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“Contro Giovanni Falcone azione parallela di Cosa nostra e della magistratura”!!!

Affermazioni pesantissime quelle pronunciate da Claudio Martelli sulla morte di Giovanni Falcone!!!

L’ex ministro della Giustizia, è uscito con il libro «Vita e persecuzione di Giovanni Falcone», nel quale è riportato: “Giovanni Falcone era il più importante, il più capace, il più famoso tra i giudici che hanno combattuto la mafia. Per questo nello stesso giorno in cui fui nominato ministro della Giustizia lo chiamai e gli affidai l’incarico più importante del ministero, quello di direttore degli Affari Penali. Insieme, abbiamo pensato e organizzato la più organica, determinata ed efficace strategia di contrasto a Cosa Nostra. La mafia reagì uccidendo prima Falcone poi Borsellino con una violenza terroristica più efferata e rabbiosa di quella armata in precedenza contro i molti giudici, poliziotti, uomini politici che l’avevano contrastata. Pur tra tante affinità, la storia di Falcone è diversa da quella degli altri uomini dello Stato che hanno combattuto la mafia perché solo a Falcone è capitato di essere perseguitato in vita non solo da Cosa Nostra, ma anche di essere avversato da colleghi magistrati, dalle loro istituzioni come il CSM e dall’Associazione Nazionale Magistrati, nonché da politici e da giornalisti di varie fazioni. Ancora oggi di quest’altra faccia della luna poco si sa perché poco è stato detto. Fece eccezione l’amico più caro di Falcone, Paolo Borsellino: ‘La magistratura che forse ha più responsabilità di tutti cominciò a far morire Giovanni Falcone ben prima che la mafia lo assassinasse a Capaci’. Da allora sono passati trent’anni. Per rispetto di Falcone, dei ragazzi che non hanno vissuto quel tempo, degli adulti che non lo hanno capito o lo hanno dimenticato, sento il dovere di tornare a riflettere per raccontare le verità di allora e quelle più recenti che ho appreso insieme al ruolo di chi, nel bene e nel male, ne fu protagonista dentro le istituzioni dello Stato, nella società e nel mondo dell’informazione.” 

L’ex ministro è stato intervistato da “Il Giornale” e non ha lesinato pesanti critiche al mondo della giustizia: “Contro Falcone c’è stata un’azione parallela di Cosa nostra e della magistratura. La mafia aveva occhi e orecchi al Palazzo di Giustizia di Palermo. Parlando con il giornalista Francesco la Licata, una volta il giudice gli disse, a proposito dell’attentato fallito all’Addaura ‘C’è stata la saldatura’”…

“Per le toghe – dice ancora l’ex Guardasigilli Martelli – Giovanni era un nemico. Io mi dimisi perché ormai ero rimasto solo. Sul fronte antimafia, massacrato Falcone, estromesso Scotti, mi ritrovai solo. 

Mancino mi chiede tempo per difendere il decreto Falcone sul 41 bis, una misura preventiva, non punitiva per impedire che i boss mafiosi spadroneggiassero in carcere”. Parole che riaprono ancora una volta la cicatrice della strage di Capaci.

Quanto sta emergendo in questi giorni sull’attentato di Capaci, sta determinando in molti di noi un vero e proprio sgomento,  le notizie da parte di pentiti ma non solo, le inchieste giornalistiche sulle tv nazionali, ed ora le parole di Claudio Martelli, già… ho come l’impressione che qualcosa si sia rotto, che tutti i silenzi e le azioni poste a protezioni di quanto accaduto allora accaduto, stiano pian piano uscendo e chissà se finalmente comprenderemo realmente chi c’è stato sin dall’inizio dietro a quell’assassinio e che proprio a seguito di quella strage ha potuto continuare il proprio incarico e non mi meraviglierei di scoprire che fosse proprio istituzionale… 

“Mi dia del lei, io sono giudice, anzi il signor giudice”: Rosario Livatino

Nel ristorante di un albergo di Canicattì si svolge un seminario sui rapporti tra criminalità organizzata e politica alla presenza delle personalità più autorevoli del paese, mafiosi compresi. Tra i relatori c’è Rosario Livatino, sostituto procuratore del Tribunale di Agrigento. Il discorso del “giudice ragazzino“, scandisce il ritmo della vicenda, che si snoda alternando episodi di cronaca a frammenti della vita del magistrato. Mosso da un sincero ideale di giustizia Livatino è schierato in prima linea nella lotta ai clan della zona. Due famiglie, appartenenti alla stessa cosca, si contendono il comando del territorio agrigentino: quella di Antonio Forte e quella di Giuseppe Migliore. Per un gioco del destino, il boss Migliore è suo vicino di casa. 

