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Le notizie riportate sui social sono come fili invisibili: quando le nostre opinioni non sono davvero nostre!

Oggi più che mai mi ritrovo a pensare a quanto siamo immersi in una rete di condizionamenti sottili e pervasivi che plasmano le nostre opinioni, spesso senza che ce ne accorgiamo. 

Viviamo in un mondo in cui ogni sistema sociale sembra aver imparato a mascherare i propri obiettivi dietro ciò che appare come spontaneo desiderio individuale, quasi come se fossimo guidati da fili invisibili che ci fanno muovere in una direzione precisa. 

Ciò che colpisce è la capacità di queste strutture di farci percepire le loro esigenze come nostre motivazioni personali, convincendoci che ciò che serve al sistema sia in realtà ciò che vogliamo davvero.

A volte questo processo avviene in modo palese, attraverso strumenti che chiamiamo educazione civica o formazione ideologica, dove i valori di un sistema vengono presentati come universali e imprescindibili. 

Altre volte, invece, tutto accade in maniera più subdola, con modelli di comportamento che ci vengono trasmessi indirettamente, quasi per osmosi, finché non diventano parte delle nostre abitudini quotidiane. 

Questi schemi, una volta assimilati, ci portano a risolvere i problemi e a prendere decisioni in modi che favoriscono la stabilità e la riproduzione del sistema stesso, senza che ci poniamo troppe domande sul perché lo facciamo.

Quello che emerge è un quadro inquietante, in cui il confine tra libero arbitrio e condizionamento diventa sempre più sfumato. Riflettendoci, mi chiedo quanto spesso le nostre opinioni siano davvero frutto di un ragionamento autonomo e quanto invece siano influenzate da chi detiene il potere politico o economico. 

È difficile non vedere come le grandi narrazioni, i messaggi mediatici e le tendenze culturali dominanti siano strumenti potentissimi per orientare le masse in una direzione precisa, spesso a nostro discapito. 

Eppure, continuiamo a credere di essere noi gli artefici delle nostre scelte, mentre in realtà siamo spesso pedine inconsapevoli di giochi molto più grandi. Forse è arrivato il momento di fermarci a riflettere su quanto siamo disposti ad accettare passivamente queste influenze. 

Dobbiamo imparare a guardare oltre le apparenze, a interrogarci sulle origini delle nostre convinzioni e a chiederci se davvero rispecchiano ciò che siamo o se sono solo il riflesso di una strategia ben orchestrata per mantenere lo status quo. 

Solo così potremmo cominciare a riprenderci un briciolo di autenticità in un mondo sempre più condizionato da interessi che non coincidono con i nostri.

Quando la mafia si maschera da normalità: il grido d’allarme di Nicola Gratteri.

Avevo appena finito di leggere un articolo che riportava le parole di un sindaco: «Gratteri a sto giro ci ha fregati» . Era il commento a caldo su un’inchiesta della Dda di Catanzaro, che vedeva coinvolto un ente locale nell’ambito di presunti favori ad una cosca. 

E così… mentre ancora cercavo di metabolizzare quel senso di amarezza, ho proseguito la mia lettura e mi sono imbattuto in un altro articolo – ancora una volta dedicato al procuratore Nicola Gratteri, ospite dell’associazione Terni Domani, guidata da Antonio Giannini. 

Durante l’incontro, Gratteri lascia cadere una frase che sembra pesare come un macigno: “Le mafie sono figlie del nostro tempo. Si adattano alla società, si mimetizzano, crescono dove trovano terreno fertile. E soprattutto, esistono perché ci interagiamo.”

Ecco, questa frase non è solo una constatazione, è una fotografia precisa, spietata, di ciò che siamo diventati. Perché Gratteri non parla mai a caso. Ogni sua parola è il frutto di decenni di lavoro sul campo, di indagini, di confronti diretti con un sistema criminale che non solo resiste, ma si evolve, si integra, diventa quasi invisibile. 

Lo fa insieme ad Antonio Nicaso nel libro “Una Cosa sola – Come le mafie si sono integrate al potere”, un viaggio lucido e doloroso dentro l’anima oscura della criminalità organizzata.

Ma allora chiedo: come nasce questa integrazione? Come riesce la mafia a radicarsi così profondamente nella vita quotidiana, fino a sembrare parte integrante del paesaggio?

Gratteri lo spiega con disarmante semplicità: “Arrivano, comprano un bar, un ristorante, magari un albergo. È lì che inizia tutto. Da quel punto cominciano a costruire rapporti, a offrire lavoro nero, a pagare poco, a radicarsi nel tessuto economico e sociale. E poi, piano piano, arrivano al controllo dei voti. Fanno votare chi decidono loro.”

Non si tratta più solo di violenza o paura. Oggi la mafia si espande attraverso il consenso. E quel consenso lo compra con piccoli gesti: un posto di lavoro, una promessa, un caffè offerto con troppa insistenza. Un dettaglio banale, forse, ma carico di significato: “Io conto, io sono rispettato. Tu devi tenerne conto.”

Così, il famoso “rito del caffè” diventa simbolo di una relazione malata tra mafia e società civile. Quanti ti offrono il caffè, quanti ti salutano con deferenza, quanti abbassano lo sguardo – tutti segnali di quanto potere tu abbia. E di quanto, talvolta, lo accettiamo senza battere ciglio.

Eppure, se la mafia si evolve, anche lo Stato dovrebbe adeguarsi. Ma qui arriva il punto dolente.

Gratteri non usa mezzi termini: “Oggi il punto più avanzato delle mafie è il darkweb. Con un telefonino qualsiasi puoi comprare armi, droga, persone. Puoi acquistare dati sensibili, informazioni compromettenti su politici, imprenditori, figure pubbliche. E usarle per ricattare, per ottenere vantaggi. La cocaina? Basta un click”.

Il web oscuro è diventato il supermercato globale del crimine. E davanti a questo scenario, alcune scelte politiche appaiono sempre più distanti dalla realtà. Quando sento parlare di riduzione delle intercettazioni telefoniche, di ritorno ai pedinamenti tradizionali, non posso fare a meno di chiedermi: ma di quale realtà stiamo parlando?

“Se posso comprare 2mila chili di cocaina con un clic, mi dite chi devo pedinare?” – chiede Gratteri. Una domanda retorica, certo, ma anche una critica diretta, un invito a ragionare sugli strumenti investigativi che, pur costosi, sono fondamentali per colpire la criminalità moderna.

E allora, dice lui, fermiamoci un attimo a guardare i numeri: “Le intercettazioni costano 170 milioni all’anno? E cosa sono, in confronto ai beni confiscati, alle centinaia di arresti, ai milioni di euro recuperati grazie a quelle stesse intercettazioni?

Gratteri non parla per spirito polemico, ma per senso di responsabilità. Dice: “Io lavoro 12 ore al giorno da oltre trent’anni per combattere la mafia. Se vedo qualcosa che non va, non resto zitto. Perché il silenzio è complicità”.

E allora viene spontaneo chiedersi: se lo Stato sa, se conosce le tecniche, gli strumenti, i metodi usati dalle mafie… perché non riesce a sradicarle definitivamente? Perché, specialmente in Sicilia, la mafia continua a condizionare la vita sociale, economica e politica?

Forse perché la mafia non è solo un fenomeno criminale. È un sistema che si alimenta di complicità, di omissioni, di connivenze. E quando i confini tra legale e illegale si fanno sfumati, quando i partiti smettono di rappresentare ideali per diventare mere caselle di scambio di favori, allora la mafia non ha bisogno di sparare: basta che stringa una mano, firmi un contratto, dia un posto di lavoro.

Ecco perché, purtroppo, la battaglia contro la mafia non è solo nelle mani della giustizia. È anche nelle nostre scelte quotidiane, nei silenzi che rompiamo, nelle cose che decidiamo di non accettare più come normali.

Gratteri ce lo ricorda con forza: “La mafia non è né di destra né di sinistra. Sta con chi garantisce favori”!

E finché ci saranno favoreggiatori, indifferenti e complici, essa continuerà a vivere. Nonostante le inchieste, nonostante gli arresti, nonostante i libri come “Una Cosa sola” che provano a svegliare le coscienze.

La vera sfida non è solo quella di perseguire i boss, ma di cambiare il modo in cui guardiamo al potere, al denaro, alla politica. E di capire che, ogni volta che voltiamo lo sguardo, siamo noi stessi a dare loro forza.

E se le Istituzioni conoscono bene il problema, allora non può esserci alibi possibile!

 Il fatto che, dopo tanti anni, la mafia continui a radicare il suo potere in Sicilia non è solo un fallimento operativo. È anche un fallimento culturale, morale, politico. Ed è un fallimento che ci riguarda tutti.

Perché finché non cambieremo il nostro sguardo, finché non smetteremo di tollerare quel caffè offerto con troppa insistenza, quei silenzi che diventano complicità, quelle promesse che sappiamo essere sbagliate ma accettiamo per convenienza… be’, allora non possiamo davvero dire di stare dalla parte della legalità.

Possiamo solo chiederci, onestamente: chi, tra noi, sta ancora permettendo che tutto questo continui?

Sicilia: quando la burocrazia diventa una tassa sul futuro!

Qualche giorno fa vi ho raccontato dei numeri che gridano ingiustizia. 

Lo stesso ho visto che ha fatto Il Sole 24 Ore che ha messo nero su bianco quanto avevo riportato: la Sicilia non è solo un’eccezione, è un autogol annunciato. 
E così, mentre il resto d’Italia semplifica, qui moltiplichiamo ostacoli. Già… mentre altrove si incentiva, qui si tassa persino l’intenzione di investire.

Ed allora analizziamo i conti che non tornano (o dovrei aggiungere: che uccidono le imprese).
Difatti, la LR 1/2025 non è un aggiornamento, è un salasso mascherato da progresso:
+1.900% per una “valutazione preliminare” (da 300 a 6.000 €).
  • Fino a 20 volte il costo di altre regioni per la stessa procedura.
  • 12.000 € solo per dimostrare di aver rispettato le regole (le famigerate verifiche di ottemperanza a 4.000 € a fase).

Ma almeno i controlli sono migliori”

No. Come ha denunciato il Dott. Alfio Grassi, Presidente del Consorzio Pietra Lavica, questi oneri sono solo un bancomat per l’autofinanziamento della burocrazia. Il paradosso? In Lombardia un’impresa virtuosa paga meno. In Sicilia, più rispetti l’ambiente, più ti puniscono.

C’è poi la beffa delle “nuove voci”…
Nove nuove tasse nate dal nulla. Come il “supplemento Sicilia” per il recupero ambientale: paghi per estrarre, poi paghi per riparare, e infine paghi per dimostrare che hai riparato. Un circolo vizioso che trasforma il ripristino ecologico in un lusso per pochi.

Il confronto che brucia:
Via/Paur: 30.000 € in Sicilia, 2.000-9.000 € in Piemonte o Campania.

– Verifica di assoggettabilità: da noi il 2‰ del valore dell’opera, in Toscana lo 0,25‰, in Lombardia addirittura lo 0,05‰.

– Ottemperanza: qui 4.000 € a fase; altrove, gratis.

E poi qualcunio dei nostri governanti regionali e aggiungerei nazionali si chiede: “perché le imprese siciliane scappano?“.
Ahimè… la verità è nota a tutti, soprattutto ai miei connazionali, che purtroppo continuano a sostenere (per proteggere i propri interessi…) chi, invece, meriterebbe ben altro trattamento.

Perché non è (soltanto) una questione di soldi, è un segnale politico chiaro: la Sicilia preferisce dissuadere anziché attrarre. Mentre le altre regioni concorrenti usano tariffe ragionevoli come leva per lo sviluppo, qui da noi viceversa, alziamo muri. 
Il risultato? Semplice,  400 imprese da 400 milioni di fatturato, rischiano di diventare un ricordo…

C’è sempre una domanda comunque che resta sospesa: Perché accettiamo di essere il fanalino di coda delle politiche ambientali? Perché trasformiamo l’ecologia in un privilegio per ricchi invece che in un’opportunità per tutti?

Sì…  mi fa piacere aver letto che anche il “Sole 24 Ore” mi dà ragione. Ma puntroppo non basta…
Serve una revisione immediata di questa legge, prima che il danno diventi irreparabile, perché il vero “costo ambientale” è quello di uccidere il futuro della Sicilia!

La criminalità che abita in noi (Parte 1).

Già… spesso pensiamo alla criminalità organizzata come a un corpo estraneo, un cancro da estirpare, un mostro da combattere.

Ma forse è proprio in questa visione che rischiamo di perdere il punto.

La criminalità non è un’escrescenza aliena rispetto alla società: al contrario, è un prodotto della società stessa, figlia di dinamiche storiche, economiche e culturali che ci riguardano da vicino. 

Non sto dicendo che siamo tutti mafiosi – evitiamo facili meccanismi autoflagellatori – ma dobbiamo ammettere di vivere in un tessuto sociale dove l’illegalità, in molte sue forme, è diventata una normalità silenziosa, talmente radicata da non farci più nemmeno accorgere della sua presenza.

Ed è proprio qui che nasce il problema: in questo contesto, la figura dell’affiliato non è più un’anomalia, ma una conseguenza quasi necessaria.

Limitarci alla semplice indignazione, allora, non serve a nulla. E ancor meno quando questa indignazione si manifesta solo occasionalmente, durante quelle “programmate” commemorazioni, senza mai tradursi in analisi profonde o azioni strutturate. Se continuiamo a fermarci alle parole, niente cambierà davvero.

