Archivi categoria: d’amelio

Chissà, forse ora avendo compreso di esser stato tradito, l’ex boss di cosa nostra potrebbe iniziare a raccontare quelle verità scomode che molti preferirebbero restassero celate???

Chissà se forse la malattia o l’avvenuta convinzione di essere stato tradito, non conduca Matteo Messina Denaro ha parlare con i giudici, in particolare di quegli aspetti “stragisti” rimasti finora oscuri e di cui certamente molti vorrebbero tener segreti, quantomeno per altri trent’anni…

L’ex boss di cosa nostra qualche passo verso quella direzione lo sta realizzando, difatti ha deciso (dopo il suo arresto ad inizio gennaio) di non nascondersi, per come avevano fatto quei suoi predecessori, in particolare egli ha fatto comprendere di essere stato affiliato a quella associazione criminale, di avere dato anche ordini per eseguire omicidi, di cui si è assunto la paternità, ma viceversa si è scaricato di talune azioni violente commesse da quell’associazione criminale, nei vari anni del suo comando, tra questi ha dichiarato al gip di Palermo Alfredo Montalto: “Non ho dato l’ordine di uccidere il piccolo Giuseppe Di Matteo”!!!

Le nuove dichiarazioni del boss scaricano la colpa su Giovanni Brusca, capo mandamento di San Giuseppe Jato, un’assassinio ritenuto (a suo dire) ingiusto, il ragazzino venne brutalmente strangolato e poi sciolto nell’acido a soli 12 anni per aver quale colpa, quella di essere figlio di un collaboratore di giustizia: Santino Di Matteo. 

Se solo si aprisse ancora un po’, già… se soltanto decidesse di raccontare chi c’è stato dietro a quelle stragi ed ancora, dove è finita l’agenda rossa del giudice Borsellino e chi l’abbia presa per poi farne che cosa???

Sì… chi aiuto la mafia a compiere la strage di Capaci, quali servizi deviati o militari hanno portato l’esplosivo necessario e tutta la strumentazione atta a potersi compiere quell’attentato???

Ed ancora, chi tra i nostri politici ha permesso la sua latitanza, quali partiti hanno usufruito dell’appoggio della mafia negli anni scorsi e in quelli attuali, quanti tra essi “ricattabili” sapevano di quella sua latitanza e non hanno parlato???     

Dice bene Don Luigi Ciotti (fondatore di Libera)durante il corteo organizzato a Milano per la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, a proposito della cattura di Matteo Messina Denaro: Chiederci che questa latitanza – 30 anni – nasconde altre latitanze. La latitanza di chi avrebbe dovuto fare di più la propria parte. Non è possibile che una persona per 30 anni sia latitante”!!!

Non ci resta quindi che auspicare che quel suo essere stato capo, al comando tra l’altro di una delle organizzazione più numerosa al mondo, possa permettergli ora di dimostrarlo, sì… dall’interno di quel penitenziario, dimostrando a tutti noi – senza alcun dubbio – che egli fosse l’unico boss rimasto, dopo Riina e Provenzano, un boss capace di prendersi le responsabilità di aver fatto commettere molti di quei fatti gravi accaduti, come viceversa, rinnegare o rigettare ad altri, quelli da egli non commessi…

Ed allora, riprendendo una frase di un suo ex compagno di viaggio di quel mondo criminale, divenuto successivamente collaboratore di giustizia, mi riferisco a Tommaso Buscetta, per la sola circostanza che egli sia stato il vero capo per come in molti hanno raccontato, ma anche soltanto averne assunto quel ruolo per tutti questi anni, non può esimerlo dal continuare ad esserlo fino in fondo, sì aggiungerei… fino alla morte!!!

Ed allora è proprio questo il momento di farsi sentire, di dimostrare a tutti che – anche nelle attuali condizioni da recluso – egli resta sempre un capo, perché quel ruolo, quell’essere superbo di aver sempre comandato, non si può perdere, neppure se rinchiuso all’interno di quattro mura!!!

Ed allora riprendo le parole di don Masino rivolte al suo ex predecessore Totò Riina: voglio sentire il ruggito di un leone e non  ahimè… lo squittio di un topo!!!

