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Se le soluzioni ci sono, ma manca la volontà di applicarle, allora il problema non è la sicurezza: ma la politica!

Negli ultimi tre anni, per motivi di lavoro, ho vissuto in Toscana e posso assicurare che, a differenza della mia Sicilia, i controlli – seppur non massicci – erano comunque una presenza costante. 

Già… ho attraversato quotidianamente quel territorio, in lungo e in largo, partendo da Poggibonsi in direzione Siena oppure attraversando Certaldo per raggiungere Empoli e oltre, spingendomi verso l’interno delle colline del Chianti, per passare dinanzi a Volterra e giungere a Cecina, ma non solo, l’Isola d’Elba, Pisa, Lucca, Livorno, Grosseto e altri ancora… 

Quello che più mi colpiva era la presenza costante delle forze dell’ordine: posti di blocco ovunque, pattuglie della Guardia di Finanza, della Polizia Stradale, dei Carabinieri, e nelle città, le auto della Polizia Municipale.

Ammetto che non conosco le modalità con cui vengono organizzati i turni o in quali modi vengono decise le zone da presidiare, ma so bene che l’imprevedibilità è il maggiore ostacolo per chi deve garantire la sicurezza, ma qualcosa mi sfugge… 

Sì… una domanda sorge spontanea: perché in quelle zone, con una conformazione urbana e geografica non dissimile dal resto d’Italia – e con un flusso di persone e veicoli persino minore – i controlli sono così frequenti, mentre in Sicilia, dove la criminalità organizzata è una minaccia concreta e quotidiana, tutto sembra esser lasciato al caso?

Nella mia regione, ad esempio, servirebbe un presidio molto più rigoroso, strategie mirate e un controllo capillare per bilanciare i numerosi fattori di rischio presenti. Eppure, le istituzioni vorrebbero far credere che tutto vada per il meglio…

Ma allora, se il problema è la carenza di organico, perché non impiegare l’esercito? Ditemi, a cosa servono tutti quei militari fermi davanti a quegli uffici istituzionali o impegnati in continue parate sterili, quando potrebbero essere dispiegati in operazioni di controllo del territorio?

Potrebbero ad esempio presidiare gli accessi alle città più critiche – Palermo, Catania, Messina – con un sistema di “cinturazione” e verifiche obbligatorie, formati per affrontare situazioni ad alto rischio e pronti a intervenire rapidamente dove necessario.

Sarebbe uno strumento potente, se usato con serietà. Invece, nella presunzione di avere tutto sotto controllo, alla fine non si controlla nulla! 

Panta rei e ruit hora”: tutto scorre, e il tempo fugge

Intanto, la Sicilia continua a soffrire, e le sue ferite restano aperte…

Ora, a distanza di tempo, il Sindaco di Catania ripropone la stessa idea, chiedendo l’intervento dell’esercito per contrastare la criminalità. Segno che certe esigenze, se ignorate, prima o poi tornano a galla…

Peccato che, nel frattempo, si sia perso altro tempo prezioso.

L’attacco all’Iran? La logica conseguenza di anni di avvertimenti ignorati.

Già… era solo questione di tempo.

Per anni, attraverso analisi e avvertimenti sul mio blog, ho tracciato la rotta inevitabile verso questo momento. 

E così, mentre molti voltavano lo sguardo, il sottoscritto descriveva in questi anni l’accumularsi di tensioni, di segnali ignorati, della pericolosa determinazione di Teheran nel perseguire l’atomica militare e la ferrea legge che governa il Medio Oriente: era abbastanza ovvio che Israele non avrebbe mai permesso alla minaccia di concretizzarsi!

Quanto accaduto in quest ore, con le operazioni militari in corso contro scienziati e siti nucleari iraniani, si conferma ciò che vado ripetendo da tempo… 

Sì… basti rileggersi quanto riportavo già nel 2010, poi nel 2019 con l’escalation nello Stretto di Hormuz, ed ancora nel 2024 con le previsioni di un’azione israeliana, fino agli allarmi di quest’anno sull’irreversibilità della crisi. 

Ogni articolo era un tassello di un mosaico prevedibile, ah… se soltanto si fosse voluto vedere…

Teheran ha giocato col fuoco, convinta che le sue ambizioni nucleari potessero crescere indisturbate.

Ma esiste una verità strategica che i miei lettori conoscono bene: Israele agisce sempre quando percepisce il punto di non ritorno. Non è vendetta, è sopravvivenza! 

E chi, come me, ha studiato senza pregiudizi gli equilibri di quella regione, sapeva che la risposta sarebbe arrivata proprio così: chirurgica, letale, prima che fosse troppo tardi.

Ora il regime iraniano grida alla “violazione del diritto internazionale“, ma tace sugli anni in cui ha violato ogni accordo sul nucleare. Minaccia ritorsioni, dimenticando che la partita vera si gioca da tempo, e che le mosse decisive sono quelle che nessuno annuncia ai giornali.

Per quanto il mio parere possa contare, nel mio blog avevo avvertito delle conseguenze: il silenzio mediatico su certi sviluppi non significava assenza di pericolo, ma l’avvicinarsi della tempesta. 

Oggi quella tempesta si è scatenata. E mentre il mondo si sveglia di soprassalto, chi ha seguito queste pagine sa che non siamo di fronte a un’improvvisa escalation, ma al compiersi di una logica che troppo a lungo è stata sottovalutata.

Il nucleare iraniano non era un’ipotesi astratta, e Israele non era disposto ad attendere la prova definitiva, ma non solo quest’ultima, anche gli stessi paesi arabi confinanti, hanno fortemente paura di ciò che potrebbe accadere loro nel caso in cui l’Iran si dotasse di un ordigno nucleare!!!

Lo scrissi allora, lo ribadisco oggi: quando la diplomazia fallisce e le minacce si materializzano, restano solo le parole profetiche… e i missili.

A conferma di quanto riportato sopra, vi riporto alcuni dei miei link, nei quali affrontavo il grave problema e prevedevo, ahimè, le sue attuali conseguenze: 

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2019/06/usa-iran-speriamo-bene.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2010/10/attacco-alliran.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2025/04/tensioni-iran-usa-israele-e-il-rischio.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/10/nessuno-ne-parla-ma-esiste-un.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/10/come-previsto-israele-attacca-liran.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2025/03/escalation-iran-israele-e-scenari-futuri.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2019/01/prove-tecniche-per-linizio-di-un-nuovo.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2019/07/la-partita-giocata-sullo-stretto-di.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2019/06/liran-abbatte-un-drone-usa-e-raccoglie.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/11/israele-prepara-unazione-contro-liran.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/08/ali-kamenei-fossi-al-suo-posto-ci.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2020/01/usa-e-iran-si-sta-preparando-uno.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2018/11/una-coincidenza-le-profezia-della.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2025/01/manipolazioni-dialogo-e-speranze-di.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/12/blog-post.html

https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/05/manifestazioni-contro-israele.html

L’attacco all’Iran? Lo avevo scritto!

Le mie parole di ieri si sono trasformate in fatti oggi, e il silenzio che avvolgeva quelle ombre nucleari è stato squarciato dal boato degli attacchi.

L’Operazione “Rising Lion” non è solo una rappresaglia, è la risposta a quel furto di documenti segreti che avevo messo in luce quando ancora i telegiornali tacevano, quando le testate news sembravano non accorgersi del pericolo imminente.

L’Iran gridava vittoria per il suo “colpo da maestro” nell’intelligence, ma oggi paga il prezzo di aver scatenato una tempesta che non poteva controllare. 

Quei documenti rubati, quei segreti nucleari sussurrati, hanno accelerato una reazione che era già scritta nel destino di una regione sull’orlo del baratro. Israele ha colpito non solo siti strategici, ma il cuore stesso del programma militare iraniano, eliminando scienziati e comandanti che ne guidavano l’ascesa atomica.

Teheran ora urla alla vendetta, chiama “codardo” l’attacco, parla di martiri e di crimine, ma dimentica che il primo passo verso l’abisso l’ha compiuto proprio lei. Quel furto celebrato come un trionfo si è rivelato l’inizio della fine, la scintilla che ha acceso una reazione a catena. E mentre il regime minaccia una punizione “severa ed esemplare”, il mondo trattiene il fiato, perché sa che ogni minaccia in questa partita può trasformarsi in un punto di non ritorno.

Avevo scritto che il nucleare non è una carta da giocare, ma l’ultimo atto, e oggi quell’atto si avvicina. Gli scienziati uccisi, i comandanti eliminati, i siti distrutti: tutto questo non è che l’ennesimo capitolo di una guerra che non conosce fronti, ma solo ombre e silenzi rotti dalla violenza. Eppure, mentre l’Iran promette vendetta, Israele dimostra ancora una volta di agire dove gli altri si limitano a parlare, di colpire prima che sia troppo tardi.

Il Medio Oriente è sempre più un vaso di Pandora, e quella chiave – i documenti rubati – l’ha spalancato. Ora il vento porta con sé non più sussurri, ma urla di condanna e promesse di sangue. E mentre i media si svegliano solo ora, cercando di raccontare ciò che è già accaduto, resta la consapevolezza che alcune verità vengono anticipate da chi osserva senza filtri, da chi legge tra le righe del silenzio.

Perché in questa partita, ogni mossa ha conseguenze irreversibili. E se ieri era il furto a minacciare l’equilibrio, oggi è la rappresaglia a farlo vacillare. Domani potrebbe essere troppo tardi per parlare di equilibrio.

Già… come riportavo ieri e come tra l’altro descritto nel quadro sopra riportato, domani… potrebbe restare solo la cenere.

IRAN – Ombre nucleari: il silenzio che precede la cenere…

Le parole scorrono come fumo denso, avvolgendo una verità che nessuno vuole ammettere ma che tutti temono…

L’emittente statale iraniana “IRIB” ha riferito – citando fonti informate – che i servizi segreti iraniani hanno condotto quello che definiscono “il più grande attacco di intelligence della storia” contro Israele, ottenendo enormi quantità di documenti e informazioni altamente sensibili.

L’Iran rivendica un colpo da maestro, un’operazione senza precedenti, capace di penetrare nel cuore segreto di Israele. Migliaia di documenti strappati via, custoditi in luoghi proteti, e tra quei fogli, si sussurra, vi sono segreti nucleari, progetti che potrebbero cambiare per sempre gli equilibri di una regione già sull’orlo del baratro.

Il silenzio di Israele è più eloquente di qualsiasi smentita. Si sa di due arresti, due giovani accusati di tradimento, forse pedine inconsapevoli in una partita più grande di loro. Ma il vero gioco si svolge altrove, nelle stanze dove si decidono i destini, tra mappe segnate da obiettivi strategici e parole che si trasformano in missili. Nessuno conferma, nessuno nega, perché in questa guerra d’ombra ogni verità è un’arma e ogni silenzio una minaccia.

Il Medio Oriente, ahimè, è un vaso di Pandora, e la chiave per aprirlo potrebbe essere proprio quella conoscenza rubata. D’altronde cosa accade quando i segreti nucleari smettono di essere segreti? Quando le paure si materializzano in progetti concreti, in rivalità che non conoscono più confini?

L’Iran avanza, Israele si ritrae, ma è solo l’illusione di un equilibrio precario. Basta una scintilla, un documento letto nel modo sbagliato, un sospetto in più, e la corsa all’arma definitiva diventerà inevitabile.

Quei documenti rubati potrebbero racchiudere informazioni capaci di mutare il corso degli eventi, forse persino la possibilità di costruire ciò che non dovrebbe mai esistere. Non è facile capire fino a che punto si possa giocare col fuoco senza bruciarsi, specialmente quando il fuoco ha il volto freddo dell’atomica.

