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Approvata la legge anti-corruzione: torna il falso in Bilancio…

Se vi ricordate nel 2005, il Cav., tra le tanti legge at personam…, cancellò, con un colpo di spugna, il reato di falso in bilancio…
Il testo, nuovamente elaborato, ha modificato l’attuale art. 2621 c.c., reintroducendo il reato di falso in bilancio e inasprendo le pene fino a 6 anni…, ma nel contempo, è andato ad eliminare quelle cause di non punibilità che proprio il Cav. aveva introdotto ( chissà per quale motivi… forse per salvare le proprie società???) le quali, prevedevano che, chi falsifica il bilancio in misura inferiore al 5% del risultato economico di esercizio, cioè l’utile d’impresa, o nella misura dell’1% del patrimonio netto, non era penalmente perseguibile. 
Ora il testo è stato definitivamente approvato con 280 voti a favore… la restante parte era contraria, astenuta o non hanno votato…
Tra i punti importanti c’è, l’aumento delle pene per reati gravi contro la Pubblica amministrazione, ma anche sconti di pena, per pentiti e collaboratori, ed inoltre la legge, introduce il delitto di falso in bilancio, obbliga i condannati a restituire quanto non dichiarato ed evaso…
Inoltre, le pene per il reato di corruzione aumentano di 2 anni, questo permetterà di allungare i termini di prescrizione del reato, ed, il reato di concussione viene esteso dal pubblico ufficiale, all’incaricato di un pubblico servizio…
Chi denuncia e aiuta a individuare eventuali responsabili o il sequestro delle somme, godrà di una riduzione da un terzo a due terzi, ed ancora è prevista la possibilità di ricorrere al patteggiamento nel caso in cui, venga versato il profitto del reato, ed ancora, il falso in bilancio, torna non solo ad essere reato, ma pericolo…
Certamente il punto più importante è quello relativo alla associazione mafiosa: in questi casi, la condanna di reclusione si eleva, con pene che vanno dai 10 ai 26 anni…
Infine è obbligo dei Pm, informare l’Authority Anticorruzione dando notizia dell’imputazione.
Un plauso a Renzi certamente va dato, ma forse qualcosa in più poteva ancora essere fatta…
Mi riferisco all’impunità lasciata a quanti, continueranno a falsificare i bilanci, non superando quello sbarramento del 5% dell’utile…
E’ ovvio a chiunque, che una distinzione tra le grandi imprese e le piccole andava certamente fatta…
Se prendiamo due imprese una che fattura 500 Milioni l’anno ed un’altra che ne fattura 500 mila, si capisce che la prima potrà ( falsificando il bilancio entro il 5%) creare fondi neri per 25 milioni di euro, mentre la piccola con un utile di €. 50.000, potrà realizzare fondi neri per €. 2.500 una cifra irrisoria… con il rischio inoltre, nel caso in cui dovesse anche soltanto errare i conteggi e quindi superare quello sbarramento del 5% per poche miglia di euro, vedersi scattare automaticamente il reato di falso in bilancio!!!
Alla fine saranno sempre alcuni, per non dire gli stessi, a beneficiare e a trarne vantaggio da questa legge, che certamente, avrebbe potuto essere perfetta, eliminando quelle furbe metodologie di non punibilità, tanto sempre più frequenti nel nostro paese…

Da quando… mafiosi???


Secondo una leggenda, sarebbero tre i fondatori di mafia, ‘ndrangheta e camorra. 
Avevano strani nomi, Osso, Mastrosso e Carcagnosso e fuggiti da Toledo nel 1412 dopo aver vendicato l’onore della sorella, questi tre cavalieri spagnoli giunsero in Sicilia, precisamente a Favignana, dove rimasero nascosti in grotte sotterranee e soltanto dopo il trentesimo anno iniziarono a fondare le prime società segrete simili alla “garduna”, cui appartenevano in terra iberica.
Per cui, Osso, fondò la mafia in Sicilia; Mastrosso si stabilì in Calabria, dove mosse i primi passi per la ‘ndrangheta e l’ultimo Carcagnosso viaggiò fino a Napoli, dove fondò la camorra. 
Così come nella “garduna”, anche in queste, vigerebbe un codice d’onore e complessi riti di iniziazione, affiliazione e ovviamente di punizione. 
Sembra che ancora oggi, da quanto emerso nelle ultime indagini realizzate nel 2007 per la strage di Duisburg in Germania, gli affiliati della ‘ndrangheta giurino fedeltà in nome dei tre cavalieri di Toledo, bruciando un santino di san Michele Arcangelo e spillando tre gocce del proprio sangue… 
Ma tralasciando ora le leggende, bisogna giungere precisamente al 1875 per sentire parlare di mafia e cioè da quando, nella relazione finale della Commissione d’inchiesta Franchetti-Sonnino si legge che “la mafia non è un’associazione che abbia forme stabili e organismi speciali… non ha statuti, non ha compartecipazioni di lucro, non tiene riunioni, non ha capi riconosciuti, se non i più forti ed i più abili, ma è piuttosto lo sviluppo ed il perfezionamento della prepotenza diretta ad ogni scopo di male”
Ed ancora, “questa forma criminosa, non… specialissima della Sicilia, esercita sopra tutte queste varietà di reati…, una grande influenza imprimendo a tutti quel carattere speciale che distingue dalle altre la criminalità siciliana e senza la quale molti reati o non si commetterebbero o lascerebbero scoprirne gli autori; si rileva, inoltre, che i mali sono antichi, ma ebbero ed hanno periodi di mitigazione e di esacerbazione e che, già sotto il governo di re Ferdinando, la mafia si era infiltrata anche nelle altre classi, cosa che da alcune testimonianze è ritenuta vera anche oggidì”.
Per cui, da quanto sopra è evidente che sin d’allora, il problema mafia, si manifestava in tutta la sua gravità se si legge che nella richiamata relazione – le forze militari concentrate per questo servizio in Sicilia risultavano 22 battaglioni e mezzo fra fanteria e bersaglieri, due squadroni di cavalleria e quattro plotoni di bersaglieri montani, oltre i Carabinieri in numero di 3120…
Sappiamo come da allora, bisognerà attendere i tempi del prefetto Mori per registrare un tentativo di seria repressione del fenomeno mafioso, ma i limiti di quel tentativo, sono ben noti a tutti.
Nell’immediato dopoguerra e fino ai tragici fatti di sangue della prima guerra di mafia degli anni 1962/1963 gli organismi responsabili ed i mezzi di informazione sembrano fare a gara per minimizzarne il fenomeno. 
Al riguardo, appaiono significativi i discorsi di inaugurazione dell’anno giudiziario pronunciati dai Procuratori Generali di Palermo.
Nel discorso inaugurale del 1954, il primo del dopoguerra, si insisteva nel concetto che la mafia «più che una associazione tenebrosa costituisce un diffuso potere occulto», ma non si manca di fare un accenno alla gravissima vicenda del banditismo ed ai comportamenti non ortodossi di “qualcuno che avrebbe dovuto e potuto stroncare l’attività criminosa”; il riferimento era chiaro…
Nella sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Viterbo il 3/5/1952, il dott. Pili venne espressamente menzionato in una frase nella quale il bandito Giuliano disse di avere avuto rapporti, oltre che con funzionari di Pubblica Sicurezza, anche con un alto magistrato, precisamente con chi era a capo della Procura Generale presso la Corte d’appello di Palermo, appunto il dott. Emanuele Pili.
Nella relazioni inaugurali degli anni successivi gli accenni alla mafia, in piena armonia con un clima generale di minimizzazione del problema, sono fugaci e del tutto rassicuranti.
Così, nella relazione del 1956 si legge che il fenomeno della delinquenza associata è scomparso e, in quella del 1957, si accenna appena a delitti di sangue da scrivere, si dice ad «opposti gruppi di delinquenti».

Nella relazione del 1967, si asserisce che il fenomeno della criminalità mafiosa era entrato in una fase di «lenta ma costante sua eliminazione» e, in quella del 1968, si raccomanda l’adozione della misura di prevenzione del soggiorno obbligato, dato che «il mafioso fuori del proprio ambiente diventa pressoché innocuo».

Nella seconda metà degli anni 70’, pertanto, cosa nostra con le sue strutture organizzative, coi canali operativi e di riciclaggio già attivati per il contrabbando e con le sue larghe disponibilità finanziarie, aveva tutte le carte in regola per entrare, non più in modo episodico come nel passato, nel grande traffico degli stupefacenti.
In più, la presenza negli Usa di un folto gruppo di siciliani collegati con Cosa Nostra garantiva la distribuzione della droga in quel paese.
Non c’è da meravigliarsi, allora, se la mafia siciliana abbia potuto impadronirsi in breve tempo del traffico dell’eroina verso gli Stati Uniti d’America.
Anche nella gestione di questo lucroso affare l’organizzazione ha mostrato la sua capacità di adattamento avendo creato, in base all’esperienza del contrabbando, strutture agili e snelle che, per lungo tempo, hanno reso pressoché impossibili le indagini.
Alcuni gruppi curavano l’approvvigionamento della morfina-base dal Medio e dall’Estremo Oriente; altri erano addetti esclusivamente ai laboratori per la trasformazione della morfina-base in eroina; altri, infine, si occupavano dell’esportazione dell’eroina verso gli Usa.
Tutte queste strutture erano controllate e dirette da “uomini d’onore”. 
In particolare, il funzionamento dei laboratori clandestini, almeno agli inizi, era coordinato da esperti chimici francesi, reclutati grazie a collegamenti esistenti con il “milieu” marsigliese fin dai tempi della cosiddetta “French Connection“.
L’esportazione della droga, come è stato dimostrato da indagini anche recenti, veniva curata spesso da organizzazioni parallele, addette al reclutamento dei corrieri e collegate a livello di vertice con “uomini d’onore” preposti a tale settore del traffico.
Si tratta dunque di strutture molto articolate e solo apparentemente complesse che, per lunghi anni, hanno funzionato egregiamente, consentendo alla mafia ingentissimi guadagni.
Un discorso a sé merita il capitolo del riciclaggio del denaro. 
Cosa Nostra ha utilizzato organizzazioni internazionali, operanti in Italia, di cui si serviva già fin dai tempi del contrabbando di tabacchi, ma è ovvio che i rapporti sono divenuti assai più stretti e frequenti per effetto degli enormi introiti, derivanti dal traffico di stupefacenti. 
Ed è chiaro, altresì, che nel tempo i sistemi di riciclaggio si sono sempre più affinati in dipendenza sia delle maggiori quantità di danaro disponibili, sia soprattutto dalla necessità di eludere investigazioni sempre più incisive.
Per un certo periodo il sistema bancario ha costituito il canale privilegiato per il riciclaggio del danaro.
Di recente, è stato addirittura accertato il coinvolgimento di interi paesi nelle operazioni bancarie di cambio di valuta estera.
Senza dire che non poche attività illecite della mafia, costituenti per sé autonoma fonte di ricchezza (come, ad esempio, le cosiddette truffe comunitarie), hanno costituito il mezzo per consentire l’afflusso in Sicilia di ingenti quantitativi di danaro, già ripulito all’estero, quasi per intero proveniente dal traffico degli stupefacenti.
Questi brevissimi richiami storici danno, solo in parte, la misura di come il problema mafia, sia stato sistematicamente sottovalutato da parte degli organismi responsabili o di quanti appartenenti in maniera collusa a quel sistema, hanno permesso nel tempo, a questo fenomeno, di non esaurirsi, ma anzi, proprio a quei “legami” familiari e grazie a certe connivenze politico/amministrative/giudiziarie, ha potuto accrescere quella propria pericolosità e soprattutto determinare e influenzare le scelte strategiche, economiche e sociale della nostra terra.