Salvatore Borsellino: "Non bisogna indagare solo i poliziotti, ma anche i magistrati. Ho fiducia nel governo"

Quanto emerso in queste ore sulle motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater e cioè del “depistaggio” nelle indagini compiute per i fatti accaduti a Palermo 26 anni fa, mi dispiace doverlo dire, ma la notizia era stata anticipata dal sottoscritto il 19 Luglio dello scorso anno con il post: http://nicola-costanzo.blogspot.com/2017/07/borsellino-e-la-verita-negata.html
Ora, dopo che è passato un quarto di secolo per dare quantomeno una probabile verità, ci si è accorti di come tutto sia stato depistato, da una parte di quello stesso “Stato” deviato, rappresentato da una parte di quei suoi funzionari infedeli!!!
La chiamano nei Tribunali ricerca di verità e giustizia… ma di quale verità e di quale giustizia parlano se a quanto sembra, alcuni Pm hanno costretto un falso pentito a dichiarare circostanze e nomi, per nulla veritieri…
Ci avevano raccontato che Borsellino  era stato ucciso dalla mafia… da quel gruppo mafioso di “Toto Riina & Co”…
Ma evidentemente su quella vicenda, i contorni erano più quelli oscuri che quelli chiari: Troppe incertezze, troppi i ritardi, troppi gli errori e nessuna assoluta ricerca della verità… anzi, la verità ci è stata di fatto… negata!!!
Tutti s’aspettavano da un momento all’altro – a seguito peraltro della strage di Capaci – l’attentato al giudice Borsellino, sì… tutti sapevano e nessuno ha fatto nulla per impedirlo!!!
La mafia un fenomeno criminale che può essere sconfitto, ma per raggiungere questo obiettivo è indispensabile diffondere tra i giovani, la cultura della legalità” erano queste le parole del giudice Borsellino… ed è proprio su questo punto che lo Stato ha dimostrato principalmente di fallire!!!
Quanto successivamente compiuto serve a poco… indagini, arresti, condanne, sequestri, confische, ma come ripeto sempre, “sono cambiati i suonatori, ma la musica resta sempre la stessa”!!! 
Lo Stato deve dimostrare di essere “Stato” e non solo in quei giorni di doveroso tributo per il sacrificio di quei magistrati…
E’ tempo di finirla con i proclami, dobbiamo affrontare i problemi, in particolare quelli della nostra isola, ed è su questi temi che le istituzioni sono chiamati a svolgere il maggior lavoro, tenendo sempre in mente, l’indirizzo dato da quei suoi uomini esemplari… 
“La lotta alla mafia, rappresenta il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, e non deve essere solo una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolge tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità…”.
Leggere quindi oggi del depistaggio, di qualcuno che ha partecipato direttamente a quella strage, di chi ha ha saputo costruito quella falsa verità, di chi conosceva perfettamente i particolari di quella pianificazione e li ha poi raccontati al pentito Gaspare Spatuzza… 
Dice bene il fratello del magistrato: “Non bisogna indagare solo sui poliziotti coinvolti, ma anche sui magistrati. Ho fiducia nel governo”!!!
Si… forse ora che il governo è cambiato, un po’ di luce potrebbe iniziarsi a vedere…
Non va dimenticato che le stragi compiute in quegli anni, sono servite anche a cambiare gli equilibri di quei partiti da sempre presenti nel contesto politico nazionale, che sono stati all’improvviso spazzati via, mentre altri, nati proprio sulla scia di quella rivoluzione culturale, hanno preso il sopravvento…
Chi sono i magistrati che hanno avallato questo depistaggio??? Come è possibile che molti di loro abbiano fatto una carriera così rapida??? Che fine ha fatto l’agenda sparita dall’auto di Borsellino???  
Credo che abbia ragione il fratello Salvatore Borsellino quando afferma: “Questa sentenza afferma quello che io grido da sempre: la strage fu accelerate per impedire a Paolo di essere convocato e sentito come testimone a Caltanissetta, come lui chiedeva, su quello che aveva scoperto sulla morte di Giovanni Falcone. E l’agenda rossa fu fatta sparire perché si temeva potesse contenere rivelazioni scomode. Eppure a suo tempo La Barbera disse che Lucia, mia nipote, farneticava quando parlava dell’agenda rossa”.
La giustizia ancora una volta ha dimostrato quanto poco uguale sia, a seconda delle circostanze e degli uomini… 
Concludo con un pensiero del giudice Borsellino, riportato nel lontano 26 gennaio 1989:
L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! 
Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. 
Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. 
Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. 
Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati!!!