Ogni volta che si parla di nucleare, ogni volta che un Paese fissa quell’orizzonte, si allunga l’ombra di qualcosa di irrimediabile. Il Medio Oriente è già un crocevia di tensioni, di interessi incrociati, di ferite mai rimarginate e aggiungere ora la minaccia atomica è come versare benzina su un falò che non si è mai davvero spento!

Quando un laboratorio segreto diventa un progetto accessibile, quando le ambizioni si traducono in calcoli precisi e materiali sensibili, il confine tra guerra e distruzione totale si assottiglia, fino a sparire. 

Ed allora non ci saranno più frontiere da difendere, né bandiere da innalzare, ma solo paesaggi cancellati, città ridotte a memoria, già come l’immagine di quel quadro riportato sopra!

Non è l’attacco che dobbiamo temere, non sempre. Talvolta è la reazione a far precipitare tutto. Un errore di valutazione, un gesto mal interpretato, un documento letto con gli occhi sbagliati. Basta poco per mettere in moto l’ingranaggio, e molto per fermarlo, ammesso che sia possibile.

L’equilibrio esiste solo finché nessuno osa romperlo. Ma ogni equilibrio è fragile, specie quando poggia su una paura reciproca che tiene a bada le intenzioni. E se quella paura svanisce, se uno dei contendenti crede di poter agire senza conseguenze, allora sarà la fine di ogni logica strategica, e l’inizio di un incubo senza ritorno.

Perché il nucleare non è una carta da giocare, non è una moneta di scambio, è l’ultimo atto, il punto oltre il quale non c’è più niente. Chiunque lo usi, chiunque lo minacci, firma la sentenza non solo per il nemico, ma anche per sé stesso, per chi sta vicino, per chi non c’entra nulla.

Il nucleare non è uno strumento di guerra, è la fine di ogni guerra, perché dopo di esso non ci saranno più vincitori né vinti. Solo cenere…

Dal procuratore Zuccaro a Trantino: sei anni per capire che a Catania serve l’esercito

Già… sono passati ben sei anni da quel lontano 21 aprile 2019, quando riportavo in questo blog un post intitolato: Un’intervista “stranamente” passata in sordina: “A Catania… serve l’esercito”! – link: https://nicola-costanzo.blogspot.com/2019/04/unintervista-stranamente-passata-in.html. 

Allora, il procuratore Carmelo Zuccaro denunciava una situazione drammatica: quartieri degradati, spaccio controllato dalla mafia, reclutamento di giovani come pusher, e un sistema di videosorveglianza gravemente inefficiente. 

La sua proposta? L’impiego dell’esercito in supporto alle forze dell’ordine, un intervento necessario per riprendere il controllo di strade ormai in balia della criminalità.

Eppure, per anni, solo silenzio. Quell’appello cadde nel vuoto, soffocato dall’indifferenza e dalla miopia politica.

Fino ad oggi, già… fino a quando, con sei anni di ritardo, il sindaco Trantino ha riscoperto quell’urgenza che altri avevano già gridato.

Nel suo recente incontro a Palazzo Chigi con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha presentato un dossier in cui chiede proprio questo: un rafforzamento dell’operazione “Strade Sicure“, con militari schierati nelle aree più critiche della città. 

Una richiesta che, se accolta, potrebbe segnare una svolta, ma che arriva con sei anni di ritardo rispetto a quell’allarme lanciato dal procuratore Zuccaro e da me ripreso con insistenza.

Trantino ha parlato anche di altre emergenze, come l’abbandono dei rifiuti e la necessità di misure più severe, ma il cuore della questione resta la sicurezza. La premier, a suo dire, si è mostrata attenta e disponibile. 

Bene… meglio tardi che mai. Peccato, però, che ci sia voluto così tanto per arrivare a questa consapevolezza.

Come scrivevo già lo scorso anno: In Sicilia, ma non solo, c’è bisogno dell’esercito nelle strade!!!https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/01/in-sicilia-ma-non-solo-ce-bisogno.html, la situazione richiedeva da tempo interventi decisi. 0

Ora che anche il primo cittadino lo riconosce, non resta che sperare che le parole si traducano in fatti, senza ulteriori ritardi. 

Perché Catania, e i suoi cittadini, non possono più aspettare.

Un Paese al bivio: le intercettazioni, la giustizia e il futuro della legalità!

Ma siamo sicuri che stringere i tempi delle intercettazioni sia davvero una scelta di civiltà giuridica? O stiamo solo aprendo un varco per rendere più difficile la lotta ai crimini complessi?”.

Oggi voglio parlarvi di un tema che ci riguarda tutti: quello delle intercettazioni . Un argomento che, in apparenza tecnico, nasconde invece una questione profondamente politica e sociale. 

La Camera ha appena approvato – in via definitiva – un provvedimento che limita a 45 giorni (prorogabili solo in casi eccezionali) la durata delle operazioni di intercettazione. 

Una decisione che, secondo alcuni, rappresenta un passo avanti verso una maggiore tutela dei diritti individuali. Per altri, invece, è un colpo mortale alla capacità di contrastare reati gravi e organizzati. Ma chi ha ragione? E soprattutto, cosa significa tutto questo per noi cittadini?

Il testo, di fatto, introduce un tetto temporale alle intercettazioni, fissandolo a 45 giorni . Questo limite può essere superato solo se ci sono “elementi specifici e concreti” che giustifichino un prolungamento, da motivare espressamente. Inoltre, la norma prevede alcune deroghe per i reati di criminalità organizzata o quelli che coinvolgono minacce telefoniche. 

Ma qui sta il nodo cruciale: è davvero credibile che 45 giorni possano bastare per smantellare reti criminali sofisticate o ricostruire trame intricate tessute nel tempo?

C’è chi la definisce: “Una norma di civiltà giuridica”.

I sostenitori della riforma, sostengono che questa modifica non limiterà in alcun modo le indagini. Anzi, sarebbe un passo verso una maggiore garanzia per i cittadini, evitando abusi e intercettazioni prolungate senza un motivo valido.

Già… “una norma di civiltà giuridica”, secondo loro, garantisce spazio sufficiente per indagini preliminari efficaci”, ricordando che, in determinati casi, possono essere intercettati anche soggetti non indagati, purché vi siano elementi concreti.

Insomma, per questi si tratta di un bilanciamento tra sicurezza e diritti individuali , una sorta di patto tra Stato e cittadini per garantire che le indagini non diventino uno strumento invasivo o arbitrario.

Altri viceversa la definiscono: “Un’immunità per i delinquenti”

In effetti, sono in molti a pensarla diversamente. I magistrati e l’opposizione hanno espresso forti critiche. Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri , uno dei volti più noti della lotta alla criminalità organizzata, ha parlato chiaro: “Con questa approvazione si chiude il cerchio iniziato con l’abolizione dell’abuso di ufficio. I cittadini non avranno tutela contro abusi e sopraffazioni”.

Difatti, secondo Gratteri, limitare le intercettazioni significa indebolire uno strumento fondamentale per smascherare reati che spesso richiedono mesi, se non anni, di paziente lavoro investigativo.

Anche altri deputati dell’opposizione hanno lanciato un allarme: “Ci sono tanti reati gravi che senza intercettazioni non possono essere individuati e puniti. Quarantacinque giorni sono un periodo del tutto irrilevante. Il governo Meloni sta decidendo di dare un’immunità ai delinquenti” .

E qui arriva il nodo centrale: è davvero possibile combattere la criminalità organizzata, il terrorismo, la corruzione e altre forme di criminalità complessa con un limite così stretto?

Certo, non dobbiamo mai dimenticare l’altra faccia della medaglia e cioè quando i diritti vengono calpestati!

Non possiamo d’altronde ignorare la questione. Le intercettazioni, se usate male, possono diventare uno strumento di violazione della privacy. Non è un mistero che, in passato, ci siano stati casi di abuso: conversazioni private utilizzate impropriamente, vite distrutte da fughe di notizie, indagini basate su interpretazioni distorte.

Per questo, molti ritengono che mettere dei paletti sia necessario. Ma il problema non è tanto il principio – ritengo che nessuno voglia difendere gli abusi – quanto la sua applicazione pratica. Limitare le intercettazioni a soli 45 giorni rischia di regalare un vantaggio ai criminali più astuti: quelli che sanno aspettare, quelli che sanno nascondersi nell’ombra, quelli che pianificano crimini con cura millimetrica.

Ecco che sorge spontanea una domanda: dove si trova il confine tra sicurezza e libertà? Dove sta il confine tra sicurezza e libertà ? Come possiamo garantire che le indagini siano efficaci senza trasformarci in un Paese dove ogni conversazione può essere spiata?

Forse la risposta non sta nel porre limiti temporali rigidi, ma nell’introdurre controlli più severi e trasparenti. Ad esempio, perché non affidare a un giudice indipendente il compito di valutare periodicamente la necessità di prorogare le intercettazioni? Oppure, perché non investire di più nella formazione degli investigatori e nella tecnologia per rendere le indagini più rapide ed efficienti?

Questa legge solleva più domande che risposte, perché da un lato, c’è chi la vede come un passo avanti verso una maggiore tutela dei diritti individuali, dall’altro, c’è chi la considera una resa al crimine, un regalo involontario ai delinquenti.

Io credo che, prima di tutto, dobbiamo chiederci: cosa vogliamo per il nostro Paese? Vogliamo un sistema giudiziario che protegga i diritti di tutti, oppure uno che lasci spazio ai potenti di agire indisturbati?

Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti, discutiamone insieme, perché questa non è solo una scelta politica: è una decisione che riguarda ciascuno di noi, anche se – non essendo stati finora intercettati – non ce ne rendiamo ancora pienamente conto.

La trappola degli Houthi: come il gruppo yemenita sta trascinando gli USA in una guerra senza uscita!

Donald Trump ha promesso di “annientare completamente gli Houthi“, ma questa dichiarazione, tipica del suo stile diretto e provocatorio, potrebbe scontrarsi con una realtà molto più intricata di quanto sembri. 

Infatti, gli Stati Uniti, nel caso in cui decidessero di intervenire nel Mar Rosso in nome della “libertà di navigazione“, dovranno fare i conti con un arduo avversario, che come abbiamo potuto vedere, nonostante anni di bombardamenti da parte dei sauditi ed un isolamento internazionale, ha dimostrato una resilienza straordinaria.

Quindi… bombardare non basta: vedasi la lezione (mai imparata) delle guerre asimmetriche!

Il New York Times sottolinea un dato cruciale: “raramente nella storia i conflitti sono stati vinti solo con raid aerei”! 

Come riportavo sopra, Gli Houthi, sostenuti dall’Iran (ma con un alto grado di autonomia operativa), hanno resistito a una coalizione guidata dall’Arabia Saudita tra il 2015 e il 2022, nonostante la superiorità militare saudita. Per cui, anche se Washington pensasse di intensificare gli attacchi, difficilmente riuscirebbe a piegarli senza un’occupazione del territorio…

E qui nasce il paradosso: dopo anni di fallimenti in Iraq e Afghanistan, gli USA hanno poco appetito per un nuovo intervento di terra. Nel contempo, le compagnie di navigazione potrebbero preferire rotte alternative (come quella del Capo di Buona Speranza), sicuramente più costose ma meno rischiose, vanificando di fatto l’obiettivo dichiarato del presidente Trump di “proteggere il commercio globale“.

Viene spontaneo chiedersi: Gli Houthi vogliono davvero questa guerra?