Redditi nascosti per 17,5 Miliardi di euro…

Dall’inizio di quest’anno i controlli della Gdf ha portato ad individuare quasi 5.000 evasori!!!
Sembra che i redditi nascosti sono pari a circa 17,5 miliardi di euro, una montagna di denaro che se proporzionata al numero irrisorio degli evasori scovati, rappresenta soltanto la punta di un iceberg di ciò che rappresenta l’evasione nel nostro paese…
Denunciarne quindi circa 1.800 serve a poco, se tanto alla fine si continua come se nulla fosse…
Ho letto che molti di queste attività sono totalmente sconosciute al fisco e soltanto attraverso società di comodo, parallele alla stessa o facenti parte di un medesimo gruppo, riescono a evadere alla faccia dei contribuenti ” onesti “… 
Se a questo si aggiunge che in molti di questi casi, si fa uso di manodopera irregolare, e soprattutto senza alcuna prevenzione di sicurezza nei luoghi di lavoro…
Ovviamente la contraffazione è quella in cui si realizzano i maggiori introiti ed in un paese nel quale l’apparire è più importante dell’essere, ecco che tutti coloro ( e sono la maggioranza…) che desiderano avere un oggetto di valore o di moda… non potendo permetterselo, puntano sul falso… ed allora ecco imitazioni di orologi, occhiali, borse, vestiario, scarpe, ecc… , prodotti contraffatti alla perfezione che crea un giro d’affari fondamentale per l’industria criminale…
Marchi copiati che vengono poi rivenduti da tutti quei poveri extracomunitari che per pochi euro rimangono a vendere intere giornate sotto il sole e sicuramente di notte vengono utilizzati per lo spaccio di stupefacenti…
Un’Italia dedita ad occultare i veri redditi e ad investire i maggiori utili realizzati illecitamente in altri mercati, questa volta regolari, sui quali creare nuove società, che possano rappresentare agli occhi di tutti, quel fiore all’occhiello, quel modello da imitare e dove vengono rispettate tutte le regole e tutte le leggi in vigore…
Già, perché grazie a questa possibile, il suo amministratore ( in pochi anni… ) può crearsi un nuovo e perfetto profilo da “gentiluomo”, diventare così un personaggio pubblico, iniziare a frequentare quei livelli sociali nei quali s’incontrano le persone che contano della città, da quelli politici a quelli del proprio settore, ed ancora, attraverso lo sviluppo di progetti di beneficenza e volontariato s’iniziano ad aprire nuove strade verso la solidarietà, diventando così agli occhi dei tanti, personaggi esemplari ( mentre si sta soltanto promuovendo se stessi ), ed infine grazie a qualche dichiarazione sulla legalità e sulla lotta contro la criminalità organizzata, si diventa protagonisti nei quotidiani e nelle televisioni locali…; ecco si è giunti all’obbiettivo…, adesso è di fondamentale importanza consolidare il piedistallo su cui si trova e tentare così di rimanerci il maggior tempo possibile…
E’ così che fanno in tanti…, ( e chissà forse qualcuno di questi che si spaccia per persona per bene… lo conoscete anche voi ) e nei casi in cui si accorgono di esser stati scoperti, allora, simulano una crisi aziendale, licenziano il personale e salvano i beni realizzati in altre società appena costituite…
Questa rappresentazione è soltanto una piccola porzione di quei comportamenti che sono del tutto italiani… e in questi purtroppo, ci sono coloro che sotto forma di corretti italiani li vanno ogni giorno compiendo…

La dimensione economica realizzata con il falso in bilancio…

L’Evasione rappresenta il primo problema che il nostro stato possiede!
Già, la correttezza e la chiarezza nel tenere i conti in ordine, la realizzazione di una contabilità e di un bilancio che rappresenti il vero budget d’esercizio è uno dei problemi a cui quotidianamente i nostri ispettori sono costretti ad analizzare in particolare nella ricerca di quei dati falsi o inattendibili…
Ci troviamo sempre davanti a situazioni nelle quali l’aspetto economico e patrimoniale viene ritoccato, per poter nascondere quanto illecitamente si è messo da parte…
Nel far ciò, purtroppo ci si affida proprio a coloro che sono demandati al loro realizzo e mi riferisco a quei professionisti che rappresentano il supporto necessario perché ciò possa essere realizzato…
Tralasciando i requisiti legislativi, sappiamo che il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società, risultato economico dell’esercizio…
Per cui chiarezza, verità e correttezza, rappresentano i principali requisiti nella sua compilazione…
Possiamo quindi ben capire che non è di fondamentale importanza la compilazione numerica dei valori o l’assoluta precisione nel corso delle registrazioni, infatti è constatato che le attività bilanciano passività e che i costi bilanciano i ricavi, la differenza tra le voci ovviamente identifica l’utile o perdita di esercizio, ma ciò che è di fondamentale importanza è in che modo venga rappresentata, in maniera veritiera, la situazione economico-patrimoniale della società.
Per cui il concetto numerico espressione di una determinata misura, deve rappresentare una valutazione non soltanto numerica, ma che non permetta possibili errori in considerazioni e che in tale giudizio, questa, venga misurata con il giusto strumento o unità di misura, in modo tale che l’attivo ed il passivo si bilanciano, nel senso che, l’attivo esprime come è stato impiegato il capitale sociale… 
Per cui in definitiva è la chiarezza, il requisito di qualità che sopra qualunque altro da senso a verità e correttezza, per cui se da un lato è necessario tenere i conti in ordine, dall’altro tutte le voci che costituiscono costi, ricavi, attività e passività, dovranno essere sempre espresse in maniera chiara e veritiera…
Non per niente è sul mancato rispetto di questo concetto che vengono ad esistere le cosiddette poste di bilancio false, che hanno l’effetto di alterare i valori attraverso operazioni inesistenti, perché si possa giungere ad un risultato diverso da quello veritiero…
Purtroppo queste operazioni ” false” non si scoprono analizzando il bilancio, ma controllando ogni singola operazione, ma purtroppo se queste vengono mascherate in maniera “perfetta” ecco che, diventa difficile giungere alla corretta verità, ed è proprio per questo che le nostre forze dell’ordine demandate al controllo, hanno da sempre difficoltà a scovarle…
Inoltre visto il numero consistente di società che da sempre evade e rapportato all’esiguo numero di ispettori e controllori messi in campo da parte dello Stato, ecco che il gioco è fatto… la possibilità di essere colpiti è inferiore all’1%…
Se poi si considera che, tra i nostri politici si è tentato di giustificare la possibilità di evadere dando la colpa di tale atteggiamento all’esoso carico fiscale del nostro paese ed ancora sommando a ciò, come il falso in bilancio è stato in questi anni trattato, attraverso tante modifiche legislative, da permettere anche a coloro che sono stati condannati, di non subire alcuna pena severa, ma di godere di sconti e riduzioni, pagando sì amministrativamente quanto sanzionato, ma di restare impuniti, continuando per poter compiere nuovamente, attraverso altre società o prestanomi, quanto finora svolto.     

Lo stesso motto… da padre a figlia!!!

No al mio impegno in politica… “.