C’è qualcosa che molti fanno finta di non capire: la criminalità non è una struttura immobile. È dinamica, si adatta ai cambiamenti sociali ed economici con una flessibilità impressionante. Ma non basta: da tempo essa si presenta come un modello d’impresa, operante anche su scala globale.

Oggi, infatti, i business sono ben diversi da quelli di una volta. Si va dalla gestione dei finanziamenti pubblici, allo smaltimento illegale dei rifiuti, dagli appalti per le infrastrutture alle costruzioni edilizie, fino alla gestione di attività commerciali legali. A questi si sommano, ovviamente, i traffici illegali tradizionali: droga, prostituzione, tratta di esseri umani, estorsioni. Ma soprattutto, c’è tutta una serie di metodi coercitivi, come il pagamento del pizzo, che non sempre vediamo o denunciamo.

Tutto questo genera un sistema sofisticato, fondamentale per riciclare il denaro sporco e renderlo pulito, legale agli occhi del mondo.

Ecco perché oggi la criminalità non è più quella di una volta: non si tratta più di “quattro pastori” sulle montagne, ma di vere e proprie multinazionali del crimine. Sanno dove investire, quando diversificare, come infiltrarsi nei settori legali con competenze professionali, spesso superiori a quelle di tanti professionisti onesti.

I nuovi mafiosi non sono più boss con la coppola: sono laureati, partecipano a concorsi pubblici, lavorano nella pubblica amministrazione, entrano in politica, si avvicinano alla magistratura. Usano la loro influenza finanziaria per manipolare appalti, associazioni, e soprattutto per orientare la volontà dei cittadini, fino a condizionare le loro scelte elettorali.

Non parliamo più di violenza esplicita, ma di una capacità sottile e pervasiva di normalizzare la propria presenza. Una presenza che non ha bisogno di imporsi con le minacce, perché trova terreno fertile in una società che, spesso senza rendersene conto, le concede spazi enormi.

Ecco perché i cittadini vivono una sorta di doppia appartenenza : da un lato lo Stato, dall’altro la criminalità organizzata. Due sistemi che si alternano nel ruolo di protettore e persecutore, creando una condizione psicologica e sociale profondamente ambigua.

Viene spontaneo chiedersi: da dove nasce questa ambiguità? Quali motivi vanno cercati per contrastare una cultura del successo a ogni costo, la legittimazione della sopraffazione, l’idea diffusa che la furbizia e la faccia tosta siano addirittura virtù?

Ed è proprio questa mentalità, questa idea distorta del “farla franca”, che alimenta il messaggio su cui si basa la cultura criminale. Un messaggio che non urla, non spara, ma si insinua piano piano tra le pieghe della quotidianità, finché non diventa parte integrante del nostro modo di pensare.

(Continua nella seconda parte…)

Banche "offline", panico online! E se domani toccasse a noi?

Ieri, mentre leggevo delle gravi interruzioni nei servizi bancari e digitali in Ucraina, un pensiero mi ha trafitto: e se domani toccasse a noi?

Immagina per un attimo: bancomat, app di home banking paralizzate, carte di credito ridotte a pezzi di plastica inutili. Un’interruzione tecnica? Un attacco informatico? O forse qualcosa di più profondo?

La verità è che siamo vulnerabili più di quanto osiamo ammettere. Se il sistema collassasse qui da noi – in Italia o in qualsiasi altro Paese “avanzato” – le conseguenze sarebbero devastanti. 

E no, non sto parlando di qualche ora di disagio, ma di uno shock capace di stravolgere la nostra quotidianità digitale in modo permanente.

Perché il problema non è solo tecnico, è esistenziale: in un mondo dove tutto è connesso, quando il denaro smette di scorrere, è la società stessa che va in tilt!

E quel che più mi spaventa: Siamo davvero pronti ad affrontare un’emergenza del genere o continueremo a fingere che tanto non può succedere, già… fino all’ultimo istante?

Ecco perché sono convinto che, senza interventi preventivi a tutela del sistema, il rischio sia concreto: senza piani d’emergenza solidi, quelle che oggi ci sembrano semplici interruzioni tecniche potrebbero trasformarsi domani in un vero e proprio collasso. E quando il denaro smette di circolare, nessuno – né cittadini né Stati – escono indenne dal caos.
Immaginatevi questa scena: una mattina ti svegli, prendi il caffè come sempre, apri l’app della banca per controllare lo stipendio e… nulla. Non carica. “Sarà un problema di rete” pensi. Ma poi accendi la TV, e scopri che non è soltanto un tuo problema: le carte non funzionano, i POS sono morti, gli ATM hanno smesso di erogare contanti. “Interruzione tecnica,” dicono. “Temporanea,” assicurano. Peccato che nessuno sappia quando tornerà tutto online.

E qui parte il delirio: I supermercati smettono di accettare carte, la gente inizia a svuotare i bancomat rimasti, c’è chi prova a pagare in contanti ma, sorpresa, nessuno ha più contanti, visto che ormai viviamo in un’economia digitale. 

Ecco che i social esplodono tra complottisti (che parlano di un reset globale), imprenditori in crisi (senza bonifici non pago i dipendenti!), ed il solito investitore che giura che “Bitcoin” ci salverà. Intanto, lo Stato emette un comunicato rassicurante scritto, come soltamente avviene, in “burocratese“, mentre nelle piazze qualcuno inizia a gridare di “golpe” finanziario.

E tu, nel mezzo, ti chiedi: ma davvero nessuno ha prevsito un piano alternativo? Perché se domani il sistema collassasse, non saremmo molto diversi dall’Ucraina di oggi!

La gente inizierebbe a scambiare beni come in un medioevo digitale, i negozianti tirerebbero fuori i vecchi registri a carta, e i politici litigherebbero in TV su chi è il colpevole (sarà sempre colpa dell’Europa, dei banchieri, già… dei soliti noti).

E poi arriva la domanda che brucia: ma se fosse una scelta deliberata? Un modo per “resettare” i conti, bloccare prelievi, introdurre l’euro digitale con la forza? 

La gente si dividerebbe all’istante: c’è chi impugnerebbe forconi (“metaforici, siamo pur sempre italiani…), chi correrebbe a comprare metalli pregiati o pietre preziose, e chi, semplicemente, aspetterebbe che tutto ritorni alla normalità, perché tanto alla fine si pensa sempre che tutto si sistemi…

Ma la verità è che nessuno sa davvero come andrebbe a finire. Perché siamo abituati a dare per scontato che i servizi bancari funzionino, come l’acqua dal rubinetto. E quando scopri che tutto poggia su server vulnerabili, algoritmi e decisioni di qualche tecnocrate, beh… allora sì che capisci perché in tanti stanno accumulando contanti sotto il materasso. Giusto per precauzione…

E tu, voi, da che parte stareste? A bestemmiare contro lo Stato, a organizzare rivolte su social oppure a fare scorta di cibo e scatolame, già… forse l’unica vera valuta che sopravvivrà a tutto?

Il problema: lavoro in nero e abuso dei sussidi!

Ma scusate… non erano senza lavoro ? Non ci avete sempre detto che erano in difficoltà? Che avevano bisogno del Reddito di Cittadinanza, della NASPI, della cassa integrazione, dei bonus regionali, delle moratorie sulle bollette, degli esoneri contributivi, dei sussidi per l’affitto e di tutto quel carrozzone di aiuti che – guarda caso – paghiamo noi, ogni singolo mese, con le nostre tasse?

E invece no!

Perché mentre tu, io, noi… onesti contribuenti, ci alziamo la mattina, facciamo un’ora di macchina, sgobbiamo per uno stipendio che si assottiglia tra tributi e rincari, loro hanno già trovato il modo di fregare il sistema: sì, due volte.

Prima prendono i soldi pubblici – già, i nostri soldi, il denaro di chi paga le tasse senza sgarrare – migliaia e migliaia di euro che dovrebbero servire per sopravvivere o, quantomeno, per ricevere un servizio decente. Ma nella realtà, ahimè, non è così. Loro dichiarano di cercare un lavoro, quando sanno benissimo di non cercarlo affatto. Perché lo hanno già.
Sì, perché questi individui non sono “scansafatiche“, no. Preferiscono lavorare a nero. Nessun conto corrente su cui ricevere bonifici, nessun contributo da versare né per sé né per i propri “aiutanti”, nessun rispetto per chi, al contrario, si sgola per far rispettare le regole.
Attenzione, però: non mi riferisco a chi fa lavoretti extra, magari durante il weekend o nei permessi, per arrotondare onestamente. Parlo di chi, regolarmente assunto, emette una ricevuta di prestazione occasionale, come prevede la legge. No, non è a loro che mi riferisco.
Parlo di quelli che da anni vivono di sussidi e intanto creano concorrenza sleale, evasione fiscale e, soprattutto, riciclaggio di denaro (spesso di provenienza dubbia) nei confronti di chi, viceversa, cerca di essere in regola. Già, perché questi soggetti hanno ormai una lista di clienti fissi, fatturano in nero più di un dipendente (evadendo le tasse), sfruttano manodopera irregolare (pagando quei poveretti pochi euro al giorno) e mentono, approfittandosi dello Stato per 365 giorni all’anno.
Poi, quando vengono scoperti, ecco pronta la dichiarazione: “Non trovo lavoro!”.
Ma basta fare un giro in città, preferibilmente in periferia, o in campagna, per vedere cantieri abusivi, appartamenti pieni di macerie provenienti da demolizioni illegali, muratori che lavorano a giornata, idraulici pagati in contanti, elettricisti senza fattura e giardinieri fantasma. E in campagna? Braccianti agricoli sfruttati e pagati una miseria.
E allora mi chiedo: se questi individui sono disoccupati, come fanno – quando chiamati dall’ufficio del lavoro – a rifiutare tre contratti di lavoro e continuare a percepire il sussidio? E come fanno, nello stesso giorno, a essere ufficialmente “senza impiego” e poi andare a posare piastrelle a casa di qualcuno, ovviamente in nero?
Il trucco è semplice: lo Stato (cioè noi) paga, il mercato nero (cioè loro) guadagna. E nel mezzo? Chi è onesto ci rimette due volte.
E dire che la soluzione c’è ed è anche semplice, ma purtroppo il sistema preferisce coprire questo malaffare e adottare questa strategica ipocrisia. Basterebbe eseguire controlli seri, non come avviene oggi: a campione. Ad esempio, se uno percepisce un sussidio, deve essere sempre e in ogni circostanza rintracciabile. E nel momento in cui non viene trovato, perde tutti i vantaggi dei sussidi. Punto!
Più difficile è aspettarsi che qualcuno denunci questi comportamenti. Nessuno si fa avanti per segnalare un eventuale lavoratore in nero, a meno che non ci sia un problema concreto di sicurezza. Nel frattempo, quel soggetto continua a godere di aiuti pubblici.
Bisogna sanzionare pesantemente questi soggetti, ma anche coloro che operano come datori di lavoro irregolari, perché il problema non sono i poveri, ma i furbi. E di furbi, purtroppo, questo nostro Paese ne è pieno.
E voi, lavoratori e imprenditori regolari, cosa ne pensate di tutto ciò? Fatemi sapere…

La "silenziosa" tempesta finanziaria: Trump, i mercati e lo spettro del 1929!

Già… ho come l’impressione che le mosse di Donald Trump – apparentemente aggressive e senza freni – nascondano in realtà una corsa contro il tempo. 

Sì… un percorso per evitare ciò che nessuno vuole annunciare: l’arrivo di una crisi economica di proporzioni storiche, forse paragonabile solo al crollo del 1929.

Questo mio semplice ragionamento nasce da un dato: in queste settimane, gli investitori stanno svendendo i titoli del Tesoro americano a un ritmo preoccupante.

Non si tratta di una semplice fluttuazione di mercato, ma di un alquanto segnale chiaro, anzi… troppo evidente!!!

Sì… da quando i “Treasury bonds” – da sempre considerati dagli investitori “porto sicuro” – hanno iniziato a perdere appeal; ciò significa che la fiducia nel sistema vacilla e se vacilla lì… dove il sistema dovrebbe essere più solido, allora il problema è più profondo di quanto vogliano farci credere!

Il motivo di questa fuga? Le politiche di Trump, certo…

I dazi imposti a raffica, le tensioni commerciali, l’incertezza che si è diffusa come un veleno nei mercati globali, ma c’è sicuramente dell’altro!

Mi riferisco al debito pubblico statunitense, quel mostro da 36 trilioni di dollari che incombe come un’ombra sull’economia americana; la mia sensazione, ma credo che sia anche quella più diffusa ora tra gli investitori, che proprio gli Stati Uniti potrebbero non essere più in grado di onorare i propri impegni nel lungo periodo.

E così, mentre le borse crollano, anziché rifugiarsi nei “Treasury“, epr come d’altronde hanno sempre fatto in passato, ecco che viceversa, i grandi capitali mondiali, scappano da tutto: azioni, obbligazioni, epersino i titoli di Stato! Un movimento finanziario certamente innaturale, che rompe ogni schema finora conosciuto, ed allora mi sono chiesto: quando i mercati si comportano in modo irrazionale, non è perché forse sta succedendo qualcosa di grosso? Sì… qualcosa che i media non stanno raccontando?

Trump lo ha capito bene… ed è per questo che ha annunciato – solo dopo ore aver firmato dinnanzi ai fotografi con quel suo pennarello nero – una tregua di 90 giorni sui dazi più pesanti. Non lo ha fatto per generosità, ma per mera necessità! Perché se i rendimenti dei Treasury continuano a salire, il costo del debito diventerà insostenibile e le banche, le imprese, ed anche – ahimè – i cittadini comuni, si troveranno strozzati da tassi più alti, ed allora sì che il default non sarà più un’ipotesi remota, ma uno scenario concreto!