Secondo Farea Al-Muslimi, ricercatore yemenita presso Chatham House, gli attacchi statunitensi potrebbero essere esattamente ciò che gli Houthi desiderano: una guerra aperta con gli USA per legittimarsi come resistenza anti-imperialista e innescare un’escalation regionale. Non a caso, proprio in questi giorni, il gruppo militare yemenita ha intensificato i lanci di missili verso Israele, dimostrando una capacità di provocazione che va ben oltre il Mar Rosso.

Va detto inoltre che sebbene Teheran fornisca armi e intelligence agli Houthi, il movimento ha dimostrato di poter agire in modo indipendente, a differenza di Hezbollah in Libano. Quindi, anche se gli USA riuscissero a convincere l’Iran a ridurre il suo sostegno (magari attraverso accordi diplomatici), gli Houthi possiedono reti logistiche e consenso interno che li rendono difficili da sradicare.

Ecco perché ritengo errato da parte degli Usa ripetere gli errori compiuti, mi riferisco a quelle  procedure strategiche adottate nel passato, come i bombardamenti che invece di indebolire il nemico lo hanno rafforzato! Già… obiettivi vaghi (“annientare” un gruppo è più uno slogan che una strategia) e la sottovalutazione della complessità locale. Se gli USA continueranno su questa strada senza un piano chiaro, rischiano di ritrovarsi invischiati in un nuovo pantano mediorientale, con conseguenze imprevedibili per la stabilità regionale.

Concludo confermando che la retorica della “guerra lampo” contro gli Houthi, ignora ahimè tutte le lezioni della storia. Senza una strategia che vada oltre i raid aerei e consideri le dinamiche politiche yemenite, l’unico risultato potrebbe essere un’ulteriore destabilizzazione del Medio Oriente. E, come spesso accade, a pagarne il prezzo più alto sarebbero i civili yemeniti, già stremati da anni di guerra!

La riforma Nordio sta davvero indebolendo la lotta alla criminalità oppure è necessaria per evitare abusi?

Riprendo una frase riportata dal Procuratore Nicola Gratteri: “Stanno smontando il codice pezzo per pezzo. La riforma Nordio minaccia la legalità”.

Il procuratore Nicola Gratteri lancia l’allarme: la riforma della giustizia del ministro Nordio indebolisce la lotta alla criminalità e mette a rischio i diritti dei cittadini.

In un’intervista a “Il Fatto Quotidiano“, il magistrato, noto per le sue inchieste sulla ‘ndrangheta, ha analizzato punto per punto la riforma, definendola un attacco sistematico agli strumenti di contrasto all’illegalità.

Intercettazioni azzoppate: “Dopo 45 giorni, i criminali parleranno liberamente“.

Uno dei punti più critici è il limite di 45 giorni per le intercettazioni nella maggior parte dei reati. 

Per il Procuratore Gratteri, questa scelta è “incomprensibile e pericolosa“, difatti: “Se un’indagine può durare anche due anni, come si fa a bloccare lo strumento più efficace dopo appena un mese e mezzo? Spesso i reati più gravi emergono solo dopo mesi di ascolti. Con questa norma, rapine, tratta di esseri umani, violenza sulle donne e disastri ambientali rischiano di rimanere impuniti.

Ma il problema non riguarda solo i reati più eclatanti. La riforma rende quasi intoccabili anche i cosiddetti “reati satellite” – estorsioni, falsi in bilancio, traffico di droga minore – che spesso sono il preludio ad attività mafiose più complesse.

Abolizione dell’abuso d’ufficio e Corte dei Conti neutralizzata.

Gratteri denuncia anche altre misure che, a suo avviso, smantellano la legalità: Abolizione del reato di abuso d’ufficio, che lascia spazio a comportamenti illeciti nella Pubblica Amministrazione.

Svuotamento del traffico d’influenze, con il rischio di favorire corruzione e raccomandazioni.

Limitazioni alla pubblicazione delle intercettazioni, che di fatto impediscono ai giornalisti di informare i cittadini.

Ostacoli alla custodia cautelare, rendendo più difficile colpire organizzazioni criminali.

“È un sistema pensato per scoraggiare le indagini, proteggere gli amministratori e zittire i media. Il messaggio è chiaro: l’illegalità conviene.”

Separazione delle carriere: “Il vero obiettivo è controllare i PM”.

Gratteri vede nella separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri un tentativo di assoggettare la magistratura all’esecutivo: “Non si tratta solo di autonomia, ma di democrazia. Se i PM dipenderanno dal governo, chi controllerà davvero il potere?”

La fretta di portare la riforma a referendum entro l’anno, secondo il procuratore, conferma la volontà di cambiare le regole prima che l’opinione pubblica realizzi il pericolo.

“La lotta alla mafia non si fa con le commemorazioni”!!! In occasione dei 30 anni di Libera, Gratteri ha rilanciato un appello: “Non servono solo parole, ma scelte concrete. Ogni volta che parlo in sedi istituzionali, spero in un cambiamento. Invece le decisioni vanno sempre nella direzione sbagliata.”

E conclude con una riflessione amara: “Non sono preoccupato per noi magistrati. Sono preoccupato per i cittadini, per la loro sicurezza, per i loro diritti. La vera vittima di queste riforme non è la giustizia, ma la libertà.”

Incidente sul lavoro a Leini: dubbi e riflessioni sulla dinamica della tragedia.

Come molti di voi, ho appreso con sgomento la notizia riportata dal Tg1 riguardante la morte di un operaio di 35 anni, precipitato dal tetto di un capannone durante un intervento sul cantiere. La caduta, stimata intorno ai dieci metri, è stata purtroppo fatale. 

Tuttavia, da esperto in materia di sicurezza con oltre trent’anni di esperienza, non posso fare a meno di esprimere alcuni dubbi sulla dinamica dell’incidente.

Mi presento: mettendo da parte la passione di scrivere come “blogger”, svolgo da sempre l’incarico di R.S.P.P. (oltre che di Coordinatore della sicurezza e formatore), ed ora, pur non conoscendo i dettagli specifici di quel cantiere né il nome del collega responsabile, mi sento in dovere di fare alcune considerazioni tecniche. 

Dal servizio televisivo, ho potuto osservare il ponteggio utilizzato dai lavoratori e, con tutta onestà, devo dire che raramente ho visto un cantiere così ben organizzato dal punto di vista della sicurezza. Quel ponteggio, a mio parere, era realizzato in modo tale da rendere quasi impossibile una caduta accidentale, a meno che non si sia verificato un atto volontario o un intervento esterno di natura dolosa.

A supporto di questa ipotesi, aggiungo un ulteriore elemento: il comportamento dei colleghi dell’operaio dopo l’incidente. 

In casi del genere, come previsto dalla formazione di Primo Soccorso, è fondamentale contattare immediatamente il 118 e attendere l’arrivo dei soccorsi qualificati, evitando di spostare l’infortunato per non aggravare eventuali traumi alla colonna vertebrale o agli organi interni. Invece, sembra che i colleghi abbiano trasportato l’uomo in ospedale senza seguire queste procedure, un dettaglio che solleva non pochi interrogativi.

Inoltre, dalle informazioni disponibili, emerge che l’operaio non era dotato dei necessari dispositivi di protezione individuale (DPI) anticaduta, come imbracature, cordini, sistemi di ancoraggio o linee vita. Questo aspetto, unito alle dichiarazioni iniziali dei colleghi (che avevano parlato di un incidente domestico), non depone a loro favore e lascia spazio a numerose domande.

Parlare di “giallo” potrebbe sembrare eccessivo, ma è innegabile che ci siano elementi che richiedono ulteriori approfondimenti. Le indagini in corso dovranno chiarire cosa sia realmente accaduto, anche se sono convinto che, a livello strutturale, il ponteggio rispettasse tutte le norme di sicurezza previste per i lavori in quota.

Resto in attesa degli sviluppi delle indagini, nella speranza che si faccia piena luce su questa tragica vicenda.

Certe inchieste non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano…

Sì, come la canzone di Antonello Venditti, anche la Giustizia fa lo stesso. E come riporta quel testo, “ma amici mai“, infatti non ci si dimentica. Proprio come quell’amore, prima o poi ritorna.
C’è una verità che spesso viene sottovalutata: nessuna storia d’amore può considerarsi al sicuro per sempre. Già, perché c’è sempre qualcosa, qualcuno che può ribaltare quella certezza.
La stessa cosa vale per le inchieste giudiziarie. Sì, anche quelle che ci sembrano concluse possono improvvisamente riaprirsi, riportando alla luce fatti e responsabilità che si credevano sepolti.
Nuove prove emergono, testimonianze inedite vengono alla luce, errori procedurali vengono corretti, e ciò che sembrava un punto finale può trasformarsi in un nuovo inizio.
La giustizia è come un fiume che scorre: a volte lento, troppo lento, a volte impetuoso. Ma una cosa è certa: non si ferma mai!
Per cui, chi è stato assolto in passato non può dormire sonni tranquilli, perché la legge ha una memoria lunga, ma soprattutto, è chi pensa di essere al di sopra di ogni sospetto che dovrebbe ricordare: nessuno è veramente al sicuro finché la verità non ha fatto completamente il suo corso.
Certo, per esperienza posso affermare che la giustizia può metterci tempo. Può sembrare distratta, distaccata, a volte persino indifferente. Ma prima o poi, ecco che ritorna. E quando lo fa, non guarda in faccia a nessuno.
Ecco perché nessuno può considerarsi definitivamente tranquillo. Basta osservare quanto sta accadendo in questi giorni: quel “dire non dire“, quei messaggi subliminali, mi sembra di essere dentro al testo di Venditti: “fanno dei giri immensi e poi ritornano“. 
E qui sembra la stessa cosa: la giustizia ha deciso di bussare nuovamente a quella porta!

Lettera aperta al Presidente Trump: mi consenta di consigliarLe un piano concreto per la stabilità in Ucraina.

Presidente Trump, dando seguito a quanto anticipato nel post di ieri, mi consenta di provare a delineare una possibile soluzione che, grazie a Lei e quindi agli Stati Uniti, possa risultare accettabile sia per l’Ucraina che per la Russia, cercando di bilanciare gli interessi di entrambe le parti.

Innanzitutto, ritengo sia necessario trovare una soluzione equilibrata. Bisogna quindi coinvolgere altri attori affidabili, come ad esempio l’ONU, che ridurrebbe certamente la percezione che gli Stati Uniti stiano imponendo una soluzione unilaterale.

Inoltre, è fondamentale riunire tutti gli alleati della NATO, i quali potrebbero offrire garanzie di sicurezza formali all’Ucraina. Queste garanzie potrebbero includere impegni concreti, come il mantenimento di aiuti militari difensivi e il supporto economico a lungo termine, in cambio di un cessate il fuoco e di negoziati per una soluzione politica.

Certo, va trovata una soluzione per le regioni conquistate dalla Russia in questi anni: mi riferisco a territori come Crimea, Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson.

Per questi territori si potrebbe prevedere un’autonomia regionale all’interno di un’Ucraina unita. Questo modello, già proposto in passato, potrebbe soddisfare parzialmente le richieste delle popolazioni locali filorusse senza compromettere l’integrità territoriale dell’Ucraina.

In cambio di un ritiro delle truppe russe dalle regioni occupate e di un impegno a rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina, gli Stati Uniti e l’UE potrebbero valutare una graduale riduzione delle sanzioni economiche imposte alla Russia. Quanto sopra potrebbe incentivare Mosca a collaborare.

Inoltre, gli Stati Uniti, insieme all’UE e ad altri partner internazionali, potrebbero promuovere un piano di ricostruzione per l’Ucraina, finanziando la ripresa economica delle regioni colpite dal conflitto. Questo ridurrebbe la dipendenza di Kiev dagli aiuti americani e rafforzerebbe la sua stabilità interna.