Ecco come si presenta la figlia del cavaliere, Marina Berlusconi, alla richiesta di entrare in politica.
Possiamo ben dire che è lo stesso che ha fatto il proprio padre per un ventennio… dedicandosi a portare avanti le proprie imprese, i propri investimenti, garantendo e blindando, qualsivoglia azione da parte della magistratura o della guardia di finanza, per evitare controlli più precisi e dettagliati sulla gestione delle stesse…

Non dimentichiamo inoltre, che una delle riforme fatte proprio dal cavaliere è stata quella dello “scudo fiscale”, permettendo a chiunque avesse evaso nel corso degli anni di poter fare rientrare in maniera legittima i propri capitali, senza però di questi si sia potuto verificarne la provenienza ed ancor peggio senza poter intervenire contabilmente su come questi ammanchi siano stati realizzati ed ancora penalmente in quanto questi soggetti sono dei veri e propri ” EVASORI – LADRI – TRUFFALDINI – APPROFITTATORI – MALVIVENTI – FARABUTTI – LESTOFANTI – DISONESTI – SENZA DIGNITA’ – USURAI – FURFANTI ” e potrei continuare all’infinito con altri aggettivi, poiché questi come “merde” rappresentano quanto di più ingannevole e sleale, la natura umana possa plasmare…    

Ora, che un’altra appartenente a quel sottogruppo della cosiddetta eccellenza, elitè dei raccomandati o dei soliti figli di papà, venga corteggiata per diventare protettrice a salvezza del nostro paese, considerato dove ci ha condotti il proprio padre e meglio che lasci perdere…

Quindi la prego, se la risparmi questa discesa in campo, al limite se proprio dovesse avere voglia di un campo… si faccia dare un pallone da suo padre e provi a dare quattro calci, nel proprio centro sportivo di Milanello…

Non conoscendoLa personalmente, ho sentito dire comunque che Lei possiede grandi meriti sia in campo professionale che personale, nelle attività per le quali lei svolge la funzione di Presidente…
Il consiglio quindi che le posso dare è questo: quando una persona è capace di fare bene una cosa è un vero peccato distogliere queste proprie capacità, per dedicarsi ad altre di cui non se ne conoscono le regole e dove il rischio non è soltanto quello di sbagliare, ma di essere pugnalati alle spalle proprio da quanti oggi la espongono a scudo per evidenti ragioni personali e nello stesso modo e con la stessa intensità con cui oggi la spingono a mettersi in campo, domani, se le circostanze dovessero volgersi contro, ecco che come abituali codardi, faranno di tutto per abbandonarla ed esporla al pubblico ludibrio…, che è dopotutto quanto oggi ( in cuor loro… ), augurano proprio a Suo padre!!!

Gli inizi di… Berlusconi

Desideravo condividere un articolo interessante che ho letto in http://www.investireoggi.it/forum/gli-inizi-di-berlusconi-vt19455.html e che qui riporto…
Il prodigioso imprenditore che costruisce un impero partendo dal nulla, intende forse per “nulla” i capitali miliardari ricevuti a partire dai primi anni Sessanta, dalle finanziarie elvetiche Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag. di Lugano, Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Residenzzentren Ag di Lugano (costituita a Lugano il 19 settembre 1968), Cofigen Sa di Lugano [La Cofigen Sa risulta controllata dalla Banca della Svizzera Italiana (al 50 per cento) e dalla svizzera Privata Kredit Bank (al 48 per cento)] , Eti Holding Ag di Chiasso???
Sia la FinanzierungeselIscbaft ftir Residenzen, sia la AktíengeselIschaft fúr Immobilienlagen in Residenzzentren, sono legalmente rappresentate dall’avvocato ticinese Renzo Rezzonico, un avvocato d’affari votato al più ferreo segreto professionale. 

Le due finanziarie elvetiche risultano controllate dalla Discount Bank Overseas Limited, società con sede a Tel Aviv (Israele) e filiali anche a Lugano, Ginevra e Milano.

E’ dietro lo “schermo fiduciario” della controllante Discount Bank Overseas che si celano i veri promUn torrente di denaro anonimo domiciliato in Svizzera, convogliato in società italo-svizzere operanti in Italia e intestate a prestanome: come la Edilnord Centri Residenziali S.a.s. (intestata prima alla cugina di Berlusconi, Lidia Borsani, quindi a sua zia Maria Bossi vedova Borsani), e la Italcantieri S.r.l. (costituita a nome del “praticante notaio” Renato Pironi e “casalinga” Elda Brovelli). 

Perché le citate finanziarie svizzere, a partire dal 1963, affidano anonimi miliardi dell’epoca a un anonimo giovanotto milanese di nome Silvio Berlusconi? E perché tali capitali vengono convogliati in società italo-svizzere operanti in Italia e intestate a prestanome? E di quale tipo di capitali si tratta? 

Per cercare possibili risposte, occorre prima scoprire l’esatta identità e la reale natura della Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag, della Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Residerizzentren Ag, della Cofigen Sa e della Eti Holding – un obiettivo arduo, poiché la loro funzione è precisamente e prioritariamente quella di “schermare” e celare gli interessi che le sottendono e i capitali che le sostanziano: non a caso, la loro domiciliazione è in terra elvetica. Motori-finanziatori della Finanzierungesellschaft e della Aktiengesellschaft.

È dietro lo “schermo fiduciario” della controllante Discount Bank Overseas che si celano i veri promotori-finanziatori della Finanzierungesellschaft e della Aktiengesellschaft.
La Cofigen Sa risulta controllata dalla Banca della Svizzera Italiana (al 50 per cento) e dalla svizzera Privata Kredit Bank (al 48 per cento).

La Banca della Svizzera Italiana è controllata da Tito Tettamanti, finanziere vicino alla massoneria internazionale, fervente “anticomunista”, al centro di mille legami affaristici e trame finanziarie 1177 tra l’altro in rapporti con uno dei legali di Licio Gelli, l’avvocato Giangiorgio Spiess.

La Privat Kredit Bank risulta controllata all’83 per cento dalla Cofi-Compagnie de l’Occident pour la Finance et l’Industrie; il controllo della Cofi è suddiviso tra la Banca della Svizzera Italiana di Tettamanti, la Société de Banque Suisse, e la milanese Cassa Lombarda. “Ma proprio dalla Cofi discende un’altra sorpresa della nebulosa Berlusconi. Fino al 1977, infatti, la Cofi si è chiamala Milano Internazionale Sa, con sede in Lussemburgo. Il 99,9 per cento di questa società era controllata da una sigla italiana, la Compagnia di Assicurazioni di Milano con sede nel capoluogo lombardo, in via dell’Auro 7. A colpire l’attenzione è il nome del rappresentante legale di quest’ultima società: il senatore Giuseppe Pella, scomparso da molti anni. Pella era stato leader della destra democristiana e aveva ricoperto nei governi centristi cariche di rilievo: tra le altre il ministero delle Finanze, quello degli Esteri, e per un breve periodo, fino alle sue dimissioni nel gennaio 1954, addirittura la Presidenza del Consiglio”1188.

La Eti Holding Ag era stata costituita a Mendrisio nell’aprile 1969 (verrà liquidata nel 1978), con un capitale di 50 mila franchi svizzeri suddiviso in 50 azioni da mille franchi. Soci fondatori tre svizzeri: il ragionier Arno Ballinari e l’avvocato Ercole Doninelli con un’azione ciascuno1199, e le restanti 48 azioni intestate a Stefania Doninelli (moglie di Ercole) in nome e per conto della Aurelius Financing Company Sa di Chiasso.

“Parte da qui il gioco delle scatole cinesi: la Aurelius, fondata l’11 aprile del 1962, ha un capitale sociale di 50 azioni, come la Eti. E, come nella Eti, Doninelli e Ballinari detengono una azione a testa. Il pacchetto di maggioranza, 48 azioni su 50, è in mano allo svizzero Angelo Maternini e all’italiano Dino Marini, che agiscono per conto della Interchange Bank. E il gioco delle scatole prosegue … “2200.

La Interchange Bank era stata fondata nel luglio 1956, con un capitale sociale di 400 mila franchi svizzeri. Tra i soci fondatori (svizzeri, italiani e venezuelani), tre nomi interessanti: il costruttore milanese Botta, lo svizzero Alfredo Noseda (coinvolto in uno dei primi scandali finanziari elvetici per esportazione di capitali e frode fiscale), e “L’italiano di Caracas” Angelo Maternini; nel 1957, nella compagine azionaria della Interchange Bank era entrato un secondo “finanziere di Caracas” Remo Cademartori, che ne aveva assunto la presidenza dopo aver sottoscritto l’aumento di capitale sociale a un milione di franchi svizzeri; successivamente, erano entrati il cittadino svizzero residente a Corno Umberto Naccaroni (1959), il duo Ercole Doninelli-Arno Ballinari (1961), e infine, nel 1965, due nuovi “venezuelani” residenti a Caracas: W. Gerry William Rotenburg Schwartz e Abramo Merulan, “Quando conferisce i capitali che, di passaggio in passaggio, arriveranno alla Italcantieri di Berlusconi, nel 1973, la Interchange Bank è già in liquidazione. La procedura, avviata nell’ottobre del 1967, si prolungherà fino al 15 dicembre 1989, data della definitiva liquidazione della società. A gestire la liquidazione saranno Pierfrancesco e Pierluigi Campana, Guido Caroni, Enzo Tognola; personaggi, l’ultimo in particolare, che appartengono all’area politico-finanziaria di Gianfranco Cotti, potente ex parlamentare della Democrazia Cristiana svizzera e dirigente della Fimo, la chiacchierata finanziaria di Ercole Doninelli, un altro dei finanziatori nascosti di Berlusconi”2211

Come la Cofigen Sa ha il suo “uomo forte” nel finanziere Tito Tettamanti, cosi la ETI Holding Ag è nel nome e nel segno del finanziere, Ercole Doninelli2222 e della sua Fimo2233 finanziaria svizzera fondata nel 1956 (con la quale ha a che fare lo stesso Tettamanti).

“La Fimo è clamorosamente finita sotto inchiesta in Italia nel 1989, quando il ragioniere milanese Giuseppe Lottusi venne colto sul fatto a riciclare, per conto della società svizzera, i soldi della mafia colombiana2244. I magistrati italiani sospettano che tramite i canali del narcotraffico giungessero in Svizzera anche una parte dei ricavi delle tangenti pagate ai politici italiani. La Fimo è sotto inchiesta anche in Francia, per riciclaggio di denaro sporco, e in Belgio, per la bancarotta fraudolenta della Pibi Finance di Jean Verdoot, morto misteriosamente a Ginevra all’inizio del ’93 dopo un incontro con i vertici della Fimo (che da parte loro negano l’incontro). Inoltre la Fimo è sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta in diverse procure del Friuli e del Veneto per il crac delle società legate alla Sirix Intervitrum e al gruppo Cofibel francese e Pibi Finance belga. Per lo stesso motivo è stata aperta un’inchiesta anche in Olanda, dato che alcune società del gruppo si trovano in quella sede. La Fimo è accusata di aver partecipato al riciclaggio delle tangenti Enimont, delle tangenti ENI, delle tangenti IRI, è coinvolta collateralmente nelle inchieste sulla Sanità, nel caso KolIbrunner, nel caso Fidia, nelle tangenti della Carlo Gavazzi [ … ]. Uno dei fiduciari dell’area Fimo, Giancarlo Tramezzani, è morto in circostanze misteriose il 17 settembre 1993, a poche ore dall’arrivo in Ticino [del magistrato] Antonio Di Pietro, che indagava sui risvolti elvetici dell’affare Enimont”2255.

