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Ogni guerra ha un debito che la storia farà pagare!

C’è qualcosa di stranamente familiare nel modo in cui i conflitti si ripetono, come se la storia fosse un palcoscenico su cui gli stessi attori, con maschere diverse, recitano sempre lo stesso dramma. 

I raid aerei sugli impianti nucleari iraniani non fanno eccezione e hanno immediatamente acceso quel vortice di dichiarazioni contrapposte che ormai conosciamo fin troppo bene. 

Da una parte, l’Iran ribadisce con orgoglio che il cemento può essere distrutto, ma la conoscenza umana no, che le strutture crollano ma non la volontà di costruirne di nuove. 

Dall’altra, Washington risponde con quel tono asciutto e calcolato che le è proprio, come a dire che la pace ha un prezzo e quel prezzo si paga in termini di forza, minacce e dimostrazioni di potere.

Ma al di là delle parole ufficiali, al di là dei comunicati stampa e delle analisi strategiche, ciò che veramente si muove sotto la superficie è qualcosa di meno visibile e molto più pericoloso: il risentimento!

Non è solo una reazione immediata, non è semplice indignazione politica, ma è un sentimento che si incarna nelle persone, nelle culture, nei racconti che i popoli si tramandano nel tempo. 

Quando Teheran dice che non dimenticherà, non sta facendo una promessa di vendetta, sta seminando un seme. E quel seme crescerà, anche a distanza di anni, di decenni, di secoli, diventando parte del tessuto identitario di un intero popolo.

Gli esperti, intanto, continuano a parlare di equilibri, di deterrenza, di accordi da negoziare o imporre. Come se tutto questo potesse essere gestito con un foglio di calcolo, dove ogni azione corrisponde a una reazione misurabile. 

Ma nessun modello riesce davvero a tenere conto della profondità emotiva di un popolo ferito, dell’accumulo di offese che si sedimentano nel tempo, diventando materia viva della memoria storica. Perché ogni colpo sparato, ogni missione compiuta, ogni parola pronunciata con arroganza, lascia un segno che va ben oltre il momento in cui le armi smettono di sparare.

E allora ci chiediamo, quasi senza rendercene conto, quanto durerà questa rabbia? Quante volte tornerà a galla, mutando forma, travestendosi da nuovo nemico, nuova causa, nuovo conflitto? Perché qualsiasi guerra, anche quella che si crede giusta, porta con sé un carico di dolore che non si esaurisce mai del tutto. Si trasforma, si nasconde, si accumula dentro le pieghe della storia, fino a che non trova un’altra occasione per manifestarsi.

Quel che resta dopo i bombardamenti non è solo il cemento spezzato o le strutture danneggiate, ma uno squarcio aperto nel rapporto tra due mondi, due visioni, due modi diversi di stare al mondo. E quando il rumore degli aerei si sarà spento e i riflettori si saranno spostati altrove, resterà quel silenzio pesante, fatto di domande che nessuno sa davvero come risolvere. 

La pace, quando arriverà, sarà fragile. Sarà provvisoria. E soprattutto, porterà con sé il peso delle scelte di oggi, scelte che altri dovranno sopportare, comprendere e forse, un giorno, pagare.

e adesso, Signore, che si fa???

Il Vescovo di Ascoli Piceno, monsignor Giovanni D’Ercole, durante la celebrazione del rito funebre ha detto: “e adesso, Signore, che si fa? Quante volte, nel silenzio agitato delle mie notti di veglia e d’attesa, ho diretto a Dio la stessa domanda che mi sono sentito ripetere da voi in questi giorni… 
A nome mio, nel nome di questa nostra gente tradita dal ballo distruttore della terra… adesso che si fa? Mi sono rivolto a Dio Padre, suscitato dall’angoscia, dall’avvilimento di esseri umani derubati dell’ultima loro speranza…“.
Caro Monsignore, sono certo che difficilmente il Signore avrà trovato del tempo per venirle a rispondere…
Io diversamente da Lei… ho fatto uno strano sogno e vorrei raccontarglielo…
C’era un uomo su un palco che parlava ad una moltitudine di persone e tutte quella gente lì sotto, stava in silenzio ad ascoltarlo…
In quel sogno, anch’io tentavo di comprendere il senso di quelle parole proferite che ora qui tento di riproporre…
Sono certo che nel farlo, non sarò preciso, salterò alcune citazioni, qualche frase, un richiamo, sì… la mia narrazione potrà non essere accurata, ma proverò comunque a rappresentare quel discorso che, potrà comprendere, s’addice perfettamente al momento che ognuno di noi sta vivendo… 
Ecco quanto comunicava: “sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese; questa giornata è un faro di speranza per milioni di uomini e donne, bruciati purtroppo oggi dell’avida ingiustizia… 
Ma ancora adesso, quegli uomini e quelle donne non sono libere; dopo anni… vivono su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale, languendo ancora ai margini della società ed esiliati nella loro stessa terra…
Per questo siamo venuti qui, per rappresentare la nostra condizione vergognosa… possiamo dire in un certo senso che, se siamo venuti qui, nella nostra capitale è per incassare un assegno!!!
Quando gli architetti di questa nostra “Repubblica” scrissero le sublimi parole della Costituzione, firmarono un “pagherò” del quale ogni cittadino sarebbe diventato erede…
Questo “pagherò” permetteva che tutti gli uomini, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità!!!
È ovvio a tutti che, nel nostro paese… è venuto meno questo “pagherò”, per ciò che riguarda i suoi cittadini…
Invece di onorare quel suo sacro obbligo, ha consegnato di contro ai propri abitanti un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”… perché qualcun altro li ha già presi prima!!!  
Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti… nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. 
E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia!!!
Questo non è più il momento in cui ci si possiamo permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi con modi tranquillante… 
Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della “corruzione” al sentiero radioso della giustizia; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia alla solida roccia della equità e fratellanza sociale; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio… 
Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento!!! 

Questa estate soffocante della legittima impazienza di tutti i cittadini onesti non finirà, fino a quando, non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà e uguaglianza!!!

Non ci potrà mai essere… né riposo né tranquillità fino a quando non saranno riportati nella giusta equità i diritti di tutti i cittadini… 
Continuando così, non ci potrà essere pace e i turbini della rivolta, continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia!!!
Cerchiamo però di non soddisfare mai la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. 
Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. 
Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa, degeneri in violenza fisica… 
Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica, con la forza dell’anima…
E’ tempo di impegnarci tutti, bisogna marciare per sempre in avanti e non si può più tornare indietro… e perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno… 
E’ un sogno profondamente radicato… quello che un giorno, questa nazione, si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni…
Io ho davanti a me un sogno, quello di vedere finalmente una grande nazione… per l’appunto la nostra!!!
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni paese… da ogni borgo, da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, sapranno unire le mani e cantare queste parole: “Liberi, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo finalmente liberi”… 
Caro Monsignore, l’uomo del sogno era Martin Luther King….
E’ strano come quelle parole gridate con vigore e ad alta voce, possiedano quelle stesse connotazioni che oggi si hanno in risentimento, su quanto sta accadendo nel nostro paese… 
Un paese il nostro disperato, in cui si sentono in lontananza le urla di chi sta piangendo i propri cari, quell’insistente dolore delle famiglie che sanno d’aver perso tutto, anche i propri semplici ricordi di una vita… e noi tutti, se pur uniti in questa sofferenza, siamo ahimè già consapevoli che, appena si spegneranno i riflettori dei media, ci si dimenticherà (per come è già accaduto in precedenti analoghe circostanze…) di loro…
Per cui Monsignore, lasciando perdere quegli eventuali consigli “sovrannaturali” richiesti… ecco, mi dica, non adesso, ma allora… cosa si farà???