Ma soprattutto – e ritengo che questo sia il punto nevralgico per convincere la Russia ad accettare la pace – gli Stati Uniti e la NATO potrebbero formalmente rinunciare all’idea di un’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica nel breve-medio termine. Certo, questo potrebbe essere un compromesso difficile da accettare per Kiev – già… dopo che qualcuno aveva spinto quest’ultima a prendere quella decisione che ha dato il via al conflitto – ma un passo indietro potrebbe contribuire a ridurre le tensioni con Mosca.

Tale accordo porterebbe l’Ucraina a ottenere garanzie di sicurezza, mantenendo la propria integrità territoriale (con alcune concessioni locali) e avviando un processo di ricostruzione economica.

La Russia, dal canto suo, otterrebbe un parziale riconoscimento delle proprie preoccupazioni strategiche (nello specifico, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO) e, soprattutto, la possibilità di una riduzione o annullamento delle sanzioni.

Infine, gli Stati Uniti: chiudere un conflitto sarebbe una grande vittoria per il Suo Presidente, soprattutto in termini di risorse e reputazione, riducendo altresì il rischio di un’escalation con la Russia e non solo…

D’altronde, va ricordato che in questo momento, da entrambe le parti in conflitto, manca la fiducia reciproca. Qualsiasi accordo richiederebbe un forte impegno diplomatico per garantirne il rispetto e, al tempo stesso, sia in Ucraina che in Russia, ogni compromesso potrebbe essere percepito dai rispettivi nazionalisti come una sconfitta, rendendone difficile l’accettazione popolare.

Ecco perché presidente, dovrebbe provare a bilanciare la Sua retorica di “pace immediata” con la necessità di non apparire come un alleato inaffidabile per Kiev, ma viceversa come colui che cerca di fare la cosa giusta. Senza ricercare, in questa mediazione, favoritismi o vantaggi esclusivi per gli Stati Uniti a scapito di tutti gli altri, come invece sembra stia accadendo in questi giorni con l’introduzione dei dazi.

Presidente Trump, la ringrazio anticipatamente se avrà modo di leggere questo mio post e auspico che, da una lettura serena, si possano cogliere le opportune riflessioni nelle mie parole, riconoscendo la strada più saggia, che rappresenta il Suo stesso desiderio: giungere in tempi celeri alla parola “pace”.

Con stima e rispetto, Nicola Costanzo.

La doppia faccia di Trump: pace o sottomissione?

Il presidente ucraino ha espresso forte disappunto per le recenti politiche di Donald Trump, che sembrano forzare Kiev a sottomettersi alla volontà americana. 
Trump, nel tentativo di accelerare la fine del conflitto, minaccia di tagliare gli aiuti finanziari e militari all’Ucraina se non accetterà le sue condizioni. 
Una mossa che, più che favorire la pace, rischia di avvantaggiare la Russia, già protagonista di un’aggressione che ha portato all’occupazione di vasti territori, dal Donbass alla Crimea.

Trump sembra dimenticare chi sia il vero aggressore in questa guerra: la Russia, che ha invaso l’Ucraina, non il contrario. La sua pressione su Kiev, invece di rafforzare la resistenza ucraina, rischia di indebolirla, costringendo il paese a scelte dettate dalla necessità di sopravvivere economicamente e militarmente, piuttosto che dalla volontà di difendere la propria sovranità.

In sostanza, la strategia di Trump, seppur motivata dall’intento di porre fine al conflitto, rischia di tradursi in un’implicita concessione alla Russia, consolidando il controllo di Mosca sui territori occupati e minando gli sforzi dell’Ucraina per riaffermare la propria indipendenza. Una pace imposta, insomma, che potrebbe rivelarsi più un’umiliazione che una soluzione.

Ma c’è di più: questa forzatura rischia di creare un pericoloso precedente!

Se l’Ucraina cede alle pressioni di Trump, il messaggio inviato alla comunità internazionale è chiaro: un paese aggredito può essere lasciato solo, costretto a negoziare con il proprio aggressore sotto la minaccia di perdere il sostegno dei propri alleati. 

Questo non solo mina la credibilità degli Stati Uniti come garante della sicurezza globale, ma rischia anche di incoraggiare ulteriori azioni aggressive da parte della Russia o di altri attori internazionali.

Inoltre, Trump sembra ignorare le conseguenze a lungo termine di questa strategia… 

Una Ucraina indebolita e costretta a compromessi non sarà in grado di ricostruire il proprio futuro in modo autonomo, rischiando di diventare uno stato fantoccio diviso tra le influenze di Mosca e Washington. E mentre Trump cerca una “vittoria politica” immediata, il prezzo più alto lo pagherà il popolo ucraino, già provato da anni di guerra e occupazione.

E allora, osservando attraverso i media internazionali quanto accaduto nello Studio Ovale e prendendo atto dei limiti evidenti di quei rappresentanti – mi riferisco ai due uomini più influenti della governance americana, che hanno dimostrato scarsa competenza in relazioni internazionali – spero che qualcuno, dall’altra parte dell’oceano, possa suggerire al Presidente Trump una soluzione concreta per porre fine rapidamente a questo conflitto.

Per questo, nel prossimo post, mi permetterò di indicare quale strada percorrere per arrivare a una soluzione definitiva e, soprattutto, equilibrata.

Non un’imposizione, né compromessi umilianti, ma un punto di partenza per ridurre le tensioni e avviare finalmente un processo di pace duraturo.

Catania: Infiltrazioni mafiose, scambio elettorale e reati finanziari.

Ieri mattina, un’operazione antimafia di vasta portata, ha portato all’arresto di una ventina di persone, tra cui figure istituzionali di rilievo, tutte accusate di reati gravissimi come associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico mafioso, estorsione e trasferimento fraudolento di valori. 

L’inchiesta, condotta dai Carabinieri del ROS, ha messo in luce un sistema criminale che avrebbe infiltrato le istituzioni locali, manipolando il processo democratico e arricchendosi attraverso attività illecite.
Tra gli arrestati figurano un deputato regionale, un consigliere comunale e il sindaco di un comune della provincia di Catania. 
Secondo gli investigatori, la famiglia mafiosa avrebbe sostenuto le campagne elettorali di questi soggetti, garantendosi in cambio favori e controllo sul territorio. Già… il voto di scambio sarebbe stato uno degli strumenti principali per consolidare il potere dell’organizzazione, che avrebbe anche gestito estorsioni ai danni di imprenditori e attività commerciali, imponendo tangenti o manodopera forzata.
L’indagine ha inoltre ricostruito una rete di trasferimenti fraudolenti di valori, con l’utilizzo di prestanome e intestazioni fittizie per creare attività economiche, tra cui imprese nel settore delle onoranze funebri, funzionali agli interessi dell’associazione. Un sistema complesso, reso possibile anche grazie alla complicità di professionisti e rappresentanti istituzionali.
L’operazione rappresenta un colpo significativo contro “cosa nostra“, ma è anche un monito sulla necessità di vigilare costantemente sulle infiltrazioni mafiose nelle istituzioni. La democrazia e la legalità non possono essere compromesse da accordi oscuri e interessi criminali.
Questa inchiesta, l’ennesima, si inserisce nel solco di precedenti indagini è dimostra ancora una volta quanto sia cruciale il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura per preservare la trasparenza e la giustizia. 
Perché non bisogna mai dimenticare come la lotta alla mafia non sia solo una questione di sicurezza, ma è soprattutto una lotta di civiltà, per difendere i valori fondanti della nostra società come il rispetto delle regole, la tutela dei diritti, la libertà di impresa e la dignità delle persone. 
La mafia quindi non rappresenta solo un’organizzazione criminale, ma un sistema che corrode le fondamenta dello Stato, minacciando il futuro delle nuove generazioni. 
Per questo, ogni operazione come quella compiuta ieri, non è solo una vittoria delle forze dell’ordine, ma un passo avanti per affermare che la legalità e la giustizia sono l’unica strada possibile!!!
Come ribadisco spesso, a difesa delle persone indagate, è fondamentale rispettare il principio della presunzione di innocenza e attendere che l’inchiesta giudiziaria segua il suo corso, conducendo alle necessarie verifiche e accertamenti. Solo così, attraverso un processo equo e completo, è possibile garantire giustizia e tutelare i diritti di tutte le parti coinvolte.

Il problema dei cellulari nelle carceri e il controllo mafioso.

Il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, così come il collega, procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha recentemente riportato l’attenzione su un problema gravissimo e troppo spesso sottovalutato: la presenza di cellulari all’interno delle carceri. 

Ardita ha sottolineato con fermezza che «un telefono in mano a un boss in carcere è il mezzo con cui si ordina un omicidio». Una dichiarazione che non lascia spazio a dubbi: la possibilità per i detenuti, soprattutto quelli legati alla criminalità organizzata, di avere accesso a dispositivi mobili rappresenta una minaccia concreta non solo per l’ordine pubblico, ma per la sicurezza stessa delle istituzioni.

Già il 28 giugno dello scorso anno, in un post che potete trovare a questo link https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/07/il-procuratore-di-napoli-nicola.html, avevo affrontato questa questione, denunciando la superficialità con cui viene gestita. 

La soluzione, a mio avviso, è semplice e alla portata: basterebbe installare dei disturbatori di frequenza, meglio conosciuti come “jammer”, per impedire l’uso di dispositivi elettronici all’interno dei penitenziari. Questi strumenti bloccherebbero le comunicazioni illegali, impedendo ai detenuti di controllare attività criminali esterne o di impartire ordini.

Tuttavia, quando lo stesso procuratore Gratteri propose questa soluzione, gli fu risposto che non era fattibile perché: come farebbe la polizia penitenziaria a comunicare?. Una risposta che lascia perplessi: i telefoni fissi, forse, sono stati eliminati? E poi, è evidente che la maggior parte degli addetti ai lavori, utilizza i cellulari non tanto per emergenze, ma per connettersi ai social network, giocare online e quindi probabilmente per distrarsi dal proprio compito.

L’ultimo blitz antimafia della DDA di Palermo ha rivelato una realtà sconcertante: i boss detenuti potevano contare su SIM e cellulari introdotti illegalmente nelle celle. Questo solleva una domanda inevitabile: dove sono finiti i controlli? Come è possibile che strumenti così pericolosi riescano a entrare così facilmente in strutture che dovrebbero essere ad alta sicurezza?

Mi stupisce che qualcuno si sorprenda ancora della permeabilità delle carceri italiane. È un problema noto, prevedibile e, purtroppo, sistematico. Le carceri sono ormai sotto il controllo della criminalità organizzata, eppure molti preferiscono far finta di nulla. Basterebbe guardare serie TV come “Il Re“, interpretata da Luca Zingaretti, per rendersi conto di quanto la realtà sia spesso drammaticamente vicina alla finzione. Le scene della serie, girate all’interno di veri istituti di detenzione (ora dismessi), mostrano con crudo realismo le dinamiche di potere, le violenze e le difficoltà che caratterizzano la vita carceraria, non solo per i detenuti ma anche per il personale penitenziario.

In questo contesto, le dichiarazioni del procuratore di Palermo Maurizio De Lucia lasciano ancora più interrogativi. Alla domanda sulle responsabilità della polizia penitenziaria, De Lucia ha risposto: «Al momento non risultano responsabilità». Ma allora, cosa non ha funzionato? Secondo il procuratore, la responsabilità è da attribuire a una «sciagurata scelta di gestione». Con il pretesto del sovraffollamento carcerario, si è deciso di aprire le celle dei mafiosi, permettendo ai detenuti più pericolosi di circolare liberamente e di assumere il controllo dei penitenziari. Una scelta che non solo ha compromesso la sicurezza, ma ha anche portato a un’impennata di reati, atti di autolesionismo e suicidi tra i detenuti più deboli.