Ma la cosa più inquietante è secondo il sottoscritto: IL SILENZIO!

Il silenzio in Europa e ancor più… nel nostro Paese, basti osservare i media, Tg nazionali, quotidiani, social nessuno parla di questa emorragia di fiducia, sì… nessuno spiega perché gli investitori stiano abbandonando persino i beni rifugio.

Ed allora mi sono chiesto: non è che forse perché, se la gente iniziasse a capire, inizierebbe anche a muoversi. A ritirare i soldi dalle banche. A disfarsi delle obbligazioni. A cercare vie di fuga che, in un sistema finanziario già fragile, potrebbero innescare il panico.

E allora viene da chiedersi se siamo davvero sull’orlo di un nuovo 1929? La storia non si ripete mai allo stesso modo, ma spesso fa rima con se stessa. E oggi, come allora, i segnali ci sono. Sono lì, nelle curve dei rendimenti, nei bilanci delle banche, nel nervosismo dei mercati, sta quindi a noi vedere, ascoltare e capire.
Sì… prima che sia troppo tardi.

Quali vantaggi avranno le mafie quando arriveranno i dazi?

Un mio lettore potrebbe chiedermi: “Scusa Nicola, ma cosa c’entrano le mafie con i dazi?”.

E allora stasera voglio spiegare come le mafie trasformeranno i dazi in un’opportunità. Perché loro, a differenza degli operatori legali, già controllano pezzi chiave dell’economia, sia legale che illegale. Hanno rapporti con la politica, con le istituzioni finanziarie, e soprattutto sanno muoversi dove gli altri devono rispettare le regole.
Con l’arrivo dei dazi, l’aumento delle tasse su molti prodotti farà esplodere il contrabbando. E chi è già pronto a vendere quelle merci a prezzi più bassi, aggirando i costi aggiuntivi? Loro. Approfitteranno dell’instabilità economica per muovere ancora più soldi illeciti e infiltrarsi ancora più a fondo nei mercati legali.
Pensate al commercio all’ingrosso, ai prodotti alimentari, ma non solo. Anche le merci vendute online diventeranno terreno di conquista, perché le mafie sanno già come operare nell’ombra del web, evitando i dazi con metodi sempre più sofisticati. E mentre loro guadagneranno, gli Stati perderanno entrate, perché evasione fiscale, riciclaggio e contrabbando sono il loro pane quotidiano.
Le dogane proveranno a fermarli, ma sarà una battaglia impari. Le mafie studiano da anni come bypassare i controlli, e i dazi non faranno che rendere più redditizie le loro operazioni. Meno soldi per lo Stato, più denaro sporco reinvestito nell’economia pulita. Per loro, sarà un affare perfetto.
Possiamo fermarli del tutto? No. Ma possiamo limitarli, con controlli più serrati alle frontiere, tracciando i movimenti sospetti di denaro, e soprattutto rafforzando la cooperazione internazionale tra polizie e magistrati. Perché il vero problema è che le mafie ormai sono ovunque: corrompono colletti bianchi, imprenditori, professionisti, e persino pezzi delle istituzioni – https://nicolacostanzo.blog/2025/04/03/il-nemico-invisibile-quando-la-corruzione-resiste-piu-della-mafia
Se non ci prepariamo con leggi più severe e una lotta senza quartiere alla corruzione, rischiamo di ritrovarci con un nemico ancora più potente e invisibile. Pronto a sfruttare ogni debolezza del sistema per espandersi e dominare, sempre pronto a sfruttare la debolezza del sistema e della natura umana, per potersi espanderse e dominare!!!

Bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio: un cancro per l’economia italiana.

C’è un male che corrode da anni il sistema economico del nostro Paese, un cancro che si nutre di finanziamenti pubblici, di opacità societarie e della complicità di professionisti senza scrupoli!

Un triangolo perfetto il cui  meccanismo ha come vertici la bancarotta fraudolenta,  l’autoriciclaggio el’evasione, un ingranaggio che gira ormai da tempo con troppa regolarità, lasciando dietro di sé una scia di debiti non pagati, progetti mai realizzati e soldi pubblici evaporati nel nulla!

L’ultimo caso emerso dalle indagini della Guardia di Finanza di Benevento è solo l’ennesima ripetizione di uno schema che ormai conosciamo fin troppo bene. Una società che cambia pelle più volte, passando magicamente dalla manutenzione dei giardini al commercio di petrolio, ottenendo milioni di finanziamenti pubblici per progetti che non vedranno mai la luce. 

Un complesso produttivo che viene fatto sparire dai bilanci come un prestigiatore fa sparire una moneta, trasferito tra società compiacenti attraverso movimenti di denaro studiati a tavolino, e poi, quando il castello di carte crolla, ecco il fallimento, sì… dichiarato con un attivo pari a zero e un buco di 16 milioni di euro, mentre i veri responsabili osservano il disastro da lontano, protetti da una rete di complicità e cavilli legali.

Quello che più indigna non è la truffa in sé – pur grave – ma la sistematicità con cui queste operazioni si ripetono costantemente!

Lo stesso copione, le stesse mosse, gli stessi professionisti pronti a firmare documenti e a muovere capitali in cambio di una percentuale. L’autoriciclaggio completa l’opera, permettendo di riassorbire il denaro sottratto nello stesso circuito criminale, lavato attraverso operazioni finanziarie che ne cancellano la provenienza illecita. 

È un gioco al massacro contro l’economia sana, contro quelle imprese che invece pagano le tasse, rispettano i contratti e cercano di competere sul mercato in modo leale.

Eppure, nonostante i casi si accumulino, nonostante le procure lavorino a pieno ritmo, sembra che nulla cambi veramente. Le indagini sono complesse, i processi lunghi, e troppo spesso i responsabili riescono a cavarsela con pene simboliche o addirittura a ripetere lo stesso schema con nuove società e nuovi progetti fasulli. 

Intanto, lo Stato perde milioni di euro, i creditori – spesso piccole imprese – vengono lasciati a bocca asciutta, e la fiducia nel sistema economico si sgretola giorno dopo giorno.

Forse è arrivato il momento di chiedersi seriamente perché tutto questo continui ad accadere. Servono controlli più stringenti sui finanziamenti pubblici? Pene più severe per chi commette queste frodi? Oppure colpire in maniera decisa tutti quei professionisti – revisori, commercialisti, consulenti – che con le loro firme permettono a questi meccanismi di funzionare? 

Ma soprattutto, serve la consapevolezza che dietro a ogni frode di questo tipo non ci sono solo numeri su un bilancio, ma il futuro di un Paese che merita di meglio.

Perché alla fine, già… quando l’ultima sentenza sarà scritta e l’ultimo conto corrente sequestrato, a pagare il prezzo più alto saremo sempre noi, sì… cittadini onesti, quelli che ogni mattina si alzano per lavorare davvero, costruendo quell’unica economia reale che questi truffatori non potranno mai comprendere!

Contrastare l’evasione: abolire il contante è davvero la soluzione?

Il sottoscritto è da sempre convinto che l’eliminazione del contante sia l’unico modo per combattere efficacemente l’evasione e, di conseguenza, la corruzione dilagante. Tuttavia, so bene che questa idea suoni utopistica a molti.

Del resto, di utopie ne siamo pieni, soprattutto quando si parla di politica. Prendiamo il Green Deal: l’Europa ha imposto la fine dei motori a combustione, promuovendo l’elettrico come soluzione miracolosa all’inquinamento. Peccato che il problema ambientale sia globale, mentre la transizione forzata ha creato crisi industriali, fabbriche in difficoltà e un mercato impreparato. Risultato? Un disastro annunciato.

Ora, forse per distogliere l’attenzione dai veri problemi economici, si punta il dito contro il contante. L’idea è semplice: meno denaro fisico in circolazione significa più pagamenti tracciati e meno evasione. Sulla carta, è inappuntabile. Ma nella realtà? Le cose si complicano…

Da un lato, chi come me sostiene la moneta elettronica la vede come un’arma fondamentale contro evasione e riciclaggi, dall’altro, i critici osservano che questo sistema avvantaggi soprattutto le banche, che lucrano su commissioni e costi aggiuntivi.

E non dimentichiamo il contesto attuale: incertezza politica, economica e persino territoriale, con la guerra Russia-Ucraina alle porte. A ciò si aggiunge la sicurezza informatica: dati bancari, finanziari e istituzionali sono costantemente sotto attacco. Non a caso, mentre molti Stati europei spingono per abolire il contante, paesi come Svezia e Norvegia – pionieri di questa transizione – stanno facendo marcia indietro. Perché? Perché in caso di conflitto o cyberattacco, un sistema basato solo sul digitale potrebbe collassare, lasciando i cittadini senza mezzi di pagamento.

Ironia della sorte, oggi gli stessi che predicavano la fine del contante consigliano di tenere denaro fisico per le emergenze. Un paradosso che dimostra quanto la questione sia complessa.

Ed allora, cosa fare?

Se da un lato il contante favorisce l’evasione, dall’altro i pagamenti digitali ci rendono vulnerabili a crisi e cyber-minacce. Serve una soluzione equilibrata. Ad esempio, si potrebbe contrastare l’evasione coinvolgendo direttamente i cittadini: trasformarli in “controllori volontari” dell’Agenzia delle Entrate, incentivandoli a inviare scontrini e fatture in cambio di un rimborso (5-10% della spesa) da utilizzare in detrazioni fiscali.

Nessuno ha la bacchetta magica, ma è cruciale affrontare il problema con pragmatismo, evitando rivoluzioni ideologiche che spesso creano più problemi di quelli che risolvono.

E voi, cosa ne pensate? Siete pronti a rinunciare del tutto al contante? O preferite un approccio più graduale? Il sottoscritto resta convinto che solo abolendolo si possa davvero colpire l’evasione, ma riconosco che la strada è ancora lunga e piena di sfide.

Lettera aperta al Presidente Trump: mi consenta di consigliarLe un piano concreto per la stabilità in Ucraina.

Presidente Trump, dando seguito a quanto anticipato nel post di ieri, mi consenta di provare a delineare una possibile soluzione che, grazie a Lei e quindi agli Stati Uniti, possa risultare accettabile sia per l’Ucraina che per la Russia, cercando di bilanciare gli interessi di entrambe le parti.

Innanzitutto, ritengo sia necessario trovare una soluzione equilibrata. Bisogna quindi coinvolgere altri attori affidabili, come ad esempio l’ONU, che ridurrebbe certamente la percezione che gli Stati Uniti stiano imponendo una soluzione unilaterale.

Inoltre, è fondamentale riunire tutti gli alleati della NATO, i quali potrebbero offrire garanzie di sicurezza formali all’Ucraina. Queste garanzie potrebbero includere impegni concreti, come il mantenimento di aiuti militari difensivi e il supporto economico a lungo termine, in cambio di un cessate il fuoco e di negoziati per una soluzione politica.

Certo, va trovata una soluzione per le regioni conquistate dalla Russia in questi anni: mi riferisco a territori come Crimea, Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson.

Per questi territori si potrebbe prevedere un’autonomia regionale all’interno di un’Ucraina unita. Questo modello, già proposto in passato, potrebbe soddisfare parzialmente le richieste delle popolazioni locali filorusse senza compromettere l’integrità territoriale dell’Ucraina.

In cambio di un ritiro delle truppe russe dalle regioni occupate e di un impegno a rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina, gli Stati Uniti e l’UE potrebbero valutare una graduale riduzione delle sanzioni economiche imposte alla Russia. Quanto sopra potrebbe incentivare Mosca a collaborare.

Inoltre, gli Stati Uniti, insieme all’UE e ad altri partner internazionali, potrebbero promuovere un piano di ricostruzione per l’Ucraina, finanziando la ripresa economica delle regioni colpite dal conflitto. Questo ridurrebbe la dipendenza di Kiev dagli aiuti americani e rafforzerebbe la sua stabilità interna.

Ma soprattutto – e ritengo che questo sia il punto nevralgico per convincere la Russia ad accettare la pace – gli Stati Uniti e la NATO potrebbero formalmente rinunciare all’idea di un’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica nel breve-medio termine. Certo, questo potrebbe essere un compromesso difficile da accettare per Kiev – già… dopo che qualcuno aveva spinto quest’ultima a prendere quella decisione che ha dato il via al conflitto – ma un passo indietro potrebbe contribuire a ridurre le tensioni con Mosca.

Tale accordo porterebbe l’Ucraina a ottenere garanzie di sicurezza, mantenendo la propria integrità territoriale (con alcune concessioni locali) e avviando un processo di ricostruzione economica.

La Russia, dal canto suo, otterrebbe un parziale riconoscimento delle proprie preoccupazioni strategiche (nello specifico, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO) e, soprattutto, la possibilità di una riduzione o annullamento delle sanzioni.

Infine, gli Stati Uniti: chiudere un conflitto sarebbe una grande vittoria per il Suo Presidente, soprattutto in termini di risorse e reputazione, riducendo altresì il rischio di un’escalation con la Russia e non solo…

D’altronde, va ricordato che in questo momento, da entrambe le parti in conflitto, manca la fiducia reciproca. Qualsiasi accordo richiederebbe un forte impegno diplomatico per garantirne il rispetto e, al tempo stesso, sia in Ucraina che in Russia, ogni compromesso potrebbe essere percepito dai rispettivi nazionalisti come una sconfitta, rendendone difficile l’accettazione popolare.