Falcone: la gente tifa per noi…

E’ il 20 giugno 1992, siamo a Palermo, sono appena trascorsi 28 giorni dalla strage di Capaci… dalla morte dell’amico Giovanni Falcone e Paolo Borsellino partecipando alla veglia di preghiera organizzata in memoria dell’amico e collega, ricorda una sua frase: “La gente fa il tifo per noi“!!!

Passeranno soltanto pochi giorni e il 19 luglio in Via D’Amelio (la strada nella quale risiedeva la mamma…) morirà anch’egli in un attentato…
Sono passati 24 anni da quella data e ripercorrendo la strada che ha avuto in questi anni la nostra democrazia, in particolare, osservando quanto realizzato nella nostra terra, certamente di quel “tifo” vi è rimasto poco… forse nulla… o meglio, ci si ricorda soltanto nei giorni delle commemorazioni…
E’ quell’analogo sentimento che esprimiamo quando gioca la nostra nazionale…
S’inizia tifando con sospetto e diffidenza, poi quando le cose cominciano ad andare bene… ecco che ci si catapulta con tutta la passione possibile e immaginabile, dimenticandosi di tutto il  resto… dei problemi generali, della crisi occupazionale, di tutte quelle congiunture più o meno negative che ci accompagnano, sì… siamo tutto lì a tifare una partita di calcio… ci si commuove, quasi fossimo noi gli eroi in quel campo… 
Ma, se di contro si viene eliminati da quella competizione nei primi turni… ecco, tutti pronti a manifestare con aspre critiche; s’inizia puntando l’indice contro il “Mister” che non ha saputo preparare la squadra, si passa ai giocatori, ritenuti scadenti e boriosi, fino a giungere ai preparatori atletici e all’intero staff… ritenuti nella totalità, dei collaboratori incompetenti che hanno esclusivamente pensato a percepire quegli ingiusti compensi, pagati ovviamente da noi… ecco, alla fine (è ovvio)… hanno perso loro!!!    
Qui è lo stesso… si sta a guardare quanto fa lo Stato… o meglio le istituzioni, con un occhio particolare alla Magistratura… 
Si “tifa” per questa o quella indagine, restando ad osservare gli eventi… come se si fosse, sostenitori della propria squadra… lo “Stato”, ben sapendo che tra mille difficoltà, si giungerà alla vittoria…
Ma sono sempre gli altri a stare in prima linea… loro i “tifosi” stanno dietro le quinte… incitano (come diceva nel film Totò…) “armiamoci e partite”!!!
Sì… “La gente fa il tifo per noi“… è vero… ma a cosa serve quel conforto morale, quando poi la stessa popolazione, nell’unico momento in cui potrebbe decidere, si svende…
Guardate la politica di questi anni… rileggete i nomi dei Presidenti della Regione Sicilia… poi fate un ulteriore sacrificio… cliccate sui loro nomi e verrete indirizzati sulla pagina di “Wikipedia”, ecco lì troverete (per la maggior parte di essi) un paragrafo intitolato “PROCEDIMENTI GIUDIZIARI”… lascio Voi… le opportune deduzioni!
Si parla tanto di lotta alla mafia, ma il vero problema da risolvere nello nostra isola è il dilemma “morale”, quella crescita personale e culturale, che non si vuole opporre a questo marciume… fatto di compromessi, clientelismi, complicità, corruzioni… che coinvolge la maggior parte dei cittadini, che mostrano quando chiamati… di vendersi, dando quel loro voto, a chi già si sospetta far male… a questa nostra terra!!! 
“Giovanni Falcone” era cosciente che un giorno sarebbe morto ucciso… sapeva  che lavorando per il bene di questa sua terra avrebbe potuto perdere tutto… ma ci ha provato, non è scappato, a cercato con amore di dare una “speranza” a questa regione ingrata…
Un’atto d’amore verso la sua gente, tentando con la sua opera di trasformare quelle coscienze assopite… rivolgeva il proprio pensiero contro quella predisposta convivenza, puntava ad invertire quella prerogativa mafiosa che di fatto, costituisce la vera forza della mafia… data proprio dalla debolezza dei suoi conterranei…
In molti ci raccontano che il giudice Falcone sia morto per aver organizzato il maxi-processo… ma quest’ultimo ha rappresentato il male minore…
Ciò per cui è stato aspramente colpito è per aver mirato a quel malvagio meccanismo mafioso, oleato sistema centenario in cui, nobiltà, chiesa e borghesia, sono legati indissolubilmente per dominare e gestire il potere politico e economico, necessario per organizzare, manovrare e spostare gli equilibri della corruzione in tutto il paese… indirizzando i propri voti nei confronti degli “amici degli amici”, riciclando il denaro sporco e truccando gli appalti…
Nulla è stato casuale… e dietro quelle stragi non c’erano semplici “pastori” scesi dalle montagne… ma uomini dell’anti-stato che stavano decidendo il futuro e l’assetto politico della nostra nazione, un compromesso deciso a tavolino tra, mafia internazionale e potere politico/finanziario che conta…
La Democrazia cristiana, i suoi referenti e tutti quei partiti che le gravitavano intorno… (anche d’opposizione), dovevano ad un certo punto scomparire… per dare nascita ad altri nuovi emergenti, che (apparentemente) dimostravano non essere collusi con quel sistema criminale…
Sono gli anni di mani pulite, della formazione politica creata da Dell’Utri, sono gli anni in cui vince il Cavaliere, della secessione della Lega Nord, di Di Pietro… Prodi… e via discorrendo…     
Ma come dicevo sopra… si può essere “tifosi” e vivere la propria vita da “pecore” sapendo di contare solo perché ogni tanto viene chiesto d’esprimere una preferenza di voto… oppure si può essere dei veri “sportivi”, liberandoci da quei pregiudizi e da quella dipendenza imposta, allontanandoci definitivamente per sempre da quei terreni infetti e inquinati, dove non esiste alcun principio di legalità e democrazia…
Tutti, dobbiamo assumerci la responsabilità delle nostre azioni, interrompendo quel messaggio generale in cui… bisogna sempre demandare alla giustizia, quanto è di nostra competenza!!!  
D’altronde diceva Falcone in una intervista riportata nel libro “Cose di cosa nostra”:
Temo che la magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro dall’altro, e alla resa dei conti, palpabile, l’inefficienza dello Stato”