In sintesi, quello che sta accadendo nelle carceri italiane è un cedimento strutturale, un’erosione della sicurezza e dei diritti dei detenuti, mascherata dall’alibi della tutela umanitaria. È ora di affrontare il problema con decisione, senza più alibi o superficialità. La posta in gioco è troppo alta: la sicurezza dello Stato e la credibilità delle sue istituzioni.

Piogge e buche: guida pratica per il risarcimento danni.

Con le recenti piogge, le strade della nostra città sono tornate a riempirsi di buche, trasformandosi in veri e propri “groviere”. 

Nonostante i suggerimenti avanzati in passato – vedasi link: https://nicola-costanzo.blogspot.com/2025/01/sindaco-trantino-basta-rattoppi-mi.html – la situazione sembra invariata, forse per mancanza di risorse o per altre priorità, il problema persiste.

Ma cosa possono fare i cittadini quando subiscono danni a causa di una buca stradale, specialmente se nascosta dall’acqua? 

Ecco una guida pratica per richiedere il risarcimento al Comune.

Partiamo dalla responsabilità del Comune: cosa dice la legge?

La giurisprudenza si è spesso occupata di casi legati a incidenti causati da buche stradali. Tuttavia, il diritto al risarcimento non è automatico: dipende da fattori come le condizioni del luogo, la visibilità dell’ostacolo e il comportamento della vittima.

Esistono due principali interpretazioni giuridiche:

Responsabilità extracontrattuale (art. 2043 cod. civ.): il danneggiato deve provare che il Comune ha omesso la manutenzione stradale.

Responsabilità oggettiva (art. 2051 cod. civ.): il Comune è automaticamente responsabile, a meno che non dimostri che l’incidente è avvenuto per caso fortuito.

La seconda interpretazione è generalmente più favorevole ai cittadini, ma è essenziale prepararsi adeguatamente.

Cosa fare subito dopo l’incidente?

Se si cade in una buca, è fondamentale raccogliere prove sin da subito:

Fotografare la buca (dimensioni, posizione, eventuale presenza di acqua).

Identificare testimoni che possano confermare l’accaduto.

Recarsi al Pronto Soccorso e conservare tutta la documentazione medica (referti, prescrizioni, ricevute per farmaci e visite specialistiche).

Quali sono le prove necessarie per il risarcimento?

Per ottenere il risarcimento, è necessario dimostrare:

L’esistenza della buca (attraverso foto o video).

La pericolosità della buca (ad esempio, se era nascosta dall’acqua o in un’area scarsamente illuminata).

Il nesso causale tra la buca e il danno subito (testimonianze sono fondamentali).

Come procedere quindi con la richiesta di risarcimento?

Inviare una diffida al Comune tramite PEC o lettera raccomandata, descrivendo l’accaduto, allegando le prove raccolte e quantificando il danno subito.

Dare un termine di 15 giorni per una risposta. Se il Comune non risponde o rifiuta, si può procedere legalmente.

Analizziamo il processo civile…

Se il Comune non risponde o nega la responsabilità, è possibile avviare una causa civile. Tuttavia, è importante valutare i costi (onorari legali, contributo unificato, perizie tecniche) che, in caso di vittoria, potranno essere recuperati dal Comune.

In conclusione, cadere in una buca stradale può causare danni fisici ed economici significativi. Tuttavia, con le giuste prove e una procedura corretta, è possibile ottenere il risarcimento dal Comune. 

La chiave è agire tempestivamente e documentare ogni dettaglio.

Tra promesse e realtà: il futuro dell’Ucraina nelle mani di Trump e Putin.

“Trump potrebbe contribuire a porre fine al conflitto in Ucraina, ma una soluzione definitiva non si realizzerà prima del 2026?”.

A novembre dello scorso anno avevo scritto questo post in cui sostenevo che un nuovo Presidente degli Stati Uniti, come poteva essere il candidato Donald Trump, avrebbe potuto stravolgere gli obiettivi militari fin quì predisposti e sospendere tutte le operazioni militari in corso, abbandonando di coseguenza lo “scopo” iniziale per cui si era dato il via alla guerra, tradendo così tutte le promesse fatte al Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. 

Ora, alla luce degli ultimi sviluppi, questa prospettiva sembra più che mai attuale…

Infatti, il rischio di un “dietrofront” americano è ormai un fatto certo, ma non solo, abbandonare il popolo ucraino in guerra e rinunciare al sostegno internazionale precedentemente offerto, potrebbe anche compromettere tutta la politica finora espressa dal Presidente Zelensky. 

Un tale passo infatti isolerebbe ulteriormente l’Ucraina e portare anche al potere un nuovo leader, forse più incline a compromessi con la Russia pur di ottenere rapidamente la pace. Quest’ultimo infatti potrebbe accettare le concessioni territoriali richieste da Vladimir Putin, abbandonando definitivamente le aspirazioni di una modernizzazione dell’alleanza e della sicurezza europea.

Analizziamo quindi quel è la posizione di Zelensky e il nuovo ruolo del presidente Trump.

Nessuno desidera la pace più dell’Ucraina. Come ha dichiarato Zelensky sui social dopo una recente telefonata con Donald Trump, “Insieme agli Stati Uniti, stiamo tracciando i nostri prossimi passi per fermare l’aggressione russa e garantire una pace duratura e affidabile”. Come ha detto il presidente Trump, “facciamolo“. Zelensky è pronto a colloqui in qualsiasi formato, purché ci siano garanzie che l’America e l’Europa non abbandoneranno l’Ucraina”. Tuttavia, ha sottolineato che un conflitto congelato non risolverebbe il problema, ma porterebbe a ulteriori aggressioni russe in futuro.

Il piano di Trump e le reazioni internazionali

Donald Trump ha annunciato l’avvio di negoziati con Vladimir Putin per porre fine alla guerra, definendo la telefonata con il leader russo “lunga e produttiva“. I due hanno concordato di far iniziare immediatamente le trattative, con l’obiettivo di raggiungere una soluzione duratura. Tuttavia, il Cremlino ha smentito di aver ricevuto proposte concrete per avviare i negoziati, sottolineando che qualsiasi accordo deve tenere conto degli interessi legittimi della Russia, inclusa la questione dell’espansione della NATO e dei diritti dei russofoni in Ucraina 4810.

Ma a quali condizioni e quale sarà il futuro dell’Ucraina???

La Russia insiste sul fatto che una soluzione definitiva richiederebbe il riconoscimento delle “nuove realtà” sul campo, come il controllo russo su Crimea, Donbass e altre regioni occupate. Mosca ha anche proposto di basare i futuri negoziati su un documento del 2022 che prevede lo status di paese non allineato e non nucleare per l’Ucraina, insieme alla sua smilitarizzazione. Tuttavia, Zelensky ha ribadito che l’Ucraina non rinuncerà alle sue aspirazioni di adesione alla NATO, anche se ciò significasse raddoppiare gli sforzi per costruire un esercito forte e autonomo..

In conclusione, mentre Trump sembra determinato a porre fine al conflitto, le sue proposte potrebbero portare a un congelamento della guerra piuttosto che a una soluzione definitiva. 

Questo nuovo scenario rischierebbe di lasciare l’Ucraina in una posizione di vulnerabilità, con il rischio di future aggressioni russe. La pace, quindi, non sarà facile da raggiungere e potrebbe richiedere anni di negoziati e compromessi. 

Come ha detto Zelensky, “Chi passerà alla storia come vincitore? Nessuno. Sarà una sconfitta assoluta per tutti”!!!.

Dalla teoria alla realtà: il laser HELIOS e il mistero sulla morte di Raisi…

Quando ho scritto il post “IRAN: incidente o omicidio? Questo è il problema!!!” – link: https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/07/iran-accident-or-murder-that-is-question.html molti hanno pensato che l’ipotesi descritta dal sottoscritto, fosse parecchio fantasiosa…

Eppure, dopo alcune iniziative militari da parte di alcuni Stati, ecco che ora anche il Pentagono ha reso pubblica l’immagine del nuovo sistema d’arma laser HELIOS, integrato sul cacciatorpediniere USS Preble (DDG-88) della classe Arleigh Burke, appartenente al cd. Flight IIA.

Cosa dire, quanto sembrava fantasioso è ora  installato a bordo di una nave militare con l’acronimo “High Energy Laser with Integrated Optical Dazzler and Surveillance”, un sistema sviluppato dalla Lockheed Martin, impiegabile per la difesa aerea, la ricognizione e l’accecamento dei sensori da parte delle unità di superficie della US Navy.

Quello che sembrava improbabile ha un nome, “HELIOS”, un laser ad alta energia con abbagliatore ottico integrato e sorveglianza , ed è diventato realta!!!.

Non è stato specificato quando sia stata scattata l’immagine diffusa dal Pentagono, estrapolata da un video girato a bordo di un’altra unità della US Navy, tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il USS Preble potrebbe potrebbe non esser l’unica nave della Marina degli Stati Uniti ad essere equipaggiata con questo sistema d’arma laser, ma forse anche altri strumenti, ad esempio droni ad alta quota, potrebbero esser già stati equipaggiati per colpire obbiettivi a terra o in volo…

Inoltre, sempre nell’ambito del progetto “HELCAP” – High Energy Laser Counter Anti-Ship Cruise Missile (ASCM) – è previsto lo sviluppo di un sistema laser da ben 300 kW di potenza che dovrà assicurare alle unità di superficie della US Navy la difesa da missili antinave da crociera.

Ma c’è di più… a dispetto di quanto si possa credere, si è già dato il via a nuove armi laser, vedasi ad esempio i nuovi sistemi laser denominati

– Weapon System Demonstrator (LWSD) Mk 2 Mod 0 ,150 kW , èUSS Portland (LPD-27) della classe *SanSant’Antonio .

– Optical Dazzler Interdictor Navy (ODIN) èottocacciatoredi Arleigh Burke .

– HELCAP (High Energy Laser Counter Anti-Ship Cruise Missile – ASCM), di ben 300 kW ,

Cosa dire, quanto accaduto all’ex presidente Iraniano Raisi, mi conferma ancor più come l’ipotesi formulata allora dal sottoscritto, abbia in se poco di fantasioso; viceversa conferma come le notizie che vengono solitamente riportate dai media, raccontano soltanto una parte della realtà, perché la verità come sempre accade, è quasi sempre diversa!!!!

Ed allora: esiste un legame tra queste nuove armi laser e il caso Raisi??? Chissà… forse un giorno sapremo la verita!

Come smantellare il modello operativo della criminalità organizzata?

Sì… per smantellare il modello operativo della criminalità organizzata, è necessario un approccio più articolato e soprattutto su più livelli. 
Innanzitutto, le forze dell’ordine debbono essere dallo Stato sostenute affinchè possano rafforzare le indagini per smantellare le strutture delle organizzazioni criminali e contrastare così tutte quelle attività ad alta priorità, mettendo in atto altresì la cooperazione transnazionale tra gli Stati membri dell’UE.

Un altro aspetto cruciale infatti riguarda l’eliminazione delle risorse finanziarie della criminalità organizzata! 

Bisogna colpire i profitti generati dai gruppi criminali attraverso il rafforzamento delle leggi sul sequestro e la confisca dei beni illeciti. Inoltre, un attento monitoraggio delle operazioni finanziarie consentirà di individuare e bloccare i flussi di denaro sospetti, prevenendo così il riciclaggio. E’ fondamentale la collaborazione con il settore privato, incluse banche e imprese, diventa quindi essenziale per intercettare transazioni anomale e spezzare i circuiti di finanziamento illecito.