Ogni mattina, Rosario attende alla finestra che questi esca, per evitare di incontrarlo.

Livatino vive con gli anziani genitori, Rosalia e Vincenzo, in un appartamento modesto. 
Nella sua esistenza, regolare e metodica, nonostante la professione esercitata, subentra un sentimento d’attrazione, per l’avvocatessa Angela Guarnera, designata a difendere un uomo da lui inquisito.
Tra i due inizia una tenera relazione, troncata alla vigilia del matrimonio, a causa dei pericoli cui la vita del giovane Livatino è esposta. 
Le minacce contro la famiglia non lo spaventano e emette una raffica di ordini di cattura, di cui uno ai danni del suo vicino di casa Migliore. 
Il suo equilibrio comincia a vacillare quando le persone di cui si fida, l’anziano collega Saetta e il maresciallo dei carabinieri Guazzelli, vengono trucidate dai sicari di Cosa Nostra. 
La mattina del 21 settembre 1990, mentre percorre la superstrada per Agrigento, il giudice Rosario Livatino è alle porte di Agrigento, con la sua auto sta percorrendo la statale 640 per andare al lavoro di tutti i giorni. Al chilometro 10 viene affiancato da un’altra auto e da una moto.

Una selva di colpi d’arma da fuoco investe la macchina del giudice, che va a sbattere contro il guardrail. Ferito ad una spalla Livatino fugge a piedi. Una fuga tragica e disperata nella valle sottostante. I killer lo inseguono, lo braccano come una preda, una caccia crudele, che si conclude con quattro colpi di grazia.

Quando fu ucciso Rosario Livatino aveva solo 38 anni. 
Magistrato in forze al Tribunale di Agrigento, impegnato nella lotta alla mafia, era stato allievo del giudice Antonio Saetta, presidente della Corte d’appello di Palermo, anch’egli trucidato dalla mafia su quella stessa strada insieme al figlio handicappato, e, anch’egli, come Rosario, di Canicattì.

La vicenda di questo giudice ragazzino, è la definizione che Cossiga diede a Rosario Livatino, raccontata da Nando Dalla Chiesa è importante per capire molti fatti della nostra prima Repubblica.

Con la riga dei capelli da parte, con quel suo sguardo onesto e pulito, Livatino e la sua storia ” sono uno specchio pubblico per un’intera società … e la sua morte, più che essere un documento d’accusa contro la mafia, finisce per essere – con la pura forza dei fatti – un silenzioso, terribile documento d’accusa contro il complessivo regime della corruzione. Al tempo stesso è un indimenticabile omaggio ai valori che quel regime ha inteso calpestare“.

Il consiglio che oggi a molti “ragazzini” posso dare è quello di acquistare e leggersi un libro, quello di Nando dalla Chiesa intitolato “Il giudice ragazzino: storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione”, nel quale l’autore ( figlio anch’egli di una vittima di mafia… ) riesce a narrare questa storia terribile senza perder mai di vista il contesto politico e sociale in generale e soprattutto senza risparmiare i nomi eccellenti e le tacite connivenze di quel periodo, unendo con un filo ideale fatti solo apparentemente disgiunti tra loro, per mettere a nudo quello che passerà alla storia come il “regime della corruzione“!!! 

Emanuele Piazza: Uno sbirro non lo salva nessuno!!!