La Fimo ha sede al n° 89 di via San Gottardo, a Chiasso, presso lo studio legale Doninelli2266. Una società collegata alla Fimo, la Fidinam, ha gli uffici al n° 2 di boulevard Royal al Lussemburgo: nello stesso edificio ha sede una importante società del gruppo FININVEST, la Silvio Berlusconi Finanziaria2277.

L’ambigua finanziaria elvetica Fimo estende i suoi tentacoli affaristici anche in Italia: non solo mediante società collegate2288, ma anche attraverso una stranissima “Fimo italiana”. La Fimo italiana, intestata ad anonimi, opera nel Nord Italia, a Chiasso, nel Liechtenstein, e i suoi legali rappresentanti e prestanome riconducono alla Interchange Bank di Chiasso, e a finanziarie del giro Lottusi-Doninelli; vi è connessa una ragnatela di case d’arte e gallerie che si estende da Milano a Como, dall’Alto Lario a Lugano e a Londra2299.
Nel consiglio di amministrazione della Fimo ticinese il 9 febbraio 1993 entra Valentino Foti, nato a Fürci Siculo (Messina) e residente a Milano. Attraverso la sua finanziaria Valfin, nel 1989 Foti aveva conteso a Silvio Berlusconi la Villa Belvedere di Macherio (messa all’asta dalla Provincia di Milano); successivamente, Foti è finito in carcere, in Belgio, perché coinvolto in uno scandalo finanziario.
* * *
Ma il 7 ottobre 1968 (cioè pochi giorni dopo la costituzione della Edilnord Centri Residenziali sas di Lidia Borsani & C.), a Lugano, la Discount Bank Overseas Limited aveva dato origine a una società “gemella” della Edilnord, la luganese Telecineton Sa, col medesimo fiduciario Renzo Rezzonico, e con scopo sociale attività nel settore televisivo.
Nel rapporto Criminalpol dell’aprile 1981 che ha dato origine alla “operazione San Valentino”, veniva ricostruita la criminosa ragnatela affaristica tessuta dalla “mafia imprenditoriale” e dalla cosiddetta “mafia dei colletti bianchi” a Milano, attraverso decine di “società commerciali” dedite al riciclaggio di denaro sporco, e in rapporti con ambienti bancari e finanziari svizzeri: tra gli altri, con la Banca della Svizzera Italiana (Mendrisio, Lugano e Zurigo), il Credito Svizzero (Bellinzona, Chiasso e Zurigo), la Bankverem Schweízerischer (Chiasso), la Banque Société Alsacienne (Zurigo), la HandIess Bank (Zurigo), la Banca Hutton (Lugano), la Banca Rolmer (Chiasso), l’Unione Banche Svízzere; tra le società finanziarie: con la Finagest Sa (Lugano), la Copfinanz (Breganzona), la Traex Co. (Lugano), la Sogenal (Zurigo).

Il rapporto della polizia di Bellinzona nasce dalle indagini condotte da un funzionario “coperto” della polizia ticinese infiltratosi nel giro del narcotraffico internazionale: “Attraverso uno stratagemma sono entrato in contatto col finanziere brasiliano Juan Ripoll Mari 3388 personaggio che in Brasile gode di poderosi appoggi politici, specialmente quando era al potere l’ex presidente Collor, destituito perché coinvolto in uno scandalo legato a un vasto giro di trafficanti di cocaina e riciclatori… Juan Ripoll Mari dispone di quattro società-paravento panamensi dislocate a Lugano, dove tra l’altro è in contatto con un avvocato fiduciario con funzione di amministratore.. L’intenzione di Ripoll Mari era quella di riciclare 300 milioni di dollari provenienti dalla Francia, dalla Spagna e dall’Italia, oltre ad altri 100 milioni del gruppo terroristico Eta… A suo dire, il denaro fermo in Italia e da riciclare proveniva dall’impero finanziario di Silvio Berlusconi, attualmente alle prese con grosse difficoltà finanziarie” 3399.

Il 25 settembre, la polizia di Ginevra arresta tale Winnie Kollbrunner, trovata in possesso di titoli rubati provenienti da una stranissima rapina ai danni di una filiale romana del Banco di Santo Spirito. La Kollbrunner risulta avere “trattato, per mesi, operazioni di cambio valuta fra banche per tranches di 50 milioni di dollari la settimana. Nel passaggio si fingevano perdite sul cambio intorno al 6 per cento, una parte delle quali (generalmente il 4 per cento) andavano a ingrassare i conti in nero della Dc e del Psi. La Kollbrunner ha trattato anche affari immobiliari e operazioni di cambio [tra gli altri] con Paolo Berlusconi”4400. Ma l’ambigua Kollbrunner arrestata dalla polizia ginevrina è anche una stretta collaboratrice del ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli (a carico del delfino di Craxi, infatti, la magistratura inoltrerà richiesta di autorizzazione a procedere per ricettazione).
Martelli e Craxi risulteranno essere stati i beneficiari del conto cifrato “Protezione” 633369, aperto presso l’Unione Banche Svizzere di Lugano dal faccendiere craxiano Silvano Larini (amico di Silvio Berlusconi, e tramite dell’incontro Berlusconi-Craxi sul finire degli anni Sessanta); nel conto “Protezione”, tra il 1980 e 1,81, affluì una prima tangente di 7 milioni di dollari pagata dal bancarottiere piduista Roberto Calvi con la regia del Venerabile maestro Licio Gelli – l’operazione venne concepita all’interno della Loggia P2 alla quale Berlusconi era affiliato, ed era a beneficio del padrino politico della Fininvest (e intimo amico di Berlusconi)
In seguito al fallimento della sua finanziaria svizzera Sasea Holding Sa (un crac da 4,5 miliardi di franchi svizzeri – circa 5 mila miliardi di lire), nel novembre 1992 il faccendiere italiano Florio Fiorini finisce nel carcere ginevrino di Champ Dollon per bancarotta.
Fiorini, nel 1980, era stato il direttore finanziario dell’Eni che, in combutta con Bettino Craxi e col bancarottiere piduista Roberto Calvi, aveva propiziato l’operazione piduista “conto Protezione” mediante un finanziamento dell’Eni per 220 miliardi di lire al Banco Ambrosiano. Ma Craxi e la Loggia P2 non sono stati i soli punti di contatto tra Fiorini e Berlusconi: “Florio Fiorini è sempre andato fiero dei suoi rapporti di amicizia con Silvio Berlusconi. A partire dal 1989, quando si mise in testa di fare affari nel settore dei mass media (Odeon Tv, Pathé cinema, Mgm), Fiorini usò quei rapporti come una specie di biglietto da visita in un mondo che gli era sconosciuto e che gli è poi risultato fatale. Ai tempi d’oro della sua Sasea, quando Hollywood sembrava a portata di mano, non si contano le interviste in cui Fiorini dava per imminente l’intervento al suo fianco dell’amico Berlusconi. Da parte sua la Fininvest di Berlusconi partecipò, in veste di finanziatore, alla disastrosa scalala alla Mgni tentata da Fiorini in coppia con Giancarlo Parretti. Un appoggio che è puntualmente ricordato dall’ex patron di Sasea nelle sue deposizioni ai giudici”4411. E mentre “l’amicizia” Fiorini-Berlusconi andava cementandosi, Fiorini era legato anche al boss mafioso (residente a Lugano) Michele Amandini4422 attraverso la finanziaria Blax Corporation di Vaduz (nel “paradiso fiscale” del Liechtenstein).

Oggi, dal carcere ginevrino dove è detenuto, Fiorini invia alla magistratura periodici “memoriali” nei quali ricorre spesso il nome di Silvio Berlusconi.

In un rapporto datato 27 novembre 1992 e inviato ai vertici della polizia cantonale ticinese, il già citato funzionario svizzero “infiltrato” nel narcotraffico internazionale scrive: “Agli inizi dei 1991 alcune informazioni confidenziali rivelarono che presso la Banca Migros di Lugano venivano riciclate forti somme di denaro provenienti dall’Italia… L’inchiesta produsse un primo significativo effetto il 13 giugno 1991, a Lugano, quando fürono arrestati tali Edu de Toledo e Donizete Ferreira Pena con circa un milione di franchi svizzeri in contanti. Unitamente a Gianmario Massa, cassiere della Banca Migros di Lugano (pure arrestato), i due erano intenti nell’operazione di parziale pagamento di una partita di 70 chili di cocaina giunta precedentemente a Rotterdam. La droga, proveniente dal Brasile, era stata ritirata da emissari della criminalità organizzata italiana”; secondo il funzionario, il riciclatore Giuseppe Lottusi “faceva capo, per le operazioni di riciclaggio, alla piazza finanziaria svizzero-italiana e, in particolare, alla Fimo Sa di Chiasso”.

