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Cosa sta accadendo alle cause civili nel Tribunale di Messina???

Già… sembra che la giustizia civile a Messina non riesca a smaltire in tempi celeri i procedimenti in corso… 

L’allarme è stato riportato nella relazione introduttiva del presidente di corte d’Appello facente funzioni, Sebastiano Neri, che ha fatto emergere tutti i problemi di quel foro, riportando nella propria relazione come il settore penale, soffra meno rispetto a quello civile che viceversa, ha diminuito i propri procedimenti soltanto dello 0,7%… un’inezia rispetto al trend pre-pandemia….

Sui motivi della lentezza della giustizia civile si potrebbe discutere per anni: troppa burocrazia, pochi processi on-line e ancor meno magistrati, rappresentano le cause che vengono citate più spesso. Ecco perché la riforma della giustizia rappresenta una delle priorità del prossimo governo.

Un problema quello che riguarda i tempi della giustizia civile, quella cioè che interessa le imprese e le famiglie; stando alle indiscrezioni quello dei tempi della giustizia civile è una delle priorità del presidente del consiglio Meloni e del ministero della giustizia diretto da Carlo Nordio, che ha già espresso parere sugli enormi problemi dovuti alle differenze territoriali nella capacità di smaltire i procedimenti da parte dei tribunali. 

Nel settore lavoro le cause sono diminuite del 15,1% in un anno, mentre i contenziosi soltanto dello 0.7%. 
Ma l’allarme è per la legge Pinto, ovvero la procedura che consente l’equa riparazione per le lungaggini giudiziarie. A Messina sono aumentate nel 40% – un dato spiega Neri che: “resta tra i più alti in Italia e  fa schizzare in basso l’indice di smaltimento degli arretrati negli uffici”.

Tra l’altro, il 6% delle cause di lavoro – si evidenzia nel dossier – possono durare anche più di 10 anni e il 41,9% dei procedimenti complessivi dura più di 30 anni!!! 

Ecco perché poi diventano numerosissime le domande che fanno riferimento alla Lg. del 24 marzo 2001, n. 89, (c.d. legge Pinto) che prevedono in queste circostanze, il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dall’irragionevole durata del processo, ma non solo, questi ulteriori procedimenti, richiedono a loro volta risorse, quali magistrati e personale amministrativo, che di fatto vengono sottratti alla definizione delle altre cause. 

Insomma, da quanto sopra esposto si comprende come ci si trova nella situazione del “cane che si morde la coda” e purtroppo non si vede nell’immediato alcuna soluzione.

Ed ancora, ai tanti procedimenti di cui sopra ancora da completarsi, vi sono quelli di convalida degli sfratti, un numero enorme che è schizzato in alto nel 2022 a causa della pandemia e che ha nei fatti  aggravato le condizioni economiche di parecchie famiglie… 

D’altronde è ormai condizione consolidata che l’efficienza del sistema giudiziario è fondamentale per il buon funzionamento del sistema economico nazionale, difatti recenti studi realizzati nell’ambito dell’economia del diritto, hanno messo in evidenza come, elevati costi della giustizia e tempi lunghi di risoluzione delle controversie civili, generino ogni anno alte perdite per l’economia e riducano le condizioni di sopravvivenza delle imprese di minori dimensioni, alterando in parte le condizioni di concorrenza dei mercati. 

Ecco perché i ritardi nella conclusione dei processi civili, penalizzano tutte le realtà produttive, sottraendo risorse e minando la competitività del sistema economico…

La definiscono: offerta economicamente più vantaggiosa"!!! Ma per chi… non certamente per noi cittadini che dopo solo pochi anni iniziamo a pagarne le conseguenze!!!

Certo, è interessante valutare come il valore di un appalto (economicamente non  sempre remunerativo), debba subire un ulteriore ribasso a seguito della presentazione d’offerta, così come richiesto dal criterio di aggiudicazione da parte della stazione appaltante…

Per cui, tralasciando le relazioni preventive che in fase di progettazione sono state adottate – mi riferisco ad esempio alle indagini di mercato, ma anche a tutti quegli elementi indispensabili per effettuare le necessarie valutazioni tali da permettere una corretta  quantificazione dell’appalto da realizzarsi – ciò che non si vuole comprendere è che vincolando l’offerta in questo modo, non si può che dar vigore assoluto all’aspetto “prezzo“, con una riconduzione della gara al massimo ribasso ed in questo modo si favorisce lo sbilanciamento dell’equilibrio economico, generando tutti quei presupposti per un’offerta in perdita che come noto stimola varianti, contenziosi, incompiute, riduzione della sicurezza, ma soprattutto impiego di materiali scadenti!!!