Ecco perché presidente, dovrebbe provare a bilanciare la Sua retorica di “pace immediata” con la necessità di non apparire come un alleato inaffidabile per Kiev, ma viceversa come colui che cerca di fare la cosa giusta. Senza ricercare, in questa mediazione, favoritismi o vantaggi esclusivi per gli Stati Uniti a scapito di tutti gli altri, come invece sembra stia accadendo in questi giorni con l’introduzione dei dazi.

Presidente Trump, la ringrazio anticipatamente se avrà modo di leggere questo mio post e auspico che, da una lettura serena, si possano cogliere le opportune riflessioni nelle mie parole, riconoscendo la strada più saggia, che rappresenta il Suo stesso desiderio: giungere in tempi celeri alla parola “pace”.

Con stima e rispetto, Nicola Costanzo.

Operazioni fraudolente in Sicilia: Un’analisi sulle segnalazioni sospette a Palermo e Catania.

Le operazioni fraudolente rappresentano una minaccia significativa per l’integrità del sistema finanziario. 

Nel corso dell’ultimo anno, una regione del sud Italia, ahimè la mia Sicilia, si è posizionata tra le prime nella classifica nazionale per segnalazioni di operazioni sospette, con un aumento rispetto all’anno precedente. 

In particolare, due città sono emerse come epicentri di questa attività illecite, registrando un numero elevato di segnalazioni.

Secondo i dati recenti, questa regione ha registrato un incremento nelle segnalazioni rispetto all’anno precedente. 

Le due città principali, Palermo e Catania hanno guidato la classifica provinciale, seguite da altre città. Certo… a livello nazionale, altre regioni si sono confermate ai primi posti per numero di segnalazioni, ma qui poco importa su chi supera chi… il problema restano di fatto le continue azioni disoneste. 

Difatti, un dato interessante è l’aumento delle segnalazioni da parte di istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica e professionisti legali. Anche gli operatori di cripto-attività e del settore dell’oro hanno registrato incrementi significativi. Al contrario, il settore bancario ha visto una flessione, pur rimanendo il principale canale di segnalazioni.

L’aumento delle segnalazioni in settori come le cripto-attività e l’oro potrebbe indicare quindi un cambiamento nelle strategie dei criminali, che si spostano verso asset meno tracciabili. D’altra parte, la diminuzione nel settore bancario potrebbe essere il risultato di una maggiore efficienza nei controlli interni, ma anche di una migliore capacità degli illeciti di eludere i sistemi di rilevamento.

La lotta alle operazioni fraudolente richiede un impegno costante e coordinato tra istituzioni finanziarie, autorità di regolamentazione e forze dell’ordine. L’aumento delle segnalazioni in alcuni settori evidenzia la necessità di adattare le strategie di contrasto alle nuove minacce. La vigilanza finanziaria rimane uno strumento cruciale per proteggere l’economia legale e garantire la trasparenza delle transazioni.

Ecco perché ritengo che in un contesto in cui le tecniche di frode diventano sempre più sofisticate, diventa essenziale che tutti gli attori del sistema finanziario collaborino tra di loro per identificare e quindi prevenire le operazioni sospette.

Vorrei aggiungere, ahimè con molto dispiacere,  che è proprio grazie a quanto accade in questa regione che si potranno ancor meglio comprendere le dinamiche di questo illegale fenomeno, affinchè si possano sviluppare nuove e migliori strategie efficaci di contrasto!

Mafia: Un’analisi profonda del potere parallelo.

La mafia non è solo un’organizzazione criminale, già… è molto di più!!!

Alcuni studiosi, seppur in minoranza, sostengono che le organizzazioni mafiose abbiano una natura politica, non limitandosi a semplici rapporti di collusione con la sfera istituzionale. 

Questa visione va oltre l’idea di una mafia che si intreccia con politici corrotti o partiti. Si tratta di una prospettiva che riconosce alle associazioni mafiose un’autonomia e una sovranità tali da porsi quasi su un piano di parità con lo Stato.

Come evidenziato da Mauro Fotia (docente di Scienza Politica nelle Università di Messina e Trieste, per poi passare all’insegnamento di Sociologia Politica presso l’Università di Roma «La Sapienza». Studioso dei rapporti tra classi politiche e masse, ne ha esaminato in particolare i profili legati ai partiti, ai movimenti sociali e alle lobby), le mafie non sono semplici gruppi criminali, ma veri e propri ordinamenti giuridici paralleli. Hanno regole interne, procedure, sanzioni e una struttura che ricorda quella di uno Stato. 

Questo spiega la loro potenza economica e la capacità di imporre le proprie leggi, escludendo quelle statali. La mafia, in questa visione, non è solo un’entità che sfrutta il sistema, ma un soggetto che contende il potere allo Stato, affermando una logica di dominio che si concretizza in un’enorme accumulo di ricchezza.

Ma perché questa interpretazione è così importante? Perché ci aiuta a comprendere la reale portata del fenomeno mafioso. Non si tratta solo di criminalità organizzata, ma di un sistema che si insinua nelle pieghe della società, della politica e dell’economia, creando un vero e proprio Stato nello Stato. Questo spiega anche perché, nonostante decenni di lotta, la mafia continui a resistere e a prosperare.

Tuttavia, non possiamo ignorare l’altra faccia della medaglia: il rapporto tra mafia e politica tradizionale. La collusione tra organizzazioni mafiose e settori delle istituzioni è un dato di fatto, ampiamente documentato. 

Basti pensare alle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia che hanno messo in luce i legami tra mafia e politica in Italia. Questi documenti, insieme al lavoro di magistrati, studiosi e politici, hanno contribuito a delineare un quadro in cui la mafia non agisce solo come entità autonoma, ma come un attore che sfrutta il sistema politico per rafforzare il proprio potere.

E qui entra in gioco un altro aspetto cruciale: l’acquisitività politica.

Si tratta della capacità di utilizzare il potere politico, sia in modo legale che illegale, per raggiungere obiettivi economici. Questo spiega perché la mafia non sia solo un problema di ordine pubblico, ma un fenomeno radicato nelle disuguaglianze sociali ed economiche del Paese. Il sottosviluppo, la povertà, lo sfruttamento e la marginalizzazione del Mezzogiorno non sono solo conseguenze della mafia, ma anche cause che ne alimentano l’esistenza.

In sintesi, la mafia non è solo un “male” da combattere, ma un sintomo di problemi più profondi: un sistema che sfrutta le debolezze di un territorio e di un’economia squilibrata. 

Per sconfiggerla, non basta la repressione. Serve un cambiamento strutturale, che affronti le disuguaglianze e restituisca dignità e opportunità a chi vive in queste aree. Solo così si potrà spezzare il circolo vizioso che alimenta il potere mafioso.

L’ombra della mafia sulle imprese e sui fondi pubblici

Mentre continua a gestire e ampliare i propri traffici illeciti, come droga, prostituzione, racket ed usura – tutti settori che generano enormi profitti – la mafia rivolge il suo interesse verso un obiettivo più subdolo e strategico: il controllo delle attività imprenditoriali attraverso il riciclaggio di denaro. Questo meccanismo non solo le consente di nascondere i guadagni illeciti, ma anche di consolidare il proprio potere economico e sociale.

Recentemente, durante la relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario, il presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, ha lanciato un allarme chiaro: nonostante i colpi inferti negli ultimi anni, la mafia continua a essere una forza criminale attiva, con l’obiettivo di penetrare nell’economia legale e intercettare i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Frasca ha sottolineato come la capacità della mafia di infiltrarsi sia strettamente legata alla persistenza di collusioni con settori politico-amministrativi, che fungono da ponte per il controllo del territorio e per l’accesso alle risorse pubbliche.

Un aspetto cruciale è rappresentato dalla capacità della mafia di rinnovarsi. Anche dopo arresti e processi che hanno decapitato i vertici delle organizzazioni, queste riescono rapidamente a ricostituire le proprie strutture di comando, mantenendo vive le regole mafiose tradizionali e trovando nuovi alleati per rafforzare la propria influenza.

Tra gli obiettivi principali dell’organizzazione spiccano le opere pubbliche realizzate sul territorio. Attraverso atti estorsivi, la mafia esercita pressioni su imprese affidatarie, fornitori e subappaltatori, sfruttando ogni opportunità per trarre vantaggi economici. Questo modus operandi non sarebbe possibile senza la complicità di imprenditori senza scrupoli, che accettano di collaborare con l’organizzazione criminale per ottenere favori o protezione, diventando parte integrante del sistema mafioso senza subirne direttamente le conseguenze.

Questa situazione richiede una risposta ferma e coordinata da parte della società civile, delle istituzioni e delle forze dell’ordine. Combattere la mafia significa non solo colpire i suoi esponenti principali, ma anche spezzare la rete di complicità e connivenze che ne garantisce la sopravvivenza.

Solo attraverso un impegno congiunto si potrà impedire che la mafia continui a infiltrarsi nell’economia legale, compromettendo il futuro di intere comunità. Il messaggio deve essere chiaro: non c’è spazio per chi antepone i propri interessi personali al bene comune.

La complicità dello Stato: un’illusoria lotta alla criminalità organizzata.

Stasera voglio riprendere un mio vecchio post del 2013. Sono passati 12 anni, ma nulla è cambiato. Anzi, molte cose sono peggiorate, forse troppe…
 
Lotta alla criminalità“. Quante volte abbiamo sentito questa espressione? Eppure, più che una lotta, sembra un’operazione cosmetica, utile a decorare discorsi preconfezionati durante campagne elettorali o celebrazioni ufficiali. Dietro queste parole non c’è la sicurezza dei cittadini, ma un teatrino politico in cui l’interesse reale è tutt’altro.

Ogni giorno, i notiziari riportano rapine, violenze, spaccio, estorsioni e altri crimini che, anziché diminuire, si moltiplicano. E lo Stato? Dove si trova quando la criminalità si evolve e cresce sotto i nostri occhi?

Si dice di non generalizzare, che lo Stato è presente e combatte. Ma i fatti dimostrano il contrario: le azioni si limitano a interventi sporadici, a operazioni dal forte impatto mediatico ma prive di un vero seguito. Nel frattempo, la criminalità si riorganizza, si insinua nei settori economici e istituzionali, trasformando il malaffare in sistema.

Dopo le stragi e le grandi operazioni di facciata, la lotta alla criminalità si è trasformata in compromesso. Non c’è prevenzione, non c’è visione strategica. L’impegno dello Stato sembra più mirato a gestire che a estirpare il problema, lasciando spazio a un sistema che ormai si nutre di collusioni, connivenze e silenzi.

Cosa serve davvero? Un sistema che prevenga il crimine prima che si manifesti? Un impegno reale nel sostenere le famiglie disagiate, educare i giovani, creare opportunità di lavoro? Pene certe, giuste e celeri, senza vie di fuga per i criminali?

Ma tutto questo rimane un miraggio, perché è qui che emerge la vera sconfitta dello Stato. La criminalità organizzata non è solo tollerata: in molti casi, è protetta. Esistono figure istituzionali che, dietro una maschera di rispettabilità, lavorano attivamente per mantenere intatto il sistema. Non per incapacità, ma per volontà.

Il punto più infame è proprio questo: lo Stato che dovrebbe combattere il crimine ne è spesso complice. Non solo con le sue omissioni, ma con le sue azioni. Chi è chiamato a rappresentare la legalità si piega a interessi privati, trasformando le istituzioni in strumenti di potere al servizio di pochi.

Il contrasto alla criminalità organizzata non è una priorità, ma una farsa. Perché cambiare lo status quo significherebbe colpire quegli stessi interessi che alimentano carriere politiche e arricchiscono chi, in teoria, dovrebbe difenderci. Fino a quando questo sistema resterà intoccabile, ogni discorso sulla lotta al crimine sarà solo una recita ben orchestrata.

Ed è questo il vero tradimento dello Stato verso i suoi cittadini: aver abdicato al suo ruolo di garante della giustizia, scegliendo di convivere con il male invece di combatterlo.

Non solo imprese mafiose: Le nuove frontiere del crimine.

Già… esistono imprese che, pur potendo essere definite “criminali” per le modalità con cui estendono le loro ramificazioni illecite, operano al di fuori della tradizionale criminalità organizzata. 

I loro referenti infatti si trovano a un livello talmente alto che perfino i capi di quelle organizzazioni mafiose spesso ignorano la loro esistenza.

Parliamo di soggetti dotati di alta professionalità e competenze specialistiche, rappresentano una classe completamente diversa. Molti di loro vantano titoli accademici eccellenti, conseguiti in prestigiose università, e si distinguono nettamente dalla manovalanza che solitamente appare nelle cronache di nera.

Sono geni del male: informatici, bancari, broker, esperti d’arte, professionisti nel settore commerciale, amministrativo e legale. Creano e gestiscono imprese artificiose, spesso multinazionali, che operano con criteri manageriali e si dedicano ad attività illecite in base alle richieste del mercato. Non appartengono alle associazioni di tipo mafioso, così come definite dal codice penale, ma sviluppano strategie sofisticate per infiltrarsi nelle stanze del potere, quelle in cui si prendono decisioni strategiche.

A differenza delle organizzazioni mafiose, che si caratterizzano per traffici illeciti accompagnati da violenza e azioni delittuose, queste imprese criminali sfruttano la tecnologia avanzata, utilizzano intermediari e sistemi di pagamento criptati, manipolano i mercati finanziari tradizionali e alternativi. Non hanno bisogno di sporcarsi le mani: la loro forza risiede nella capacità di muovere risorse e influenze senza lasciare tracce.