Vi sono uomini che più di altri, vivono la propria vita come una missione!!!
Scelgono solitamente una professione scomoda, chissà forse per provare a dare un senso compiuto alle propria esistenza, indirizzando quotidianamente le proprie azioni nella ricerca di verità e giustizia…
Non sono dei soggetti a servizio di se stessi, non puntano ad avere glorie personali e non si lasciano limitare da esortazioni famigliari o da cautele consigliate da amici…
Loro hanno scelto d’essere ciò che sono, hanno voluto affrontare in prima persona tutti i rischi che quella divisa comportava… 
Hanno deciso di combattere, senza stare protetti dietro ad una scrivania, odiavano percepire quello stipendio indebitamente o in maniera infruttuosa e non schivano i pericoli, anzi l’affrontano, sapendo che il più delle volte per quelle operazioni, si sarebbero ritrovati da soli!!!
Ma a loro non importa, in quei drammatici frangenti, il coraggio e la determinazione, rappresentano la piena manifestazione di quella propria generosità, di quell’alto senso per lo Stato che è principalmente senso di dovere e responsabilità.
Già, ce n’è fossero come Emanuele Piazza… ed è bello vedere come in questi giorni, un autorevole scrittore abbia voluto dare il proprio contributo attraverso la pubblicazione di un libro, attraverso il quale, rende onore ed esprime ammirazione per quella autentica dedizione di un uomo, nell’interesse delle Istituzioni e dei suoi cittadini.
Aver raccontato il suo impegno personale e la sua storia professionale è certamente il modo più autentico e nobile per ricordarLo e soprattutto per riconoscere come egli abbia lasciato un segno autentico e di rilevo nella storia della Polizia Italiana…
Grazie… Emanuele.
Premessa:
Emanuele Piazza, aveva 29 anni quando, nel 1990, scomparve all’improvviso da Palermo e di lui si perse ogni traccia… 
Fu solo grazie alla perseveranza dei suoi familiari e all’impegno del giudice Giovanni Falcone se le indagini su questo caso presero avvio e -dopo molti anni caratterizzati da omertà e depistaggi- su quella sparizione, la verità venne alla luce…
Si apprese successivamente che egli, ex poliziotto, collaborasse sotto copertura con il Sisde: sembra che possedesse una lista con 136 nomi di super latitanti di mafia, tra i quali Totò Riina, Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo…
La sua missione consisteva nell’infiltrarsi presso alcuni pericolosi punti di ritrovo d’affiliati criminali, ricercando informazioni utili su quei latitanti boss, al fine di condurre le forze dell’ordine alla loro cattura. 
Una caccia ovviamente molto rischiosa, che lo condusse purtroppo ad una tragica fine, rivelata anni dopo nei dettagli, da alcuni pentiti di mafia…

Se non fosse stato per la caparbietà ed il rigore investigativo del giudice Giovanni Falcone, e soprattutto l’ostinazione dei familiari del giovane Emanuele, la verità su quella misteriosa scomparsa… ahimè, non sarebbe mai emersa… 
Sì… sarebbe rimasta misteriosa, come una di quelle tante circostanze irrisolte che il nostro Paese si porta dietro: stragi, attentati, intrighi su servizi segreti, politica, mafia, omertà, tradimenti e quant’altro di più oscuro si possa immaginare….
Ecco il perché lo scrittore palermitano Giacomo Cacciatore, ha voluto ricostruire questa vicenda drammatica ed inquietante in questo suo libro verità: “Uno sbirro non lo salva nessuno“, che ha come sottotitolo “La vera storia di Emanuele Piazza, il Serpico palermitano“!!!

Ma quel poliziotto americano FranK Vincent “Serpico”, alla fine di quella esperienza – se pur con una pallottola in faccia e un’invalidità che lo ha reso sordo da un orecchio- si è salvato, con tutti gli onori del caso (distintivo da detective e una medaglia d’onore)… Emanuele purtroppo no!!!
Di lui ci si era dimenticati…  quando sparì, nessuno s’assunse la responsabilità di cercarlo, anzi negarono peraltro l’incarico affidatogli: dissero al “SISDE” che non operava per conto loro!!! 
Oggi lo scrittore palermitano Giacomo Cacciatore, tenta in questo suo libro, di ricostruire la drammatica vicenda di Emanuele, riuscendo a fare in modo che la sparizione non venisse consegnata alla storia giudiziaria come uno dei tanti misteri d’Italia… o ancor peggio, che passasse l’abituale notizia, che Emanuele fosse fuggito con una donna…
D’altronde si sa, il nostro paese, anzi la nostra terra siciliana è esperta nel depistare le prove e a fuorviare la verità!!!

Chissà, forse ora finalmente è stato messo un ulteriore tassello su quel mosaico d’intrighi ed inganni, che hanno fatto in modo di scompaginare la realtà dei fatti… 
Speriamo almeno che con il tempo, emergeranno tutti i nomi di coloro che hanno “segretamente”  collaborato in quegli anni con la criminalità organizzata e che quindi di fatto, hanno permesso ed acconsentito alla morte di Emanuele!!!