Se pur la preventiva valutazione delle esigenze della stazione appaltante e la necessaria trasparenza nei confronti dei concorrenti suggeriscono di dover adottare criteri chiari e precisi rispetto alla valutazione delle offerte, sembra però che la pubblica amministrazione non comprenda l’infausta situazione in cui si va a cacciare, pensando esclusivamente di voler risparmiare sull’opera…

Difatti, nelle gare da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa si possono riscontrare due gravi problemi, solitamente ricorrenti, a causa di una inattitudine nel fissare obiettivi di salvaguardia della commessa…

Tra questi ad esempio vi è la mancata effettiva valorizzazione della qualità nell’offerta tecnica (che spesso viene ricondotta ad aspetti di solo costo) ed il manifestarsi di gravi interferenze al progetto esecutivo (quando i criteri posti a base di gara richiedono una variazione della consistenza progettuale).

E difatti, la prima questione accade perché l’offerta tecnica viene spesso tradotta in una lista della spesa, lavorazioni che spesso non sono inserite in progetto che l’impresa partecipante alla procedura concorsuale deve proporre per ingraziarsi il giudizio della commissione, tramutando di fatto l’offerta in una proposta che di qualitativo ha veramente poco…
Già… perché l’altro grave problema riguarda la manomissione che la stazione appaltante promuove in sede di selezione!!!

Siano esse migliorie o varianti consentite, cambia poco, l’estensore della disciplina di gara con la pretesa di poche pagine di proposta chiede agli operatori economici di stravolgere un progetto che ha avuto una gestazione di anni: valutazione costi-benefici di tutte le opportunità progettuali, quattro cinque fasi progettuali per mettere a fuoco ogni dettaglio costruttivo, pareri su nulla osta di enti sovraordinati, verifiche e validazioni!!!

E così… si rinnega quanto fatto e si richiede all’impresa (che il più delle volte non possiede neppure un ufficio tecnico) di sistemare in pochi giorni e con poche pagine di relazione, un progetto complesso supportato da un’infinità di valutazioni, a cui ora l’operatore economico, non può lontanamente giungere…

Difatti, uno delle circostanze da evitare sono i ribassi selvaggi e tutte le problematiche connesse…

L’elemento relativo al costo può assumere così la forma di un prezzo fisso, sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base ai criteri qualitativi…
Si potrebbe ad esempio definire sin da subito un ribasso di percentuale unico, che dovrà essere fissato nel bando in relazione alla tipologia dell’intervento e lasciando libertà agli operatori economici di esprimersi al meglio sui criteri qualitativi affinché sia prerogativa per la stazione appaltante in quanto garanzia della corretta esecuzione dell’opera pubblica anche in rapporto a varianti e contenzioso.

Dovremmo infine comprendere che deve essere evitata la modifica del progetto intesa come variazione della consistenza dello stesso (quantitativa e qualitativa), poiché tale atteggiamento può stravolgere l’assetto progettuale creando degli scoordinamenti che possono minare la regolare esecuzione del contratto: lacune dove l’impresa si insinua per un contenzioso, errori progettuali, necessità di effettuare varianti per calibrare le modifiche sommarie proposte in gara.

Per quanto sopra descritto, ritengo che migliorie e varianti progettuali dovranno essere limitate, se non eliminate, dalla stazione appaltante!!!
CONTINUA 

Da Milano a Catania: in manette Giudici, Avvocati, Commercialisti, Professori universitari e Imprenditori, ecc…


