La corruzione è percepita come un fenomeno diffusissimo, in particolare nei grandi appalti pubblici, dove sembra essere una presenza storica e radicata. Ma non si ferma lì: investe i concorsi pubblici, la gestione delle carriere, e persino settori essenziali come la sanità e l’istruzione universitaria.
Per molti cittadini, è quasi una necessità: un “male utile” per ottenere servizi o avanzare in ambiti dominati da favoritismi e scorciatoie. Questa percezione non solo alimenta sfiducia e disillusione verso le istituzioni, ma normalizza la corruzione stessa, facendola sembrare inevitabile, un pezzo inscindibile della nostra vita pubblica e privata.
È qui che si nasconde il vero pericolo: accettare la corruzione come parte integrante della società significa rinunciare a combatterla. La consideriamo endemica, quasi genetica, quando in realtà essa prospera grazie all’indifferenza, all’omissione e, a volte, alla complicità.
E mentre il fenomeno cresce, cala la partecipazione attiva dei cittadini. Le piazze si svuotano. Le denunce diminuiscono. Sempre più persone vedono il whistleblowing non come un dovere civico, ma come un rischio personale e professionale. E così il silenzio diventa complice.
Pochi sono i coraggiosi che denunciano, che credono ancora nella giustizia e si impegnano a fare il proprio dovere. Ma, ditemi, chi sono questi eroi silenziosi? Chi sono quei cittadini, politici, imprenditori o funzionari che alzano la voce contro la corruzione? Fatemi i loro nomi!
La verità è amara: questo sistema corrotto fa comodo a troppi. È un male che non solo tolleriamo, ma a cui partecipiamo, attivamente o passivamente, affinché nulla cambi.
Ma possiamo davvero accettarlo? È così che vogliamo vivere, in una società che si arrende al marcio?
È tempo di guardarci allo specchio e chiederci se vogliamo essere parte del problema o della soluzione.
Il cambiamento parte da noi, dalla nostra volontà di dire “basta” e di agire, anche con piccoli gesti, per costruire un futuro libero da questa piaga.
