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Amministratori di società come "teste di c… legno", già… per pochi spiccioli!!!

Avessero almeno l’intelligenza di fare quel ruolo così delicato per una cifra considerevole o quantomeno interessante!!!

D’altronde vorrei ricordare a quei soggetti che le pene previste penalmente per aver svolto impropriamente quel ruolo, sono eguali sia che si abbia preso 10.000 euro al mese oppure che €. 1.500 e quindi – se proprio si è deciso di esercitare quel ruolo – perché farlo gratis???

Già… “Niente sconti per le teste di legno“: è quanto è emerso dalla sentenza n. 12841 del 5 aprile scorso, con cui la quinta sezione penale della Cassazione ha ritenuto responsabile anche l’amministratore «di diritto» per i fatti di bancarotta posti in essere dall’amministratore «di fatto»!!!

Già… bisogna essere delle “teste di c…” a voler apparire ai terzi come rappresentante di una società, risultando amministratore di un’entità che poi in realtà è diretta e gestita da un altro o da altri soggetti…

Per cui… volete farlo, vi hanno promesso del denaro, un’auto ( ah… che ridere, quasi sempre una panda o una punto…) e chissà forse per quel ruolo vi verrà concesso vitto e l’alloggio, ma allora – se proprio non sapete dove sbattervi la testa – approfittatene, sì… quantomeno fatelo con furbizia, chiedete per quel ruolo così importante una maggiore libertà d’azione, trasparenza, ma soprattutto un adeguato compenso, non la miseria che viene solitamente concessa a tutti quei pseudo amministratori “teste di legno”…

D’altronde vorrei ricordare a quest’ultimi il loro fondamentale ruolo – non semplice e soprattutto difficile da poter affidare ad una persona estranea o come si dice in gergo “al primo venuto” – perché in gioco non vi è soltanto la società, ma bensì i beni di proprietà, immobiliari, mobiliari, strumentali, gli appalti, etc… e quindi quel soggetto deve essere uno di cui fidarsi, un familiare, un parente, un intimo amico, non certo il primo estraneo che capita per strada, perché nei momenti di pressione dovrà farsi carico di tutto e soprattutto questi, non dovrà mai parlare!!!

Ed allora, sapendo d’aver il coltello dalla parte del manico, perché non chiedere il giusto, perché accontentarsi sapendo di attirare su di se tutti i rischi di quel ruolo, infangando – nel caso in cui si venisse scoperti – non solo il proprio nome, ma anche quello dei propri figli.

Quindi, perché non far trasparire apertamente le proprie intenzioni, chiedendo ciò per cui si sta rischiando, sapendo tra l’altro di poter tenere l’altro (colui che realmente comanda) legato… sì per le palle ed imponendo così la propria figura, quale scambio di continuità e progettualità per la società che si sta amministrando???

D’altronde, cosa potrebbe accadere, non certo che quel ruolo venga ripreso dall'”Amministratore di fatto“…

Egli, per aver posto voi a quel ruolo, evidenzia che non può farlo, la normativa prevede difatti che un soggetto, per poter adempiere a quel ruolo, deve rispettare alcuni fondamentali requisiti, tra cui aver capacità giuridica e di agire, ma soprattutto, non deve essere stato interdetto o risultare inabilitato, fallito ed ancora, non deve essere stato condannato ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici e/o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi!!!

Quindi come vedete, alla fine gli restate soltanto voi o qualcuno come voi, ma non è semplice, loro sanno bene come non sia agevole destituirvi da quel ruolo, già… come si dice: il rischio non vale la candela!!!

 Ed allora, per una volta, dimostrate che non siete dei semplici “quaquaraquà“, provate a far valere le vostre posizioni, se proprio dovete rischiare, vi do un consiglio, fatevi intestare una quota di quella società, fatevi compensare per quel ruolo in maniera corretta, non accontentatevi, ed ancora, provate a far valere ancora il vostro nome “valido“, perché  tra qualche anno potrebbe accadere che neppure quello vi resterà di “limpido“…

Quindi fate in fretta, agite presto e se le vostre richieste non venissero prese in considerazione, lasciate celermente quella “patata bollente” a chi di dovere, quantomeno voi potrete ancora continuare a restare liberi e chissà, forse un giorno incontrandomi, mi ringrazierete per aver ascoltato le mie parole!!! 

Sulla base del principio di presunzione di innocenza, l’eventuale colpevolezza delle persone sottoposte ad indagine, sarà definitivamente accertata solo ove interverrà sentenza irrevocabile di condanna.