Parallelamente, occorre prevenire l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale. L’acquisizione di aziende in difficoltà da parte di gruppi criminali rappresenta una minaccia concreta e, per contrastare questo fenomeno, è necessario potenziare la vigilanza sugli investimenti sospetti e introdurre misure di supporto per le imprese in crisi, così da sottrarle all’influenza delle organizzazioni malavitose.

Un altro pilastro essenziale riguarda la protezione delle istituzioni e della società civile. 

La corruzione, strumento principale della criminalità organizzata, deve essere combattuta con politiche di trasparenza più rigorose, maggiore protezione per i whistleblower e controlli stringenti sui funzionari pubblici. Inoltre, diventa prioritario sensibilizzare la cittadinanza sui rischi della criminalità organizzata e promuovere una cultura della legalità, a partire dall’educazione nelle scuole, per giungere fin dentro le case degli italiani, attraverso messaggi in Tv per diffondere e incentivare l’assunzione di responsabilità del singolo verso la collettività .

Infine, l’uso della tecnologia rappresenta una leva strategica per il contrasto alla criminalità. L’intelligenza artificiale e le tecnologie avanzate offrono strumenti efficaci per individuare schemi di riciclaggio, monitorare il dark web e prevenire attacchi informatici. Le istituzioni devono investire in soluzioni digitali per migliorare l’efficienza delle indagini e garantire una risposta rapida ed efficace alle minacce emergenti.

Certo, la lotta alla criminalità organizzata richiede un grande impegno, coordinato e costante, già… non basta semplicemente perseguire i singoli reati:, ma occorre agire a livello strutturale per interrompere i flussi finanziari illeciti, rafforzare la trasparenza nelle istituzioni e impedire l’infiltrazione nell’economia legale.

Solo con un approccio sistemico e una forte cooperazione internazionale sarà possibile smantellare il modello operativo della criminalità organizzata e restituire ai cittadini quella fiducia e sicurezza, che oggi vedono ahimè molto distante.

La complicità dello Stato: un’illusoria lotta alla criminalità organizzata.

Stasera voglio riprendere un mio vecchio post del 2013. Sono passati 12 anni, ma nulla è cambiato. Anzi, molte cose sono peggiorate, forse troppe…
 
Lotta alla criminalità“. Quante volte abbiamo sentito questa espressione? Eppure, più che una lotta, sembra un’operazione cosmetica, utile a decorare discorsi preconfezionati durante campagne elettorali o celebrazioni ufficiali. Dietro queste parole non c’è la sicurezza dei cittadini, ma un teatrino politico in cui l’interesse reale è tutt’altro.

Ogni giorno, i notiziari riportano rapine, violenze, spaccio, estorsioni e altri crimini che, anziché diminuire, si moltiplicano. E lo Stato? Dove si trova quando la criminalità si evolve e cresce sotto i nostri occhi?

Si dice di non generalizzare, che lo Stato è presente e combatte. Ma i fatti dimostrano il contrario: le azioni si limitano a interventi sporadici, a operazioni dal forte impatto mediatico ma prive di un vero seguito. Nel frattempo, la criminalità si riorganizza, si insinua nei settori economici e istituzionali, trasformando il malaffare in sistema.

Dopo le stragi e le grandi operazioni di facciata, la lotta alla criminalità si è trasformata in compromesso. Non c’è prevenzione, non c’è visione strategica. L’impegno dello Stato sembra più mirato a gestire che a estirpare il problema, lasciando spazio a un sistema che ormai si nutre di collusioni, connivenze e silenzi.

Cosa serve davvero? Un sistema che prevenga il crimine prima che si manifesti? Un impegno reale nel sostenere le famiglie disagiate, educare i giovani, creare opportunità di lavoro? Pene certe, giuste e celeri, senza vie di fuga per i criminali?

Ma tutto questo rimane un miraggio, perché è qui che emerge la vera sconfitta dello Stato. La criminalità organizzata non è solo tollerata: in molti casi, è protetta. Esistono figure istituzionali che, dietro una maschera di rispettabilità, lavorano attivamente per mantenere intatto il sistema. Non per incapacità, ma per volontà.

Il punto più infame è proprio questo: lo Stato che dovrebbe combattere il crimine ne è spesso complice. Non solo con le sue omissioni, ma con le sue azioni. Chi è chiamato a rappresentare la legalità si piega a interessi privati, trasformando le istituzioni in strumenti di potere al servizio di pochi.

Il contrasto alla criminalità organizzata non è una priorità, ma una farsa. Perché cambiare lo status quo significherebbe colpire quegli stessi interessi che alimentano carriere politiche e arricchiscono chi, in teoria, dovrebbe difenderci. Fino a quando questo sistema resterà intoccabile, ogni discorso sulla lotta al crimine sarà solo una recita ben orchestrata.

Ed è questo il vero tradimento dello Stato verso i suoi cittadini: aver abdicato al suo ruolo di garante della giustizia, scegliendo di convivere con il male invece di combatterlo.

Criminalità giovanile: un futuro diverso è possibile se diamo ai giovani una vera alternativa.

Basta leggere qualsiasi studio sul fenomeno della criminalità per capire come i giovani siano i più vulnerabili a scivolare nell’illegalità. 

Le statistiche parlano chiaro: la delinquenza è più diffusa tra i giovani e raggiunge il picco tra i 20 e i 25 anni, per poi diminuire gradualmente con l’età. 

Questa tendenza evidenzia come l’attività criminale inizi spesso precocemente, alimentata dall’immaturità, dall’inesperienza e dalla difficoltà nel riconoscere i pericoli, inclusi i soggetti che spingono verso il malaffare.

I giovani, in questa fase della vita, sono più inclini a comportamenti impulsivi, ribelli e meno conformisti. 

Questi fattori, insieme a una maturità sociale non ancora pienamente sviluppata, contribuiscono a renderli più esposti alle attività illecite. Ed è proprio per questo che è essenziale intervenire: sostenere i ragazzi nel loro percorso di crescita psicologica e sociale è la chiave per allontanarli dalle lusinghe della criminalità.

Osservando in questi lunghi anni il mondo lavorativo posso affermare, senza alcuna incertezza, che i giovani coinvolti in attività criminali svolgano ruoli marginali, spesso i più rischiosi e facilmente identificabili, come furti o rapine. 

Al contrario, le attività criminali più sofisticate, come quelle nel mondo economico o ai vertici delle organizzazioni mafiose, sono riservate a chi ha raggiunto una posizione consolidata con l’età. Questo scenario rende ancora più urgente offrire ai giovani opportunità alternative che possano dare loro un senso di appartenenza e realizzazione senza dover ricorrere al crimine.

Laddove la disoccupazione e l’esclusione sociale sono più forti, l’adesione a una “cosca” spesso appare come l’unica via per ottenere promozione sociale e affermazione personale.

E allora, cosa possiamo fare? Lo Stato ha il dovere di offrire ai ragazzi percorsi di formazione, lavoro e crescita che li aiutino a dire “NO” alla criminalità, anche in contesti difficili. Dare loro una vera alternativa significa sottrarli alla morsa della criminalità organizzata, offrendo un futuro migliore non solo a loro, ma anche alla nostra società.

Se vogliamo davvero contrastare la criminalità giovanile, dobbiamo smettere con le chiacchiere sterili e investire seriamente in programmi che mettano i giovani al centro, perché ogni ragazzo salvato dal crimine è un passo verso una società più giusta e sicura per tutti.

Sindaco Trantino, basta rattoppi! Mi consenta una soluzione definitiva per tutte queste nostre buche stradali.

In questi giorni ho notato alcune squadre di operai impegnate a riparare le numerose buche che hanno devastato l’asfalto di molte strade cittadine. 

Come spesso accade, queste riparazioni vengono giustificate attribuendo la colpa al maltempo e soprattutto alle forti piogge, già… come quelle che recentemente hanno colpito la nostra isola e in particolare la città di Catania.

Sindaco Trantino, mi consenta di sottolineare come il problema non risiede negli eventi climatici imprevedibili, anche se questi hanno di per sé una loro responsabilità, bensì ad una manutenzione stradale inadeguata e, purtroppo, in interventi di riparazione che durano appena il tempo di qualche passaggio di veicoli.

Sappiamo tutti come il materiale utilizzato per queste riparazioni, chiamato “asfalto a freddo“, viene solitamente impiegato per riempire buche in zone già asfaltate o per ripristinare piccole superfici, evitando così di rifare l’intero processo di asfaltatura, ma se pur negli ultimi anni questo prodotto sia stato di gran lunga migliorato grazie all’inserimento nel composto di elementi innovativi, lo stesso risulta ahimè essere non particolarmente resistente e ancor meno durevole, rendendo il più delle volte, quelle operazioni di manutenzione, uno spreco di tempo, manodopera e soprattutto denaro.

E il denaro, anche se è pubblico e quindi non direttamente percepito come un problema da chi lo gestisce, viene comunque da noi cittadini, che meriterebbero quantomeno una gestione più oculata e professionale. 

Ed è quindi con questo spirito che vorrei offrire un consiglio pratico per migliorare la qualità e soprattutto la durata degli interventi di manutenzione stradale.

Suggerisco di considerare l’acquisto di un’attrezzatura chiamata “Thermobox”: un container termico per asfalto dotato di coclea di scarico, che mantiene caldo e quindi facilmente lavorabile l’asfalto prodotto a caldo (non quello a freddo) dai moderni impianti di conglomerato bituminoso. 

Questa tecnologia consente di garantire una distribuzione ottimale del calore all’interno del container, grazie a un bruciatore che si attiva automaticamente quando la temperatura scende sotto un valore predefinito (solitamente tra 140° e 160°). Al suo interno, una tramoggia a “V” permette all’asfalto di convergere verso il fondo per essere distribuito con precisione sulla superficie da riparare.

L’acquisto di un Thermobox rappresenta un investimento contenuto per le casse comunali, ma garantirebbe interventi di manutenzione di gran lunga più durevoli rispetto a quelli attuali, riducendo il numero di riparazioni necessarie e migliorando la sicurezza stradale. 

Difatti, realizzare riparazioni a caldo significa assicurare una qualità che può durare anni, a differenza delle soluzioni temporanee che già dopo poche ore vengono compromesse, come purtroppo si è già verificato.

Sig. Sindaco, concludo augurandomi che questo suggerimento possa essere preso in considerazione, nella speranza di vedere presto una squadra ben organizzata, composta da pochi elementi (solitamente cinque), dotata di questa attrezzatura efficiente, impegnata a risolvere in modo definitivo uno dei problemi più evidenti della nostra città.  

Grazie quindi per l’attenzione e per l’impegno che vorrà dedicare a questo post, perché vede, non si tratta solo di risparmiare denaro, ma di restituire ai cittadini strade più sicure e di dimostrare una gestione più responsabile delle risorse pubbliche.

 

Le “spaccate” a Catania: un furto da serie TV

Questa sera vorrei approfondire un tema che sta scuotendo la nostra città: le “spaccate”!!! 
Una tecnica di furto che, per la sua complessità e precisione, ricorda alcune scene di una celebre serie TV.

L’ultimo colpo, appena compiuto, è stato pianificato nei minimi dettagli, con una scelta strategica del momento: la notte di Capodanno.

Già… mentre la città era immersa nei festeggiamenti e le forze dell’ordine erano concentrate sulla sicurezza di migliaia di turisti, attratti dall’evento in diretta su Canale 5 da Piazza Duomo, i ladri hanno colto l’occasione per agire indisturbati.

Hanno bloccato tutte le vie di accesso al centro commerciale “Centro Sicilia” utilizzando veicoli pesanti rubati: un tir, un furgoncino, un autocarro e persino un escavatore. Questi mezzi, posizionati di traverso sulle strade e successivamente incendiati, hanno reso impossibile un rapido intervento delle autorità.