La negazione ai valori di giustizia e legalità…

Caro Paolo,
oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante partecipare il 23 maggio ed il 19 luglio… a quelle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.
E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.
Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. 
Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.
Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato Paese.
Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. 
Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.
Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: Lo Stato non si presenta con la faccia pulita
Che cosa si è fatto per dare allo Stato una immagine credibile La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni».
E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: «No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale». 
E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.
Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxi-processo che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. 
Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.
Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. 
Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. 
Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.
Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. 
Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. 
Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.
Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. 
Parlando di Giovanni dicesti: «Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! 
La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato».
Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.
Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.
Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: «La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. 
Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. 
Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato».
Missione doppiamente compiuta, Paolo. 
Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. 
E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.
E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza
necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.
E invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.
Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.
Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.
E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.
Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.
Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. 
Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.
Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. 
Così, ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.
Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. 
Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. 
Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.
E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. 
E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.
Per questo dicesti a tua moglie Agnese: «Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno». Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E, per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.
Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio, mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.
Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. 
Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. 
Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.
Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato, quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.
E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.
Dal discorso completo, pronunciato da Roberto Scarpinato alla commemorazione per il ventennale dalla strage di Capaci il 19 ottobre 2012.

Trattativa Stato-mafia


Certo, sarebbe stato bello poter ascoltare le intercettazioni telefoniche… non so se ricordate… ma l’anno scorso il gip di Palermo, Riccardo Ricciardi, ha “distrutto” ( almeno così si dice… ) le conversazioni nel carcere dell’Ucciardone, dove erano conservati i file, dando seguito su quanto ordinato dalla Cassazione che ha ritenuto “inammissibile” la richiesta di Massimo Ciancimino di poter ascoltare le telefonate…, ed invece ora che quegli importanti “colloqui” sono stati distrutti… ecco oggi, siamo qui ad ascoltare ( come sempre dopotutto nel nostro paese…) una “limitata e parziale” verità…