Di sospetti rapporti tra società berlusconiane e gli ambienti finanziari italo-svizzeri legati alla “galassia Fimo” di Chiasso scriveranno le cronache giornalistiche nel marzo 1994, per una oscura vicenda inerente l’acquisto di un calciatore da parte del Milan-Fininvest. “Tutte le inchieste portano a Chiasso. Al numero 89 di via San Gottardo, dove ci sono le sedi di una finanziaria e di una banca che sono al centro di infinite indagini su mafia e tangenti. E dalle

quali si scopre che sono passati anche i soldi per il trasferimento di Gianluigi Lentini, l’attaccante granata acquistato dal Milan a suon di miliardi. A parlare della vicenda è stato Mauro Borsano [ex parlamentare Psi, e amico di Bettino Craxi, Nd-4], ex presidente del Torino, che ne curò la vendita nel marzo 1992. Davanti al Pm. Gherardo Colombo, l’ex patron granata ha ricostruito la trattativa e soprattutto i versamenti in nero estero su estero. Secondo Borsano, il primo accordo prevedeva un prezzo ufficiale di 14 miliardi e mezzo più un anticipo di 4 miliardi in nero. Per la gestione degli accrediti, Borsano si rivolge alla famiglia Aloisio, che controlla sia la banca Albis sia la finanziaria Fimo: entrambe di Chiasso, entrambe protagoniste di una selva di vicende giudiziarie. La più famosa è quella di Giuseppe Lottusi, il commercialista che attraverso la Banca Albis avrebbe trasmesso tutti i pagamenti del clan Madonia ai “narcos” colombiani. Per questi fatti, Lottusi è stato condannato a vent’anni in primo grado dai giudici di Palermo. Non solo. La sede di via San Gottardo è stata fatta perquisire un anno fa su richiesta di Antonio Di Pietro: grazie a questa struttura sono state distribuite a Dc e Psi tutte le mazzette del gruppo Eni. Si tratta di almeno sessanta miliardi. E intorno agli uomini della Fimo e delle sigle collegate le istruttorie si sono moltiplicate [ ]. Mauro Borsano ha rivelato al Pm Colombo che anche i soldi per la cessione di Lentini sono transitati attraverso questa rete. Il finanziere torinese ha spiegato di essersi messo in contatto con Emilio Aloisio, consigliere della Fimo, e di avere poi preso accordi per il versamento con Adriano Galliani, amministratore del Milan [ ].

I primi quattro miliardi vengono quindi depositati sulla Banca Albis nella primavera 1992. Da li si provvede a trasferirli alla società Cambio Corso di Torino, sempre di proprietà degli Aloisio, che consegna il controvalore in titoli di Stato a Borsano. La scelta di rivolgersi all’istituto ticinese è sorprendente: Lottusi era stato arrestato sei mesi prima e tutti i giornali avevano dedicato intere pagine ai suoi rapporti con la Banca Albis per il riciclaggio dei narcocapitali [ … ]. In tutto per il contratto di Lentini sulla Banca Albis viene versata una cifra compresa tra i 6 miliardi e mezzo e gli 8 miliardi e mezzo […]. I soldi del Milan sono arrivati dalla banca Ubs di Chiasso, però Borsano sospetta che non sia quella la sorgente dei fondi neri Ora i magistrati del pool “Mani pulite” cercano di capire quale sia la caverna del tesoro dalla quale attingevano le società del gruppo Fininvest”4433.

Attualmente il gruppo Fininvest è assai radicato in terra elvetica. “Non si tratta solo della parte “evidente” del gruppo, vale a dire il “Punto Milan Estero” di via Besso a Massagno, frazione di Lugano. Li ci si occupa dei tifosi rossoneri all’estero, e vi ha sede la Fininvest Services Sa, presieduta dall’ex presidente ticinese del partito liberal-radicale (maggioranza relativa) Pierfelice Barchi ‘ uno dei più potenti notabili del cantone (il suo studio legale difende tradizionalmente gli imputati di mafia). L’impero berlusconiano viene piuttosto gestito dagli uffici della Fiduciaria di

Giorgio e Renato Ferrecchi, situata al 6 di via Bossi, a Lugano, nel cuore della “city” luganese. Ferrecchi gestisce tutta una serie di società di rilievo come la Brico Sa Lamone Cadempino, la Edilnord Sa Biasca, il gruppo Precicast di Novazzano (cui è legata la Privat Kredit Bank attraverso l’azionista Giuseppe Penati, a sua volta legato alla Fidinam di Tito Tettamanti), le fiduciarie Sogepa e AlIfinanz (che legano Ferrecchi a un altro fiduciario del gruppo Berlusconi, l’avvocato Renzo Rezzonico), il gruppo Alitec (gruppo italo-brasiliano legato a Bemardino Bernardini e a Nuova Rivista Internazionale), lo studio pubblicitario italo-svizzero Publigoods di Paolo Spalluto, gli uffici svizzeri del commerciante milanesi). In via Bossi 6 hanno sede anche la Orion Communication Sa e la Dominfid, ovvero le due società che, secondo la magistratura napoletana, sono servite per riciclare almeno 3 miliardi di lire di fondi neri creati all’interno del gruppo di Berlusconi con una transazione sopravvalutata intercorsa tra Publitalia (società del gruppo Fininvest), il Milan, la Sme (holding statale agroalimentare) e la Sport Events, una società di proprietà dell’ex arbitro italiano Egidio Ballerini rivenduta nel 1992 alla Orion.

La Dominfid appartiene alla Sirtis Sa di Lugano, che a sua volta appartiene alla Dominion Fiduciaria di Chiasso, una holding italo svizzera (legata al tivolino Renzo Bitocchi e al romano Michele Grimaldi) posta in fallimento nel giugno 1993, ovvero nel periodo in cui partiva l’inchiesta dei magistrati napoletani. Oltre al “gruppo Ferrecchi”, in questo troncone sono attivi tre fiduciari: Fabrizio Pessina, Edy Albisetti e Ettore Abeltino. Quest’ultimo, a sua volta, è legato alla Fidinani di Tito Tettamanti attraverso la Coexsu”4444. Intanto, le cronache giudiziarie informano che il faccendiere romano Giancarlo Rossi (arrestato su mandato dei magistrati milanesi nel giugno 1994) è l’intestatario del conto corrente “coperto” FF 2927 presso la Trade Development Bank di Ginevra, conto sul quale sono affluiti 2 milioni e 200 mila dollari fornitigli dal piduista Luigi Bisignani e parte della maxitangente pagata dall’Enimont ai partiti di governo.
Il faccendiere romano 4455 risulta intestatario anche di altri conti “coperti” presso banche svizzere sui quali sono transitati un migliaio di miliardi, e dispone di due società off-shore domiciliate a Panama. Mentre la magistratura italiana indaga per corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, e la magistratura di Ginevra apre un’inchiesta per riciclaggio, si apprende che Rossi è in rapporti col gruppo Fininvest, come dimostrano i suoi contatti telefonici nelle settimane precedenti il suo arresto: “Una chiamata a un numero intestato a Silvio Berlusconi (via Santa Maria dell’Anima 3 1/A, l’abitazione romana del presidente del Consiglio). Con uomini legati a Berlusconi e al suo gruppo, Rossi ha avuto rapporti frequenti: compaiono infatti chiamate a Antonio Tajani (portavoce del premier), a Fininvest comunicazioni, Publitalia, e alla Diakron, la società che sforna i sondaggi per Forza Italia [ ]. Rossi chiama per ben cinque volte direttamente il ministro della Difesa Cesare Previti, col quale si è sempre dichiarato in ottimi rapporti: Previti viene chiamato sul suo cellulare, nell’abitazione romana e persino a Porto Santo Stefano, sull’Argentario. Con numeri diversi, Rossi chiama anche 11 volte il ministero della Difesa”4466.

La polizia elvetica, da parte sua, segnala ai magistrati milanesi che nell’inverno 1993-94 l’ex segretario del Psi Bettino Craxi si è recato in Svizzera, utilizzando per il suo viaggio un aereo di proprietà di Silvio Berlusconi. E nell’ottobre 1994, arrestato dai magistrati di “Mani pulite”, l’imprenditore Giorgio Tradati (amico d’infanzia di Craxi) dichiara al Tribunale di Milano: “Nel 1981, Craxi mi chiese di fargli da prestanome per un conto in Svizzera [alla Sbs-Société de Banque Suisse di Chiasso aprii per lui un conto cifrato]. Poi i conti diventarono due [il secondo, lo aprii all’American Express di Ginevra]. In totale, sui due conti, affluirono circa 30 miliardi di lire [di tangenti]”4477 ; nella vicenda dei due conti svizzeri craxiani risulta coinvolta la contessa Francesca Vacca Agusta, la cui villa di Portofino è assiduamente frequentata da Silvio Berlusconi. Fin dai primissimi anni Ottanta, ricorrenti sono state le voci di presunti comuni interessi affaristici tra Berlusconi e Craxi, e insistenti le vociferazioni secondo le quali Bettino Craxi sarebbe uno dei soci occulti del gruppo Fininvest.

Ma la presenza di Berlusconi in terra elvetica non è legata soltanto a meri interessi affaristici: in Svizzera (ad Arlesheim), Miriam Bartolini (in arte Veronica Lario), seconda signora Berlusconi, ha dato alla luce le loro figlie Barbara (luglio 1984) e Eleonora (maggio 1986); nella svizzera Arlesheim, anche Marcello Dell’Utri, nel 1981 e nel 1985, è divenuto due volte padre.

CAPITOLO BANCA RASINI

Quando qualcuno si prenderà la briga di “aprire” il capitolo Banca Rasini, magari sequestrandone l’archivio tutt’oggi esistente, magari interrogando alcuni dei suoi ex funzionari tutt’oggi in pensione (non al cimitero), e magari anche ponendo qualche domanda a qualcuno degli ex correntisti tutt’oggi facilmente rintracciabili, si scriverebbero pagine davvero inedite della storia di Silvio Berlusconi e famiglia. Certi comportamenti, certa spregiudicatezza, certe amicizie non si inventano dalla sera alla mattina. Bisogna avere dei maestri, e il giovane Silvio di allora ne ebbe più d’uno, nella banca dove lavorò suo padre per vent’anni.
La Banca Popolare di Lodi, nata il 28 marzo 1864, è la prima banca popolare costituita nel nostro Paese. Ultime acquisizioni: Banca Industriale Gallaratese e Banca Rasini (1992), Banca Mercantile Italiana (1995), Banco di Credito Siciliano e ramo d’azienda di Banca del Sud e Banca Adamas (Svizzera)(1998), Nel 1999 e nel 2000 sono state acquisite un numero ragguardevole di banche, come la Banca Operaia di Pescopagano, la Banca Popolare di Carini, la Banca Commerciale di Mazara, La Banca Popolare di Belpasso, il Credito Molisano e la Banca Popolare di Credito e servizi. Tutte queste sono state in seguito fuse nel Gruppo. Dal luglio 1998 è anche quotata in Borsa.

