare, sperando che, pezzetto dopo pezzetto, questo strazio che mi avviluppa come sabbie mobili resti qui, incatenato a queste righe e io possa tornare nuovamente a vivere.”

L’aborto spontaneo purtroppo, è ancora un tabù, in particolare nel nostro Paese: c’è un velo di silenzio che copre l’aborto spontaneo che spesso viene visto come qualcosa da celare, da non rivelare a nessuno, come se questo fosse una colpa, una vergogna o un motivo d’imbarazzo.

Ecco perché l’autrice dedica questa tormentata lettera a tutte le donne che hanno dovuto affrontare o che stanno affrontando la triste, dolorosa e spaventosa esperienza dell’aborto… ma non è a loro che ne consiglia la lettura di quelle poche ma intense pagine, no… loro purtroppo sanno bene di cosa parla e non vi è motivo di alimentare con questa lettura ancor più tristezza.

Il consiglio della lettura viceversa, è per i famigliari, per gli amici e per tutti coloro che vogliono comprendere il tormento e la devastazione che investe una donna quando il figlio che portano in grembo non sopravvive.

Completo quindi questo post pubblicando quanto ho ricevuto e mi dispiace comunicare all’autore del commento che troverà evidenziato in neretto il nome del Prof.re (cui faceva riferimento e di conseguenza il nome della clinica da egli gestita), poiché pur ritenendo valide tutte le applicazioni tecnico/scientifiche messe in campo da quella struttura (molte delle quali sicuramente consentono di risolvere la maggior parte dei problemi riproduttivi maschili e femminili), purtroppo come può vedere nel mio blog non vi è alcuna pubblicità, in particolare se compiuta per fini di lucro e quando raramente ciò è accaduto, è stato solo per evidenziare qualcosa di positivo, in contrasto con quanto viceversa avevo (per come spiegato…) subito:        

L’editore di Monaco ha pubblicato il libro intitolato “Ogni terza donna”. La scrittrice, ha dedicato il libro a tutti i bambini stellati e ai loro genitori.
I bambini stellati in Germania vengono chiamati mai nati, quelli che sono morti durante il parto o quelli che sono deceduti poco dopo la loro nascita.
Nel suo libro, la scrittrice dà voce alle donne che hanno perso i loro figli non ancora nati, ma non hanno rinunciato a una gravidanza con lieto fine, e anche al uomo che è sopravvissuto al dolore della interruzione della gravidanza della sua dolce meta.
Queste storie dimostrano: coloro che hanno vissuto un trauma psicologico così grave dovrebbero assolutamente lavorarci su e non essere lasciati nella solitudine con il problema.
La stessa scrittrice ha affrontato un problema simile ai suoi tempi. – “Mi dispiace signora, ma non sento più il battito cardiaco del feto”, la stessa è rimasta senza parole dopo le fatidiche parole del medico durante uno dei suoi controlli di routine. Come ammette l’autrice del libro, non aveva mai vissuto un tale shock.
Gli specialisti della clinica di medicina riproduttiva del Prof. ______________ hanno a che fare con storie simili ogni giorno e sanno quanto sia importante il sostegno per le famiglie che lo attraversano e sono sempre pronti ad offrire soluzioni per coloro che sognano di diventare genitori…

Quando si ricusa un giudice??? Quando vi sono le condizioni per farlo…

Ho ricevuto a fine anno a mezzo mail, una richiesta d’aiuto…

Il lettore si è rivolto al sottoscritto perché ritiene – vi è riportato: “da come scrive nel suo omonimo blog” – che un mio consiglio possa rappresentare qualcosa di autentico, sincero, certamente veritiero e trasparente, un giudizio slegato da compromessi o ancor peggio da quelle metodologie coercitive solitamente realizzate per non dire ciò che si pensa, esulando da quei principi morali, sicuramente per evitare eventuale pubblicazione di scheletri dell’armadio, che possano dare seguito a ripercussioni non solo personali ma anche familiari… 

