
Quando non esistevano i “rubagalline”: Acicastello e il Grand Tour
di Diego Vitale
Mentre politici e aspiranti “rubagalline” si scannano a colpi di slogan che mettono sì in risalto i pregi della Sicilia, ma che dato il loro triste teatrino sostanzialmente la impoveriscono, più di duecento anni fa la terra sicula era per eccellenza la patria del buon gusto e delle arti. E’ superfluo ricordare i greci, i normanni, i romani, e gli altri popoli che hanno affollato la terra di Trinacria in varie epoche, poco invece si conosce dei viaggiatori francesi, tedeschi e inglesi che hanno affollato la terra di Trinacria dal XVII secolo. Questi intraprendevano un itinerario praticamente fisso che comprendeva le visite di Palermo, Siracusa, Catania e l’Etna, che prendeva il nome di “Grand Tour”. Con questa espressione – la cui prima definizione è da attribuire a Richard Lassels (1698) – è il viaggio “emozionale” intrapreso da giovani e meno giovani piccoli borghesi, gran signori, pittori, geologi, nel Sud Italia, Sicilia in primis.
Basta andare in una qualsiasi biblioteca siciliana e/o fare una ricerca on-line per scoprire come sia sterminato il numero di racconti – la cui veridicità però non è sempre attendibile – che vengono classificati con tale espressione, segno evidente di come la Sicilia è stata veramente la fonte d’ispirazione per tanti letterati. Questi eminenti studiosi erano spesso accompagnati nei loro viaggi da precettori e/o guide locali (importanti furono, per esempio, le guide che conducevano i viaggiatori lungo la sommità dell’Etna).
Il primo racconto di questa serie viene in genere considerato “Viaggi in Spagna e in Italia” di Jean Baptiste Labat, frate domenicano che visitò la Sicilia – in particolare la città di Messina – nel 1711. Ben più interessanti furono i Grand Tour di Riedesel e di Brydone, quest’ultimo però spesso accusato di condire i propri diari con informazioni fantasiose. Lunga e interessante è anche la “ciurma” di viaggiatori francesi – da Denon all’abate di Saint-Non, da Houel a Dolomieu – e di germanici – Munter, Stolberg, Marschils – ma il più importante visitatore della Sicilia di quel tempo fu l’autore de “I dolori del giovane Werther”, Johann Wolfgang Goethe, il quale ci ha lasciato le sue memorie di viaggio in “Italianische Reise” (1816). Vale la pena qui riportare una citazione del suo libro: «La Sicilia mi richiama l’Asia e l’Africa; trovarsi nel centro meraviglioso, dove convergono tanti raggi della storia universale, non è cosa da nulla».
E Acicastello? Essa è spesso citata nei viaggi di questi studiosi. Basti citare il geologo Dolomieu e le sue informazioni sulla roccia vulcanica sulla quale è stato costruito il castello; oppure i “cieli” dell’hinterland catanese descritti da Jacobi; o ancora i “mari delle Aci” esaltati da quasi tutti i viaggiatori. Insomma, tramite questi resoconti di viaggio si può scoprire uno spaccato interessantissimo della storia della cittadina castellese.
Per chi volesse approfondire l’argomento veda H. Tuzet, “Viaggiatori stranieri in Sicilia nel XVIII”, Sellerio, Palermo, 1995; F. Platania, “Viaggiatori nelle terre di Ulisse”, Bonanno, Acireale, 2008.