Questi professionisti hanno creato un sistema finanziario parallelo, connesso alla finanza tradizionale ma separato da essa, progettato per ottenere guadagni speculativi enormi. 

Ad esempio, manipolano il prezzo di un bene, lo gonfiano artificialmente, e lo vendono a un prezzo maggiorato, generando plusvalenze che appaiono legali. Tutto avviene in forma digitale: beni immateriali trasferiti da una parte all’altra del mondo senza la necessità di movimentare merci fisiche o attraversare confini.

Le loro operazioni sono estremamente difficili da individuare e perseguire. Anche quando un raggiro viene scoperto e denunciato, il denaro trafugato è già stato trasferito in paradisi fiscali, al riparo da qualsiasi azione legale. Non devono preoccuparsi delle distanze geografiche o del rischio di attraversare confini pericolosi; tutto si svolge comodamente dietro lo schermo di un computer.

Questi imprenditori criminali rappresentano una nuova frontiera del crimine, dove tecnologia e finanza si intrecciano in modo inestricabile. Hanno strumenti all’avanguardia che permettono loro non solo di eludere le leggi, ma di anticipare le contromisure degli investigatori, rendendo le loro attività quasi impossibili da tracciare. Si muovono in un’area grigia, sfruttando lacune normative e connessioni globali.

Ecco il vero volto di queste imprese: non è la ferocia, ma la capacità di manipolare sistemi complessi, influenzare i mercati e infiltrarsi nei gangli vitali dell’economia globale. Il loro obiettivo non è solo arricchirsi, ma esercitare un controllo silenzioso, quasi invisibile, che rende il mondo un po’ più vulnerabile e insicuro.

Forse è arrivato il momento di guardare oltre i confini del crimine tradizionale e di riconoscere che il vero potere si nasconde spesso dove meno ce lo aspettiamo: nelle pieghe di un sistema apparentemente legittimo, orchestrato da menti brillanti al servizio del profitto illecito.

La mafia Imprenditoriale: Radici profonde, rami ovunque…

È evidente a tutti noi siciliani che gli insediamenti imprenditorial-mafiosi siano decisamente più radicati nella nostra regione rispetto al Nord Italia, non a caso, in Sicilia si contano circa 240 cosche con oltre 7.000 affiliati!!!

Per comprendere meglio l’impatto di questa presenza, basta confrontare questi numeri con quelli della ‘ndrangheta calabrese, oggi considerata la mafia più pericolosa: quest’ultima conta “solo” 160 cosche e circa 5.500 affiliati. 

È chiaro, dunque, quanto Cosa Nostra incida negativamente sul nostro territorio!!!

Va detto, però, che queste associazioni non si limitano a operare nei loro territori d’origine, al contrario, estendono le proprie attività criminali al Centro e al Nord Italia, stabilendo veri e propri “uffici di rappresentanza“. 

Queste, pur mascherati da realtà imprenditoriali legali sotto il profilo giuridico e amministrativo, spesso si trasformano in filiali operative, funzionali a riciclare il denaro proveniente dalla casa madre. In tal modo, riescono a far prosperare il loro business, incrementando a dismisura i profitti.

Non c’è settore dell’economia o della vita civile che sia immune da questa aggressività criminale, inoltre, la prassi consolidata delle imprese a partecipazione mafiosa ha portato molti imprenditori, un tempo onesti, ad adattarsi a queste dinamiche.

Pensare, però, che queste nuove formazioni mafiose siano semplicemente soggetti imprenditoriali è fuorviante. 

Un simile approccio rischia di ridurre la mafia a un insieme di comportamenti isolati, quando in realtà essa opera come una struttura ben definita e radicata, con modalità specifiche e una strategia chiara.

La responsabilità di questa situazione, così come del debole contrasto a essa, risiede principalmente nella mancata comprensione della fenomenologia mafiosa nella sua complessità. 

La politica, spesso, preferisce soprassedere per meri interessi personali, perpetuando un sistema basato sul “do ut des” e questo atteggiamento fa sì che molti scelgano di chiudere un occhio, partecipando indirettamente al sistema, piuttosto che impegnarsi nel contrasto alla mafia.

La criminalità organizzata: una piaga che distrugge il territorio e tradisce i suoi concittadini!

La criminalità organizzata è una piaga che impoverisce tutti, in quanto non porta alcun beneficio nemmeno al proprio territorio d’origine e ancor meno ai propri conterranei!!!
Ed allora viene spontaneo porsi una domanda: che fine fanno i patrimoni illeciti provenienti dalle attività criminali e perché tutto quel denaro accumulato non produce benessere e occupazione nelle proprie regioni?

La risposta è desolante e soprattutto chiara!!! 

I proventi delle attività criminose, spesso frutto di traffici illeciti e racket, vengono di norma trasferiti verso Paesi e mercati offshore, al riparo da controlli e vincoli normativi. Si pensi, ad esempio, alle Antille olandesi, o alle grandi operazioni di riciclaggio che coinvolgono le piazze finanziarie internazionali. Non è un caso che Caracas, un tempo dominio di potenti boss siciliani, sia stata recentemente teatro di un’inchiesta che ha portato alla luce un cartello di cosche calabresi impegnate nel traffico di stupefacenti verso l’Europa. 

Questo spostamento dei capitali determina un impoverimento strutturale delle regioni d’origine, come Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, aggravando una già critica condizione economica e sociale.

Il meccanismo è doppiamente distruttivo. Da un lato, le risorse accumulate illegalmente non vengono reinvestite nel territorio, ma esportate verso mercati più sicuri, innescando un ciclo di depauperamento economico, dall’altro, l’azione delle mafie sul territorio – attraverso il pizzo e altre forme di estorsione – soffoca l’imprenditoria locale, alimentando evasione fiscale e scoraggiando nuovi investimenti. 

Questo doppio colpo porta a una progressiva desertificazione economica, con alti tassi di disoccupazione e una stagnazione dei redditi.

Da quanto sopra si comprende come la criminalità non apporta nulla al territorio e ai suoi conterranei; al contrario, lascia dietro di sé una condizione infetta e corrotta, certamente peggiore di quanto non fosse prima. 

L’illusione che l’accumulo di grandi ricchezze da parte delle organizzazioni mafiose possa generare un ritorno positivo è smentita dai fatti: la loro attività distrugge la fiducia, soffoca il potenziale produttivo e annienta le prospettive di crescita.

A tutto ciò si aggiunge un elemento globale: la libertà dei movimenti di capitali, uno dei dogmi della globalizzazione liberale, facilita il riciclaggio del denaro sporco. 

I paradisi fiscali, veri e propri architravi di un sistema finanziario senza leggi, offrono rifugio a immense ricchezze illegali. 

Ecco perché la lotta contro questi meccanismi è oggi più che mai una priorità, come dimostrano le azioni promosse da organizzazioni come ATTAC (Associazione per la Tassazione delle Transazioni Finanziarie per l’Aiuto ai Cittadini), impegnate a contrastare la dittatura di un mercato globale che favorisce diseguaglianze e ingiustizie.

Per combattere efficacemente questo fenomeno è necessario un approccio integrato che includa il rafforzamento delle leggi contro il riciclaggio, un controllo più stringente sui flussi di capitali e, soprattutto, un’azione culturale che punti a scardinare il consenso sociale di cui spesso le mafie godono nei territori in cui operano. 

Solo così sarà possibile invertire la rotta e restituire speranza e dignità alle comunità colpite dalla criminalità organizzata. Il resto sono soltanto chiacchiere che non faranno certamente cambiare questo stato di cose!

Provo a spiegare in maniera semplice, in quali modi si sviluppa l’imprenditoria mafiosa…

Ed allora, partendo dall’attuale condizione e cioè che non esistono nella mia regione (ma la regola vale anche per tutte le altre…) soggetti capaci di sviluppare dal nulla “strabilianti” attività imprenditoriali a cui nessuno aveva pensato prima e tralasciando altresì di evidenziare capacità di miei conterranei di cui non ho mai sentito parlare e cioè capaci di generare improvvisamente sviluppi economici e finanziari tali da alterare lo stato sociale di noi isolani, beh… ciò che resta è una manipolazione del territorio in ogni suo aspetto quotidiano, iniziando da quel sottomesso meccanismo clientelare/mafioso a cui si lega il degrado morale della nostra classe politico/dirigenziale.

Vediamo quindi in quali modi “eccezionali” si son venuti a creare quei processi finanziari che hanno permesso  a talune attività imprenditoriali di cresciere in pochi anni maniera considerevole, sapendo che nessuno di quegli imprenditori abbia mai posseduto un patrimonio personale (e/o familiare) tale da consentirgli di investirne – anche solo una parte – per quei propri progetti innovativi!!!

Per cui, mancando di fatto il pressuposto fondamentale per iniziare una qualsivoglia attività – mi riferisco alla disponibilità di denaro per dare avvio alla propria attività idealizzata – ecco che si prova a ricercare (senza alcun risultato…) quelle risorse finanziarie presso noti Istituti di credito, i quali però, senza alcuna garanzia non rilasciano neppure un fido di poche centinaia di euro!!!

Ecco quindi che quella ricerca fiduciosa di capitale viene indirizzata verso (ahimè) taluni soggetti, solitamente legati ad ambienti criminali…

Premetto comunque che questa prassi non può esser sfruttata da chiunque, già… non tutti possono usufruire di quelle risorse finanziarie che si sa esser di provenienza illecita, poichè bisogna innanzitutto far parte di quell’associazione o quantomeno dimostrare di volerne condividene tutte le azioni…

Parliamo quindi di soggetti che intendono accettare e quindi perseguire quell’obiettivo comune, nel caso specifico criminoso, sì… sapendo che quanto viene ora consegnato per esser investito proviene da attività illegali quali riciclaggio, estorsione, contraffazione, spaccio di stupefacenti, prostituzione, lavoro a nero, etc…

Ecco quindi che se si inizia ad operare per quel sistema, si permette attraverso la propria attività di riciclare risorse (illegali) in circuiti legali dell’economia reale e della finanza.

Ecco quindi che quel denaro comincia a realizzare interessanti profitti ed una parte di esso – mi riferisco agli utili generati – vanno a mutare in qualcosa di concreto, attraverso l’acquisizione di beni immobili come capannoni, negozi, uffici, terreni, etc… ma anche attraverso investimenti particolari come metalli preziosi, monete e diamanti… 

Ed allora, quell’impresa (di cui nessuno sapeva…) inizia improvvisamente a compiere dei passi importanti nell’economia locale, ma non solo, si espande ora anche in altre regioni e in settori diversi, il tutto a scapito di quella concorrenza che viene – anche con modi coercitivi – limitata o eliminata!!!

Tra l’altro nessuno deve provare a bloccare la crescita di quell’asset imprenditoriale, perché tutti ormai sanno che dietro quella “testa di legno” vi è il vero proprietario, cioè quel “boss” che ha di fatto sborsato il denaro, lo stesso che al momento opportuno, si riprenderà quella “fresca creatura” per dar vita ad altre nuove imprese, tutte collegate tra esse come scatole cinesi, affinchè si possa permettere di celare l’espansione e rendendo sempre più occulti gli investimenti dei capitali. 

Sì… perché uno dei principali sforzi che deve compiere quell’impresa (per sfuggire ai controlli) è rappresentato dalla mimetizzazione degli investimenti dei capitali, affinchè le forze dell’ordine – preposte a quelle verifiche – abbiano difficoltà nel risalire alle origini illecite, già… sin dalla loro iniziale movimentazione e difatti, quanto celatamente compiuto, rende (successivamente) ahimè difficoltoso agli organi giudiziari per  procedere con i noti provvedimenti giudiziari di sequestro e/o confisca!!!

Ecco il motivo per cui esiste un meccanismo che lega entrambi quei poteri; già… imprenditori e mafiosi uniti in un unico scopo, sì… determinato dal calcolo utilitaristico, evitando altresi soluzioni che potrebbero generare conflitti o che potrebbe trasformare in perdenti, sia gli imprenditori che i criminali.

Già… sono certo che ora avete intuito come alla base della formazione di molte nostre imprese (a partecipazione mafiosa – grazie ai loro capitali) vi siano motivazioni dil potere; mi riferisco al meccanismo di controllo non solo dei mercati locali, ma soprattutto del territorio; già… perché ora, quella posizione economica conquistata, permette all’imprenditore (e al suo socio occulto…) di indirizzare (quando richiesto) la propria influenza verso quei referenti del potere politico i quali, evidenziano in ogni loro circostanza, di esser sempre disposti a offrire qualcosa in cambio, pur di ricevere quel pacchetto preparato di preferenze elettorali… 

Infine, per il resto non cambia nulla, solite briciole ai cittadini per i voti concessi, sottosviluppo e criminalità ovunque, ed ancora, disoccupazione e sfruttamento della manodopera, ma soprattutto ciò che da maggiormente fastidio è quell’obbligata subalternizzazione del governo nazionale (di quello regionale non si sente neppur parlare…) a progetti di sviluppo capitalistico, sì… finalizzato – come da sempre accade – agli interessi delle imprese del Nord ed a tutte quelle imprese che sono state in questi anni (appositamente) create,  per generare propriamente quegli inevitabili baratti di potere!!!

Le mafie oggi: Dal crimine violento all’Infiltrazione economica.