Ed allora, leggendo quanto accaduto in quell’aula di Tribunale della mia regione, ed avendo compreso dai documenti ricevuti l’estenuanti procedimenti posti in campo da quei legali della controparte, ho avuto come la sensazione che, chi avrebbe dovuto in modo “salomonico” giudicare, non abbia compiuto in modo corretto il ruolo ad egli assegnato…

Ho quindi consigliato il mio lettore di procedere, presentando presso la cancelleria del giudice – diversa da quella a cui appartiene il giudice che s’intende ricusare – una dichiarazione scritta contenente l’indicazione dei motivi e delle prove.
Ovviamente tale dichiarazione dovrà essere presentata dalla parte interessata o personalmente o a mezzo difensore o a mezzo procuratore (copia della stessa dovrà essere altresì depositata anche presso la cancelleria del giudice ricusato)

Vorrei ricordare tra l’altro che l’art. 36 del c.p.p. stabilisce che il giudice ha l’obbligo di astenersi quando esistono delle particolari circostanze (difatti ho consigliato al mio lettore di affidarsi oltre che al suo legale. anche ad una società di investigazione privata autorizzata) per avere conferma se quel giudice abbia un interesse nel procedimento o se una di quelle parti (o il suo difensore) sia di fatto creditore o debitore di egli, del coniuge o dei figli…

Ed ancora, se quel giudice abbia dato consigli o manifestato un suo parere sull’oggetto del procedimento al di fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie, se vi è amicizia o inimicizia tra lui o un prossimo congiunto ad una delle parti o se alcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge sia stato danneggiato o offeso dal reato o parte privata…

Ed infine, se il giudce incorre in una delle incompatibilità previste dagli att. 34-35 del c.p.p. o se esistono altre gravi ragioni di convenienza…

Va detto come in tutti i casi sopra riportati il giudice avrebbe già dovuto di suo astenersi, ecco quindi che se ciò non fosse accaduto, si potrà procedere con la ricusazione dello stesso, che è per l’appunto la procedura che ho consigliato al mio lettore… 

Mi permetto inoltre di  ricordare come l’art. 37 c.p.p. aggiunga anche altri motivi per la ricusazione, ad esempio:

Se il giudice, nell’esercizio delle sue funzioni e prima della sentenza, manifesti indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto d’imputazione, ed anche nell’udienza preliminare fino alla conclusione degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti; nel dibattimento fino ai termini della trattazione delle questioni preliminari al dibattimento; in qualsiasi altro momento prima che il giudice compia l’atto;

Se invece perviene dopo i termini indicati perché la causa di ricusazione diviene nota successivamente la parte che intende ricusare può presentare domanda entro 3 giorni.

Anche perché bisogna sapere che dopo che si è presentata una richiesta di ricusazione, il giudice – nei cui confronti è proposta la ricusazione – non può pronunciare né concorrere a pronunciare sentenza fino a che non è stata dichiarata inammissibile o rigettata la richiesta di ricusazione. 

Inoltre il giudice chiamato a decidere può ordinare al giudice ricusato di sospendere le attività processuali o di compiere solo quelle urgenti. Se tale ordinanza non viene emessa il processo proseguirà fino a che non si decide (in camera di consiglio) della ricusazione.

Ma soprattutto, se viene accolta la ricusazione, il giudice ricusato non potrà più compiere atti del procedimento e verrà sostituito da un altro magistrato. Il giudice che decide della ricusazione stabilisce anche quali atti o quale parte degli atti rimangono in piedi e saranno proseguiti dal nuovo giudice!!!

Cosa aggiungere, la legge esiste, già… si tratta semplicemente di applicarla!!!

Caro amico e lettore, spero attraverso i miei consigli, di esserLe stato di aiuto, mi faccia sapere poi come finisce. I migliori auguri…