Con il D.lgs. n. 188/2021, presunzione d’innocenza, ecco cosa cambia… 

Dal 14 dicembre 2021 è in vigore il d.lgs. n. 188/2021 che, recependo una Direttiva UE, introduce alcune disposizioni tese al rafforzamento della «presunzione d’innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».

In ordine al primo aspetto, il fulcro del decreto consiste nella disciplina relativa alla diffusione delle informazioni riguardanti i procedimenti penali e gli atti di indagine.

In tal senso, l’art. 2 dispone che «è fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili».

In caso di violazione del divieto l’interessato, oltre ad avere diritto al risarcimento del danno, può chiedere la rettifica della dichiarazione e, in caso di inottemperanza dell’autorità, può agire ex art. 700 c.p.c., chiedendo al tribunale di disporre la pubblicazione della rettifica.

Va precisato che il divieto è rivolto alle autorità pubbliche in generale e quindi, oltre ai magistrati, a qualsiasi autorità investita di potestà pubblicistiche.

Dunque, ai funzionari pubblici e agli esponenti della politica non saranno più consentite esternazioni sulle indagini in corso nelle quali un indagato venga additato come colpevole.

Per converso, posto che l’art. 2 non riguarda i privati ed in particolare gli organi di informazione, il decreto non incide direttamente sul fenomeno dei processi mediatici. Inoltre, il provvedimento inserisce alcune rilevanti novità nel testo dell’art. 5 del vigente d.lgs. n. 106/2006.

Detto articolo, dispone che i rapporti con gli organi di informazione competono esclusivamente al procuratore della Repubblica o a un magistrato dell’ufficio appositamente delegato.

L’art. 3 del nuovo decreto aggiunge che la diffusione di notizie può avvenire esclusivamente attraverso comunicati ufficiali o tramite conferenze stampa e a condizione che «risulti strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini» o ricorrano «altre specifiche ragioni di interesse pubblico».

La decisione di procedere a conferenza stampa, comunque, è assunta con atto motivato «in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che la giustificano».

Gli ufficiali di polizia giudiziaria possono fornire informazioni, con le medesime modalità, sugli atti di indagine compiuti soltanto se autorizzati dal procuratore con atto motivato.

Al di fuori di questi canali ufficiali, non è consentito dare ulteriori notizie ai cronisti. In ogni caso, le informazioni devono essere diramate in modo da assicurare alla persona sottoposta ad indagini o all’imputato il diritto «a non essere indicati come colpevoli» fino a quando la colpevolezza non sia stata definitivamente accertata. Infine, il comma 3-ter precisa che nei comunicati stampa e nelle conferenze è fatto divieto «di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza».

In pratica, nei comunicati ufficiali i procedimenti non potranno più essere denominati con appellativi dal tenore colpevolista. Anche in questo caso, la norma non si rivolge agli organi di stampa, ma l’attribuzione alle inchieste di nomignoli denigratori espone, d’ora in poi, i giornalisti ad un maggiore rischio di incorrere in azioni legali. Si osserva che rispetto a quanto era già stabilito dall’art. 5 del d.lgs. n. 106/2006, il nuovo decreto non ha apportato novità radicali, fatto salvo il divieto di intitolare le inchieste giudiziarie con denominazioni scandalistiche.

Criticabile, inoltre, è stata la scelta di legittimare le conferenze stampa e quella di lasciare un eccessivo margine di discrezionalità ai procuratori i quali possono consentire la diffusione delle informazioni sul generico presupposto delle “ragioni di interesse pubblico”.

Tuttavia, il decreto è espressione di un’importante presa di posizione culturale. Infatti, gli artt. 114 e 329 c.p.p., in tema di divieto di pubblicazione di atti e di obbligo del segreto, sono finalizzati a impedire che la divulgazione di notizie rechi nocumento alle indagini in corso e al contempo a evitare che il giudice del dibattimento possa essere influenzato nella propria decisione.

Quanto al d. lgs. n. 106/2006, il cui citato art. 5 è rimasto sinora lettera morta, la sua originaria ratio era quella di precisare le regole di condotta all’interno degli uffici del pubblico ministero nel rispetto dei rapporti gerarchici. Il nuovo decreto, invece, è il segno di un cambiamento storico posto che il suo scopo è dichiaratamente quello di tutelare la persona indagata o imputata.

Per la prima volta, è stato sancito il diritto dell’indagato a non subire la spettacolarizzazione dell’indagine che, di per sé, lede la reputazione e compromette la serenità della difesa. Il provvedimento rappresenta quindi un deciso passo in avanti verso la concreta attuazione del principio, non solo europeo ma anche costituzionale, della presunzione d’innocenza.