Chi l’ha acquistata, o per meglio dire fagocitata molto di recente? Una banca molto più piccola, la Banca Popolare di Lodi. La Pop di Lodi è amministrata da Gianpiero Fiorani, grande amico del governatore Fazio ma soprattutto del Cavaliere ed infatti è soprannominato il “banchiere dei berluscones”.

Chi sborsa 100 miliardi a Paolo Berlusconi per patteggiare la condanna per la discarica di Cerro? Inoltre Fiorani è anche la vera cassaforte di Datamedia, la società di Luigi Crespi, vero braccio armato e unico “ministro dell’informazione” del Cavaliere.
Ora è nei guai, indagato da Consob e dal Tribunale civile di Milano (segue un interessante articolo dell’Espresso), per presunte irregolarità nella recente scalata alla Banca popolare di Crema. Se la caverà?
Intanto ora Fiorani punta dritto sulla capitale. E qui Cesarone Geronzi non l’ha presa bene. L’obiettivo del milanese è infatti la Santa Sede, dopo aver già tentato e sbagliato un abboccamento con la Compagnia delle Opere. Ma a Roma ha trovato aiuto in Camillo Ruini che gli ha fatto firmare un accordo con la CEI per promuovere le iniziative culturali delle parrocchie, dal Lazio al centro-nord, Lombardia compresa. E la Pop di Lodi garantirà a fondo perduto fino a 100 milioni di vecchie lire per ogni singolo progetto. Per cifre superiori ci saranno inoltre tassi agevolatissimi. In totale sono stati stanziati contributi a fondo perduto per un miliardo e mezzo di lire mentre il plafond globale ammonta a 50 miliardi, destinati ad iniziative culturali, ristrutturazione e costruzione di parrocchie. In breve, la Banca popolare di Lodi si comporta di fatto come una fondazione bancaria.

Ma a cosa punta veramente Fiorani? A cosa mira, da banchiere cattolico e col viatico della Santa Sede, con queste raffinatissime operazioni di relazioni pubbliche? Sicuramente, si dice in ambienti politici della capitale, quegli stessi che lo hanno presentato a Ruini e che ora temono la vendetta del sor Geronzi, Fiorani punta a far sua la quota che la Fondazione Cariplo possiede in BancaIntesa (la Cariplo è la seconda azionista dopo i francesi del Credit Agricole).

Lei, giovane intraprendente, racconta di essere diventato imprenditore, nei primi anni Sessanta, proponendo al Suo principale di costituire insieme una società, cinquanta e cinquanta. Il Suo principale era Pietro Canali, un costruttore milanese cliente della Banca Rasini (dove lavorava Suo padre Luigi, che a fine carriera era diventato direttore generale). Canali Le aveva dato lavoro già dagli anni dell’università e Lei si era dimostrato abile, tanto da diventare rapidamente direttore commerciale dell’impresa di Canali. La società si è fatta ed è stata battezzata Cantieri Riuniti Milanesi. L’operazione che porta subito a termine è l’edificazione di un palazzo rivestito di piastrelle blu in via Alciati, alla periferia di Milano. Lei era riuscito ad avere i permessi comunali per costruire, e questo è il Suo contributo alla società. Per il resto, l’esperienza la mette Canali, i soldi arrivano dalla Banca Rasini.

Edilnord sas di Silvio Berlusconi e C., in cui Lei figura, insieme ad altri, come «socio d’opera» o «accomandatario», mentre soci «accomandanti» sono Carlo Rasini e l’avvocato d’affari svizzero Renzo Rezzonico, rappresentante di una finanziaria di Lugano, la Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag. I soldi, dunque, arrivano dalla Svizzera, ma gli investitori restano protetti dall’impenetrabile schermo di una finanziaria dal nome impronunciabile.

e Holding: queste, a dispetto del nome altisonante, sono semplici S.r.l. (società a responsabilità limitata): così gli aumenti di capitale si possono fare in casa, senza intrusi che vogliano guardare le carte. Sono fondate il 19 giugno 1978 a Milano da Nicla Crocitto, un’anziana casalinga abitante a Milano 2, che detiene il 90 per cento delle quote e viene nominata amministratore unico delle società, mentre il restante 10 per cento è intestato al marito, il commercialista Armando Minna, già sindaco della Banca Rasini e poi Suo consulente. Capitale sociale: il minimo, 20 milioni per Holding.
E la Banca Popolare di Lodi (l’istituto che nel 1991 ha incorporato la Banca Rasini)
I primi soldi, quelli per realizzare i palazzi blu di via Alciati, provengono certamente dalla Banca Rasini, di cui era direttore generale Suo padre. Poi le fonti di finanziamento si fanno più oscure, ma certamente passano per la Svizzera.

Una spiegazione del canale elvetico è contenuta nella Sua biografia pubblicata nel 1994 da Paolo Madron (Le gesta del Cavaliere, Sperling&Kupfer) e oggi introvabile. Una biografia autorizzata, che può essere ritenuta in qualche modo almeno semi-ufficiale: «Le città giardino di Berlusconi sono servite (…) per far rientrare le valigie di soldi a suo tempo depositate nella vicina Svizzera. Alla fine degli anni Sessanta le vie che portano al Paese degli gnomi sono intasate di spalloni che vanno a mettere al sicuro il denaro della ricca borghesia terrorizzata dai sequestri (ci provano anche con il padre di Berlusconi). (…) Il Cavaliere va da Rasini e gli chiede di appoggiarlo su quei suoi amici, clienti o meno della banca, che hanno portato fuori tanti soldi».

I Suoi primi palazzi sarebbero dunque costruiti con i capitali nascosti all’estero dalla ricca borghesia lombarda che, con la garanzia del banchiere Carlo Rasini, accetta di affidarli a Lei,
È un piccolo istituto privato di credito con un unico sportello, nella centralissima piazza dei Mercanti, a un passo dal Duomo. A Milano godeva di una doppia fama: era considerata una banca efficiente, rapida e flessibile, ma anche assai spregiudicata.
Antonio Vecchione, il successore di Suo padre alla direzione della Banca Rasini
Dopo il 1973, anno in cui Carlo Rasini vende la sua banca, tra i nuovi azionisti ci sono il siciliano Giuseppe Azzaretto (con il 29,3 per cento) e (con il 32,7 per cento) tre società del Liechtenstein rappresentate da Herbert Batliner. Da un processo per traffico di droga e riciclaggio celebrato negli Stati Uniti nel 1998, risulta che Batliner svolgeva ruoli finanziari per narcotrafficanti latinoamericani. Dietro la Rasini, dunque, c’erano solo i denari nascosti in Svizzera dalla buona e operosa borghesia lombarda?
RVA è stata fondata nel 1958 da Alessandro Rasini e Giorgio Viganò.
Fin dai primi passi individua come fattore critico di successo la conoscenza approfondita delle società Clienti e dei loro settori di appartenenza.

Alla fine degli anni ottanta RVA registra una forte crescita gestendo programmi captive per i suoi Clienti più importanti: Gruppo Fininvest, Gruppo Stet International, Banca Popolare di Novara, Gruppo Pirelli. Su tali basi il gruppo si espande in Europa e Sud America attraverso società direttamente controllate.

A Londra nel 1995 RV Limited diventa il primo Lloyd’s Broker di capitale interamente italiano, permettendo l’accesso del gruppo al più importante mercato assicurativo e riassicurativo internazionale.
Troviamo innanzitutto il presidente, Nello Celio. Egli è un personaggio noto ed importante della Confederazione elvetica; ed ha contato e conta anche nel mondo finanziario italiano. Nato nel 1914, deputato cantonale dal 1941 al 1945, capo dipartimento Difesa federale 1967-1968, alle Finanze 1968-1973, presidente del Consiglio federale svizzero nel 1972. Nel 1969 consigliere del Credit Suisse, della Alusuisse, della Basel Wersisherung. Dal 1980 consigliere della Société Internationale Pirelli. Fino al 1980 presidente della Rumianca, società chimica collegata al gruppo Rovelli. Con l’industriale italiano i rapporti proseguono nella Banca Commerciale di Lugano, di cui Celio è presidente ed azionista e di cui Rovelli pare essere il principale azionista (“Il Mondo”, 24 marzo 1986). Recentemente Rovelli sarebbe entrato nell’azionariato SASEA. Infine Celio è presidente della Banca Rasini, acquistata nell’aprile 1984 dalla Eurocredit, finanziaria romana della Banca Commerciale di Lugano.

La fine di un’impresa…

Lo Stato da un po’ di anni, ha deciso di confiscare le imprese ed in molti casi queste vengono affidate agli stessi lavoratori…, che costituiti in imprese sociali e/o in cooperative, tentano di recuperare attraverso il proprio lavoro, quella stessa società, dove per anni ne sono stati dipendenti…

La fruizione però dei beni confiscati, si scontra con la realtà, cioè con il mancato appoggio da parte di quegli Istituti bancari che, sia a causa della crisi internazionale, che non ricevendo quelle garanzie necessarie, ricevute in precedenza dagli ex datori di lavoro, non autorizzano alcun finanziamento ai nuovi soci…
La cosiddetta legge regionale n. 15/2008 rappresenta soltanto un’utopia, uno di quei meccanismi del tutto Italiani, che servono soltanto per sciacquarsi la bocca e che non troverà mai realtà nei fatti…, uno dei tanti provvedimenti pubblicizzati, che servono a farci conoscere il sorriso a 32 denti del politico o magistrato di turno… 

Infatti una cosa è la teoria…un’altra la pratica…, ed intanto le imprese non sopravvivendo e non riuscendo ad investire chiudono e vanno in liquidazione…, che poi è quasi sempre quello che i giudici preferiscono  soprattutto quelli della sezione fallimentare…, ( chissà, se forse non rappresenti proprio quel senso di vita interiore… ).