In molti hanno ritenuto “folle” la decisione della Corte d’assise di Palermo che ha consentito ad un rappresentate legale di un capomafia di poter interrogare il nostro Presidente… la più autorevole istituzione dello stato… 
Già, ma quanto da noi sembra assurdo… in altri paesi è lecito… prendiamo ad esempio quanto accaduto negli USA con gli ex Presidenti Nixon e Bill Clinton… 
Non m’interessa quindi entrare nei meriti delle dichiarazioni “gentilmente” concesse, tanto la storia è ben conosciuta e non è importante sapere se una eventuale trattativa ” con bacio o senza bacio” ci sia mai stata, ma ciò di cui siamo certi è che lo Stato ha lasciato soli… i suoi migliori uomini…, i Giudici Falcone e Borsellino e che successivamente si sia trovata a dover gestire un vero e proprio conflitto con la mafia, fatto di continui attentati ed a cui non si riusciva a porre fine…
Era evidente che gli attentati avessero quale unico fine quello di voler intavolare con lo Stato una trattativa tale da per modificare quel provvedimento duro del 41 bis, ecco, quello ha rappresentato un primo passo per cercare d’iniziare una mediazione… se non si vuole usare quella parola “offensiva” meglio conosciuta come… trattativa!!!
Infatti, la storia ha dimostrato che le bombe hanno avuto successivamente l’effetto desiderato… ed infatti nei cinque anni che andranno dal 1989 ed il 1994, assisteremo a continue stragi che avranno come effetto quello di giungere ad accordi e patti, certamente non scritti, ma che hanno avuto l’esito ricercato e cioè quello di fermare le stragi… 
Per cui, volerci fare credere che lo stato ( o una parte di esso… ) non sia sceso a “bassi” compromessi con quella cosiddetta associazione criminale è qualcosa a cui nessuno crede e non servono testimonianze di sorta, per di più, fatte a quasi 20 anni di distanza… sono soltanto inutili!!! 
Gli stessi servizi segreti avevano avvisato Napolitano di un possibile attentato alla sua persona ed a quella di Spadolini…, non per nulla gli attentati alle chiese romane, davano un segnale preciso e cioè quello d’indirizzare proprio a questi due soggetti i prossimi attentati… difatti, le chiese sono intitolate a due santi… che portano “casualmente” gli stessi nomi di battesimo…
Ovviamente non ci verranno mai ufficializzati i rapporti dei nostri servizi segreti, quelle note redatte dal Sismi e dal Sisde… resteranno coperte dal timbro “Top Segret” per almeno i prossimi cent’anni… e forse chissà, soltanto sperando di trovare un nuovo Julian Assange ( fondatore di WikiLeaks ) si potrà conoscere la verità su quel periodo violento, nel quale il ns. Stato è stato posto sotto assedio…
I segni sono ancora visibili… autostrada uscita Capaci, via d’Amelio a Palermo, via Palestro, a Milano, via dei Georgofili a Firenze e le due autobombe di Roma, in piazza San Giovanni in Laterano e davanti alla Chiesa di San Giorgio al Velabro…
Lasciamo perdere quindi misteriosi papelli, baci in bocca e stronzate varie… ma una cosa è certa le stragi finirono attraverso il nuovo boss Provenzano ( applicando una nuova strategia, sicuramente meno violenta… rispetto al suo predecessore Riina ) continuando comunque nel frattempo a portare avanti i propri “affari di famiglia” da quella masseria della sua Corleone, fino all’arresto del 1996, dopo oltre quarant’anni di latitanza, già da quel lontano 1963 in cui iniziò la propria clandestinità…, nascosto e protetto da quei tanti appoggi che non vanno ricercati soltanto in quegli ambiti mafiosi, ma indubbiamente in quelli deviati dello stato… 
Non bisogna infatti dimenticare che, proprio in un locale attiguo alla masseria dove egli si nascondeva, furono trovati dei volantini propagandistici delle elezioni politiche appena svolte qualche giorno prima … ( precisamente il 9/10 aprile), che facevano riferimento ” casualmente” al presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, candidato al Senato per l’Udc… una strana coincidenza visto che è stato successivamente condannato definitivamente a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra…