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Ingroia accusa Pignatone: “Era in rapporti con i boss della mafia”!!!

Ormai non mi soprende più nulla…

Già… anche leggere notizie come quella pubblicata dal quotidiano “Il Giornale” non suscità nel sottoscritto alcun disappunto…

Sì… perché in un qualche modo, quanto sta andando in questo epriodo emergendo, rappresenta ciò che da sempre il sottoscritto ha riportato in questo blog, in particolare quando ho raccontato su collusioni e insabbiamenti, vergognosamente compiuti da uno Stato indegno, attraverso quei suoi referenti, gli stessi che hanno permesso di fatto che quelle circostanze abiette potessero compiersi e la situazione assurda che molti di essi, ahimè ancora seduti lì, già in quelle poltrone istituzionali!!!

Ed allora leggiamo cosa racconta l’ex procuratore Antonio Ingroia: «Giovanni Brusca mi disse che il dottor Pignatone era in rapporti con uomini di mafia di peso, che era disponibile verso Cosa Nostra. Disse che lo aveva saputo da Totò Riina. Trasmettemmo i verbali alla procura di Caltanissetta dove vennero archiviati».

Se c’erano ancora dei dubbi sulla virulenza dell’uragano che sta scuotendo la magistratura intorno al «caso Pignatone», a fugarli arrivano le dichiarazioni di un ex pubblico ministero che è stato anche lui un’icona dell’Antimafia, fino allo sfortunato sbarco in politica. 

Ingroia era in Procura a Palermo, era con Paolo Borsellino a Marsala. Conosce bene sia Pignatone che il suo vice Gioacchino Natoli, magistrati di punta dell’antimafia a Palermo. E che entrambi siano sotto inchiesta per favoreggiamento alla mafia sembra non stupirlo affatto. Soprattutto per quanto riguarda Pignatone, «che come magistrato era l’antitesi di Giovanni Falcone, che lo osteggiò in ogni modo, e che paradossalmente è stato raccontato per decenni dai giornaloni come l’erede di Falcone».

Pignatone – che da Palermo è approdato prima a Reggio Calabria e poi a Roma, e che oggi presiede il tribunale del Vaticano – è indagato per avere aiutato Cosa Nostra e il gruppo Ferruzzi, quello di Raul Gardini, a insabbiare l’indagine dei carabinieri del Ros su «Mafia Appalti», quella che svelava i rapporti dei clan corleonesi con la grande azienda del nord. Fu quella inchiesta il movente della morte di Paolo Borsellino, che avrebbe voluto portarla avanti. E a voler affossare l’inchiesta a tutti costi fu il procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, di cui nel 1992 Pignatone era il collaboratore più fidato.

Non fu, dice Ingroia, un semplice errore di valutazione. Il problema è che Giuseppe Pignatone di quella indagine non avrebbe dovuto occuparsi perché toccava direttamente la sua famiglia. «L’indagine – spiega Ingroia – riguardava imprenditori mafiosi che avevano avuto a che fare direttamente con suo padre. Il padre di Pignatone era un ras della politica siciliana, un uomo vicino a Salvo Lima e quindi alla corrente andreottiana. Nelle carte che mandammo senza risultato a Caltanissetta c’era anche la storia degli appartamenti che i costruttori mafiosi oggetto dell’inchiesta Mafia-Appalti avevano venduto a prezzi ridottissimi, sostanzialmente regalati, alla famiglia Pignatone. Tra questi c’era quello di cui godeva il dottor Pignatone e dove credo abiti tuttora».

È lì, in questo incredibile coacervo di interessi mafiosi, imprenditoriali e giudiziari che ora – con la fatica dei trent’anni trascorsi – i nuovi capi della procura di Caltanissetta cercano la spiegazione della strage di via d’Amelio. Ingroia, va ricordato, la spiegazione l’aveva cercata da tutt’altra parte, nella inesistente trattativa tra Stato e Mafia, indagando Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e i carabinieri del Ros. E nonostante le assoluzioni in massa dei suoi indagati non demorde, «può darsi che ci sia stata una convergenza di moventi» nell’uccisione di Borsellino. Ma che il vero segreto custodito da Falcone portasse verso Raul Gardini e non a Berlusconi, ora ne è certo anche lui: «Quando Giovanni disse adesso la mafia investe in Borsa” parlava del gruppo Ferruzzi».

Anche Ingroia trova sconcertante che Pignatone, convocato dai pm di Caltanissetta, si sia rifiutato di rispondere, e ancora più sconcertante che continui a presiedere il tribunale vaticano, «si sono dimessi ministri per molto meno». Ma è contento che la congiura del silenzio stia schiantandosi.

E che magari si trovi un perché ad altri misteri di quegli anni: «Quando arrivò una segnalazione che sarebbero stati uccisi Antonio Di Pietro e Paolo Borsellino, Di Pietro venne prelevato dai servizi e portato al sicuro in Costarica. Borsellino invece non venne nemmeno avvisato, e lo lasciarono a Palermo in pasto ai suoi carnefici. Perché?».

Processo Enimont: Bettino Craxi condannato in secondo grado per finanziamento illecito!!!

Si è provato attraverso un film – magistralmente interpretato dall’attore Pierfrancesco Favino – a riscattare una parte di quell’immagine personale del nostro ex presidente del Consiglio, in particolare attraverso questa pellicola  si è provato a raccontare gli ultimi sei mesi di vita intimi di Bettino Craxi, che proprio per sfuggire alla giustizia italiana, decise di dileguarsi, stabilendosi in una villa nella città di Hammamet, in Tunisia, a cui periodicamente facevano visita la moglie e la figlia Anita…

Ciò che nel film non viene volontariamente affrontato, è il processo dove fu coinvolto per aver ricevuto una tangente da 150 miliardi di lire dalla Enimont, utilizzata secondo l’accusa per finanziare illecitamente i partiti…

Il processo si svolse a Milano tra il 1993 e il 2003 e furono coinvolti numerosi esponenti del mondo politico ed imprenditoriale… tra cui Raul Gardini, finanziere e al vertice della Montedison.

In quel periodo di diede vita alla fusione con Eni che diede vita alla “Enimont”, un colosso chimico a livello mondiale. 

L’operazione per essere portata avanti aveva però necessità dell’appoggio della politica, in termini di interventi normativi, proprio per garantire gli sgravi fiscali e quindi il perfezionamento dell’operazione.

Ecco perché si giunse alla sopraddetta maxitangente, versata attraverso l’intermediario Sergio Cusani, dirigente del gruppo di maggioranza della Montedison e da egli verso tutti i massimi esponenti politici di pressoché tutti i partiti, dalla DC al PSI dal PLI al PRI, dal PSDI alla Lega Nord!!!

Finì tra gli imputati anche Bettino Craxi, Presidente del Consiglio e segretario del Partito Socialista Italiano, il quale fu condannato in primo grado a 4 anni nel 1996 per il reato di finanziamento illecito, condanna che venne confermata in appello il 12 luglio 1997… 

La condanna come si sa… venne ridotta a 3 anni nel processo di appello bis dopo il passaggio in Cassazione… ma il reato si estinse proprio per l’avvenuto  decesso di Craxi ad Hammaet nel 19 gennaio 2000.

Certo, come sempre accade nella politica tutto si ci è rivoltato contro e così, su di egli, è calato intorno un profondo silenzio…

Certamente ingiusto, perché egli con il suo governo aveva rappresentato un momento di apice per la nostra Repubblica, in particolare nei confronti delle politiche internazionali… 

Ma di contro, come ogni politico di quel periodo, ma non solo di quel periodo, egli non ha saputo dire di no, quando doveva!!!

Ma d’altronde ditemi… chi ne ha seguito le orme, cosa ne ha fatto di questo nostro Paese, diventato negli anni il più corrotto tra gli Stati, già… dove l’illegalità e la corruzione l’hanno fatta da padrone, ma soprattutto, dove la mancanza di una giustizia certa, ha fatto sì che chiunque potesse continuare a rubare ed ahimè… a farla franca!!!

Forse è questo che ci meritiamo…