C’è sempre la convinzione che le imprese poste sotto sequestro e/o a confisca, rappresentino in capacità e  produttività una realtà si… ma di 2 livello, come se i meriti fossero stati soltanto caratterizzati da quegli  elementi negativi, avuti attraverso privilegi, raccomandazioni, intimidazioni ed azioni illegali…, ma si vuole polarizzare l’attenzione soltanto su quegli elementi negativi ( sempre da dimostrare ) dimenticando tutti coloro che in maniera operosa, attraverso proprie capacità individuali e di gruppo e con grandi sacrifici anche personali, riescono a portare a conclusione e con merito quelle iniziative pubbliche e private, la gestione tecnica ed economica operativa della società, senza farsi condizionare dal contesto critico a cui la società è stata sottoposta…
Ci si dimentica inoltre, che in situazioni analoghe, lo Stato dopo aver disposto l’impresa ad amministrazione controllata, a seguito di procedimento d’opposizione in appello e/o cassazione, ha dovuto restituire le quote societarie agli ex proprietari, dove nel contempo le imprese concorrenti, tentavano in vari modi di estraniare l’impresa posta a sequestro, per voler riuscire a toglierle quegli appalti già aggiudicati ( per milioni di euro… che in questo periodo di totale crisi fanno gola a tutti… ), ma soprattutto utilizzando quelle conoscenze e quelle manovre politico-giuridico ed economico, per lo più sotterranee, per distruggere definitivamente l’impresa concorrente, assorbendone così parte del patrimonio e/o attrezzature a costi fallimentari…      
Non bisogna sorvolare, su uno degli aspetti che appositamente viene mascherato è cioè quello di voler fondere insieme, le imprese cosiddette associate da quelle ricattate… cioè le imprese costituite ad hoc create ovviamente per il riciclaggio dei profitti ricavati dai traffici illeciti, da quelle che invece sottoposte a ricatti e/o minacce e/o a situazioni particolari che nel tempo avevano portano a coinvolgimenti purtroppo personali, dovendosi piegare per non incorrere a gravi rischi…, ed in Sicilia a differenza di quanto ci vogliono far credere…, sono la maggioranza di queste a subire intimidazioni, trovandosi così costrette a pagare ed a  favorirne l’assunzione di amici e parenti…
Ricordo che tanti anni fa, mentre mi trovavo a Verbania, stavo seguendo un programma televisivo, che parlava della lotta alla criminalità nella nostra Regione ed in particolare le interviste erano state svolte proprio nella Città di Catania, in un mercato adiacente Piazza Stesicoro, quando ad una domanda del giornalista, la risposta dell’ambulante mi colpiva poiché dichiarava: ” cà macari cu vinni u puddisinu a pavare…”  ( qui, anche chi vende del basilico deve pagare…); da allora poco è cambiato ed io credo che l’omertà la faccia ancora da padrone!!!  
Comunque è veramente esiguo il numero dei casi in cui è stata possibile la continuazione o la ripresa dell’attività produttiva, in quanto entrando in questo vortice, le opportunità lavorative calano, mentre viene privilegiata quale unica possibile soluzione la liquidazione…
Auspicare in un intervento deciso nel quale lo Stato salvaguardi principalmente i posti di lavoro, la ritengo ormai un’utopia, mentre vedo sempre più un interesse mirato atto a recuperare soltanto quei crediti disponibili e come unico pensiero la svendita del patrimonio finanziario e logistico…

Monti e le nuove 400 auto blu…

Ma che m….. stanno facendo al Governo???
Viene pubblicato un bando di gara pubblicato sul sito del Ministero dell’Economia che prevede l’acquisto di un massimo di 400 “berline medie” di cilindrata fino a 1.600 cc, per un limite di spesa di poco meno di 10 milioni di euro. 
Scusate, ma non era prevista una riduzione di queste maledette vetture blu attraverso due decreti fatti nel 2010 e 2011, che prevedevano la riduzione dell’uso di auto blu???  

E poi, con sessantamila vetture a disposizione, di cui circa 800 non ancora utilizzate, come si può pensare di comprarne altre quattrocento nuove….

In un momento in cui si chiede agli Italiani di compiere sacrifici, con costi a noi contribuenti, per auto già a disposizione per complessivi quasi due miliardi di euro l’anno, oggi si vorrebbe dimostrare la legittimità e l’opportunità di questo bando…
Questo non è un bando… questa è una banda…, una banda di ladri…!!!!
Ed ancora è stato dimostrato che a parità di chilometraggio, di tutto questo parco auto, quelle noleggiate, hanno garantito un risparmio della spesa pubblica tra il 15 ed il 18% e quindi invece di comprarle… perché in tutti questi anni, non si è pensato a noleggiarle, con contratti triennali, che prevedono nei loro costi tutto, e quindi alla fine si avrebbero ogni tre anni macchine nuove, assicurazioni, manutenzioni regolari, gomme, assistenza, cambio vettura nei casi d’incidenti e via discorrendo, tra cui non di poco conto, un controllo regolare e certo dei costi, che vengono fatturati mensilmente e da cui non si può scappare, a proposito di controlli fiscali!!! 
Ho l’impressione che ci state mettendo alla prova, state tirando sempre più la cinghia, per vedere fino a dove si può arrivare…
Ormai è evidente che di questo paese non importa a nessuno!!! 
Lei è stato messo lì, come quegli inutili Amministratori Giudiziari, che ultimamente lo Stato pone a controllo di quelle buone Società, che dovrebbe da un lato garantire la regolarità gestionale, ma che trovando ( come una caccia al tesoro ) all’interno di questo un forziere ( immobili, mezzi d’opera, automezzi, attrezzature, crediti, merci, ecc…), vengono ( da qualcuno…??? ) , pilotate, svuotate e depredate della propria linfa, per poi traghettarle verso l’unica strada che conoscono e cioè quella della liquidazione e del fallimento… e chi ci rimette sono soltanto quei poveri impiegati che nel contempo hanno fatto di tutto ( con il proprio lavoro e con molti sacrifici ),  per salvaguardarla…
L’Italia oggi è uguale, da un lato, si fa credere agli Italiani, di volerla salvare, mentre dall’altro ( basti vedere quanto avviene in Europa ), la si spinge verso il baratro, conducendola ad una morte agognata, lenta e per ognuno di noi alla fine certamente dolorosa… 

Possa il Signore perdonarvi tutti, perché io certo non lo posso fare…

La gestione degli Amministratori nelle aziende sequestrate o confiscate da parte dello Stato…

Credo, che il presupposto fondamentale nello svolgimento e nella attività da parte dell’Amministratore giudiziario sia, il rispetto assoluto della legalità… 

Penso infatti che l’Amministratore è colui che nell’interesse dello Stato deve condurre un processo più o meno lungo, a seconda dei casi, basato sulla ripresa e/o nel sanare la gestione a Lui consegnata…
Ovviamente il compito da svolgere non è semplice ( soprattutto poiché non si è mai operato in quei settori), ma almeno di buono c’è che si è ben remunerati…

Qualcuno obietta che nell’occuparsi esclusivamente a tempo pieno all’incarico affidato, rinuncia ad una parallela carriera da libero professionista, ben più gratificante…, ma la ” verità nascosta” è,  che sono in molti ( per non voler dire quasi tutti ), coloro che esercitano entrambe le funzioni, mascherando la propria presenza, attraverso l’intestazione di propri Studi, denominati ” Società di servizi di consulenza “, a parenti e/o colleghi prestanomi e/o a soci… 

Non ci si rende conto è qui una grave colpa è proprio data da quei soggetti abilitati a tale compito, in primiss da parte di quei Giudici e dei loro Custodi giudiziari, che nel confermare gli incarichi agli Amministratori giudiziari, dovrebbero prima valutarne non solo le reali capacità organizzative, tecniche ed anche pratiche nello svolgere tale compito ma  anche il tempo messo loro a disposizione…

Il compito non è solo e soltanto quello di sanare tutte quelle situazioni presenti nell’azienda, nel momento in cui egli ed il suo staff,  si immettono nella gestione della azienda sequestrata…

Fondamentale è cominciare ad inquadrare i soggetti all’interno della società, rivalutare e/o modificare gli inquadramenti dei dipendenti capaci, coloro che per primi si assumono in prima persona le responsabilità aziendali, allontanare quei soggetti non più necessari per la organizzazione, ristabilisce i contatti  commerciali, con clienti, fornitori, banche, imprese, ecc…, che per gli ovvi motivi, si sono allontanate…

Deve inoltre provvedere ad operare tutta una serie di tagli, riducendo gli sprechi e adoperandosi per rivalutare nuovamente la gestione e l’attività imprenditoriale… ed in questo farsi aiutare anche da coloro che operano all’interno dell’azienda e che hanno dimostrato di essere capaci…

Ovviamente l’adozione di queste misure cautelari, provocherà all’interno della società un momento di caos, a cominciare dai dipendenti che, ovviamente saranno allarmati temendo per il prosieguo del rapporto di lavoro, ai clienti che cercheranno di dirottare altrove le proprie commesse, ai fornitori che reclameranno immediatamente il saldo dei crediti, ed ancora le banche che chiederanno la revoca degli affidamenti sollecitando l’immediato rientro, ed infine anche i mass media che attraverso il loro clamore, susciteranno nei tanti, la convinzione che l’azienda sta per chiudere definitivamente…

Ecco è in questo che l’amministratore deve dimostrare la propria abilità, il confrontarsi con gli esistenti organi sociali, con il collegio sindacale, il consiglio di amministrazione o l’amministratore unico, rivedere i bilanci, verificare gli attivi ed i passivi, riprogrammare i pagamenti ad Enti pubblici e fornitori, rielaborare anche per vie legali il rientro degli incassi, riprogrammare i lavori in corso, quelli sospesi, aggiudicati o in fase di definizione di contratto.