L’hanno già chiamata la Tangentopoli fiscale…

In manette sono finiti giudici, avvocati, commercialisti, professori universitari e imprenditori. 
Nel mirino il commercio sotterraneo di sentenze che in materia di imposte possono spostare, con una sola firma, milioni di euro dal privato allo Stato o come spesso accade, viceversa.
La nuova Tangentopoli riguarda uno dei settori della giustizia – i contenziosi tributari – finora quasi inscalfibile a ogni inchiesta della magistratura e a ogni riforma della politica.
Strutturato su due livelli di commissioni, provinciali per il primo grado e regionali per il secondo, la giustizia tributaria è un sistema di potere fortissimo. 
Una cerchia chiusa di magistrati, in maggioranza privati, onorari, chiamati nel 2015 a decidere su oltre 581mila contenziosi, per un valore globale di 50 miliardi di euro. 
Un tesoro affidato alle decisioni di avvocati, commercialisti, consulenti, ragionieri, persino ad agronomi e professori di liceo. 
Un sistema sul quale indagò anche Antonio Di Pietro, che dopo le inchieste sulla corruzione nei partiti, delle mazzette in valigia o fatte sparire nel water, si convinse di essere stato fermato proprio quando iniziò a scavare nel mondo delle sentenze tributarie. 
E oggi un nuovo grappolo di inchieste sta ripartendo da lì: solo a Milano si indaga su ben venti cause fiscali.
Il 17 dicembre del 2015 – si legge su Repubblica – i militari della Guardia di Finanza, travestiti da avvocati, arrestano nello studio Crowe Horwarth, il giudice della commissione tributaria provinciale di Milano, Luigi Vassallo, con una busta da 5.000 euro infilata nella giacca. 
Vassallo, avvocato della Cassazione e docente universitario a Pavia, che risulta (dal marzo 2015) ancora consulente “in materia di conflitto di interessi per il governo”, ha appena incassato la prima rata di una tangente da 30mila euro per intervenire su una estero vestizione da svariati milioni contestata alla multinazionale della chimica Dow Europe Gmbh .
Ma non è un episodio isolato. Perché i pm di Milano Eugenio Fusco e Laura Pedio, un mese dopo, ottengono l’arresto di un altro giudice onorario, l’avvocato Marina Seregni. 
I due giudici sono accusati di corruzione in atti giudiziari per il caso della Dow Europe Gmbh, ma anche di aver pilotato un contenzioso da 14,5 milioni a favore della società Swe-Co, dell’imprenditore Luciano Ballarin (indagato) in cambio di 65mila euro. 
Il gip Manuela Cannavale cita esplicitamente la “spregiudicatezza con cui si muoveva Vassallo, che sapeva di poter fare affidamento su Seregni e verosimilmente anche su altri giudici tributari e funzionari dell’Agenzia delle Entrare, per pilotare ricorsi, influenzare i giudizi dei collegi, sostituirsi nella redazione delle sentenze, a fronte della corresponsione di dazioni illecite da ripartire con i complici”. 
E infatti nell’inchiesta è indagato anche un giudice togato, Francesco Pinto, ex presidente del tribunale di Imperia, ex giudice a Monza, ora presidente della sezione 18 della Commissione tributaria provinciale di Milano.
Lo schema non è diverso da quello scoperto a Catania dal procuratore Michelangelo Patané e dal pm Tiziana Laudani.
Finisce in carcere – insieme a due imprenditori, un commercialista e un cancelliere – il presidente di sezione della Commissione tributaria provinciale di Catania, il giudice Filippo Impallomeni. 
Il magistrato avrebbe usato per anni le auto della concessionaria di Giuseppe Virlinzi, fratello di uno dei più grossi immobiliaristi della città, in cambio di decisioni favorevoli, per un risparmio sulle tasse di 800mila euro. 
Per i pm, Impallomeni, da presidente, da relatore o da estensore era sempre presente nelle decisioni su Virlinzi.
Gli investigatori non pensano che si tratti di casi isolati, ma che almeno in Lombardia si possa ipotizzare un sistema. 
Qualcosa che riporta alla mente vecchie inchieste, come la celebre P3 che nasceva proprio da oscuri personaggi che si vantavano di pilotare grandi processi tributari. 
“Emerge – dice oggi un investigatore – una rete di relazioni che sopravvive a ogni forma di incompatibilità”. 
Se per legge non può svolgere l’attività di giudice chi esercita attività di consulenza tributaria per “contribuenti, società di riscossione o altri enti impositori”, è vero che il conflitto d’interessi è all’ordine del giorno. 
“Era noto che Vassallo fosse in grado di risolvere i problemi: i commercialisti e gli avvocati che venivano in studio sapevano che era in grado di sistemare i processi”, mette a verbale la sua segretaria, svelando come oltre le incompatibilità formali bisogna fare i conti con un contesto di fortissima contiguità tra professionisti. 
Con commissari che sono amici, colleghi, a volte soci dei legali delle aziende coinvolte nelle liti. Storture che portano fino al 60% le decisioni che danno ragione al privato e torto allo Stato. 
E “che azzerano – riflette un magistrato – anni di lavoro di Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate”.
A Milano come a Catania, le inchieste sono destinate ad allargarsi. In altre procure, oltre a quella di Roma, sono agli inizi. 
Quella del capoluogo lombardo fa da apripista. 
Non solo perché i giudici arrestati avevano grande disponibilità di denaro (Vassallo era titolare di due cassette di sicurezza, e di contanti per 267mila, mentre Seregni di altre due cassette che ha movimentato prima dell’arresto). 
Ma soprattutto per le buste piene di altre banconote, trovate coi nomi dei “soggetti erogatori” del denaro: manager, aziende, membri di commissione, funzionari dell’Agenzia delle Entrate. 
E un elenco di venti contenziosi ora sotto indagine…