I reati delle mafie sono strettamente legati all’economia: frodi, bancarotte, riciclaggio di denaro e reati fiscali sono diventati i principali strumenti attraverso cui le organizzazioni criminali operano. In passato, la criminalità organizzata era principalmente associata a reati violenti, come omicidi, estorsioni e traffico di droga, ma oggi la sua natura si è evoluta, adottando modalità più sottili e sofisticate. 

Le mafie, infatti, si sono infiltrate nelle strutture economiche legali, cercando di ottenere il controllo di attività imprenditoriali e risorse finanziarie attraverso metodi che non lasciano tracce evidenti di violenza, ma che possono avere un impatto devastante sull’economia e sulla società nel suo complesso.

Il cambiamento dell’oggetto della criminalità organizzata è evidente: mentre un tempo le mafie esercitavano il loro potere principalmente tramite l’intimidazione e la violenza, ora il loro raggio d’azione si è ampliato nell’ambito delle transazioni economiche. 

Le infiltrazioni mafiose nelle imprese, nei contratti pubblici e nella gestione dei fondi sono spesso difficili da individuare, ma altrettanto dannose per la competitività del mercato e per la crescita sana delle attività imprenditoriali. La criminalità economica legata alle mafie si manifesta anche attraverso l’accesso illecito al credito, la manipolazione dei bilanci aziendali e la gestione fraudolenta delle risorse.

Alcuni reati, definiti “spia”, possono essere indicatori della presenza di infiltrazioni mafiose. Tra questi, i reati fiscali sono tra i più rilevanti. Le frodi fiscali e le bancarotte fraudolente, ad esempio, possono nascondere dietro di sé operazioni di riciclaggio di denaro o il tentativo di mascherare il flusso illecito di fondi provenienti da attività criminali. Anche se non sempre è automatico, la presenza di determinati crimini può fungere da segnale per avviare indagini più approfondite e scoprire le radici di operazioni illegali più complesse. Un caso emblematico è rappresentato da operazioni giudiziarie recenti, come quelle legate a indagini sul riciclaggio e sulle frodi aziendali, che hanno portato all’apertura di processi rilevanti.

Il caso del processo Aemilia ha segnato una tappa importante nella lotta contro la criminalità economica. Non si è trattato però di un punto di arrivo, ma piuttosto di un inizio: questo processo ha aperto la strada a ulteriori indagini, alcune delle quali hanno condotto a nuovi procedimenti, come quello denominato 

Perseverance, che ha evidenziato ulteriori dinamiche di infiltrazione mafiosa in ambiti economici precedentemente considerati immuni. La costante evoluzione delle tecniche mafiose richiede un’attenzione rinnovata e un impegno continuo nell’adattare le indagini ai nuovi scenari, per prevenire il consolidamento di strutture criminali che, sotto le sembianze di attività legittime, operano in modo sotterraneo, ma altrettanto pericoloso.

La lotta contro la mafia oggi non si limita solo a combattere la violenza, ma richiede una visione globale e multidimensionale, che comprenda l’intercettazione dei flussi finanziari illeciti, la protezione delle imprese sane e il rafforzamento delle capacità investigative nell’area economica. 

Solo con un approccio integrato e in costante evoluzione sarà possibile contrastare efficacemente l’infiltrazione mafiosa nei settori produttivi e mantenere l’integrità del sistema economico e sociale.

Quel voler salire (sopra gli altri) ad ogni costo!!!

Viviamo una società dove tutto può esser raffigurato con una immagine: tentar di salire il più in alto possibile!!!  

Non importa se per farlo si mancherà di rispetto nei confronti degli altri, siano essi familiari, amici, colleghi o anche perfetti estranei, l’importante per quegli individui è sopravanzare sempre e nel farlo, usare tutte le maniere, siano esse regolari che scorrette.

Non importa quanta limitata capacità e ancor meno professionalità si possieda, l’importante per quei meschini individui è riuscire a prevaricare, sì… utilizzando qualsivoglia condotta pur di riuscirci, dimostrando di fregarsene degli altri e rimanendo indifferenti a quelle loro proteste!!!

Sono persone capaci di passare sopra ogni cosa, in particolare sulla sensibilità altrui; essi sono come veri e propri trattori (come direbbe scherzosamente sul social di “TikTok” Carmelo Caccamo: carichi di munnizza”…) che evidenziano con la propria crudelta, arroganza e mancata empatia!!!

A questi soggetti non va alcun sostegno e ancor meno va espressa la nostra stima, essi sono lì soltanto per prendere e non fanno nulla per ricambiare, anzi viceversa puntano – ogni volta che raggiungono un livello più alto – a voler di più a scapito degli altri!!!

Non si tratta quindi di guadagnare di più o di voler superare ad ogni costo certi limiti, di cui ahimè sanno esser in possesso sin dalla loro nascita e dei quali purtroppo non possono far nulla; d’altronde la natura non può esser modificata e quindi se uno è nato “fesso” non può diventare improvvisamente “scaltro“, pur avendo fatto di tutto per venir rispettato, grazie a quel “usurpato” livello sociale raggiunto!!!

Lo sanno tutti che tipo di persona rappresenta, anche se poi si sa… i suoi cosiddetti “amici e/o conoscenti” quando lo hanno di fronte… gli sorridono; già… come riportato in quei proverbi siciliani: “na facci dinnanzi, ie una d’arreri” o anche “Acqua davanti e ventu d’arreri”!!!

E difatti, ciascuno di noi quando osserva questi infidi soggetti non può che “stendere un velo pietoso”, preferendo allontanarsi pur di non avere nulla a che fare, nè con loro e ancor meno con quella loro stupidità!!!

Peraltro, permettemi di aggiungere un consiglio oppure di fare come il sottoscritto che ha sempre evidenziato – quando chiamato in causa – di possedere un basso limite di sopportazione, lo stesso che non ha mai consentito a nessuno di superare!!! Ricodatevi quindi che avete sempre una scelta e se non volete fare come me e quindi giungere immediatamente allo scontro, potete essere più riflessivi e affrontare il problema senza combattere perchè d’altronde certi soggetti, non valgono minimamente la vostra attenzione.

Su quest’ultimo punto vorrei riprendere una citazione di Seneca, scritta ben 2000 anni fa che diceva: “Impara a piacere a te stesso. Quello che pensi tu di te stesso è molto più importante di quello che gli altri pensano di te”!!! 

Per cui, quando non è possibile controllare il comportamento altrui, lo stesso con il quale siete costretti ad interagire, cercate di stabilire dei “limiti” oltre i quali – se oltrepassati – potrete mandare a fanculo chiunque, soprattutto se quel loro interlocutore e soprattutto le sue espressioni hanno di fatto provato a mancarvi di rispetto!!!

Ecco perchè bisogna dimostrare sin da subito a questi fallaci soggetti che pur avendo essi raggiunto (immeritatamente) quel livello sociale, voi… (insieme al sottoscritto naturalmente che vi starà sempre accanto…) mostrerete di non esser più disposti a tollerare quelle sopraffazioni e ancor meno relazioni che hanno carattere univoco in particolare se quest’ultime evidenziano maleducazione, ed allora fate loro comprendere che da ora in poi dovranno cavarsela da soli continuando per come hanno sempre fatto, già… facendosi assistere (perchè in fondo sanno bene d’essere dei totali inetti….) da quei loro servirli e sempre presenti lacchè!!! 

Difatti… è per questo motivo che il nostro Paese presenta quella forma di piramide: politica, economia, lavoro. Per salire in alto devi schiacciare quello che sta sotto di te e se non vuoi scivolare in basso, devi leccare i piedi a quello che sta sopra di te!!!

Quante sono le imprese controllate dalla mafia??? Ancora troppe…

Quelle delle imprese “controllate” è un tema di difficile soluzione e ciò è dovuto al fatto che dietro ciascuna di quelle imprese si nasconde un prestanome che con i soli controlli solitamente effettuati, risultano essere slegati da affiliazioni o parentele con uomini di cosa nostra…    

Ma il problema da affrontarsi (in maniera seria) su quei controlli di trasparenza, non dovrebbe esser ristretto ai soli dati anagrafici di quei soggetti che improvvisamente decidono di svolgere la figura d’imprenditori, bensì dal loro reale potere economico e soprattutto finanziario!!!

Mi riferisco a quella semplice condizione per diventare un’imprenditore, a dirlo tra l’altro è proprio il termine stesso, basta cercarlo su “google”: Per diventare imprenditore servono abilità, impegno, dedizione, spirito di sacrificio e soprattutto risorse di denaro!!!

Ecco, siamo giunti nuovamente alla mia premessa e cioè quella che per fare impresa bisogna dimostrare d’aver capacità economica, d’altronde senza questo fondamentale requisito, sarebbe facile per chiunque fare impresa…

Ed allora, quando un soggetto diventa a tutti gli effetti di legge “imprenditore”, attraverso la costituzione di una società o l’acquisizione di una esistente (solitamente con l’estromissione dei precedenti titolari, grazie anche all’omertà delle vittime determinata non solo da paura ma anche dai pregressi rapporti con i componenti del sodalizio), ecco, quando si formalizza quella nomina di legale  rapresentante, dovrebbero immediatamente partire i controlli, non solo quelli conosciuti come “Protocolli di legalità“, ma tutta una serie di richieste come ad esempio informazioni bancarie, le stesse che possono evidenziare la reale capacità finanziaria di quel soggetto ora promossosi ad imprenditore…

Comprendere quindi quali somme egli abbia gestito nel corso della propria vita, ma soprattutto analizzare come esse siano state realizzate, concretizzate, alimentate e verificare i fatturati che hanno permesso ad egli un’eventuale crescita finanziaria e di vitale importanza per fermare anzitempo una nuova attività illegale!!!      

Altrimenti sarebbe troppo semplice, ga chiunque sarebbe data così la possibilità di diventare imprenditore ed è proprio ciò che la maggior parte di essi fa, sì… facendosi finanziare da quelle organizzazioni criminali e sfruttando gli strumenti posti a disposizione da quel capitale mafioso che incontra, si mescola e si occulta, con quello legale…

Non dobbiamo quindi credere che quell’imprenditore rappresenti un soggetto deliquenziale o che preferisca procedere sin dal suo insediamento in maniera “illegale”, ad esempio mancando di rispettere le norme su contratti di lavoro, le imposte e/o contributi previdenziali, no… i nuovi imprendori e soprattutto la nuova criminalità interessa poco o nulla operare sul mercato in maniera illecita, anzi tutt’altro, quest’ultima ha deciso di restare in maniera stabile nel territorio e vuole quindi affermarsi sul mercato legale, non solo nella propria regione , ma anche nelle altre…

Queste “imprese” difatti sfruttando quella propria capacità finanziaria derivata dal riciclaggio di denaro sporco, per far crescere quelle loro imprese a dismisura e non ha alcuna importanza se durante quella loro gestione, si presenta una eventuale perdita, perché quest’ultima verrebbe coperta in maniera celere, grazie ai profitti derivati da altre attività commerciali e ad un sistema di scambi vantaggiosi con le altre imprese affiliate…

Già… ad esse interessa poco incrementare i profitti o abbattere i costi attraverso il lavoro, poiché non si ha alcun problema di liquidità e quindi, grazie all’ingresso costante di capitale da ripulire, ci si dedica principalmente ad infiltrare in quegli appalti milionari e nei fondi pubblici posti a disposizione… 

E’ evidente come mentre in passato la mafia deprimeva l’economia di un territorio riducendo quindi la capacità di spesa pubblica locale, adesso le nuove imprese “controllate” hanno le competenze per poter attrarre più investimenti pubblici nelle loro zone di influenza, in modo da vincere facilmente un maggior numero di appalti!!!

Queste imprese sono diventate delle vere e proprie agenzie di servizi, pronte a mettersi a disposizione dell’economia con il proprio capitale (illecitamente accumulato), creando così consenso sociale, politico ed un controllo amministrativo nel territorio in cui operano, grazie alla corruzione alimentata, ma soprattutto attraverso la grande disponibilità di posti di lavoro offerti, nuovo baratto di sodalizi clientelari… 

E quindi, nonostante gli sforzi fatti nel corso degli anni dai vari governi nazionali, con l’introduzione ad esempio della Banca dati unica, della documentazione antimafia e di quella stessa autocertificazione antimafia, lo Stato ha di fatto subito una sconfitta!!!

D’altronde la dimostrazione è palese: tutti questi strumenti hanno evidenziato una lacuna in quanto alla maggior parte di quelle imprese controllate è stato semplice aggirare i controlli, già… semplicemente ricorrendo ad uno dei tanti prestanome!!!

Prepariamoci ad una inflazione e stagnazione dei mercati!!!

Da un po’ di tempo mi sono dato allo studio del trading e osservando l’andamento generale del mercato azionario e soprattutto i fattori che influenzano i prezzi delle azioni, ho scoperto come le quotazioni delle borse mondiali subiscano a seconda della crescita o meno di alcuni parametri, quelle variazioni di mercato a cui assistiamo; tra i fattori che influenzano in maniera considerevole la crescita economica di uno Stato vi sono: i tassi di interesse, l’inflazione, la disoccupazione, la crescita economica, ma anche la liquidità immessa dalle banche centrali, il clima politico e le condizioni sociali di un paese.

Ecco perché ritengo che a breve, tutti gli stati, potranno ritrovarsi con un periodo buio di “stagflazione“!!! 

In economia, con il termine stagflazione (combinazione dei termini stagnazione ed inflazione) si indica la situazione nella quale sono contemporaneamente presenti nello stesso mercato sia un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia una mancanza di crescita dell’economia in termini reali (stagnazione).

In pratica, inflazione e stagnazione economica decretano una crescita zero del Prodotto interno lordo (Pil), con evidenti conseguenze anche sul debito pubblico del Paese.

Difatti, basti osservare i recenti dati economici riportati negli Usa per comprendere come l’inflazione  non stia in questi mesi rallentando, ed il rischio nel breve periodo, potrebbe determinare un declivio pericoloso, già… verso la stagflazione, cui seguirebbe un periodo prolungato d’alta inflazione!!!

Questa visione negativa è certamente in contrasto con molte le attuali previsioni di mercato che hanno – contrariamente al sottoscritto – pronosticato in maniera ottimisticamente come l’inflazione negli Usa si starebbe gradualmente diminuendo, portando così l’economia a crescere…

Ma se si osserva quanto realmente sta accadendo in quella nazione (e di come quindi ciò potrebbe riflettersi da noi in Europa), scopriamo come i i livelli dei prezzi negli Stati Uniti stiano sempre più aumentando a cui si è accompagnata un crescente disoccupazione, che sta determinando una debole crescita economica!!!

Potremmo paragonare l’attuale contesto attuale con quello degli anni 70′, una stagflazione che potrebbe ripetersi e che potrebbe quindi spingere gli investitori a deviare quei loro capitali dalle azioni agli asset a reddito fisso, per ottenere rendimenti più elevati.

Difatti il rischio è che fattori come i deficit fiscali, l’incremento della spesa pubblica, l’incerta evoluzione politica interna, gli elevati tassi d’interesse, la crisi energetica, l’involuzioni commerciali e soprattutto le tensioni geopolitiche, aggraveranno certamente i rischi in quel paese verso l’inflazione!!!

Prepariamo quindi, perché dopo aver superato la crisi pandemica, quanto potrebbe giungere entro l’anno, potrebbe di fatto destabilizzare tutta l’economia mondiale, creando una crisi economica e finanziaria con conseguenze devastanti, ad iniziarsi dalla perdita di potere d’acquisto, dalla mancanza di liquidità e dalla difficoltà di accesso ai finanziamenti!!! 

Pnrr – parte seconda

Come riportavo nel precedente post, la comprovata abilità di “cosa nostra” ha dato il via a tutta una serie d’infiltrazione in particolare nei settori chiave degli apparati che riguardano lo Stato, alla luce dei finanziamenti pubblici che stanno per giungere o già stanziati per rilanciare l’economia del Paese…

Nessuno lo dice, ma la verità è che l’economia legale è già sotto attacco, sì… da parte della criminalità organizzata, la stessa che negli ultimi vent’anni si è dimostrata capace di intercettare milioni di euro di quei fondi strutturali e di investimento europei, posti a sostegno dell’economia nazionale, non soltanto per le misure previste, ma anche per quelle in via di adozione. 

Questi fondi infatti, rappresentano lo strumento principale della politica degli investimenti dell’Unione europea per favorire la crescita economica ed occupazionale degli stati membri e delle loro regioni, ma non solo, essi addirittura mirano alla cooperazione territoriale; comunque, nello specifico troviamo in modo articolati cinque fondi e precisamente: il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo, il Fondo di coesione, il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.

Su ciascuno di quei fondi abbiamo visto attraverso le varie inchieste giudiziarie, come talune associazioni criminali vi abbiano già messo le mani, facendo sparire milioni e milioni di euro… 

D’altronde anche le risorse da impiegarsi nell’ambito del NextGeneration UE sono state inviolate e vedrete come tra qualche anno scopriremo come quei fondi destinati al Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, sono stati illegalmente sottratti…

La minaccia in tal senso è indubbia ed è rappresentata dalla inclinazione dei propri affiliati, gli stessi che sono capaci di avvicinare e infiltrare i propri uomini in quell’area grigia che annovera al suo interno, professionisti compiacenti e pubblici dipendenti infedeli, ciascuno in grado di consentire l’inquinamento di quei settore chiave e il cuore stesso della cosa pubblica.

Da quanto sopra descritto si comprende come la “mafia” abbia saputo mutare la propria natura violenta in qualcosa di diverso, di più manageriale, parliamo di una nuova “mafia” affaristica che si avvale di società di comodo e soprattutto d’imprenditori compiacenti (o quantomeno assoggettati..) e che continua a confermare il proprio interesse su tutti i settori nevralgici per l’economia del sud del Paese…

"Imprenditori" rapaci!!!

Cerco sempre di calmare quest’ansia che mi si innesca ogni volta che cammino e mi guardo intorno, ogni volta che salgo le scale, prendo gli ascensori, osservo dai balconi e quando strusciando le suole su zerbini, supero le soglie di quegli ingressi. 

Non posso fermare un rimuginio d’anima perenne su come sono stati e ancora oggi vengono realizzate le nostre costruzioni e se poi ho qualcuno a portata di parola, riesco con grande difficoltà a trattenermi dal raccontare sul come si tirano su quegli appalti, quelle enormi strutture fatte di piani, balconi e coperture. 

Non è un senso di colpa universale che mi pervade, né un riscatto morale verso chi è stato cassato dalla memoria del sentiero della storia, non riesco a non pensarci, ho sempre questo vizio, una vera perversione, già, non riesco a dimenticare come funziona il ciclo del cemento quando vedo una rampa di scale, come non mi distraggo nell’osservare quelle impalcature verticali mal realizzate, no… non riesco a far finta di nulla. 

Penso a tutto, anche a quella semplice malta e alla cazzuola che la genera con quel suo movimento, penso persino ai calli che genera il manico di legno del frattazzo usato sino allo stiramento del polso per spianare l’intonaco. 

Sarà forse che chi nasce in questa terra ha un rapporto con alcune sostanze in modo singolare, forse unico, un legame che altrove non potrebbe che essere diverso. 

Non tutta la materia difatti viene recepita allo stesso modo, già da noi in meridione il cemento è l’elemento portante e non esiste impero economico del sud che non abbia visto il passaggio nelle costruzioni. 

Appalti, gare d’appalto, cave, cemento, inerti, malta, mattoni, impianti, mezzi d’opera, operai rappresentano l’armamentario dell’imprenditore italiano è quest’ultimo vive quel proprio impero costruito quasi sempre dal nulla (grazie non certo alle proprie capacità imprenditoriali, ma soprattutto beneficiando di quel sostegno personale e finanziario offerto loro in cambio d’interessi più generali) quasi fosse il proprio “principato” o dovrei dire un feudo offerto ad egli come semplice “valvassore“!!!

Potremmo immaginare questo imprenditore con la sua valigetta, simile a quella che qualche anni fa produceva quelle famose macchinine, dalla quale aprendola escono  micro betoniere, nano escavatori, terne, autocarri, gru e ovviamente operai lillipuzziani…

Se dovessimo pensare a molti di quei nostri imprenditori siciliani, dovremmo immaginarli così… con quella valigetta,  pronti a volare per diventare “prenditori”, potenti e vincenti!!!

D’altronde questo è il mestiere più semplice per far soldi nel più breve tempo possibile, acquistando fiducia in quegli ambienti mafiosi, assumere persone consigliate per diventare voto di scambio durante le elezioni, accaparrarsi finanziamenti, moltiplicare il proprio volto e soprattutto la propria presenza in quel proprio territorio. 

Ha un talento di quel cosiddetto “prenditore” e cioè quello di essere nello stesso tempo mediatore e rapace, egli possiede la pazienza del certosino compilatore di documentazioni burocratiche, di attese interminabili, di autorizzazioni sedimentate come lente gocce di stalattiti pere poi uscire gli artigli, quel talento rapace capace di planare su terreni insospettabili, sottraendoli per pochi quattrini e poi serbarli sino a quando ogni loro centimetro ed ogni bruco divengono rivendibili a prezzi esponenziali. 

L’imprenditore rapace sa come usare becco e artigli, d’altronde chi c’è dietro di loro accorda il massimo credito, e non mi riferisco ad istituti finanziari o banche, no queste ultime necessitano di garanzie valide ed essi, questi prenditori, di fatto non possiedono nulla, quantomeno nulla è di loro, ecco perché si ha la necessita che vi sia qualcuno “celato” chi garantisca per quella sua società!!! 

Io so bene come viene costruito il nostro Paese, in particolare la nostra regione che presenta ribassi folli oltre il 30%, ne ho le mani in pasta, conosco la maggior parte delle imprese ed i progetti da realizzarsi con quegli pseudo “miglioramenti“, ma non solo, so bene la provenienza degli inerti e da dove essi vengono prelevati per essere utilizzati in quelle costruzioni…

Si sa… i vantaggi che hanno queste ditte e attraverso di essi quei loro committenti sono infiniti; gli inerti vengono saccheggiati portati via abusivamente, mentre le ditte d’estrazione autorizzati per sottrarre quantità minime, in realtà mordono e divorano intere montagne. 

Quintali e quintali di massi e pietrisco a basso costo, finiscono per partire da quei luoghi. 

Sono inerti a costo zero, montagne e colline sbriciolate che vengono impastate nel cemento per finire ovunque.ma non solo, oltre ad aver guadagnato dall’estrazione abusiva, queste imprese creano luoghi per nascondere i propri rifiuti, altro denaro quindi che si somma per rendere le proprie ditte ancor più competenti e al servizio in subappalto delle migliori holding di costruzioni in circolazione. 

Ecco perché quasi tutto intorno a noi ha al suo interno quel veleno, ma si sa… non accadrà nulla sin quando quelle strutture non inizieranno a deteriorarsi ed allora sarà così che forse qualche operaio, intervenuto per le necessarie riparazioni, e nel respirare quelle polveri, chissà dopo qualche anno, qualcuno incolperà per il suo cancro la malasorte. 

Si comprendono i motivi per cui oggi alcune ditte rispetto ad altre sono capaci di stravincere per prezzi e qualità, perché ogni vantaggio viene scaricato sulla gestione della manodopera e sulla scadente qualità delle forniture e dei materiali. 

Ecco in quali modi questi individui si trasformano in manager da auto e barche lussuose (tutte da pagare…), in assalitori di gruppi commerciali, in acquirenti di imprese e società di produzione, ma prima di tutto questo e dietro tutto questo c’è come sempre il cemento, le ditte in subappalto, gli inerti, i noleggi, i trasporti ed i furgoni stracolmi di operai che lavorano senza sosta ed a volte scompaiono al mattino, abbandonati in qualche strada secondaria, dopo esser violentemente caduti da qualche ponteggio di cantiere, realizzato non a norma. 

Non bisogna quindi meravigliarsi di nulla, in fin dei conti è’ questo lo spessore dei nostri imprenditori, peraltro è lo stesso su cui poggia ahimè l’economia, la politica e soprattutto la corruzione nel nostro Paese!!!

La nuova mafia abita in mezzo a noi, ma è diventata invisibile!!!

Caro Don Ciotti, ho letto stamani l’articolo pubblicato su “La Repubblica” e se da un lato ne condivido il pensiero, ritengo quanto dichiarato superato da un bel pezzo; già è come se Lei si fosse fermato ad alcuni anni fa e non fosse andato avanti. 

Lo dico tra l’altro come associato a “Libera” perché vede, parlare di mafia, di boss, di criminalità organizzata, d’imprenditoria collusa è molto semplice, esiste e sappiamo tutti come essa faccia di tutto per appropriarsi di quei settori econiìomici dove girano parecchi milioni di euro… 

Ma il problema fondamentale oggi è costituito dalle coperture a livello politico o dalle complicità finanziarie ed economiche cui lei fa correttamente riferimento, no… sono i cittadini, il livello medio/basso e soprattutto tutti quegli ambienti istituionali che sembrano rappresentare di fatto la legalità e la giustizia, ma che celano al proprio interno, soggetti che mostrano essere fortemente collusi e corrotti…

Quì non si tratta più di contare le vittime, come anche lei ha potuto costatare sono anni che non accade nulla, in particolare si può anche dire che non esiste più neppure il concetto di “antimafia” di cui ormai nessuno crede più… 

D’altronde mi dica che cosa significa essere antimafia? Quanti sono i soggetti che si dichiarano apertamente, che denunciano con il proprio nome e cognome o anche con la propria faccia??? Beh… pochissimi, il sottoscritto le ha contate sulla proprie dita… 

Ma si sa… i cittadini preferiscono restare omertosi, nessuno che denuncia pur di salvaguardare la propria posizione o per garantirsi quel proprio orticello familiare necessaria per una eventuale raccomandazione, la stessa d’altronde che ha permesso loro di essere ora lì, in quei ruoli strategici se pur inadeguati.

Lacchè di mer… che approfittano di questo attuale sistema per compiere qualsivoglia malaffare e mettersi in tasca le tante mazzette che girano e non in maniera celata ma ben visibile!!!

Sì è vero… resta il sentimento puro di migliaia di giovani, gli stessi che scendono in piazza, ma sappiamo entrambi come quella grande intensità dovrà confrontarsi presto con la realtà, già… tutta quella passione verrà infettata dalla società civile, dalle circostanze esterne, ma anche dagli stessi familiari, gli stessi che negli anni hanno beneficiato di quegli appoggi e che sanno bene a cui doversi rivolgere per agevolare il percorso dei propri figlioli, perché senza quelle agevolazoni, essi dimostrano essere altrettanto inadeguati!!!

Altro che seme di legalità, l’unica cosa che è germogliata in questi anni si chiama “raccomandazioni e favori”, è rappresenta difatti per quei nostri giovani, la totale mancanza di responsabilità!!!

Ma lei è come Martin Luther King ed a quel suo “I have a dream”; sogna che ci possa essere un paese diverso e un futuro equo per tutti i giovani, ma sa bene che non è così!!!

Difatti, è proprio quello che alla fine della sua intervista rivolgendosi ai suoi giovani dichiara: “per costruire una realtà diversa bisogna prima sognarla”!!!

Mi dispiace concluedere non questa frase, ma il sottoscritto preferisce le parole riportate da Cicerone in una delle sue “Epistulae”: “Sunt facta verbis difficiliora”; letteralmente: “I fatti sono più difficili delle parole”!!!

Altro che ripresa, il rischio è che s’inneschi una nuova inflazione…

Certo non si tratta di un rischio immediato, ma nel medio termine quanto sta ora accadendo potrebbe limitare di fatto quella tanto desiderata ripresa…

Una cosa è certa, stiamo colando a picco e d’altronde con la maggior parte delle attività ormai chiuse, il rischio di una nuova inflazione è dietro l’angolo!!!

L’intera filiera economica è bloccata, dalla produzione ai beni di consumo e ciò sta determinando una vera e propria risalita dell`inflazione…

Vedrete, l’aumento dei prezzi pur non determinando rischi nell`immediato potrebbe introdurre difficoltà nell`ingranaggio della ripresa, peraltro ciò è riportato da alcuni studi di settore che hanno provato ad elaborare l`evoluzione dell`economia del nostro Paese e dei mercati internazionali a seguito dell’epidemia “Covid-19”.

Lo studio evidenzia come tutto stia per aumentare, in particolare le materie prime, che stanno già incidendo sulla filiera dei prodotti interni…

Un aumento che sta condizionando tutti i settori industriali, ad iniziarsi da quello relativo alla produzione di metalli, per passare a quello manifatturiero e meccanico, già in grave crisi a causa del mercato parallelo cinese, sempre più competitivo… 

Difatti, l’offerta inadeguata rispetto allo sviluppo della domanda ha determinato l’insuccesso  di offerta in quegli specifici comparti, che avrebbero dovuto avere un ruolo fondamentale nella ripresa della nostra economia ma così ahimè non è stato… 

Difatti, mentre noi siamo rimasti bloccati, altri – vedasi le economie asiatiche – hanno superato i livelli pre-crisi dell’inizi dello scorso anno, dovuti al contagio del coronavirus…  paese che grazie alle vendite web si sono rimessi in moto, iniziando ad aumentare il presso dei loro prodotti che iniziano a costituire un vero e proprio intralcio alla ripresa verso la “normalità” del nostro paese…

Purtroppo stiamo affrontando ancora un periodo di grande incertezza e la nostra imprenditoria ha paura di dover affrontare un futuro non ancora sotto controllo, di cui ancora oggi non si conoscono le possibili ripercussioni e soprattutto gli eventuali rischi di contrazione…

L’attuale governo Draghi parla di fare uno sforzo comune e di attuare quelle necessarie politiche di ricostruzione, ma non sempre quanto si vorrebbe pianificare può essere attuato razionalmente perché esistono alcune variabili che nulla hanno a che fare con le decisioni degli uomini e la pandemia ne è  una dimostrazione!!!

Per cui, se da un lato molti dei nostri governanti prospettano per il nostro paese una ripresa immediata, il sottoscritto viceversa ritiene ancora fortemente presente il rischio di inflazione e non saranno i miliardi di euro che dovrebbero arrivare dall’Ue a salvarci da questa situazione…

Chissà forse mi starò sbagliando e credetemi… spero in questa circostanza d’essere in errore, perché sarebbe terribile ritrovarsi nuovamente in uno stallo come quello che ahimè stiamo ancora attraversando!!!  

Ed ora cosa accadrà all’economia mondiale…

Sì… Biden ha vinto le elezioni statunitensi, ma il mercato se pur entusiasta di questo cambiamento dimostra ancora oggi, attraverso gli investimenti nelle borse internazionali di essere cauto… 

D’altronde, possiamo confermare per certo che non esiste alcun soggetto capace di prevedere una qualsivoglia futura strategia, tale da intuire su quali mercati finanziari investire e su quali no…
Nessuno, si nessuno infatti è stato capace di anticipare lo scorso anno quanto di lì a poco sarebbe accaduto a causa del “Covid”, in particolare su quel mercato asiatico che prima di altri ne ha pagato le conseguenze…

Il crollo delle negoziazioni ha evidenziato tutta la debolezza di un sistema finanziario che si è dimostrato nei fatti  mutevole, ma soprattutto instabile…

D’altronde va ricordato come esso basi la propria esistenza sulle abilità personali di taluni soggetti milionari e di quelle particolari società finanziarie e di brokeraggio che riescono con grande abilità ad influenzare i mercati, facendo leva proprio sulle debolezze umane…  
Ecco perché la maggior parte di essi non si è dimostrata pronta durante la pandemia e ne ha pagato lo scotto; d’altro canto i dati del primo semestre 2020 hanno mostrano i segni della crisi pandemica e di come la ripresa economica sia stata ancora lenta, fino a giungere a questo ultimo trimestre che sta evidenziando grande incertezza…

Ecco quindi perché sono in molti ad investire nei metalli preziosi, gli unici investimenti scambiati nel breve termine al rialzo e con aumenti settimanale interessanti nell’odine del 8-10%.

Il mercato ora si aspetta che Biden lancerà un piano di stimolo su larga scala per rilanciare l’economia mondiale ma come dicevo sopra, il suo insediamento legato all’incertezza dovuta anche alle votazioni appena concluse contro Trump, ha condotto il dollaro USA a scendere, mentre i futures sull’indice azionario standard 500 sono aumentati di oltre il 2%, ottenendo sei guadagni consecutivi, sfidando il massimo storico d’inizio settembre…
Ma… vedremo cosa accadrà, per ora nessun riesce a capirci qualcosa… 

La partita giocata sullo stretto di Hormuz se non bloccata, porterà a breve ad una escalation incontrollabile!!!

Non so quanti di voi ricordano ciò che è successo trentasette anni fa (era il 2 Aprile 1982) nelle isole Falkland, tra Regno Unito e Argentina…  
Una guerra che durò due mesi e fu vinta dagli Inglesi, dopo che l’Argentina aveva attaccato quelle isole per riconquistarle dal dominio britannico (che vige ufficialmente dal 1833).
Il Regno Unito inviò subito nella zona navi, aerei, sottomarini e scacciò in soli 74 giorni le forze argentine che avevano occupato gli arcipelaghi!!!
Quanto sopra per far comprendere in quali modi opera quel Regno, non ci pensa un attimo… d’altronde basti pensare alla Germania (nazista) di Hitler che pur provandoci, non riuscì mai a distruggere quell’allora impero!!!
L’Iran ora, attraverso i suo “pasdaran“, sta provando ad alzare la tensione, proprio contro le petroliere battenti bandiera inglese dinnanzi a quello stretto di Hormuz, dove ogni giorno centinaia di navi colme di petrolio provenienti dai paesi del golfo, attraversano quell’angusto passaggio per dirigersi nei porti di mezzo mondo… 
Anche l’ambasciatore di Londra, pochi giorni fa, ha comunicato che è giunto il tempo che il regime iraniano si dia una regolata, prima che i due paesi si trovino ad affrontare una pericolosa escalation!!!
Ma lo stato islamico ha dimostrato di non tenere in considerazione quei consigli, tanto d’aver sequestrato la “Stena Impero“, battente bandiera inglese, dopo che più di due settimane fa, la petroliera “Grace 1″ era stata sequestrata dai Royal Marine britannici al largo di Gibilterra…
Secondo l’ambasciatore iraniano, l’aumento delle tensioni inglesi è dovuto principalmente ai cambiamenti in corso nelle politiche interne,  un chiaro riferimento all’establishment della difesa del Regno Unito e ai suoi alleati all’interno dei cosiddetti “think tank” (come il il neo conservatore della Henry Jackson Society) e soprattutto quei potenti alleati di petrolio (come ad esempio l’Arabia Saudita) e ovviamente i costruttori di armi,
Il rischio è rappresentato da una escalation militare incontrollabile  e la situazione nel Golfo Persico sta diventando di giorno in giorno sempre più pericolosa…
A dar manforte al Regno Unito ci sono ovviamente gli Stati Uniti che dopo essersi ritirati nel maggio scorso dall’accordo iraniano sull’emissione nucleare, hanno iniziato ad inasprire economicamente le sanzioni sulle industrie petrolifere e petrolchimiche dell’Iran…
Per dimostrare la propria forza militare, gli Usa hanno inviato nell’area portaerei nucleari… ma ugualmente l’Iran non si è fatta intimidire, preparando migliaia di missili da lanciare appena dovesse essere attaccata…
Va ricordato d’altronde come l’aver imposto sanzioni all’Iran, sta causando enormi difficoltà a quei paesi che hanno necessità di ricevere le importazioni di petrolio greggio come ad esempio il nostro paese, anche perché tutto ciò ha permesso ad atri altri produttori di petrolio di far lievitare i prezzi, penso agli Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, ma anche altri come ad esempio la Russia… 
Il rischio è che la tensione attualmente in corso potrebbe costringere l’Iran a bloccare quello Stretto di Hormuz, con barriere artificiali, navi relitto fatte affondare appositamente, mine navali, ecc…  tutti espedienti per evitare di garantire l’approvvigionamento energetico di greggio nel mondo… 
D’altro canto così non si può continuare… Sappiamo bene come le esportazioni di petrolio siano la linfa vitale del sistema economico iraniano e le sanzioni imposte finora stanno causando una minaccia alla salvaguardia dei propri cittadini, con ripercussioni che iniziano a mostrare pesanti perdite nell’economia reale del paese…
Prima che sia troppo tardi… l’ONU deve intervenire, senza farsi influenzare dagli Usa e Regno Unito, ma operando in maniera neutra per risolvere il problema in maniera celere, prima che si dia inizio (per come molti desiderano, in particolare i produttori di armi pesanti “major weapons”, potenti fabbricanti di aerei, navi, sottomarini, carri armati e sistemi missilistici, che vorrebbero alleggerire quei loro colmi depositi…) ad una nuova escalation militare!!! 

L’Iran abbatte un "drone" Usa e raccoglie il relitto dalle sue acque territoriali…

Il notiziario iraniano di Press TV ha comunicato che le “guardie rivoluzionarie islamiche” del corpo iraniano, hanno abbattuto un velivolo senza pilota della serie “Global Hawk” che aveva senza autorizzazione, volato al di sopra del paese persiano!!!
Sebbene l’Iran non abbia alcuna intenzione di combattere contro nessuno, lo stesso, ha dichiarato di essersi preparato ad una eventuale “guerra”.
Naturalmente la risposta del portavoce del comando Usa, non si è fatta attendere, replicando che nessun aereo americano ha sorvolato in quel giorno lo spazio aereo iraniano…
Tuttavia, sembra che un anonimo funzionario americano abbia confermato che un drone sia stato realmente abbattuto da missili anti-aerei iraniani nello spazio aereo internazionale dello stretto di Hormuz.
Certo ora questa repubblica islamica affacciata sul Golfo Persico, si trova in possesso di uno dei droni più avanzati al mondo, un modello questo “RQ-4 Global Hawk” che – a secondo di quanto ancora integro possa essere – potrà essere studiato e clonato, utilizzando la ben nota “ingegneria inversa“, per riprodurne ove possibile, un analogo prodotto… con tutto ciò che ne potrà conseguire!!!
Per meglio comprendere di cosa si stia parlando, il drone “RQ-4 Global Hawk” rappresenta un velivolo senza pilota ed è l’aereo da ricognizione più avanzato…
Si presenta con una forma da balenottero… con un’apertura alare di 35,4 metri, maggiori di quelle di un Boeing 747, ed è considerato come una delle più alte conquiste della tecnologia umana!!!
Non parliamo del prezzo… è scandaloso in quanto con le attrezzature a bordo costa quasi 200 milioni di dollari e può volare costantemente a 650 km/h per oltre 36 ore!!!
L’incidente se così si può chiamare, rappresenta un segnale pericoloso perché aggrava un conflitto tra le parti già profondamente segnato e dove i suoi due principali interpreti, Trump e Rohani, evidenziano come non vi sia alcuna possibilità di riconciliazione tra le parti.
Gli Usa, dopo le sanzioni internazionali decretate contro l’Iran (incluso l’embargo petrolifero europeo scattato il 1° luglio 2012 che hanno fatto crollare le esportazioni petrolifere del Paese, facendo sprofondare l’economia in una recessione), a annunciato ulteriori sanzioni nei confronti di quegli Stati che intrattengono relazioni economiche e commerciali con l’Iran, tra cui vi è anche il nostro paese…
Per cui… o queste nazioni cesseranno i loro rapporti commerciali con l’Iran oppure incorreranno nella scure di Trump, perdendo di fatto ogni sostegno economico e commerciale, proveniente attraverso il mercato statunitense…
La guerra quindi –se pur non militare– è iniziata ed avrà a breve gravi conseguenze, sia economiche che finanziarie, in particolare a causa del riacutizzarsi di una crisi mondiale che sta coinvolgendo ogni giorno che passa, sempre più paesi, vedasi Cina, Russia, Corea del Nord, Venezuela, Messico ed anche l’Europa…
Ho la sensazione che dobbiamo iniziare a prepararci ad un quinquennio di nuovi sacrifici, come se quelli passati in questi anni, non ci fossero bastati!!!
Già…