Perché egli deve comprendere, che se da un lato gli è richiesto un provvedimenti che implica una attività conservativa, di custode giudiziario in senso stretto, limitandosi quindi ad una ” statica attività ” volta alla tutela della loro integrità e altrettanto necessario che egli si attivi, nella gestione e nella proseguo delle attività amministrative e commerciali… 
Infatti è dichiarato che il compito fondamentale del Custode/Amministratore dei beni oggetto di sequestro giudiziario è, in linea generale, quello di conservare ed amministrare, quale organo ausiliario di giustizia  i beni affidatigli sostituendosi al loro titolare al fine di preservarli, ma ove possibile incrementarne il valore economico

Quindi nel prendere possesso dell’azienda, non dovrà pensare di sedersi nella nuova poltrona direzionale, ma dovrà iniziare a operare e ragionare per nome e per conto dell’azienda a Lui affidata…
Cominciare a conoscere e valutare direttamente il personale; quasi sempre i lavoratori dipendenti dell’azienda sequestrata si trovano spesso in una situazione in cui i pagamenti degli stipendi sono stati ritardati, ma una volta ripristinata la regolare contribuzione, occorrerà cominciare ad emanare ordini di servizio, in virtù dei quali specificare ad ognuno i compiti e le responsabilità… e se necessario prendendo anche provvedimenti disciplinari, far capire da subito, chi comanda all’interno dell’azienda!!! 

Dopodiché bisogna intrattenere rapporti con i fornitori, controllare la presenza di assegni post-datati, a cui si è fatto ricorso, occorre poi effettuare la ricognizione dei beni aziendali, delle rimanenze di materie prime e delle attrezzature, della loro necessaria manutenzione, tutto ciò attraverso un inventario!!!

Importante è la contestuale verifica dei contenziosi: civili, amministrativi e tributari pendenti, per evitare di incorrere in preclusioni e/o decadenze di termini, ottemperare alla revisione contabile delle scritture, con particolare riferimento ai crediti, ai debiti ed alle disponibilità finanziarie. 
Fondamentale è anche controllare le dichiarazioni obbligatorie ai fini fiscali e previdenziali e comunicare all’Agenzia delle entrate ed agli Istituti di credito e Previdenziali l’adozione della misura cautelare.
La possibilità di accedere al credito è fondamentale per il proseguo dell’attività imprenditoriale, per cui occorre riavviare i contatti con le società bancarie ed eventualmente aprire nuovi rapporti bancari per meglio rendere conto delle attività di gestione. 

Per quanto poi riguarda l’attività produttiva, bisogna verificare la possibilità di proseguire l’attività aziendale secondo virtuosi percorsi di economicità, utilizzare anche la propria persona, per aprire nuovi rapporti lavorativi…, verificare e migliorare il ciclo produttivo, istituendo,  un registro delle operazioni, ed ancora rassicurare con la ripresa, l’ambiente circostante, inserendosi all’interno di Associazioni ed Enti per sviluppo e l’imprenditoria…

Capisco che purtroppo, egli si trovi legato ed imbavagliato dal suo stesso incarico, infatti diventa fondamentale capire in concreto, la differenziazione tra lo svolgimento tra l’ordinaria e la straordinaria amministrazione: la possibilità infatti che l’Amministratore Giudiziario possa compiere ” atti di disposizione ” dei beni affidatigli, non solo allorquando ciò sia necessario, ma anche nell’ipotesi in cui ciò si rilevi opportuno, al fine di salvaguardare il valore economico in funzione del quale ne è stato disposto il sequestro. 

La concreta delimitazione dei compiti del Custode/Amministratore ed i criteri alla cui stregua essi devono essere svolti, spetta, in ogni caso, al Giudice della cautela, il quale è tenuto a stabilire i criteri ed i limiti dell’amministrazione delle cose sequestrate, con lo stesso provvedimento a valere del quale è disposta la misura cautelare reale a valenza patrimoniale, ovvero con successivi provvedimenti, allorquando si ravvisi l’esigenza che i criteri ed i limiti della custodia debbano essere integrati o modificati per adeguarli alla fattispecie concreta.

Sarà, pertanto, il giudice “delegato” alla misura cautelare reale, a stabilire quali atti il custode dei beni oggetto di sequestro giudiziario può compiere da solo e quali atti, invece, possano essere effettuati subordinatamente all’acquisizione della specifica autorizzazione. 

E’ soltanto in mancanza di direttive del giudice, che il Custode/Amministratore sarà legittimato a compiere gli atti di ordinaria amministrazione del bene sequestrato ovvero quegli atti, anche di straordinaria amministrazione e di disposizione che per loro natura si rivelino indilazionabili, mentre per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione avrà bisogno della previa autorizzazione del giudice della custodia. 

Per stabilire, poi, se una determinata attività sia da qualificarsi in “ordinaria amministrazione” oppure in “eccedente l’ordinaria amministrazione”, dovrà aversi riguardo non solo all’intensità degli effetti economico-giuridici di essa, ma anche alla natura del bene sequestrato…

Si evince che da questo punto di vista, la legge è carente… ma soprattutto la carenza fondamentale dell’Amministratore di una società e quella di non essere Egli,  fondamentalmente un’Imprenditore, cioè quella caratteristica essenziale di sapersi esporre al rischio d’impresa ovvero a quel rischio derivante da proprie scelte autonome nell’attività intrapresa; inoltre egli non possiede nel proprio Dna, il potere di organizzare i fattori produttivi che concorrono all’impresa operando le scelte relative alla conduzione dell’impresa stessa: cosa e quando intervenire, produrre (o scambiare), come, dove, quando e con quali mezzi: infatti questo rappresenta purtroppo il reale motivo doloroso perché un’azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria, quasi sempre, finisce in liquidazione oppure in fallimento!!! 


Prendiamo atto della precisazione…

Cera una volta una barzelletta che faceva così:

due amici, s’incontrano dopo circa vent’anni e nel ricordare i momenti trascorsi insieme, cominciano a chiedere l’uno dell’altro…
Ad un certo punto un amico chiede della famiglia, in particolare di quella santa donna della moglie… non me ne parlare ti prego risponde l’altro, una gran putt…., immagina che mi ha lasciato con due figli da accudire e se ne andata con uno più vecchio, ma pieno di soldi; l’amico dispiaciuto allora, comincia a chiedere della bambina, tanto carina e brava a scuola, specie in matematica…, ma dai con una madre come quella… tale madre tale figlia, pensa che è partita per Milano per fare la modella, ma ho scoperto che fa la escort, altro che studiare matematica quella è diventata esperta in Zoologia, con specializzazione in Ornitologia, infatti è diventata esperta di Uccelli…; l’amico ancora più mortificato, non sapendo più cosa dire e quali argomenti toccare, spera così, di poter salvarsi da quella ambigua e disperata situazione, chiedendo infine del figlio e sperando che almeno lui si sia salvato da questa incresciosa situazione… e l’amico: allora non hai ben compreso la mia disperazione, pensavo che i miei insegnamenti fossero bastati ed invece di trovarmi un figlio medico,  mi sono ritrovato con un tossico  che si prostituisce pure con gli omosessuali…

L’amico, ormai con le lacrime agli occhi chiese allora: ma veramente mi dici tutto ciò??? 

E’ come no… rispose l’altro: sull’onore della mia famiglia!!!
Ho voluto iniziare con una barzelletta perché in questi giorni ho letto in un mensile Catanese un’articolo, dove si faceva riferimento a presunte collusioni mafiose, inerenti la gestione degli appalti da parte di una società, all’interno di una committente, in particolare l’articolo riportava la frase ” strani affari “, facendo intendere sia per la società, che per i soci, un coinvolgimento a tutti gli effetti di carattere mafioso…

Ovviamente la società, affidava la risposta ( che veniva quindi pubblicata ) direttamente al proprio Amministratore Unico ed anche socio, il quale oltre che presentare la regolare e legittima trasparenza della propria società, precisava che nessuno delle persone elencate nell’inchiesta giornalistica, era stato mai coinvolto in indagini per fatti di Mafia… anzi aggiungeva … neanche per fatti diversi, in verità!!!
Ma volevo porre l’attenzione in particolare su quanto dichiarato dall’Amministratore: ” in considerazione del gravissimo danno all’immagine della società e dei soci arrecato dalle vostre propalazioni, vi invito a verificare quanto da me oggi rilevato, attività che, in verità avreste dovuto espletare anteriormente alla pubblicazione dell’articolo contestato, ed a porre in essere tutto quanto necessario per ristabilire il buon nome della società e dei soci “…

Ah… il termine propalazioni è bellissimo… perfettamente indicato, per quelle divulgazioni, fatte senza alcuna verifica e controllo, come quelle che ormai abitualmente vedo pubblicate in questo mensile…, se non ricordo male proprio il mese scorso, ne avevo letto un’altra analoga…
Comunque è veramente assurdo che chiunque possa essere gettato nel fango ed al giudizio dell’opinione pubblica, soltanto perché un cosiddetto giornalista, abbia erroneamente pubblicato il vostro nome o la vostra fotografia, in una qualsiasi notizia…, è proprio come la barzelletta, con la differenza che non si parla della propria famiglia, ma di quella degli altri…

E’ un completo schifo e forse cominciare come hanno fatto nel mondo con il SUN, cioè con il boicottare quel  giornale, potrebbe essere un’idea anche per quello nostro…
Comunque sapete quale stata la risposta del giornale…??? Pensate forse a delle scuse, alla correzione, ad un chiarimento dell’articolo, alla presentazione per l’errore casualmente formulato, Nooo…un semplice:
PRENDIAMO ATTO DELLA PRECISAZIONE