Intorno alle 00:20, la banda, composta da almeno dieci elementi con il volto coperto, ha utilizzato l’escavatore per sfondare l’ingresso posteriore dell’Apple Store. In pochi minuti hanno razziato iPhone, iPad e altri dispositivi elettronici di alta gamma, caricandoli su un furgone prima di dileguarsi.

Le indagini condotte dai carabinieri del comando provinciale e dalla Sezione Investigazioni Scientifiche hanno confermato che il furto era stato organizzato con estrema cura. La scelta della notte di Capodanno non è stata casuale: il caos dei festeggiamenti, l’impiego massiccio delle forze dell’ordine in centro e il clima di distrazione generale hanno creato il contesto perfetto per agire.

Sebbene il valore della merce rubata non sia ancora ufficiale, si stima che il bottino sia di notevole entità.

Nella stessa notte, altre due spaccate hanno colpito negozi di ottica e profumeria lungo il Corso Italia. Anche in questi episodi, i malviventi hanno distrutto le vetrine, portando via merce di valore prima di sparire nel nulla.

Questi episodi evidenziano un crescente allarme sulla sicurezza a Catania. 

Come ho riportato in un precedente post: “Dopu cà a Sant’Aita a rubbaru, ci ficiru i potti di ferru”.

Non sorprende quindi che anche la direzione del “Centro Sicilia” abbia annunciato un potenziamento delle misure di sicurezza, con controlli intensificati e nuove strategie di sorveglianza.

È evidente che ci troviamo di fronte a bande altamente organizzate, capaci di pianificare e realizzare furti con modalità sempre più sofisticate. 

Come ho scritto nel titolo d’apertura, questa dinamica ricorda in modo inquietante quella della banda de “La Casa di Carta”.

A Catania cresce l’ombra delle aziende in “odor di mafia”: l’estorsione regna, la denuncia manca!!!

Il fenomeno delle aziende controllate dalla mafia è una realtà sempre più preoccupante nella nostra Sicilia, e in particolare a Catania. Un territorio dove il crimine organizzato non si limita più alle attività illecite tradizionali, ma penetra sempre più profondamente nel tessuto economico legale.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi dell’associazione artigiani e piccole imprese, il volume d’affari annuo delle mafie italiane si attesta attorno ai 40 miliardi di euro. Una cifra impressionante che collocherebbe l’industria del crimine al quarto posto in una ipotetica classifica nazionale, subito dopo colossi come Eni (93,7 miliardi), Enel (92,9 miliardi) e il Gestore dei servizi energetici (55,1 miliardi). Eppure, tale stima è ritenuta sottostimata, poiché non include i proventi derivanti dall’infiltrazione mafiosa nell’economia legale.

Le attività criminali tradizionali, come il narcotraffico, il traffico di armi, lo smaltimento illegale dei rifiuti, le scommesse clandestine, il gioco d’azzardo, l’usura e la prostituzione, continuano a generare profitti ingenti. A queste si aggiungono le infiltrazioni negli appalti pubblici e la gestione opaca delle aziende. 

In Sicilia, oltre 13.000 attività sono considerate a rischio di infiltrazione mafiosa. La situazione è allarmante: secondo recenti analisi, ben il 99% delle imprese locali risulterebbe in qualche modo controllato o condizionato dalle organizzazioni criminali. Chi non si adegua a questo sistema raramente riesce a operare, soprattutto nel settore pubblico o nei grandi appalti, spesso gestiti da “General contractor” legati a società del Nord Italia, ma comunque sotto l’egida mafiosa.

Controlli inefficaci e il fallimento della legalità formale.

Il sistema di controlli, incluso quello delle Prefetture (White list) si rivela inefficace. Basta analizzare le liste delle imprese coinvolte per scoprire come molte di queste, o i loro reali proprietari, abbiano alle spalle procedimenti penali o condanne. Nonostante ciò, queste aziende continuano a operare indisturbate, protette da una rete di connivenze e inefficienze. Si sottoscrivono Protocolli di legalità, si firmano accordi, ma tutto questo rimane sulla carta.

Nel frattempo, sotto gli occhi di tutti, prosperano sistemi fraudolenti resi possibili dalla complicità di funzionari pubblici disonesti. Questi, in cambio di mazzette, chiudono un occhio o facilitano pratiche illecite, garantendo così la perpetuazione del sistema mafioso.

Lavoro nero e violazione delle norme: l’altra faccia del problema.

Un altro aspetto cruciale è il dilagare del lavoro nero e delle pratiche irregolari. Nei cantieri e nelle aziende mancano spesso le minime condizioni di sicurezza, e i processi di qualità e rispetto per l’ambiente vengono sistematicamente ignorati. Tutto questo avviene con la tacita accettazione di una società ormai assuefatta alla corruzione e alla complicità diffusa.

La corruzione: il vero cancro della Sicilia.

Viviamo in una terra contaminata dalla corruzione sistemica, dove molti preferiscono chiudere entrambi gli occhi pur di ottenere un tornaconto personale: una raccomandazione, un posto di lavoro per un familiare, un favore da parte del politico di turno. 

In questo contesto, i valori della legalità e della dignità vengono calpestati, e chi cerca di denunciare o far emergere le verità scomode – come il sottoscritto – si ritrova ahimè isolato, criticato e persino intimidito (senza però ottenere alcun risultato concreto…).

La battaglia per la legalità deve continuare!!!

La situazione è complessa, ma non possiamo rassegnarci. La lotta contro l’illegalità passa anche attraverso la denuncia, la sensibilizzazione e la costruzione di una coscienza collettiva che non tolleri più compromessi. Solo con un impegno condiviso e coraggioso potremo sperare di cambiare davvero le cose.

Catania, come tutta la Sicilia, merita di essere liberata da questa piaga, ma sta a noi cittadini, ognuno nel proprio ruolo, fare la differenza e non cedere mai alla paura e ancor meno all’indifferenza generale.

Come previsto: Israele attacca l’Iran!!!

È finito il tempo in cui l’Iran ha fatto da regista in quell’ambiente senza mai scendere direttamente in quel set in cui si stanno svolgendo le azioni di guerra, ma restando ad osservare quel set operativo, affinché altri svolgessero la parte di attore protagonista…

Ed in questo stallo ecco che Israele, come apertamente dichiarato, ha iniziato a colpire le strutture di produzione dei missili in Iran, una circostanza che tutti attendevano, sia la comunità internazionale che anche quella Repubblica islamica…

Quindi l’attacco non è certamente una sorpresa, si tratta ora di vedere se l’Iran risponderà o meno a questo affronto e soprattutto quali suoi alleati scenderanno in suo soccorso, mi riferisco in particolare alla Cina (primo importatore di petrolio da quel paese) e alla Russia (che ha tutto l’interessa di ampliare quel conflitto in medio oriente per distrarre la comunità internazionale dal conflitto in corso in Ucraina).

E quindi: cosa farà l’Iran? Risponderà all’attacco di Israele? Rischierà che Israele distrugga tutti i suoi impianti di produzione nucleare, facendo ritornare indietro di trent’anni i programmi bellici per la produzione di una testata nucleare? 

L’Iran è stato informato da Israele che se risponderà all’attacco ricevuto, sarà investita da un’ondata di attacchi sul suo territorio e se fosse vero che l’attacco compiuto (senza intercettazioni…) ha portato alla distruzione di basi militari, sistemi di difesa aerea e missilistica, già… senza che alcun veicolo israeliano venisse abbattuto (forse due militari israeliani sono rimasti uccisi…), ritengo sia meglio rivedere certe ambizioni velleitarie, che potrebbero dimostrarsi superiori alle reali capacità di realizzarle.  

Ovviamente dal mondo intero si chiede di fermare una possibile escalation, in particolare gli USA per nome del suo portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Sean Savett, ha esortato l’Iran a smettere di attaccare Israele per interrompere il ciclo di violenza: “Esortiamo l’Iran a cessare i suoi attacchi contro Israele in modo che questo ciclo di combattimenti possa concludersi senza ulteriore escalation”.

C’è solo un modo per terminare questo conflitto ed è quello di creare un nuovo stato Palestinese smilitarizzato e un territorio a nord d’Israele nel Libano meridionale, controllato e protetto dalle forze internazionali dell’UNIFIL che non permetta ad alcun gruppo armato di crescere e destabilizzare quell’area, ed in questo proprio l’Iran, potrà diventare “ago della bilancia“, affinché tutti possano convivere in pace…

Certo… una situazione più facile a dirsi che a mettersi in pratica!!!

Vedremo difatti in questi mesi cosa accadrà…

Altro che attendere giustizia da parte dello Stato!!! La madre di Manuel Mastrapasqua (il ragazzo ucciso per un paio di cuffie), manda in diretta un messaggio a chi di dovere!!!

Questo sì che è… parlare!!!

“Ecco infatti cosa può accadere… quando non c’è giustizia!!!! Lo scrivevo nel 207 – https://nicola-costanzo.blogspot.com/2017/02/ecco-cosa-puo-accadere-quando-non-c.html ed in questi anni sono molti i casi in cui i cittadini si siano fatti giustizia, anche se – comprenderete bene – la maggior parte di essi non è stato mai riportato dai media, altrimenti ci sarebbe un far west!!!

E difatti, proprio su quest’ultimo punto avevo scritto quest’anno: “Ma in questo Paese, chi paga effettivamente per i reati commessi???” – link https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/02/ma-in-questo-paese-chi-paga.html

D’altronde cosa si vorrebbe dire ad una madre che oggi non accetta che il proprio figlio gli sia stato ucciso per meno di 15 euro e soprattutto per quanto successivamente compiuto da un genitore di quel loro figlio!!!

Il sottoscritto a luglio avendo ascoltato un’intercettazione dei genitori dell’assassino di Giulia Cecchettin avevo scritto un post intitolato: “Se questo è esser genitori: già… si comprende il perché accadono ogni giorno tragedie come quelle che purtoppo andiamo vivendo!!!” – https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/07/se-questo-e-esser-genitori-gia-si.html

Ma d’altronde con una giustizia inservibile come quella di questo Paese, dove ogni giorno assistiamo a femminicidi, omicidi, violenze e stupri commesse da bande minorili, i cui bulli – per non chiamarli con il loro nome e cioè delinquenti – perseguitano coetanei, minori, anziani ma anche anziani e  disabili, già… vili soggetti che usano la forza di gruppo contro i soggetti più deboli…   

Come ho riportato qualche giorno fa, c’è bisogno di ritornare alla “legge del taglione” per limitare queste continue violenze e bisogna includere anche i familiari di quei soggetti, sì… facendo pagare loro tutte le colpe compiute da quei loro cari…

Ad esempio nello Stato d’Israele, i familiari dei terroristi che si immolano – all’interno del territorio israeliano – in attentati suicidi, vengono immediatamente danneggiati, subendo la distruzione delle proprie abitazioni, il sequestro di tutti i beni e l’espulsione dalla regione…

Ecco, potrebbe essere questa un’idea per limitare la diffusa escalation di violenza nel nostro Paese, potendo così trasferire non soltanto i familiari di quegli individui che si sono macchiati di crimini malvagi, ma in questo nuovo “spirito di pulizia” aggiungerei anche un bel po’ di corrotti e di ladri, sì… manderei tutti verso quell’isola dispersa, insieme ai loro più intimi familiari!!! 

Peraltro non biosgna mai dimenticare che “Giustizia ritardata è giustizia negata!!!” – https://nicola-costanzo.blogspot.com/2017/05/giustizia-ritardata-e-giustizia-negata.html

Vorrei comunque concludere con una personale riflessione:  L’animo umano non appare mai così forte e nobile, come quando rinuncia alla vendetta e osa perdonare un torto!!!– https://nicola-costanzo.blogspot.com/2020/07/lanimo-umano-non-appare-mai-cosi-forte.html
Ieri ahimè si è commessa l’ennesima tragedia familiare e questo non è più possibile, ma soprattutto non è più tempo di restare inermi continuando a subire violenze gratuite da qualsivoglia problematico individuo; lo Stato e quindi il goveno nazionale, deve modificare quelle politiche sterili e inconcludenti che hanno di fatto allentato la sicurezza sul territorio, abbassando di conseguenza il livello di salvaguardia di noi cittadini che ci troviamo tra un po’ costretti – vista l’inadeguata e totale assenza delle nostre Istituzioni  – a doverci fare direttamente giustizia!!!

Sigilli a due cave abusive!!!

I controlli di forestali e degli ispettori della Regione hanno svolto delle ricognizioni usando sia l’elicottero dei carabinieri che i droni, ed è così che si è pervenuti ai sigilli per due cave risulate abusive. 

Dagli accertamenti è emerso che le due cave risultavano in esercizio e sarebbero state sfruttate in assenza dell’autorizzazione previste.

Per cui, effettuati i dovuti controlli, sono stati sequestrati tutti i macchinari presenti e anche i rifiuti da estrazione.

Come riportato sopra, il risultato dell’operazione è stato determinato attraverso la cooperazione fra i carabinieri forestali ed il Nucleo di vigilanza ambientale regionale, riguardante proprio il controllo sulle attività estrattive.

Il blitz dei militari condotto in collaborazione dei funzionari della Regione, è stato condotto in un’area caratterizzata da vaste estensioni a formare un importante comprensorio per l’attività estrattiva. 

Sono così scattati i sigilli nelle aree, una di 1,70 ettari di superficie per 12-18 metri di profondità e l’altra di 0,80 ettari per 12 metri di scavo. 

Sono stati altresi sequestrati anche rifiuti da estrazione accantonati sul posto, macchine tagliablocchi, un autocarro e un’ulteriore superficie, di circa 100 metri quadri dov’era stata allestita una discarica di rifiuti speciali (fresato di asfalto, materiale da demolizioni edili, tubi in plastica fuori uso).

Come sempre accade in questi casi sono stati indagati il proprietario delle aree e i due amministratori della società di gestione delle attività, per aver violato la “legge-cornice” sulla gestione dei rifiuti da attività estrattive e di gestione di rifiuti non autorizzata da attività estrattiva (inquinamento ambientale in zona sottoposta a vincolo paesaggistico), mancata nomina del direttore responsabile di cava e  mancata presentazione del DSS (documento di salute e sicurezza) ed anche del documento sulla stabilità dei fronti, così come prescritto dalla legge 624/1996, relativa aalla sicurezza e salute dei lavoratori nell’esercizio di attività estrattive.

Alla fine comunque vi è quantomeno una nota positiva e cioè che la vicenda sopra riportata non ha riguardato la nostra Regione, bensi essa faceva riferimento ad un’altra, sì… sempre del Sud, precisamente la Puglia…

C’è un motivo per cui ho scritto questo post ed è quello di far comprendere (a chi ovviamente desidera ascoltare, poiché come si sa…non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire) che ormai i controlli – di queste peculiari attività, come per l’appunto quella estrattiva e/o la gestione dei rifiuti – si stanno sempre più perfezionando, sì… attraverso metodologie innovative e quindi (forse) è venuto il tempo di ascoltare quel detto che dice: è meglio fermarsi e tornare indietro che continuare con il mal cominciato cammino!!!   

 

Sindaco e Assessorato alla viabilità: dov’è la sicurezza in quegli svincoli di "Fontanarossa"???

Non solo gli automobilisti, ma anche i motociclisti mettono a rischio la propria vita nel percorrere quegli svincoli della tangenziale che conducono all’Aeroporto “INTERNAZIONALE” Vincenzo Bellini (un post de “La Sicilia” del 22 c.m. riportava: “Vergognoso definire internazionale l’aeroporto di Catania” – link: https://www.lasicilia.it/lo-dico/vergognoso-definire-internazionale-laeroporto-di-catania-2211475/).

Non so quanti tra voi in quest’ultimi anni si sono recati in Aeroporto, beh… se lo avete fatto vi sarete certamente accorti delle condizioni (già… a dir poco vergognose…)  di quel tratto di strada e non mi riferisco alla sola mancata sicurezza della visibilità, ma anche alla mancata manutenzione dei guardrail e del verde presente ai margini della carreggiata (per modo di dire… ormai secco e a causa di qualche incendio “bruciato”…), cui si somma anche il rischio della cenere caduta in questi giorni…

Iniziamo comunque parlando del più grave dei problemi, che – se non sistemato – può determinare gravi rischi agli automobilisti…

Mi riferisco alla mancata illuminazione: di notte… il buio assoluto non permette di far intravvedere l’ingresso di quello svincolo o quantomeno, quando ci si accorge di esso è ormai troppo tardi per immettercisi…

Il rischio difatti è quello di finire contro il guardrail posto a separazione tra l’ingresso della rampa e la carreggiata a proseguo della tangenziale.

D’altronde non si capisce come sia possibile che ben tre torri faro (nuovissime), capaci con quei suoi fari alogeni e/o led d’illuminare tutta l’area, risultino (ritengo da almeno due anni ) non funzionanti!!!

Mi chiedo, ma com’è possibile che nessuno intervenga, perché nessuno in questa terra riscontra mai i problemi che viceversa il sottoscritto verifica, evidenzia e ahimè solitamente denuncia??? 

Già… i miei connazionali dove sono, cosa fanno, perché mai rivolgono i propri pensieri esclusivamente al proprio orticello e se ne fottono di quanto accade intorno a loro???

Mi chiedo: perché si girano dall’altro lato facendo in modo di non vedere il problema, non è questa la loro città, quella nella quale da sempre vivono e che un giorno continuerà a esserlo per i propri familiari???

Perchè quindi comportarsi così??? Sì… mi dispiace dover costatare questi loro comportamenti, insensibili e soprattutto apatici che fanno sì che tutto proceda per come viene, senza che venga evidenziata una qualche reazione e ancor meno una iniziativa volta a cambiare questo stato di cose…

Parlare poi d’iniziativa, di rispetto della cosa pubblica, del volersi riappropriare della vita sociale, dellla volontà di giungere a una condizioni minima per poter vivere in maniera serena, beh… sono tutte azioni che non vengono mai intraprese, perché si aspetta sempre che sia altri a fare il primo passo…  

Ed allora come faccio spesso da questo blog, scrivo di un problema cui sono venuto a conoscenza ed auspico che qualcuno ne prenda nota; posso d’altronde confermare come proprio nei giorni scorsi, l’Assessorato Regionale delle Infrastrutture e della Mobilità, ha dato evidenza di aver ascoltato talune mie richieste: difatti pochi giorni dopo aver pubblicato il mio post, si è intervenuti per ripristinare quei tratti di strada segnalati, certamente pericolosi…

Ora auspico che lo stesso accada per quegli svincoli (pericolosissimi) per “Fontanarossa”; d’altronde ho potuto verificare come il Sindaco Trantino, quando chiamato dal sottoscritto per la metropolitana, ha dato celerità alle richieste di alcuni miei lettori e quindi non posso che auspicare che anche questa volta, nei tempi tecnici necessari per organizzarsi e compiere quei lavori, si provvederà a realizzare quanto necessario (tra l’altro parliamo di un periodo che vedrà proprio quella zona incrementarsi, sì… a causa dei turisti che stanno giungendo in migliaia nell’isola…)

Sono sicuro che leggendo questo post – i responsabili di quell’Assessorato per la viabilità – si daranno da fare per risolvere il problema e sarò felice quindi di poter scrivere – subito dopo aver saputo che i lavori sono stati effettuati – dando risalto in maniera positiva della capacità organizzativa dei suoi  referenti comunali, gli stessi che in tante circostanze hanno evidenziato, con dedisione e professionalità, di riuscire a risolvere gran parte delle nostre consuete difficoltà… 

Ecco come aggirare le interdittive antimafia…

Lo scorso anno nel mese di luglio avevo scritto un post intitolato “Il Ponte sullo stretto??? Sì… serve ad unire gli interessi di cosa nostra con quelli della ‘ndrangheta!!!” vedasi link: https://nicola-costanzo.blogspot.com/2023/07/il-ponte-sullo-stretto-si-serve-ad.html

Ed ora che si dovrebbe dare il via ai lavori per la realizzazione dell’attraversamento stabile tra Sicilia e Calabria, ecco che improvvisamente leggo di una nuova inchiesta giudiziaria che conferma quanto da sempre indicato dal sottoscritto, mi riferisco ai controlli compiuti per le interdittive antimafia e a quelle procedure richieste dalle Prefetture indicate come “White-list”.

Sono anni che ne parlo, d’altronde basti leggersi alcuni miei post:

– 3 ottobre 2014: White & Black List…

– 4 dicembre 2015: Prevenire, proteggere e punire!!!

– 22 novembre 2019: White list??? Sì… “white”, ma solo sulla carta!!!

– 7 agosto 2020: White list: Ricordo male o tra i settori a rischio d’infiltrazioni mafiose vi è anche il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti???

– 30 settembre 2020: Qualcosa in quella White list non funziona: già… se sei certificato, devi dimostrare ogni anno la tua idoneità, mentre se si è in attesa, no!!!

– 1 ottobre 2020: Nuove direttive per quei settori a rischio infiltrazioni mafiosa…

– 2 dicembre 2021: Già… la chiamano “informazione antimafia interdittiva”!!!

– 22 maggio 2022: L’ombra della guardiania: un mondo sommerso che sopravvive grazie ad un inefficace controllo istituzionale!

– 14 marzo 2024: La Sicilia, seconda per provvedimenti interdittivi!!!

– 16 giugno 2024: Infiltrazioni mafiose e imprenditoria, camminano a doppio binario!!!

– 16 ottobre 2020: Già… sembra incredibile, eppure il malaffare si rivela proprio in quei settori che si pensano essere regolari!!!

Mafia, fondi del PNRR, professionisti vari tra cui, ingegneri, architetti, geologi, tecnici, ed ancora, avvocati, commercialisti, ma anche dipendenti pubblici “infedeli”, tra cui dirigenti, funzionari ed anche politici, fanno parte di quel pacchietto necessario affinchè l’illegalità possa trionfare …

Come ripeto spesso: insegui il denaro e trovi il malaffare!!!

Ho letto stamani un articolo pubblicato su una pagina web siciliana che descriveva in maniera perfetta le modalità su come aggirare quelle interdittive antimafia e soprattutto la facilità con cui certi noti “General Contractor” hanno permesso –attraverso quei loro incaricati alla verifica dei protocolli di legalità– l’ingresso nei propri appalti ad imprese e fornitori certamente discutibili…

Qualcuno potrebbe chiedersi quali siano le motivazioni che determinano – nella maggior parte dei casi – il voler inserire all’interno di quegli appalti un così “ambiguo” assortimento d’imprese: beh… il sottoscritto se interpellato potrebbe mettere per iscritto un  elenco con tutta una serie di ragioni… ma d’altronde posso aggiungere in questa sede che c’è stato un tempo che chi di dovere è stato informato, mi riferisco ai cosiddetti CEO (Chief Executive Officer) di talune Holding, e difatti, molto dopo quella presa d’atto è stato attenzionato: sì… per riportare all’interno di quelle sue affiliate e non solo, le previste procedure di “legalità”, ma anche di sicurezza, qualità e ambiente!!!